Proprietari e valori medi delle case: il Rapporto del Ministero

Dal 2016 il prelievo sugli immobili è diminuito di 4,4 miliardi, dei quali 3,6 mld sulla prima casa.


I dati vengono dal rapporto “Gli immobili in Italia” realizzato dall’Agenzia delle Entrate e dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia, che snocciola tutti i dati sul patrimonio immobiliare italiano al 31 dicembre 2014.

I numeri dicono che quasi 20 milioni di famiglie sono proprietarie della casa in cui abitano, il 77,4% del totale. Nel 2014 l’abitazione vale in media circa 170 mila euro, valore però in calo del 2,4% rispetto al 2013. 
Gli italiani proprietari di un appartamento sono oltre 25,7 milioni (dipendenti e pensionati nell’81,7% dei casi) mentre i locatari sono 4,7 milioni. La superficie media di un’abitazione è pari a 117 m2.
Oltre un miliardo di euro è l’ammontare delle agevolazioni fiscali erogate per quasi 3,7 milioni di interventi di ristrutturazioni, riqualificazione energetica e messa in sicurezza degli edifici effettuati nel 2014.


La percentuale delle famiglie proprietarie di casa varia a livello territoriale: il dato, spiegano dal Mef, è più elevato al Sud e nelle Isole (82,9%), prossimo al dato nazionale al Nord (75,3%), mentre è più basso al Centro (il 73,9%). Nel 2014 le case di proprietà sono usate principalmente come abitazione principale (62,6%), mentre il 17,9% è a disposizione (le cosiddette “seconde case”) e solo l’8,8% dello stock abitativo è dato in locazione. Un ulteriore 2,8% è rappresentato dalle abitazioni date in uso gratuito a un proprio familiare.


Quanto valgono le abitazioni? Nel 2014 il valore medio nazionale di un’abitazione si attesta intorno ai 170 mila euro, in calo del 2,4% rispetto all’anno precedente. A livello regionale, spiegano dal Mef, la variabilità è abbastanza sostenuta e va dai circa 285 mila euro in Trentino Alto Adige ai circa 82 mila euro nel Molise.
Nelle 12 maggiori città italiane con popolazione oltre i 250.000 abitanti, il valore medio delle abitazioni si è ridotto quasi ovunque. Le uniche variazioni positive si osservano a Milano (+4,5%) e, in maniera più contenuta, a Venezia (+0,9%).
Una cantina vale in media circa 6mila euro, mentre un box/posto auto vale circa 22mila euro.


Lo studio presenta anche un focus sulla situazione immobiliare di Roma, Milano e Napoli. Nella Capitale sono circa 900 mila le famiglie proprietarie della casa di residenza, quasi il 65% del totale. A Napoli e Milano la quota è più contenuta e pari rispettivamente al 62% e al 58%. A Roma la superficie media di un’abitazione è pari a 103 m2, a Milano è di 88 m2, a Napoli la superficie media di un’abitazione è 102 m2.


Fonte articolo: Helpconsumatori.it

Aumento IVA e possibile reintroduzione Imu: come reagirebbe il mercato immobiliare?

In riferimento al settore immobiliare, il triennio 2018-2020, sarà pieno di novità fiscali. Infatti, da un lato l'aumento dell'IVA che inciderà in maniera significativa sui prezzi delle case, e dall'altro la possibile reintroduzione dell'IMU, riaccenderà la discussione sul destino del settore.


Il graduale aumento dell'IVA nella cd. Manovrina Il decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2017, è entrato in vigore immediatamente; la cd. Manovrina dovrà poi essere convertita in legge dal Parlamento entro 60 giorni, con la possibilità di modificare le previsioni introdotte.

Il decreto legge n. 50/2017 interviene su una molteplicità di materie, per ridurre il rapporto deficit/PIL di quest'anno al 2,1%, e scende a 3,1 miliardi, trecento milioni in meno rispetto i 3,4 miliardi iniziali.
Tra le novità fiscali, si avvia la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia di IVA e accise previste nel triennio 2018-2020.
Più precisamente, la manovra correttiva contiene la programmazione (con parziale riduzione) dell'aumento delle aliquote IVA:

  • - per l'aliquota intermedia del 10%, si prevede che nel 2018 l'aliquota sarà fissata all'11,5% (in luogo del 13%);
    - per l'aliquota ordinaria del 22% ad oggi si prevede di passare all'aliquota del 25% nel 2018, al 25,4% nel 2019 per poi scendere al 24,9% nel 2020 e ritornare al 25% dal 2021.

  • Si rammenta che la clausola di salvaguardia, introdotta per la prima volta nella Manovra del luglio 2011, è la norma che prevede l'aumento automatico dell'IVA nel caso in cui lo Stato non sia riuscito a reperire le risorse pianificate.
    Si tratta, in sostanza, di uno degli strumenti attraverso il quale un Governo cerca di “salvaguardare”, appunto, i vincoli Ue di bilancio dalle spese previste nella manovra.


Le misure espresse dalle clausole possono essere di vario tipo: riduzione della spesa pubblica e/o aumento delle tasse e delle imposte. Ebbene, in questa circostanza, il gettito ottenuto sia dalla stessa IVA sia dalla lotta all'evasione fiscale non è stato sufficiente a finanziare le manovre fiscali attuate del Governo.

L'EFFETTO SU MUTUI E PREZZI IMMOBILIARI

Un nuovo aumento dell'Iva potrebbe però deprimere ulteriormente i consumi – disinnescando quindi l'atteso effetto positivo dal punto di vista dell'incremento delle entrate –, per non parlare della possibile tentazione a volersi sottrarre, attraverso l'evasione fiscale, ad una pressione ormai decisamente troppo alta.


Con specifico riferimento al settore immobiliare, va segnalato che se l'aumento dell'IVA non dovrebbe avere riflessi stretti sulla rata – poiché si tratta di spesa non soggetta ad IVA ma ad imposte sostitutive –, potrebbe invece incidere, ed in maniera significativa, sui prezzi delle case, delle ristrutturazioni, sull'acquisto di mobili e materiali, sulle parcelle dei notai e degli altri professionisti (su queste ultime, l'IVA, ad esempio, salirebbe al 25%).

Come ricorda l'Agenzia delle Entrate (Guida per l'acquisto della casa, aggiornata ad aprile 2017), la cessione di fabbricati a uso abitativo da parte delle imprese è, come regola generale, esente da Iva.
Tuttavia, l'imposta si applica:

  • - alle cessioni effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino dei fabbricati entro 5 anni dall'ultimazione della costruzioneo dell'intervento oppure anche dopo i 5 anni, se il venditore sceglie di assoggettare l'operazione a Iva (scelta che va espressa nell'atto di vendita o nel contratto preliminare);
    - alle cessioni di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali, per le quali il venditore sceglie di sottoporre l'operazione a Iva (anche in questo caso, la scelta va espressa nell'atto di vendita o nel contratto preliminare).


In questi casi, l'acquirente dovrà pagare, oltre alle imposte di registro, ipotecaria e catastale:

  • - l'Iva al 10% per le cessioni e gli atti di costituzione di diritti reali di case di abitazione – anche in corso di costruzione classificate o classificabili nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9 (cioè, abitazioni non di lusso) qualora non sussistano i requisiti per fruire delle agevolazioni “prima casa” (nel qual caso, sempre se si acquista da un'impresa, con vendita soggetta ad IVA, l'aliquota è ridotta al 4%), ovvero
    - l'Iva al 22% per le cessioni e gli atti di costituzione di diritti reali aventi a oggetto immobili classificati o classificabili nelle categorie A/1, A/8 e A/9 (ossia, rispettivamente abitazioni di tipo signorile, ville e castelli, palazzi di pregio storico/artistico).


Sia nell'uno che nell'altro caso, a partire dal 2018 opererebbe il riferito aumento, rispettivamente all'11,5% e al 25%.


Al medesimo trattamento fiscale sono soggetti gli immobili strumentali (destinati ad uso ufficio, negozio ecc): pertanto, per un immobile del valore di 200.000 euro, l'aumento dell'aliquota all'11,5% determinerebbe un aumento dell'importo versato a titolo di IVA, nel 2018, da 20.000 euro a 23.000 euro.


Nel caso in cui si tratti di un immobile abitativo di lusso o di un fabbricato strumentale ceduto dall'impresa costruttrice o da un privato che abbiano scelto l'applicazione dell'IVA, il passaggio all'aliquota del 25% farebbe salire, su un importo di 200.000, l'ammontare complessivo dell'imposta da 44.000 euro a 50.000 euro.


Ancora, si rammenta che, in materia di ristrutturazioni edilizie, è attualmente prevista l'applicazione dell'Iva con l'aliquota ridotta del 10% sulle prestazioni di servizi relativi a interventi di manutenzione, ordinaria e straordinaria, realizzati su immobili residenziali.


Le cessioni di beni restano assoggettate all'aliquota Iva ridotta, invece, solo se la relativa fornitura è posta in essere nell'ambito del contratto di appalto; tuttavia, quando l'appaltatore fornisce beni di valore significativo (ossia, ascensori e montacarichi, infissi esterni e interni, caldaie, videocitofoni, apparecchiature di condizionamento e riciclo dell'aria, sanitari e rubinetteria da bagni, impianti di sicurezza), l'aliquota ridotta si applica su tali beni soltanto sulla differenza tra il valore complessivo della prestazione e quello dei beni stessi [1]. 


Per i lavori di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione è poi sempre prevista, senza alcuna datadi scadenza, l'applicazione dell'aliquota Iva del 10%; tutti i riferiti valori, per effetto delle novità fiscali introdotte dalla Manovrina, subirebbero però un aumento di un punto e mezzo in percentuale e di tre punti percentuali per aliquote rispettivamente al 10% e al 22%.


La reintroduzione dell'IMU tra le proposte dell'UE 

La Commissione Ue, con le “raccomandazioni specifiche” per i Paesi membri, ha intanto riconosciuto al Governo Gentiloni lo sforzo attuato con la manovra varata per correggere i conti usciti dalla Legge di Bilancio 2017 (fortemente criticata da Bruxelles); e ha certificato, con le dichiarazioni del Commissario per gli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici, che "in questa fase, nessun passo ulteriore è giudicato necessario per rispettare la regola del debito. […] Né ci sono le condizioni per una procedura per squilibri macroeconomici, se si applicano le riforme raccomandate".


Tuttavia, non sono mancate le richieste, tra le quali si segnala il reinserimento della tassa sulla prima casa, almeno per i proprietari con redditi alti.
In realtà, il Ministro dell'economia, Piercarlo Padoan, all'arrivo all'Eurogruppo di Bruxelles, ha così commentato: "La raccomandazione della Commissione sull'Imu per i redditi alti è una delle tante proposte, ma le riforme fiscali vanno viste nel loro insieme e io direi che cambiare idea su una tassa che è stata appena cambiata da pochi mesi non è una buona idea".


Opinioni discordanti. La potenziale reintroduzione dell'imu sulla prima casa, ha subito sollevato delle polemiche. Romano Prodi ha detto che "tassa sulla prima casa per le fasce alte di reddito e' necessaria, perche' senon si mette l'imposta sui patrimoni, poi la si mette sul lavoro. Tutte le amministrazioni locali del mondo vivono sull'imposta sugli immobili esentando le persone meno ricche".

Non vedo perché questo non si debba fare in Italia". Tajani, in un'intervista a La Stampa, condivide al 99% gli inviti della Commissione, ma la vicenda dell'imposta sulla casa non mi convince per niente. Perché? "Il ragionamento che l'esecutivo fa è: tassiamo i beni improduttivi, ma in Italia la casa ha un valore anche morale. La prima abitazione è il frutto del lavoro di una o due generazioni, rappresenta la centralità della famiglia. Si tassino altri beni, ma la prima casa da noi rappresenta qualcosa di diverso rispetto ad altri Paesi".



[1] ESEMPIO: Costo totale dell'intervento 10.000 euro:

a) 4.000 euro è il costo per la prestazione lavorativa

b) 6.000 euro è il costo dei beni significativi (per esempio, rubinetteria e sanitari).

L'Iva al 10% si applica sulla differenza tra l'importo complessivo dell'intervento e il costo dei beni significativi: 10.000 - 6.000 = 4.000. Sul valore residuo degli stessi beni (pari a 2.000 euro) l'Iva si applica nella misura ordinaria del 22%

(Fonte: Agenzia delle entrate, Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali, aggiornata a febbraio 2017).


Fonte articolo: Condominioweb.com

+27,3% i mutui nel 2016. Cresciuti anche gli importi

Gli acquisti di case con il mutuo ipotecario nel 2016 hanno superato le 245.000 transazioni, con una somma media richiesta di 120.000 € e una durata media di 22 anni.


Sono i dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate in collaborazione con Abi.

 

Segno positivo (+27,3%) rispetto al 2015, quando gli acquisti con mutuo erano arrivati a 193.350.
Sono i dati riportati dal Rapporto Immobiliare residenziale 2017, secondo cui la zona del Nord-Ovest è quella che incide maggiormente con il 36,7 % sul totale nazionale degli acquisti con mutuo ipotecario.


La quota richiesta alle banche per l’acquisto della casa si aggira in media attorno ai 120.000 €, mentre nei capoluoghi del Centro Italia la media sale a 153.000 €. La durata media nazionale rimane 22,5 anni (come nel 2015), mentre scende l’importo della rata mensile che passa dai 592,00 € del 2015 agli attuali 570,00 €.


Scende lievemente anche il tasso d’interesse medio nazionale che, nel 2016, si assesta su 2,31% (-0,44 % rispetto al 2015). Nelle regioni del Sud e Centro Italia i tassi medi sono però più elevati (2,56 % al Sud, e 2,46 % al Centro), mentre quelli più bassi si registrano nelle regioni del Nord (2,18 %).


Fonte articolo: Casa.it

Ritorno all'Imu? Confedilizia: "incalcolabili i danni" della tassazione

Si torna a parlare di tassa sulla prima casa, ma per i proprietari ad alto reddito. La richiesta arriva all’Italia dall’Europa nel pacchetto di raccomandazioni specifiche per Paese.


Oggi a pagare le imposte sono i proprietari di prime case di lusso, appartenenti a specifiche categorie catastali.

 

Tra le misure concrete da prendere, c’è proprio la reintroduzione dell’Imu sulla prima casa, ma solo per le famiglie sopra un certo reddito, oltre alla più volte citata Riforma del catasto e a una soluzione della situazione relativa ai crediti bancari deteriorati.

PER L'UE CONTA il reddito e non la categoria catastale

Bruxelles chiede all’Italia di spostare l’imposizione fiscale dai fattori di produzione, ad esempio le imposte sul lavoro, ai fattori che hanno meno impatto sulla crescita, come la tassa sulla prima casa per i redditi alti. In realtà, come ben si sa, ad oggi sia l'Imu che la Tasi si continuano a pagare sulle case considerate di lusso. Invita, inoltre, a ridurre la spesa pubblica.


Nelle raccomandazioni, Bruxelles dice al nostro Paese che la manovra per il prossimo anno dovrà portare a uno sforzo di bilancio robusto. La trattativa viene rimandata all’autunno, ma da qui a ottobre bisogna trovare tra i 5 e i 10 miliardi. Uno sforzo di bilancio robusto per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche, ma che non dovrà pregiudicare la crescita.

Confedilizia: Le TASSE sulla casa haNNO creato danni

Solerte la replica di Confedilizia. L'organizzazione dei proprietari di casa ha sottolineato che la tassazione sugli immobili deve essere ridotta, per favorire la crescita.
Il presidente Giorgio Spaziani Testa ha fatto sapere: “La Commissione europea è tornata a criticare la scelta del Governo Renzi di eliminare la tassa sulla prima casa, suggerendo di reintrodurla per le famiglie con redditi elevati. Che dire? E’ davvero un peccato che, da un’Istituzione che impiega 33.000 dipendenti, non possa mai giungere un’analisi un po’ più ragionata delle politiche tributarie. Tra l’altro, chissà se la Commissione sa che sulle prime case che il Fisco considera di lusso (pur se sovente non lo sono), di tasse se ne pagano ancora addirittura due: l’Imu e la Tasi”.


Aggiungendo: “I risultati – (di un'analisi ragionata ndr) – sarebbero interessanti. Si scoprirebbe, anzitutto, che non ha il minimo fondamento la tesi, che le Istituzioni internazionali si rimbalzano a vicenda e che la Commissione copia e incolla anche oggi, secondo la quale le imposte sugli immobili sarebbero meno dannose per la crescita rispetto alle altre. E si apprenderebbe – analizzando il caso italiano – che sono incalcolabili i danni causati all’intero Paese dallo spropositato aumento della tassazione immobiliare iniziato con il 2012”.


Concludendo: “Le raccomandazioni Ue che ne seguirebbero, c’è da giurarci, sarebbero ben diverse da quelle che abbiamo letto. Non si soffermerebbero sulla diminuzione di 3 miliardi e mezzo di euro (Tasi prima casa) di un carico tributario annuale aumentato di 15 miliardi su tutti gli immobili. Si occuperebbero dell’imposizione immobiliare nel suo complesso e ne chiederebbero la riduzione. Per favorire la crescita”.


Fonti articolo: 1. Idealista.it, 2. Idealista.it

Compravendite attraverso il prezzo di valore: come si calcola

Introdotto da una legge del 2005, il sistema del prezzo valore è un meccanismo per il quale la base imponibile delle imposte sulle compravendite immobiliari è costituita non dal prezzo, ma dal valore catastale.


La sua applicazione non solo consente benefici fiscali per il compratore, ma evita il nascere di contenziosi con il Fisco

Per queste ragioni, il Consiglio Nazionale del Notariato auspica la sua estensione anche alle transazioni di immobili non abitativi.

Compravendita tra privati con il sistema del prezzo valore

"Il prezzo valore è un sistema che si applica ai trasferimenti di abitazioni e relative pertinenze tra persone fisiche che non agiscono nell’ambito di attività commerciali, spiega Enrico Sironi, Consigliere Nazionale del Notariato. "La tassazione non viene fatta in riferimento al prezzo, ma al valore catastale, che è normalmente inferiore al primo".

"Prima del 2005 alcuni acquirenti occultavano il reale prezzo d'acquisto di un immobile per pagare meno imposte. Con questo meccanismo, invece, emergono i reali valori degli immobili e si evitano accertamenti ed eventuali contenziosi con l'Agenzia delle Entrate".  

Come si calcola il prezzo valore

Il valore catastale, base imponibile nel sistema del prezzo-valore, si determina moltiplicando la rendita catastale (rivaluta del 5%) per il coefficiente 120 (in assenza di agevolazioni prima casa). Nel caso in cui, ad esempio, venga compravenduta una casa con una rendita catastale di 800 euro, ad un prezzo di 150.000 euro, la base imponibile su cui applicare l'imposta di registro sarebbe pari a 100.800 (800 x1,05 x120). Pertanto l'imposta sarebbe pari a 9.072 euro.
Senza l'applicazione del sistema del prezzo-valore, l'imposta dovrebbe essere calcolata sul prezzo della casa (150.000 euro) e sarebbe quindi di 13.500


"Nella compravendita di abitazioni ormai tutti usano il sistema del prezzo valore. Anche nei casi ridottissimi in cui il prezzo sia inferiore al valore catastale - come nel caso di case situate in zone a forte rischio sismico -  gli acquirenti lo scelgono perché preferiscono pagare delle imposte lievemente superiori, ma essere sicuri che non ci saranno futuri accertamenti e contenziosi da parte del Fisco". 


Proprio per questa ragione, nel corso di una recente audizione nella Commissione bicamerale per la semplificazione, il Notariato ha chiesto l'estensione ai fabbricati non abitativi, perché "comporterebbe un'evidente semplificazione fiscale, con conseguente risparmio di costi, tempo e denaro, tanto per il cittadino che per l'Amministrazione pubblica. E’ un sistema di predeterminazione dell’imposta da pagare che fa contenti tutti".


Ma perché questo sistema non è stato applicato fin da subito a qualsiasi tipologia immobiliare?

Spiega Sironi che il sistema è stato approvato perché "il nostro ordinamento costituzionale favorisce la casa familiare, ma spesso è stato trasmesso un messaggio erroneo: quello di uno sconto sulle imposte e di una perdita di gettito per l'Erario". "In realtà con questo meccanismo i valori dichiarati negli atti sono saliti, la gente non ha più nessun motivo per fare del nero. È un’operazione che garantisce fin dall’inizio un rapporto chiaro tra il cittadino e il Fisco".


Fonte articolo: Idealista.it

Intervista Agenti immobiliari: sale ancora il clima di fiducia

Come ogni trimestre la Banca d’Italia, in collaborazione con Tecnoborsa, ha condotto un sondaggio sugli Agenti immobiliari per capirne lo stato d’animo e le attese nei confronti del mercato immobiliare delle compravendite e degli affitti nel residenziale.


Tra i mesi di marzo e aprile sono stati intervistati 1.413 professionisti, che hanno concordato su un aumento della domanda anche nel primo trimestre del 2017.

Incarichi di vendita

Sono aumentati, a detta degli operatori che hanno risposto al sondaggio, sia i potenziali acquirenti che gli incarichi di vendita: in questo caso il saldo fra chi ne percepisce un incremento e chi ne denuncia una diminuzione è salito al 13,8%, contro il 12,6% di gennaio. A contribuire a questo aumento sono state soprattutto le percezioni di chi opera nelle aree non urbane e non metropolitane.

TEMPI DI VENDITA

I tempi di vendita si sono ridotti, anche se risulta di poco positivo il saldo tra chi ha rilevato un aumento delle giacenze di incarichi e chi invece ne ha notato una diminuzione. Sale invece il saldo fra le attese positive e quelle negative, attestandosi sul 18,1%.

IN CRESCITA LA FIDUCIA

Cresce l’ottimismo delle aspettative per il medio periodo, vale a dire per i prossimi due anni: il 50% degli agenti immobiliari intervistati si è detto fiducioso, contro il 43,6% dell’ultimo sondaggio. È aumentato di mezzo punto percentuale lo sconto medio sul prezzo di vendita chiesto inizialmente. Per quanto riguarda gli affitti, infine, sale la percezione di pressioni al ribasso per i canoni ma si attende il miglioramento del comparto.


Fonte articolo: Immobiliare.it

I Millennials e la casa: alla maggior parte interessa il bilocale

In Italia ci sono circa 11 milioni di Millennials, cioè i ragazzi intorno ai trent’anni: se chi si occupa di marketing si rivolge già da tempo a questa generazione, avendone compreso le potenzialità, lo stesso non si può dire del mattone.


Secondo uno studio di Immobiliare.it, il 67% del patrimonio immobiliare italiano, composto da appartamenti molto grandi, con quattro o più stanze, risulta inadeguato rispetto alle esigenze di questa generazione, che però è proprio quella che per la prima volta si affaccia al mondo della casa alla ricerca dell’indipendenza abitativa.

 

Primo problema: le dimensioni

Lo dice una ricerca di Immobiliare.it, uno dei siti più cliccati quando si cerca uno spazio da affittare o da acquistare. Se arredi e finiture si possono cambiare, il problema vero sta a monte: in genere gli appartamenti hanno quattro o più stanze.


Per un single o per una giovane coppia all’inizio della carriera sono troppo grandi, considerate le loro capacità economiche. Basterebbe un bilocale, ma lo studio, eseguito sugli annunci che compaiono su Immobiliare.it, denuncia che solamente il 10% delle case sul mercato è composto da due stanze e, appena il 2%, da monolocali. Al contrario, più del 30% degli immobili ha quattro camere e il 36% ne conta cinque o più.


Questione di gusto

Oggi, che come modello abbiamo gli appartamenti meravigliosi che vediamo su Instagram o nei cataloghi delle catene di arredamento, le nostre aspettative sono molto alte. D’altra parte, chi vivrebbe mai in una casa che non gli piace? Ma realizzare il nido dei sogni è impegnativo. "Metà delle residenze italiane, infatti, è di bassa qualità e necessita di lavori di ristrutturazione e manutenzione", spiega ancora la ricerca. Non è una sorpresa se si considera che il 40 per cento dei palazzi sono stati costruiti prima degli anni Sessanta e il 51 tra il 1960 e il 1990.

LE SOLUZIONI

“I millennials rappresentano il target ideale per il mercato degli affitti, a cui guardano con crescente interesse – riflette Carlo Giordano, Amministratore Delegato di Immobiliare.it. “È altrettanto vero che si tratta di un pubblico a cui anche il comparto delle compravendite può e dovrebbe puntare: mutui più accessibili e genitori ancora innamorati dell’idea di lasciare una casa ai figli, rendono questa generazione una importante platea di potenziali acquirenti. Adeguare gli immobili alle esigenze dei Millennials, soprattutto nelle grandi città che sono quelle in cui vive la maggior parte di loro, è una delle sfide che proprietari e operatori del settore potrebbero cogliere e vincere in tempi brevi”.

Fonti articolo: 1. IlSecoloXIX.it, 2. Soldiweb.com

Si può lasciare la casa in affitto prima della scadenza del contratto?

L'inquilino che lascia un appartamento prima della fine del contratto è tenuto a pagare i canoni fino alla scadenza dello stesso.


E questo anche se nei fatti ha già fatto le valigie e lasciato le chiavi al padrone di casa. A chiarirlo è stata una recente sentenza della Cassazione.

Secondo la normativa vigente l'inquilino puo' lasciare in qualsiasi momento l'appartamento in affitto solo in casi eccezionali in cui esiste una "giusta causa". Questa consiste in un impedimento oggettivo, non dipendente dalla volontà dell'inquilino e non esistente al momento della stipula del contratto che gli impedisca di continuare a vivere nella stessa casa. E' il caso per esempio di un improvviso trasferimento per ragioni di lavoro.


In tutti gli altri casi, l'affittuario deve rispettare la naturale scadenza del contratto dando disdetta con anticipo di sei mesi.
Anche nel caso in cui decida di lasciare prima l'appartamento, consegnando anche le chiavi al padrone di casa - come chiarito dalla Cassazione nella ordinanza n 1177/17 - deve continuare a pagare il canone di locazione fino alla scadenza, ovvero per tutti i sei mesi previsti. A meno che non sia lo stesso conduttore che decida di dispensarlo dal pagamento.


Secondo la sentenza della Suprema Corte, infatti, i "canoni sono dovuti a prescindere dalla circostanza che l’immobile sia stato restituito anticipatamente, ove non risulti che il locatore abbia accettato la restituzione anticipata con rinuncia al preavviso minimo e ai relativi canoni".


Fonte articolo: Idealista.it

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