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Affitto: Se l’inquilino vede la casa può sollevare contestazioni?

Cosa fare in caso di umidita in appartamento

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Hai preso un appartamento in affitto. Prima di firmare il contratto, l’agente immobiliare ti ha fatto vedere i locali in modo piuttosto sbrigativo, inserendoti all’ultimo minuto tra altri due clienti interessati allo stesso immobile.

Te ne è subito piaciuta la collocazione vicino al luogo di lavoro, le dimensioni – fatte apposta per te – e soprattutto il prezzo.

Così, per non farti sfuggire l’occasione, hai presentato immediatamente un’offerta e il proprietario, a sua volta, l’ha accettata. Nel contratto è scritto che «l’inquilino dichiara di aver esaminato i locali e di averli trovati adatti al proprio uso, in buono stato di manutenzione e conservazioni ed esenti da difetti». In verità le cose sono andate diversamente, visto che l’ispezione dell’appartamento è stata sommaria e rapido.

Dopo qualche mese ti accorgi di alcune perdite d’acqua, del fatto che le finestre creano spifferi d’aria, che la lavastoviglie è in realtà rotta da diverso tempo e che c’è stato il crollo di un cartongesso usato come ripostiglio. Chiedi la risoluzione del contratto o una riduzione dell’affitto, ma il padrone di casa è tutt’al più disponibile a fare qualche intervento. A suo dire, quella famosa clausola contrattuale ti ha vincolato e ora non puoi più recriminare se l’immobile non è perfetto.

È davvero così?

In caso di affitto, se l’inquilino vede la casa può sollevare contestazioni in un momento successivo? La questione è stata più volte affrontata dalla giurisprudenza. Ecco cosa prevede la legge a riguardo.

 

La consegna dell’immobile dopo la firma del contratto di affitto

Dopo la firma del contratto di affitto (locazione), sia esso a uso abitativo o commerciale, il padrone di casa è obbligato a consegnare all’inquilino l’immobile in buono stato di manutenzione ed in grado di servire all’uso concordato tra le parti: ad esempio l’immobile dovrà essere dotato degli impianti necessari (impianto igienico, idrico, di riscaldamento) regolarmente funzionanti.

Di solito lo stato dell’immobile ricevuto dal conduttore è generalmente descritto nel contratto e lì si dà atto che l’affittuario ne ha preso consapevole visione e l’ha accettato. In mancanza di indicazione, si presume che il conduttore abbia ricevuto l’appartamento in buono stato di manutenzione. Difatti, proprio per evitare successive contestazioni e far riconoscere al conduttore il buono stato dell’immobile, si inserisce nel contratto una clausola – più o meno generica – in cui il conduttore dichiara di aver preso visione dell’immobile, di averlo trovato adatto al proprio uso, in buono stato di manutenzione ed esente da difetti.

Nel caso di locali a uso commerciale la prassi prevede anche la redazione di un verbale di consegna con una analitica descrizione dell’immobile.

Nonostante la previa verifica dell’appartamento, può succedere che l’affittuario riscontri la presenza di vizi solo in un momento successivo e, a causa di questi, voglia una riduzione del canone di affitto.

Può farlo?

Secondo la Cassazione, tutto dipende dalla natura di tali vizi: se essi erano visibili già all’atto del sopralluogo nella casa – non importa quanto sbrigativo possa essere stato – il rischio ricade sul frettoloso inquilino.

Quest’ultimo infatti ha l’obbligo di contestarli subito; se non lo fa dimostra di aver voluto accettare l’immobile per come si trova.

Viceversa, se l’immobile presenta dei problemi “nascosti”, ossia non facilmente riscontrabili a occhio nudo (si pensi a un impianto idrico che presenta delle perdite o a un impianto elettrico non a norma, con il rischio di folgorazione), i vizi possono essere sollevati anche in un successivo momento nonostante l’accettazione – fatta con la firma dello stesso contratto – dell’immobile nello stato di fatto in cui si trova. 

 

Affitto, il sopralluogo dei locali prima della firma vincola l’inquilino

Le stesse considerazioni vengono fatte dal Tribunale di Aosta secondo il quale, se al momento della firma del contratto di locazione di un immobile, il conduttore esamina i locali e dichiara di trovarli adatti al proprio uso, in buono stato di manutenzione e conservazione nonché esenti da difetti, non può in un secondo momento contestare al locatore l’inidoneità dell’immobile, chiedendo la riduzione dell’affitto e il risarcimento del danno. Il caso si riferisce a una locazione a uso commerciale, ma le medesime considerazioni possono essere fatte anche per la locazione a uso abitativo. 

La qualità dei locali in locazione – spiega il giudice – era infatti «…agevolmente constatabile dall’odierne ricorrente allorché ha esaminato i locali trovandoli adatti al proprio uso, ne la generica finalità commerciale indicata nel contratto tra le parti può ritenersi implicare, in carenza di ulteriori e più specifiche indicazioni, un riferimento specifico ad una od altra delle tipologie di esercizio classificate e normate dal Regolamento regionale vigente in materia, tanto più che l’odierna ricorrente risulta cessionaria dell’azienda già gestita nei medesimi locali dalla precedente conduttrice». 

Non per qualsiasi tipo di vizio è possibile chiedere una riduzione del canone di affitto, ma solo per quelli che ne riducono sostanzialmente il godimento. Non può neanche essere l’inquilino a operare questa riduzione ma deve prima rivolgersi al giudice affinché, in contraddittorio con il locatore, verifichi la natura dei vizi e ne quantifichi l’ammontare. 

In tema di locazione a uso commerciale la Cassazione ha di recente avuto modo di chiarire che «solo quando l’inagibilità o l’inabitabilità del bene attenga a carenze intrinseche o dipenda da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire il rilascio degli atti amministrativi relativi alle dette abitabilità o agibilità e da non consentire l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, può configurarsi l’inadempimento del locatore, fatta salva l’ipotesi in cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere tali atti».

 

Fonte https://www.laleggepertutti.it/210431_affitto-se-linquilino-vede-la-casa-puo-sollevare-contestazioni

 

A chi spetta il rifacimento dei sottobalconi?

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http://ediliziacrobatica.com/lavoro/messa-in-sicurezza-e-risanamento-balconi-sotto-balconi-e-cornicioni-roma/

L’unica norma del codice civile che regola la distribuzione delle spese del balcone stabilisce che

«le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto».

Nell’espressione «volte, solai e soffitti» è compreso tutto quello che serve stabilmente a dividere orizzontalmente le due proprietà.

Dunque quando si tratta di sostenere la spesa di rifacimento del balcone aggettante, i costi vengono così distribuiti:

 

  • - la copertura del pavimento è a carico del proprietario del piano superiore; 
  • - le spese dell’intonaco, della tinta e della decorazione della parte inferiore del balcone (sottobalcone) sono invece a carico del proprietario del piano inferiore. 

 

Quindi, quando si tratta di tali spese, il condomino non entra in alcun modo e non può imporre al proprietario dell’appartamento quando e se disporre gli interventi di manutenzione; allo stesso modo, però, il costo non sarà spalmato sull’intero stabile ma viene diviso tra il condominio del piano superiore (proprietario del balcone) e quello del piano inferiore (cui il sottobalcone fa da copertura).  

Dunque ricapitolando:

Tutti i balconi aggettanti appartengono al proprietario dell’appartamento di cui essi sono un prolungamento. Le spese di manutenzione sono a suo carico e il condominio non ha a riguardo voce in capitolo. Solo le spese per la manutenzione del sottobalcone sono a carico del proprietario del piano inferiore. 

Invece soggetti a un regime diverso sono tutti gli elementi decorativi del balcone che in virtù della funzione di tipo estetico che essi svolgono rispetto all’intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, sono considerati parti comuni. Salvo «prova contraria».

Cos’è la «prova contraria»?

Secondo il tribunale di Catania deve trattarsi necessariamente del regolamento di condominio (approvato all’unanimità) o degli atti di acquisto dell’appartamento. Secondo il Tribunale di Palermo invece, a contare non sono solo le carte ma anche i comportamenti e le prassi interna al condominio, ossia quelle condotte tacite dalle quali è possibile desumere l’accettazione di una determinata situazione di fatto che riverbera i propri effetti anche sul piano giuridico. 

Quali spese sono a carico del condominio?

Diverso è il discorso per le parti del balcone che svolgono una funzione estetica e servono per abbellire la facciata dell’edificio. In questi casi, infatti, la Cassazione ha detto che: parapetti, cornicione o marcapiano, frontalini e tutti gli altri elementi di decoro architettonico si inseriscono nel prospetto dell’edificio e hanno la finalità di abbellirlo. Pertanto le spese relative a tali parti gravano sul condominio intero, ripartiti per millesimi; è quindi l’assemblea a decidere se e quando effettuare tali interventi. 

Si tratta di oneri necessari a rendere gradevole l’edificio e di cui, pertanto, si devono fare carico tutti i proprietari per le rispettive quote. 

Quando, però, i lavori non sono qualificabili come spese necessarie per ridare pregio alla struttura dell’intero palazzo, i costi della manutenzione e della ristrutturazione dei balconi sono a carico esclusivo del proprietario dell’immobile nel quale insistono. 

 

fonte https://www.laleggepertutti.it/210164_sottobalconi-a-chi-spetta-il-rifacimento#Sottobalcone_a_chi_spettano_le_spese

Cos’è la risoluzione

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Il contratto di locazione si scioglie perché una delle parti ha comunicato all’altra la propria intenzione di non volerlo più rinnovare. Gli affitti a canone libero (4+4) o concordato (3+2) hanno infatti una durata “a tempo indeterminato”: si rinnovano cioè in automatico e si sciolgono solo a seguito della manifestazione della volontà di risoluzione data dal padrone di casa o dall’inquilino. 

Come noto, la comunicazione di recesso deve essere data entro 6 mesi prima dalla scadenza del contratto. Se arriva anche un solo giorno dopo essa ha comunque effetto, ma vale per la successiva scadenza e non per quella imminente (sicché non ci sarà bisogno di inviare una seconda comunicazione).

La risoluzione può intervenire anche per provvedimento del giudice a seguito di un procedimento di sfratto. Lo sfratto può essere richiesto sia quando, terminato il contratto, l’affittuario non libera l’immobile (citazione per finita locazione) oppure per ritardo di almeno 20 giorni nel pagamento del canone di locazione (citazione per morosità).

Da un punto di vista civilistico, il contratto non produce più effetti dalla risoluzione, sebbene l’inquilino che non lascia l’appartamento alla scadenza è costretto a pagare tutti i canoni che, nel frattempo, maturano oltre al risarcimento del danno.

Da un punto di vista fiscale, la disdetta non basta per interrompere gli obblighi con l’Agenzia delle Entrate, ma va data la comunicazione di risoluzione pagando l’imposta di registro.

Risoluzione consensuale 

Lo scioglimento del contratto di locazione può avere luogo anche:

per mutuo dissenso di entrambe le parti, ossia attraverso un accordo dei contraenti volto a liberare entrambi dalle obbligazioni reciprocamente assunte;

 

  • per recesso unilaterale ossia esercitato da una sola parte perché concessogli dal contratto (ad esempio a seguito di trasferimento lavorativo dell’inquilino). Per quanto concerne quest’ultima circostanza, la legge attribuisce alle parti contraenti la possibilità di pattuire, al momento della conclusione dell’accordo, a favore di uno di essi o di entrambi, la facoltà di recedere dal contratto, indicandone le modalità e i termini di preavviso.

 

La legge infine concede all’affittuario di recedere dal rapporto di locazione di recedere dal contratto di locazione in presenza di gravi motivi (anche se non indicati nel contratto), dando comunicazione al locatore con preavviso di 6 mesi.

Come avviene la registrazione della risoluzione dell’affitto?

In caso di risoluzione anticipata del contratto la registrazione è pari alla misura fissa di 67 euro e deve essere versata, entro 30 giorni dall’evento:

 

  • presso l’ufficio in cui è stato registrato il contratto stesso;
  • utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia tramite richiesta di addebito su conto corrente;
  • con il modello F24 Elementi identificativi, utilizzando il codice tributo 1503.

 

In caso di versamento con F24 Elementi identificativi è necessario comunicare la risoluzione all’ufficio dove è stato registrato il contratto presentando, nello stesso termine di 30 giorni, il modello RLI debitamente compilato.

L’imposta di registro non è dovuta da chi ha aderito alla cedolare secca, fermo restando comunque l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate, entro 30 giorni, la risoluzione del contratto.

Quando scatta la risoluzione del contratto e la registrazione all’Agenzia delle Entrate?

La legge distingue il trattamento impositivo applicabile alla risoluzione del contratto in due ipotesi. La risoluzione del contratto è soggetta ad imposta di registro in misura fissa pari a 67 euro se:

 

  • dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso;
  • è stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto.

 

L’imposta fissa di 67,00 euro si applica anche nel caso di risoluzione del contratto di locazione prevista da una clausola risolutiva espressa o da una condizione risolutiva espressa (a meno che non sia prevista la corresponsione di un corrispettivo, nel qual caso si applicano ad esso le aliquote dello 0,50% o del 3%, come illustrate nel precedente paragrafo).

Ad esempio, si pensi al caso di un conduttore, che, pur avendo stipulato un contratto di locazione immobiliare di durata 4+4, dopo 2 anni dalla stipula debba trasferirsi all’estero e dia disdetta al contratto di locazione (nei termini previsti dal contratto).

In tal caso, in assenza di previsione di alcun corrispettivo, semplicemente l’imposta di registro è dovuta nella misura di 67,00.

In caso di risoluzione anticipata del contratto di locazione pluriennale di immobili urbani, in ipotesi di risoluzione anticipata del contratto, il contribuente che ha corrisposto l’imposta sul corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto ha diritto al rimborso del tributo relativo alle annualità successive a quella in corso. Naturalmente, invece, ove l’imposta sul contratto risolto fosse pagata di anno in anno, semplicemente la risoluzione farebbe venire meno l’obbligo di pagamento sulle annualità successive a quella in cui si sia verificata la risoluzione.

Ad esempio, tornando all’ipotesi sopra proposta, nel caso in cui il contratto di locazione, risolto dopo il secondo anno di locazione decorresse dall’1.1.2014 e venisse risolto il 5.4.2016, ove l’imposta di registro fosse stata integralmente corrisposta alla registrazione, vi sarebbe il diritto al rimborso dell’imposta di registro relativa alla sola annualità 1.1.2017 – 31.12.2017.

Se la risoluzione dell’affitto avviene a seguito di un ricorso al giudice e quindi diordinanza di rilascio da parte del tribunale, si applica l’imposta di registro fissa nella misura fissa di 200,00 euro; infatti, in tali casi si configura in ogni caso un’ipotesi di registrazione di atto giudiziale (e non quella relativa alla registrazione di un accordo scaturente dal contratto di locazione).

Risoluzione del contratto assoggettato a cedolare secca

La cedolare secca sostituisce le imposte di registro e di bollo sulla risoluzione e sulle proroga del contratto di locazione. In tal caso nulla è dovuto a titolo di imposta di registro sulla risoluzione.

Che succede in caso di mancata registrazione della risoluzione dell’affitto?

La mancata o la tardiva registrazione della risoluzione del contratto di affitto viene sanzionato a livello fiscale e il contribuente deve pagare l’imposta di registro anche per gli anni o le mensilità passate in cui l’immobile è stato già riconsegnato. 

In particolare il contribuente è soggetto a una sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. 

Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà e quindi è pari al 15%. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta ed è pari all’1% per ciascun giorno di ritardo.

Neanche una lettera può valere ai fini fiscali per mettere al riparo il proprietario dalle sanzioni fiscali: a detta della Ctp di Milano, infatti, solo la registrazione della volontà di risoluzione, con il relativo versamento del tributo, fa venir meno l’efficacia del contratto. Quindi il rilascio spontaneo dell’appartamento da parte dell’inquilino non comporta effetti fiscali. 

 

fonte https://www.laleggepertutti.it/209904_registrazione-risoluzione-contratto-di-affitto#Cose_la_risoluzione

La mia bolletta è sproporzionata, cosa posso fare?

Bollette

http://aforisticamente.com/2017/10/01/frasi-aforismi-battute-divertenti-sulle-bollette/

l ricevimento di bollette cosiddette “anomale”, ossia contenenti importi che divergono notevolmente da quelli di norma registrati, costituisce un fatto piuttosto frequente per le utenze di lucegas e, soprattutto, acqua.

La prima cosa da fare in questi casi è cercare di individuare, possibilmente con l’aiuto e la collaborazione della compagnia che effettua la somministrazione, la causa dell’anomalia.

Le ragioni che più comunemente comportano l’emissione di bollette dell’acqua per importi manifestamente eccessivi sono: il malfunzionamento del contatore; la presenza di perdite occulte. Un’altra possibilità è che sulla bolletta in questione siano stati conteggiati dei conguagli riferiti a periodi precedenti. Ciò dovrebbe però risultare dal documento ed, in ogni caso, un aumento da € 50,00 circa ad € 1.000,00, potrebbe ritenersi eccessivo e pertanto dare origine ad una legittima richiesta di rateizzazione.

Nel caso sussista un malfunzionamento del contatore dell’acqua, il problema non può essere addebitato all’utente. Recentemente la giurisprudenza di merito ha avuto modo di pronunciarsi su casi simili a quello da Lei descritto, affermando che, in ipotesi di contestazione della bolletta da parte dell’utente per consumi anomali di acqua, la compagnia che fornisce il servizio è tenuta a dimostrare l’esistenza del proprio credito. A tal fine non è sufficiente per la stessa allegare la semplice lettura del contatore. È invece necessario che la compagnia erogatrice dimostri il corretto funzionamento di quest’ultimo, consentendo un suo esame in contraddittorio con un tecnico di fiducia incaricato dall’utente.

Ove l’utente contesti l’esistenza di anomalie dell’impianto idrico, come ad esempio la frequenza di perdite nelle tubazioni che non siano di sua pertinenza, e che avrebbero potuto dare causa all’aumento dei consumi rilevati dal contatore, sarà la compagnia erogatrice a dover escludere tale possibilità, dimostrando dunque la correttezza degli importi che pretende riscuotere dall’utente.

Più comunemente, l’emissione di bollette anomale dell’acqua dipende dall’esistenza di perdite occulte nelle tubazioni.

Se la perdita riguarda l’impianto idrico pubblico in gestione della compagnia erogatrice, il consumo eccessivo di acqua non potrà essere addebitato all’utente, il quale avrà diritto allo storno della bolletta, riportando l’importo richiesto quantomeno ai valori medi di consumo registrati nell’ultimo periodo.

Se la perdita riguarda tubazioni all’interno di una proprietà privata (anche tubazioni che passano sotto il giardino di un’abitazione), il consumo eccessivo sarà invece addebitabile all’utente, in quanto quest’ultimo è tenuto ad effettuare con la dovuta diligenza la manutenzione del proprio impianto idraulico ed a prevenire guasti e perdite. Tuttavia, quando ciò si verifica alcune compagnie erogatrici prevedono degli sgravi per l’utente ed altre forniscono addirittura un servizio di assicurazione (naturalmente a pagamento).

Una recente e discussa sentenza del Tribunale di Rimini ha condannato la compagnia erogatrice del servizio idrico in un caso in cui l’utente aveva ricevuto una bolletta per un importo di circa € 22.000,00, dovuta alla presenza di macroscopiche perdite occulte nel terreno di sua proprietà. In quel caso, il Giudice ha rimproverato alla compagnia di non aver chiarito esplicitamente nel proprio regolamento del servizio idrico integrato “l’obbligo dell’utente di provvedere al pagamento dei consumi in caso di perdita accidentale della rete interna” nonché di non aver rispettato l’impegno, assunto nel medesimo regolamento, di installare “sistemi di lettura automatizzata che consentissero un contestuale confronto con i consumi passati, al fine di poter repentinamente individuare eventuali perdite e perseguire quindi una politica di risparmio idrico”. Secondo il Tribunale di Rimini, ove la compagnia si fosse diligentemente attivata, la macroscopica perdita avrebbe potuto essere tempestivamente individuata ed eliminata, evitando così lo spreco di acqua e lo spropositato aumento dei consumi registrati a carico dell’utente.

In sintesi, l’utente che riceva una bolletta di importo manifestamente superiore rispetto ai suoi reali consumi è tenuto a segnalare tempestivamente l’anomalia alla compagnia erogatrice, la quale, prima di pretendere la riscossione delle somme corrispondenti ai consumi rilevati dal contatore e, soprattutto, prima di ritenere un utente moroso e sospendere la fornitura dell’acqua, dovrebbe attivarsi diligentemente per verificare il corretto funzionamento del contatore e l’assenza di altre anomalie attribuibili all’impianto idrico pubblico. La compagnia che diversamente si limiti a dare seguito alla propria pretesa di pagamento sulla base della mera lettura del contatore ed arrivi persino a sospendere la fornitura del servizio senza aver effettuato i dovuti accertamenti e senza aver concesso un congruo preavviso all’utente, viola il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. 

In casi dove è necessario stabilire la causa dell’anomala rilevazione dei consumi ed in particolare verificare la presenza di perdite occulte nelle tubazioni interne, bisogna preoccuparsi di fotografare l’eventuale guasto e di conservare tutta la documentazione riguardante le spese per l’intervento di un tecnico. Ove si riscontri la presenza di una perdita interna e non sia possibile lamentare un diverso inadempimento da parte della compagnia erogatrice, con ogni probabilità sarà possibile concordare con la stessa la riattivazione del servizio di somministrazione dell’acqua, chiedendo uno sgravio per gli importi dovuti ai canoni fognari e di depurazione ed una rateizzazione. Ove diversamente non si registri un guasto dell’impianto interno sarà possibile agire o resistere in giudizio contro la compagnia erogatrice per contestare il malfunzionamento del contatore o la presenza di guasti nell’impianto idrico pubblico, mettendola in condizione di dover provare il loro corretto funzionamento.

Per quanto riguarda invece il ripristino della fornitura del servizio, ove la compagnia non adempia spontaneamente in seguito a richiesta dell’utente oppure ad una diffida inviata da un legale, la strada più facilmente percorribile, nel caso in cui sussistano i presupposti di legge, è data dalla proposizione di un procedimento di urgenza (ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile).

 

fonte https://www.laleggepertutti.it/56811_se-la-bolletta-e-sproporzionata-cosa-fare-per-contestarla

Imu e Tasi 2018: chi deve pagarla?

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https://www.wired.it/mobile/app/2018/03/26/app-che-fanno-guadagnare/

L’Imu 2018 è l’imposta municipale unica il cui presupposto di applicazione è il possesso dell’immobile. Come noto si paga sulla seconda casa e sugli immobili commercialiterreni e negozi, mentre non si applica sulle abitazioni principali e relative pertinenze, ad eccezione delle prime case se accatastate come A/1, A/8 e A/9, ossia ville, castelli e abitazioni di lusso che fruiscono dell’aliquota ridotta e della detrazione di 200 euro.

La Tasi 2018 è invece l’imposta che copre i costi per i servizi comunali rivolti alla collettività, come la manutenzione delle strade, giardini e illuminazione. Per gli immobili affittati con specifico contratto di locazione registrato, la Tasi non è più dovuta dal locatario, ma è a carico del proprietario. Stessa esenzione, anche per gli immobili dati in comodato d’uso ai parenti di primo grado con ISEE inferiore a 15.000 euro.

Versano entrambi i tributi con uno sconto rispettivamente del 50 e del 25% gli immobili dati in uso gratuito a parenti in linea retta, entro il primo grado e quelli locati a canone concordato.

Le aliquote da utilizzare per il calcolo dell’acconto

Gli acconti possono essere calcolati sulla base delle aliquote e delle detrazioni stabilite dai comuni per i 12 mesi dell’anno precedente. Quindi va versato il 50% di quanto pagato nel 2017. Ovviamente si può versare in un’unica soluzione se si conoscono le delibere adottate dalle amministrazioni comunali.

Le agevolazioni

Imu e Tasi hanno in comune le stesse agevolazioni per gli immobili dati in uso gratuito a parenti in linea retta, entro il primo grado e per quelli locali a canone concordato.

Per i primi è prevista una riduzione del 50% della base imponibile. Per averne diritto il comodante deve avere la residenza anagrafica e la dimora nel comune in cui è ubicato l’immobile concesso in comodato. Il comodante può possedere anche altri immobili a condizione però che non siano destinati a uso abitativo.

Per gli immobili locali a canone concordato è prevista una riduzione del 25% sia per l’Imu che per la Tasi. Il beneficio spetta a prescindere dal fatto che i comuni abbiano previsto per questi fabbricati un’aliquota ordinaria o agevolata. Dopo aver calcolato il dovuto per le due imposte, va versato solo il 75% del loro ammontare.

Imu e Tasi 2018: le scadenze

Per quanto concerne il pagamento di Imu e Tasi, il calendario delle scadenze è il seguente:

 

  • - primo acconto o rata unica Tasi e Imu: 18 giugno 2018
  • - secondo acconto e conguaglio Tasi e Imu: 17 dicembre 2018.

 

Il contribuente che decide di pagare la tassa in due rate, dovrà versare con l’acconto di giugno, il 50% del tributo dovuto, con il saldo di dicembre, invece, il restante 50% con l’eventuale conguaglio sulle aliquote 2017 fissate dal comune.

Imu e Tasi 2018: quali modalità di pagamento?

Il pagamento dell’Imu e della Tasi può essere effettuato tramite il modello F24 o a mezzo bollettino di conto corrente postale. In questo caso le somme versate dai contribuenti vengono incassate dalla struttura di gestione e riversate all’ente interessato.

Imu e Tasi 2018: quali maggiorazioni?

Gli importi per il 2018 rimangono invariati e non vi saranno maggiorazioni né rincari. Infatti, già dal 2016 è fatto espresso divieto ai Comuni di deliberare nuove maggiorazioni Imu e Tasi tra un anno e l’altro, salvo mantenere quelle già in essere per l’anno precedente. Questo significa che non potranno esserci ulteriori aumenti di aliquote rispetto ai livelli già applicati negli anni passati.

Si può staccare l’acqua al moroso del condominio?

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https://zientziakaiera.eus/2016/06/13/iturriko-ura-osasungarria-merkea-eta-jasangarria/

 

Se in un condominio il contatore è unico, a pagare la società dell’acqua è l’amministratore che ripartisce i consumi tra i vari condomini sulla base dei contatori individuali di cui devono essere muniti i vari appartamenti.

Nel caso in cui un condomino non paghi le quote mensili condominiali, l’amministratore – recita il codice civile – può provvedere a impedirgli l’utilizzo dei servizi comuni “suscettibili di godimento separato”, cioè la cui sospensione non determina un pregiudizio per gli altri proprietari: si pensi alla possibilità di usare il cortile condominiale delimitato da una sbarra o un cancello elettrico (imponendogli la riconsegna del telecomando), i campi da tennis o la piscina condominiale, in alcuni casi persino l’ascensore (l’apparecchio viene munito di schede consegnate solo a chi è in regola con i pagamenti). È necessario che la morosità persisti da almeno sei mesi dalla chiusura dell’esercizio in cui la mora è emersa oppure dal giorno dell’approvazione in sede assembleare del rendiconto-consuntivo relativo all’esercizio appena chiuso.

Ci si è chiesto se il potere di sospensione dei servizi comuni possa riguardare anche quelli essenziali come l’acqua e il riscaldamento. La giurisprudenza è divisa tra chi ritiene ciò illegittimo (almeno senza previa autorizzazione del giudice) e chi invece lo consente. Per superare l’ostacolo ed evitare di subire azioni di responsabilità, gli amministratori tendono ora a farsi prima autorizzare dal tribunale presentando un ricorso d’urgenza. Il procedimento è volto a ottenere un’ordinanza con cui viene consentito di interrompere il servizio come appunto l’acqua potabile.

Il tribunale di Bologna è tra quei giudici secondo cui si può staccare l’acqua per morosità condominiale. A meno che non venga dimostrato uno stato di indigenza, nella cui ipotesi una recente legge ha stabilito il diritto a ottenere 50 litri di acqua gratis al giorno. 

Il Tribunale di Bologna aderisce all’interpretazione che non ritiene «intangibili» i servizi di acqua e gas a fronte di una perdurante morosità del condomino. Ciò perché è insufficiente il riferimento all’articolo art. 32 della Costituzione («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo (…)») operato dai sostenitori della tesi contraria, dato che nel nostro ordinamento non sussiste un obbligo per i condòmini in regola con i pagamenti di assumersi personalmente, a fini solidaristici, l’obbligazione dei condòmini morosi. Ciò perché, in nome del diritto alla salute, si sacrificherebbero i diritti dei condòmini in regola con i pagamenti che, di fatto, resterebbero gravati di un obbligo di «solidarietà coattiva».

 

fonte https://www.laleggepertutti.it/208787_si-puo-staccare-lacqua-per-morosita#Si_puo_staccare_lacqua_al_moroso_del_condominio

Quando servono i permessi per gli arredi da Giardino?

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https://www.arredamento.it/arredamento-giardino-ikea.asp

 

Il Decreto Ministeriale del 2 marzo 2018 cerca di fare chiarezza sull’annoso problema degli arredi da giardino e dell’edilizia libera.

Dopo una lettura, in effetti, il provvedimento non aggiunge nulla di nuovo a ciò che fino a questo momento aveva già sostenuto la giurisprudenza amministrativa: pergolati, gazebo e pergotende non necessitano di titolo edilizio. Almeno in linea di massima.

Il decreto include l’installazione, la riparazione, la sostituzione e il rinnovamento di gazebo e pergolati tra le opere di edilizia libera, purché siano di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo.Il problema, però, è che il provvedimento non spiega cosa significhi “di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo” e, pertanto, la palla passa sempre alla giurisprudenza.

In realtà, il problema della realizzazione di arredi da giardino è stato affrontato dal Consiglio di Stato con una sentenza (n. 306/2017 del 25.01.2017) che ha chiarito che in effetti si tratta di criteri che vanno di volta in volta adeguati al caso concreto.

Cominciando dai pergolati, bisogna prima precisare che non tutti sono uguali: infatti, essi possono differire gli uni dagli altri per dimensioni, struttura e stabilità. La regola generale decretata dalla giurisprudenza è che per la realizzazione di un pergolato non occorre alcun permesso di costruire, rientrando l’esecuzione dei lavori nella cosiddetta attività di edilizia libera. Secondo il Consiglio di Stato (Cons. di Stato, sent. n. 1619/2016 del 27.04.2016), tutte le nuove costruzioni e gli interventi di ristrutturazione edilizia di un certo rilievo sono sempre soggetti al rilascio del permesso di costruire; tuttavia, le opere precarie (come, ad esempio, gli interventi di arredo) non necessitano di alcun titolo.

Da tanto deriva che un pergolato, se dotato di struttura leggera, non ancorata né al pavimento né alle pareti, rientrerà senz’altro negli interventi di edilizia libera, poiché inidoneo a costituire una trasformazione urbanistica del territorio. Ora lo conferma anche il D.M. sopra menzionato.

Nello stesso senso la sentenza del Consiglio di Stato per prima citata, secondo cui un pergolato, seppure chiuso perimetralmente da teli plastificati facilmente amovibili, non perde la sua funzione di abbellimento del giardino o della terrazza e, purché non sia strutturato in modo tale da essere fissato al pavimento, rappresenta un manufatto che, per la sua scarsa importanza, non necessita di alcun titolo edilizio.

Ricapitolando: il pergolato, se caratterizzato dalla precarietà e dalle scarse dimensioni, non necessita di licenza edilizia, ossia del permesso di costruire. In altri termini, il proprietario non deve chiedere l’autorizzazione al Comune prima di realizzarne uno. Il che rende l’esecuzione dell’opera estremamente più agevole e veloce, in quanto occorrerà inoltrare al Comune una semplice comunicazione di inizio attività (Scia).

Al contrario, non rientra negli interventi di edilizia libera la realizzazione di un pergolato di rilevanti dimensioni, reso stabile e duraturo nel tempo in quanto ancorato alla struttura dell’edificio che va ad adornare. Si pensi ai pergolati realizzati in cemento o in ferro: la loro stabilità costituisce un vero e proprio ampliamento dell’immobile cui accedono, rappresentandone un’estensione, quasi un’appendice, per la quale occorre necessariamente il permesso di costruire rilasciato dal Comune di appartenenza.

Lo stesso dicasi per i pergolati che, anziché essere aperti nella parte superiore, risultano essere chiusi: in questo caso, la giurisprudenza equipara il pergolato alla tettoia, per la quale occorre il permesso di costruire, salvo si tratti di struttura di minime dimensioni, più per fini estetici che non di copertura (T.a.r. Campania, sent. n. 109/2017 del 16.01.2017).

Anche nel caso di pergolato coperto, quindi, nessun automatismo: ciò che importa è se la volumetria complessiva della struttura possa essere idonea a qualificarla come una nuova opera, permanente o comunque stabile, per la quale occorre il permesso di costruire.

Per quanto riguarda le pergotende, secondo la giurisprudenza amministrativa (T.a.r. Campania, sent. n. 4999/2014 del 23.09.2014) la pergotenda è un manufatto che non costituisce aumento di volume o di superficie coperta e non configura l’alterazione della sagoma o del prospetto dell’edificio: la pergotenda, perciò, rientra nell’attività edilizia libera a condizione, però, che possieda modeste dimensioni, non modifichi la destinazione d’uso degli spazi esterni e sia facilmente rimovibile.

Secondo i giudici, la pergotendacostituisce un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo. Tenuto conto della consistenza, delle caratteristiche costruttive e della funzione, di solito non costituisce un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo. L’opera principale, infatti, non è la struttura in sé, cioè quella che sorregge la tenda, ma la tenda stessa, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura si qualifica in termini di semplice elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.

Tuttavia, bisogna distinguere. La pergotendache presenta elementi strutturali incompatibili con il carattere della precarietà o temporaneità necessita sempre del permesso di costruire. Di conseguenza, per una pergotenda dotata di vetro strutturale occorre il titolo edilizio. Questo perché il vetro è comunemente usato per la realizzazione di pareti esterne delle costruzioni e fa sì che la struttura si configuri non più come mero elemento di supporto di una tenda, ma venga piuttosto a costituire la componente portante di un manufatto, che assume consistenza di vera e propria opera edilizia.

Quanto appena detto per il pergolato e la pergotenda vale anche per gli altri due arredi da giardino più diffusi in Italia: il gazebo e la veranda. In entrambi i casi, quindi, occorrerà una valutazione circa la “consistenza” del manufatto. Di norma, mentre il gazebo è inadeguato ad aumentare in maniera significativa la volumetria dell’immobile su cui si installa, lo stesso non si può dire della veranda, la quale consiste in una struttura chiusa, coperta da ampie superfici vetrate che, all’occorrenza, possono anche essere aperte. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire, a differenza del gazebo, struttura snella e agile, facilmente rimuovibile e, perciò, rientrante nell’attività di edilizia libera.

Ciò che è importante, quindi, è che l’arredo da giardino non si presenti con una struttura e una volumetria tali da costituire una nuova struttura, un nuovo spazio.

Ma quando si può dire che la volumetria sia rilevante?

La risposta alla domanda proviene direttamente dalla giurisprudenza: «il presupposto per l’esistenza di un volume è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base coperto e due superfici verticali contigue, così da ottenere una superficie chiusa su un minimo di tre lati» (Consiglio di Stato, sent. n. 1777 del 11.04.2014).

Da questa massima si può desumere il seguente principio: il pergolato necessita sicuramente di permesso di costruire se si presenta come struttura chiusa su almeno tre lati.

Diverso è il discorso riguardante la possibile presenza di un vincolo paesaggistico che impedisca la realizzazione di un pergolato o di una pergotenda. In questa circostanza, occorre presentare istanza per la relativa autorizzazione: nella prassi amministrativa, infatti, è usuale che siano sottoposte ad autorizzazione paesaggistica tettoie e manufatti simili, ragion per cui, prudenzialmente, è consigliabile presentare istanza per ottenere l’autorizzazione.

Quanto al rispetto delle distanze, sempre la giurisprudenza (Trib. Roma, sent. n. 8339 del 09.12.2010) ha osservato che il pergolato e la pergotenda possono configurare una stabile struttura potenzialmente capace di violare la normativa in merito alle distanze, non rilevando l’eventuale valutazione della pubblica amministrazione sull’assenza di alcun abuso, considerato che l’ambito di valutazione civilistico è autonomo e distinto da quello amministrativo.

I giudici ritengono applicabile la disciplina delle distanze al pergolato nel caso in cui lo stesso sia una stabile struttura, sia cioè configurabile come costruzione, opera edilizia stabilmente infissa al suolo, con o senza l’impiego di malta cementizia.

Se il pergolato è stabilmente infisso al suolo, quindi, sarà necessario rispettare la normativa sulle distanze.

 

fonte https://www.laleggepertutti.it/207395_arredi-da-giardino-servono-i-permessi

Bonus prima casa 2018: requisiti ed agevolazioni

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Bonus prima casa 2018:
ecco chi può richiedere le agevolazioni per comprare l'abitazione principali, requisiti, importo regole contenute nella guida dell'Agenzia delle Entrate.

Chi intende effettuare l’acquisto della prima casa fino al 31 dicembre 2018 potrà accedere ad alcune agevolazioni fiscali che consentono di risparmiare sulle imposte da pagare.

Anche per chi compra la prima casa nel 2018 sarà possibile beneficiare della riduzione dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali nel rispetto di specifici requisiti.

Le agevolazioni spettano sia se l’acquisto dell’abitazione principale è effettuato da imprese costruttrici che da privati, successioni o donazioni.

Il bonus prima casa 2018 potrà essere richiesto quando l’abitazione che si vuole comprare appartiene a determinate categorie catastali, quando si trova nel comune in cui il beneficiario ha o intende trasferire la propria residenza o lavora e se lo stesso acquirente rispetta determinati requisiti.

Per spiegare come funziona il bonus prima casa e come presentare domanda per richiederlo l’Agenzia delle Entrate ha messo a disposizione una guida completa con tutte le agevolazioni previste.

Specifichiamo sin da subito che non è necessario presentare una specifica domanda per richiederlo ma che verrà riconosciuto dal notaio in sede di stipula dell’atto d’acquisto.

Di seguito vedremo punto per punto chi può richiedere il bonus prima casa, le agevolazioni previste nel 2018 e le regole fondamentali per averne diritto.

 
Bonus prima casa 2018: tutte le agevolazioni

Per spiegare in cosa consiste l’incentivo per chi vuole acquistare l’abitazione principale vediamo subito quali sono le agevolazioni del bonus prima casa 2018:

  • Riduzione dell’Iva dal 10% al 4%: è rivolto ai contribuenti che acquistano casa direttamente dall’impresa costruttrice, pagando in misura fissa 200 euro per imposta ipotecaria e catastale;
  • Acquisti per successioni o donazioni: si applicano imposta ipotecaria e catastale in misura fissa, ovvero 200 euro;
  • Imposta di registro al 2%: per gli acquisti da privati è prevista la riduzione dell’imposta di registro. In base a quanto stabilito, il bonus prima casa 2018 per acquisti da privati permetterà di pagare l’imposta in oggetto sul valore catastale dell’immobile, sulla base del principio prezzo/valore. Imposta catastale e ipotecaria ammontano in questo caso a 50 euro;
  • Credito d’imposta: il bonus prima casa per i soggetti che vendono e riacquistano casa entro 12 mesi usufruendo delle agevolazioni prevede la possibilità di sottrarre l’imposta da pagare con quella già pagata per l’acquisto della precedente abitazione.

Si ricorda inoltre che per gli acquisti effettuati da agenzie immobiliari è prevista una detrazione Irpef di importo pari al 19% ed entro il limite di 1.000 euro e, inoltre, sarà possibile portare in detrazione gli interessi passivi del mutuo con la dichiarazione dei redditi.

Chi può richiedere il bonus prima casa 2018: i requisiti

Per poter richiedere il bonus prima casa nel 2018 sarà necessario rispettare i seguenti requisiti:

  • non possedere abitazioni in tutto il territorio nazionale per i quali si è fruito delle agevolazioni, oppure venderle entro 1 anno;
  • non essere proprietario di abitazione nello stesso Comune in cui si richiedono le agevolazioni per l’acquisto della prima casa;
  • essere residente nel Comune in cui si acquista casa o stabilirvi la residenza in 18 mesi dall’acquisto agevolato, ovvero dimostrare che la propria sede di lavoro è situata nel suddetto Comune;
  • non essere titolare di diritto d’uso, usufrutto o abitazione di altro immobile nello stesso Comune in cui si richiede l’agevolazione sull’acquisto della prima casa.

Come abbiamo precedentemente ricordato il bonus potrà essere utilizzato anche dai contribuenti che già hanno una casa, ma il vincolo è la vendita dell’immobile precedentemente posseduto entro 12 mesi dal nuovo acquisto.

Quando spetta il bonus prima casa

Per poter beneficiare delle agevolazioni fiscali previste è importante che anche la casa acquistata rispetti specifici requisiti. La legge prevede infatti che il bonus prima casa 2018 spetti esclusivamente per gli immobili appartenenti alle seguenti categorie catastali:

  • A/2 (abitazioni di tipo civile);
  • A/3 (abitazioni di tipo economico);
  • A/4 (abitazioni di tipo popolare);
  • A/5 (abitazione di tipo ultra popolare);
  • A/6 (abitazione di tipo rurale);
  • A/7 (abitazioni in villini);
  • A/11 (abitazioni e alloggi tipici dei luoghi).

Le agevolazioni, inoltre, spettano anche per l’acquisto delle pertinenze, classificate o classificabili nelle categorie catastali C/2 (magazzini e locali di deposito), C/6 (per esempio rimesse e autorimesse) e C/7 (tettorie chiuse o aperte), ma limitatamente a una pertinenza per ciascuna categoria.

È comunque necessario che la pertinenza sia destinata in modo durevole a servizio dell’abitazione principale e che quest’ultima sia stata acquistata beneficiando dell’agevolazione "prima casa".

 

Il bonus prima casa non spetta, invece, per l’acquisto di un’abitazione appartenente alle categorie catastali A/1 ( abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli e palazzi di eminente pregio storico e artistico).

Bonus anche per la seconda casa a specifiche condizioni

I casi in cui spettano le agevolazioni sono spesso frutto di modifiche ed interpretazioni da parte della giurisprudenza.

Tra queste vi è una recente sentenza, datata il 2 febbraio 2018, che prevede la possibilità di beneficiare del bonus anche per la seconda casa quando quella acquistata precedentemente risulti “inidonea”.

La sentenza, specifichiamo, non spiega nel dettaglio cosa si intende per abitazione non idonea all’uso abitativo e pertanto si apre la strada a possibile seguenti interpretazioni. Una delle certezza è che già l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 107 del 1° agosto 2017 ha chiarito un’importante novità: il bonus prima casa può essere richiesto una seconda volta nel caso di immobile già acquistato con le agevolazioni previste ma di seguito dichiarato inagibile. Un chiarimento molto importante e che, nel caso specifico, si inserisce nelle importanti agevolazioni fiscali riconosciute ai possessori di case danneggiate dal terremoto.

In ogni caso è ormai riconosciuto sia dalla giurisprudenza che dalle regole ufficiali delle Entrate che è indispensabile il trasferimento nel Comune in cui ha sede l’immobile entro 18 mesi, anche se la casa è ancora in corso di costruzione. In caso contrario il bonus prima casa potrà essere revocato.

 
Quando viene revocato il bonus

Ci sono specifiche situazioni nelle quali l’Agenzia delle Entrate può scegliere di revocare il bonus prima casa.

Chi ha comprato l’abitazione beneficiando delle agevolazioni fiscali decade dalle agevolazioni fiscali riconosciute in sede di acquisto dell’immobile:

  • in caso di mendacità delle dichiarazioni previste dalla legge, rese in sede di registrazione dell’atto;
  • in caso di mancato trasferimento della residenza nel comune ove è ubicato l’immobile entro 18 mesi dell’acquisto.

Proprio in merito al trasferimento entro 18 mesi e come precedentemente anticipato, la Cassazione ha ribadito l’importanza di rispettare il termine stabilito anche se la casa acquistata dal costruttore non fosse ancora pronta. In questo caso bisognerà trasferirsi in un altro immobile.

In caso di decadenza dal beneficio del bonus prima casa 2018:

  • è dovuta la differenza tra l’imposta di registro in misura ordinaria e le imposte corrisposte per l’atto di trasferimento, una sanzione pari al 30% delle stesse imposte e il pagamento degli interessi di mora;
  • se la cessione è soggetta a IVA, è dovuta la differenza d’imposta non versata (ossia la differenza tra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata), una sanzione pari al 30% della differenza medesima e il pagamento degli interessi di mora.

 

 

Fonte https://www.informazionefiscale.it/bonus-prima-casa-2018-requisiti-agevolazioni-domanda

http://www.tuttoimu.it/news/abitazioni-in-comodato-non-piu-equiparabili-alla-prima-casa-ma-imponibile-imu-ridotto-del-50.html

 

Stanze diverse? Stanze artistiche.

Pensare di entrare in un ambiente che prenda completamente la vostra mente? Perché no?

 

Potrebbe sembrarvi di essere in un Escape Room ed invece siete in un locale, in un museo, o addirittura in casa vostra! 

Per dare un tocco squisitamente "pop" all'arredo di casa, lasciandosi ispirare da artisti e designer di ogni genere.

Questo avviene integrando o abbandonando totalmente quello stile rinascimentale fatto di quadri con cornici convenzionali, lanciandoci totalmente nelle installazioni!

Qui alcuni esempi di pazzi visionari!

 

Pharmacy - il ristorante di Damien Hirst

Ha una ossessione per le medicine ed ha realizzato bar e ristoranti a tema farmaceutico, dove non solo l'arredo è a forma di medicinali ma anche i nomi di cocktail e degustazioni riportate nei Menù hanno nomi di medicinali. 

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https://creators.vice.com/it/article/jpbzd3/pharmacy-2-locale-damien-hirst

 

Il designer tedesco Matthias Borowski

Firma una serie di macro-oggetti d'arredo in stile caramella

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http://www.designerblog.it/post/71645/arredare-con-i-dolci-giganti-the-importance-of-the-obvious

Daniele Papuli Installazioni in carte e fibre

Un gioco di luce ed ombra che crea trasforma l'intera stanza anche se la sua costruzione si concentra sul soffitto.

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http://www.irmabianchi.it/en/node/438

L’ossessione, l’arte e i pois: il mondo di Yayoi Kusama

Figura eclettica e interessante del panorama contemporaneo non solo giapponese, ma mondiale. Con le sue opere ha conquistato i grandi musei, ma anche il mondo della moda e della musica.

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http://d.repubblica.it/argomenti/2012/07/12/foto/kusama_arte_moda-1145265/12/ https://www.foxlife.it/2017/09/15/il-mondo-di-yayoi-kusama/

ANTONI GAUDÍ: Casa Battlo'

 

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https://barbarapicci.com/2013/11/13/i-grandi-dellarte-lo-stile-eclettico-di-antoni-gaudi-parte-4-casa-batllo-casa-calvet-e-casa-mila-o-la-pedrera/

 

Takashi Murakami

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https://it.pinterest.com/marleywijsman/takashi-murakami/

ALLEN JONES: LA DONNA È MOBILE

Utilizza manichini di donne per la creazione di mobili utilizzabili nella propria casa.

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https://leonardoclausi.com/2014/11/06/allen-jones-la-donna-e-mobile/

 

 

Queste sono solo alcune delle tante possibilità. Potreste pensare di inventare voi stessi un motivo decorativo per la vostra casa e ripeterlo a tal punto da farlo diventare una vera mania!

 

La scelta dell'energia elettrica pulita.

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La scelta facile e difficile dell’energia pulita per la casa

 

La scelta dell'energia elettrica per la propria casa sembra difficile. In effetti, c'è una certa pigrizia iniziale, da vincere. 

La transizione energetica verso le rinnovabili è partita. In tutto il mondo i maggiori investimenti sono sulle nuove energie pulite, i giganti dell’hi tech fanno funzionare i loro potentissimi server a energia solare ed eolica – vantandosene pubblicamente – e fioccano i dati dei sorpassi delle fonti pulite su quelle fossili, dalla Scandinavia alla Cina. Tanto è vero che, secondo gli analisti, nemmeno i governi più reazionari e legati al petrolio potranno frenare questo inarrestabile sviluppo.

In Italia i trend sono come al solito altalenanti. Grazie ai vari Conti energia abbiamo il primato europeo per quota di fotovoltaico sui consumi nazionali, però non sfruttiamo appieno l’energia eolica e, se si tratta di mettere al bando le trivellazioni petrolifere nei nostri mari, non riusciamo a pronunciarci con una bella maggioranza schiacciante.

Per sorpassare le indecisioni dei politici, ognuno di noi ha uno strumento a portata di mano. Tagliar via i vecchi fornitori che si basano su impianti termoelettrici che bruciano carbone, pet coke o addirittura oli industriali usati e rifiuti indifferenziati, e dare un messaggio chiaro e netto.

Alcuni credono ancora che servano interventi al contatore, addetti che bussano alla porta, irritanti operatori che telefonano. Quindi, sembra difficile. Invece no. Se si è orientati alla sostenibilità e non si vuole perdere tempo né avere seccature, oggi ci sono formule di adesione rapide, sicure, smart, senza alcuna complicazione per gli utenti. 

Consumare meno energia, incrementare l'efficienza energetica e usare sempre di più le fonti rinnovabili per produrre energia consente di risparmiare denaro e di migliorare la qualità dell’ambiente.

Sistemi di produzione di energia rinnovabili per la casa

L’Europa ha evidenziato l’importanza di ridurre le emissioni di CO2 attraverso politiche finalizzate ad un uso più efficiente dell’energia e all’incremento di sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili, richiedendo agli Stati membri di conseguire questi obiettivi entro il 2020.
 
Infatti la direttiva Energie rinnovabili, adottata mediante codecisione il 23 aprile 2009 (direttiva 2009/28/CE), ha stabilito che una quota obbligatoria del 20% del consumo energetico dell’UE deve provenire da fonti rinnovabili entro il 2020, obbiettivo ripartito in sotto-obbiettivi vincolanti a livello azionale, tenendo conto delle diverse situazioni di partenza dei paesi.
 
L’UE ha già iniziato la preparazione per il periodo successivo al 2020; l'energia rinnovabile svolge un ruolo fondamentale nella strategia a lungo termine (2050) della Commissione che mira al raggiungimento di una quota di energia rinnovabile pari ad almeno il 30% entro il 2030.
 
Nella comunicazione del 6 giugno 2012 dal titolo «Energie rinnovabili: un ruolo di primo piano nel mercato energetico europeo», la Commissione ha però individuato i settori in cui occorre intensificare gli sforzi entro il 2020 affinché la produzione di energia rinnovabile dell’UE continui ad aumentare fino al 2030 e oltre, e in particolare affinché le tecnologie energetiche rinnovabili divengano meno costose, più competitive e, in ultima analisi, basate sul mercato e affinché vengano incentivati gli investimenti nelle energie rinnovabili. Un settore particolarmente degno d’attenzione è quello civile.

Le Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) stanno assumendo un peso sempre maggiore nella produzione energetica a livello mondiale, grazie alle loro caratteristiche di “inesauribilità” e minimo impatto ambientale, in quanto non producono gas serra né scorie inquinanti.
 
Tra le fonti di energia rinnovabili c’è la radiazione solare, il moto dell’acqua, il vento, le biomasse, il calore presente nelle profondità della terra ecc.
 


Le fonti rinnovabili che si possono usare nella abitazioni sono: 


- impianti solari fotovoltaici (per produrre energia elettrica);
- impianti solari termici (per soddisfare le esigenze di acqua calda);
- impianti geotermici (per produrre calore dal sottosuolo);
- impianti microeolici (per produrre energia elettrica dal movimento del vento).
 

Impianti fotovoltaici

La tecnologia fotovoltaica permette la produzione di energia trasformando le radiazioni solari in elettricità direttamente e senza l’utilizzo di alcun combustibile.

Gli impianti fotovoltaici possono essere isolati (stand-alone), ovvero non collegati alla rete elettrica e perciò dotati di un sistema di batterie che può garantire l’erogazione di corrente anche nelle ore di assenza di luce. Questa tipologia è poco utilizzata per le utenze domestiche e viene maggiormente utilizzata per sistemi di illuminazione pubblica o impianti pubblicitari.
 
Gli impianti collegati alla rete (grid-connected) sono impianti stabilmente collegati alla rete elettrica nazionale e non hanno bisogno di sistemi di batterie in quanto la rete può sopperire alle mancanze del sistema. In più in questa soluzione l’eventuale surplus di energia prodotta dal sistema fotovoltaico viene trasferito alla rete e contabilizzato.

Un impianto fotovoltaico di solito è costituito da un generatore (il cui componente elementare è la cella), da un sistema di condizionamento e controllo della potenza (inverter), da un eventuale sistema di accumulo dell’energia e dalla struttura di sostegno.
 
I moduli fotovoltaici in commercio sono costituiti da un insieme di celle(generalmente 36 celle disposte su 4 file parallele e collegate in serie); più moduli in serie formano un pannello, ovvero una struttura ancorabile al suolo o ad un edificio. Più pannelli collegati in serie costituiscono una stringa e più stringhe costituiscono il generatore fotovoltaico. 
 
I moduli fotovoltaici generalmente sono realizzati in silicio e si distinguono principalmente in:
- moduli in silicio monocristallino;
- moduli in silicio policristallino;
- moduli in silicio amorfo.
 
 

Grazie alle innovazioni tecnologiche degli ultimi anni è possibile anche integrare i moduli fotovoltaici nelle coperture e nelle facciate degli edifici. 

Gli impianti integrati infatti possono essere utilizzati come elementi di rivestimento degli edifici, anche in sostituzione di componenti tradizionali.

 

 

tratto da: https://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/la-scelta-facile-e-difficile-dellenergia-pulita-per-la-casa

http://www.edilportale.com/news/2016/05/focus/sistemi-di-produzione-di-energia-pulita-per-la-casa_51982_67.html

https://www.key4biz.it/sos-energia-come-avere-rinnovabili-a-casa-senza-un-nuovo-impianto/121154/

IMU 2018: cos'è e come funziona il pagamento a rate acconto e saldo?

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IMU 2018 cos'è e come funziona imposta municipale propria immobili case terreni e fabbricati, acconto 50% giugno e saldo a dicembre esenzioni e riduzioni.

 

Imu 2018 cos'è e come funziona? Quando e come si paga a rate quanto dovuto per l'imposta municipale propria?

Quali sono gli immobili assoggettati all'IMU?

Ecco, vediamo di rispondere a tutte queste domande sull'Imu 2018 e circa l'acconto del 16 giugno, attraverso il quale, i contribuenti, devono effettuare il pagamento del primo 50% dell'imposta calcolata sulle vecchie o nuove aliquote Imu e il saldo Imu al 16 dicembre.

 

IMU 2018: cos'è e come funziona?

Che cos'è l'Imu? L'IMU 2018 è l'imposta municipale propria, introdotta dal decreto legge n. 201/2011, la cd. Manovra Monti che di fatto ha anticipato di due anni l’introduzione dell’IMU, stabilita dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo n. 23/2011.

L’applicazione dell’imposta è stata considerata sperimentale fino al 2014 e poi a regime dal 2015 in poi, per cui anche nel 2018.

IMU 2018 come funziona l'Imposta municipale propria? L'IMU funziona così:

- l'IMU è un'imposta locale che si applica su tutti gli immobili posseduti a titolo di proprietà o di altro diritto reale:

  • usufrutto;
  • comodato d'uso;
  • abitazione;
  • enfiteusi;
  • superficie

fatta eccezione della prima casa, ossia, dell'immobile adibito ad abitazione principale e assimilati, quali:

  • Unità immobiliari che appartengono alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari.
  • Fabbricati destinati ad alloggi sociali;
  • Casa coniugale assegnata ad uno dei due coniugi, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio;
  • Unico immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, posseduto, e non affittato dal personale Forze armate, polizia, militari, vigili del fuoco e personale con carriera prefettizia, per il quale non è richiesta come condizione, la dimora abituale e della residenza anagrafica; 
  • La sola e unica unità immobiliare ad uso abitativo da A1 a A9, posseduta dai cittadini italiani non residenti in Italia, purché iscritti all’AIRE e titolari di pensioni nei rispettivi paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a patto che non sia affittata o concessa in comodato d’uso e relative pertinenze.
  • La sola unità immobiliare ad uso abitativo + relative pertinenze, posseduta da anziani o disabili residenti presso un istituto di ricovero o sanitario a seguito di ricovero permanente, purché l’abitazione non sia locata.

 

Come si calcola la base imponibile dell'Imu 2018? 

Per calcolare la base imponibile dell’IMU 2018, occorre avere sotto mano il valore dell’immobile, calcolato per quelli iscritti regolarmente al catasto, moltiplicando la rendita in vigore all’inizio dell’anno, rivalutata del 5%, per uno dei seguenti coefficienti:

160 per i fabbricati inseriti nel gruppo catastale A (ad esclusione di quelli A/10) e nelle categorie C/2, C/6 e C/7;

140 per i fabbricati censiti nel gruppo catastale B e nelle categorie C/3, C/4 e C/5;

80 per i fabbricati inseriti nelle categorie catastali A/10 e D/5;

60 per i fabbricati appartenenti al gruppo catastale D (ad esclusione della categoria D/5). Il moltiplicatore è elevato a 65;

55 per i fabbricati inseriti nella categoria catastale C1;

Per i terreni agricoli, la base imponibile è costituita dal reddito dominicale risultante in catasto al 1° gennaio, rivalutato del 25% e poi moltiplicato per i seguenti coefficienti: 110 per i terreni detenuti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola  e 130 in tutti gli altri casi.

Per maggiori informazioni leggi anche, Come si calcola l’IMU?

Aliquote IMU Ordinaria e variabile:

  • L’aliquota variabile IMU, Imposta municipale propria per la seconda casa e altri tipi di proprietà è dello 0,76%, ma i Comuni, con apposita delibera del Consiglio comunale, possono modificarla in aumento o in diminuzione.
  • L’aliquota ordinaria IMU che si applica per la casa di abitazione principale di lusso e per le relative pertinenze è fissata allo 0,4%, percentuale che i Comuni possono modificare, in aumento o in diminuzione.

Tutte le aliquote IMU fissate dai Comuni, sono visualizzabili sul sito del Dipartimento delle Finanze.

Quando e quanto si paga per l’IMU 2018?

La prima rata IMU 2018: viene fissata al 50% dell’imposta dovuta applicando l’aliquota sulla prima abitazione di lusso o le altre aliquote in base al tipo di proprietà  fabbricati, da pagare entro il 18 giugno 2018.

La seconda rata IMU 2018, deve essere versata a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno con conguaglio sulla prima entro il 17 dicembre 2018.

Nello specifico, il pagamento della prima rata dell’imposta municipale propria se effettuato entro la suddetta scadenza è senza applicazione di sanzioni ed interessi e s in misura pari al 50% dell’importo ottenuto applicando le aliquote di base e la detrazione previste dal presente articolo; la seconda rata é versata a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno con conguaglio sulla prima rata.

Per il medesimo anno, i Comuni iscrivono nel bilancio di previsione l’entrata da imposta municipale propria in base agli importi stimati dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze per ciascun Comune, di cui alla tabella pubblicata sul sito.

 

FONTE: https://www.guidafisco.it/imu-novita-scadenza-acconto-saldo-rate-694

Come funziona il Bonus Verde e quali sono le spese detraibili

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Il 17 ottobre scorso il consiglio dei Ministri ha approvato l'emendamento che concede nella legge di Stabilità del 2018, i fondi necessari per gli Ecobonus.

La nuova legge, non solo riconfermerà i bonus previsti nelle passate leggi di Bilancio, ma introdurrà nuovi incentivi al fine di ampliare la platea dei soggetti beneficiari e degli interventi agevolabili. 

Tra gli incentivi è incluso il bonus verde, ossia degli incentivi economici per gli interventi relativi alle aree verdi private.

In cosa consiste e come funziona il Bonus Verde?

Il Bonus Verde arriva dopo due anni di sforzi, portati avanti dagli operatori del distretto florovivaistico, per il rilancio dell'economia, aumento della qualità della vita nelle città, elemento di benessere e salute per i cittadini e, infine, opportunità nel settore. Inoltre, a detta del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, il Bonus Verde, che concede incentivi economici per gli interventi nelle aree verdi private, è "un'ulteriore misura contro l'inquinamento".

Il Bonus Verde funziona in modo analogo alle altre detrazioni fiscali attualmente in vigore che sono state tra l'altro prorogate per tutto il 2018.

Sarà attivo dal 1 gennaio 2018 e consiste in una detrazione fiscale pari al 36% per un un importo massimo di 5.000 euro (5 mila euro). 

L'importo della detrazione fiscale totale spettante, per essere scaricata dalla tasse, deve essere divisa in 10 quote annuali di pari importo e le spese documentabili sostenute, pagate tramite il bonifico parlante.

Il Bonus Verde non è alla persona ma è sulla casa, pertanto, se si hanno due immobili sui quali far eseguire interventi agevolabili con il nuovo bonus, è possibile sommare le due detrazioni, arrivando così per ciascuna casa, a detrarre il 36% di 5.000 euro. 

Esempio pratico: se si decide di sistemare il proprio giardino spendendo 4.000 euro, si può detrarre dalle tasse il 36% di 4.000 euro, cioè 1.440 euro in 10 anni.

Bonus Verde 2018: quali sono le spese detraibili

Tra le voci detraibili rientrano tutte quelle spese relative alla sistemazione a verde delle aree scoperte di edifici esistenti, di nuove unità immobiliari, pertinenze e recinzioni, terrazzi e balconi, siano esse private che condominiali, più o meno di pregio.

Nel dettaglio nelle spese detraibili con il Bonus Verde al 36% rientrano:

  • il rifacimento di impianti di irrigazione;

  • la sostituzione di una siepe;

  • le grandi potature;

  • la fornitura di piante o arbusti;

  • la riqualificazione di prati;

  • i lavori e interventi per la trasformazione di un'area incolta in aiuole e piccoli prati.

Esiste invece da tempo lo sconto fiscale del 65% sui tetti verdi.

 

 

FONTE: https://www.architetturaecosostenibile.it/normative/leggi-decreti/come-funziona-bonus-verde-040/

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