Le spese condominiali gravano sul proprietario e non sull'affittuario


È il proprietario dell’immobile che deve pagare le spese condominiali e non l’inquilino, a prescindere dagli accordi tra questi intercorsi e formalizzati nel contratto di affitto; per cui, se anche il conduttore non rispetta i patti e non versa all’amministratore le quote condominiali che ricadono su di lui, il decreto ingiuntivo andrà effettuato e notificato contro il padrone di casa.


Spetterà poi a quest’ultimo, eventualmente, agire contro l’inquilino ed, eventualmente, chiederne lo sfratto. Lo ha chiarito il Tribunale di Bari con una recente sentenza (n. 1355/2016). 

 

L’obbligo del pagamento delle spese di condominio grava solo sul locatore, mentre gli accordi sulla divisione di tali spese, fatti tra questi e il conduttore all’interno del contratto di locazione, hanno effetti solo tra le parti e non anche per il condominio medesimo. La conseguenza è che l’azione giudiziaria non si potrà mai intraprendere contro l’inquilino che pur continua a vivere dentro l’appartamento e si rifiuta di pagare.


Qualora il decreto ingiuntivo dovesse essere notificato al conduttore, quest’ultimo potrebbe opporsi (dovrebbe farlo entro e non oltre 40 giorni dalla notifica dell’atto) e ottenere, così, dal giudice, l’annullamento dell’obbligo di pagamento. Resta però il fatto che un secondo decreto ingiuntivo glielo potrà notificare – questa volta legittimamente – il padrone di casa, per via dell’inadempimento degli accordi contrattuali. In alternativa, potrebbe arrivare anche un ordine di sfratto per morosità. Difatti lo sfratto non consegue solo al mancato pagamento del canone di affitto, ma anche agli oneri accessori come appunto le spese condominiali (almeno per quanto riguarda la gestione ordinaria).


Tali indicazioni sono state fornite anche dalla Cassazione che, sull’argomento, ha affermato in passato che è tenuto a pagare gli oneri condominiali solo il proprietario dell’unità immobiliare e non il conduttore, anche se questi si comporta in apparenza come se fosse il proprietario, generando negli altri condomini la convinzione di avere la titolarità dell’immobile. L’apparenza del diritto, infatti, non rileva, ma contano solo le carte in catasto.


Fonte articolo: Laleggepertutti.it

La normativa sul leasing immobiliare

La Legge di Stabilità 2016 (L. n. 208 del 28 dicembre 2015), cerca di promuovere l'utilizzo del leasing immobiliare per l'acquisto della prima casa.


Infatti, la legge, al fine, pare, di promuovere tale modalità contrattuale tra i privati e fornire un ulteriore strumento ad un mercato in crisi, ha previsto due piani di norme.

 

La Legge ha in primis normato tale forma di contratto sul piano che i tecnici definiscono "sostanziale", riguardante cioè alcuni aspetti dei rapporti tra le parti e dei reciproci diritti e obblighi. La Legge ha poi anche previsto delle agevolazioni fiscali per chi è in possesso di determinati requisiti. In questo articolo ci dedichiamo agli aspetti contrattuali, previsti dall'art. 1, co.76 e ss., della Legge di Stabilità.


Il contratto è qui definito come "locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale". Con tale contratto la banca o l'intermediario finanziario iscritto nell'albo degli intermediari fianziari (di cui all'art. 106, T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, contenuto nel D. Lgs. n. 385/1993) si impegna "ad acquistare o a fare costruire" l'immobile scelto dal "privato", che, in termini giuridici, è detto "l'utilizzatore".


Il bene viene dato nella disponibilità dell'utilizzatore per un dato tempo e verso un corrispettivo pattuito; detto corrispettivo deve tenere conto "del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto". Alla scadenza del contratto l'utilizzatore potrà decidere di acquistare la proprieta' del bene, ad un prezzo prestabilito. L'utilizzatore si assume a sua volta tutti i rischi e allo scadere del contratto potrà scegliere se acquistarlo – ad un prezzo prestabilito - oppure no (v. co.76).


Leasing immobiliare abitativo e revocatoria fallimentare

All'acquisto del bene non si applica l'azione revocatoria fallimentare, cioè l'azione legale volta a far venire meno gli effetti di determinati atti pregiduzievoli per i creditori ed indicati dalla legge: il co.77 della Legge di Stabilità infatti richiama la norma di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera a), R.D. n. 267/1942, secondo cui "non sono soggetti all'azione revocatoria:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso...".


Risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore

Al verificarsi di determinate condizioni, l'utilizzatore può chiedere la sospensione del pagamento una sola volta e per massimo 12 mesi. La durata del contratto verrà prorogata per un periodo corrispondente a quello della sospensione.

Le condizioni ammesse dalla legge – e che devono verificarsi dopo la firma del contratto - sono:

a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa;

b) cessazione dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile (e cioè "rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato"), "ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa" (v. co.79).


Terminato il periodo di sospensione, importi e periodicità di pagamento sono gli stessi di prima, salvo diversa pattuizione eventualmente conseguita (con la rinegoziazione delle condizioni di contratto). Se, allo scadere del periodo di sospensione, l'utilizzatore non riprende a pagare, il contratto si risolve ai sensi del co. 78).
La legge specifica che "la sospensione non comporta l'applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria e avviene senza richiesta di garanzie aggiuntive" (v. co.80).


Sfratto ad opera del concedente

La legge prevede espressamente che per ottenere il rilascio dell'immobile il concedente può agire con il procedimento per convalida di sfratto di cui al libro IV, titolo I, capo II, del codice di procedura civile, in soldoni, il procedimento previsto per costringere "ad andare via" l'inquilino moroso che continua ad occupare la casa.
Le norme qui indicate, attinenti come si dice agli aspetti sostanziali del rapporto, a differenza di quelle sulle agevolazioni fiscali, di cui ai successivi co. 82 e 83, che valgono solo per gli anni 2016-2020, non sono a tempo.


Fonte articolo: Condominioweb.com

Quando serve la forma scritta nella risoluzione dell'affitto

La risoluzione consensuale di un contratto di locazione relativo ad un immobile ad uso abitativo richiede necessariamente l'adozione della forma scritta.


Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7638 depositata il 18 aprile scorso.

IL CASO

Il locatore aveva agito in via monitoria nei confronti del conduttore ottenendo dal giudice il pagamento di circa 1300 euro a titolo di canoni di locazione immobiliare. L'opposizione proposta dal conduttore veniva accolta dal tribunale con sentenza, successivamente confermata anche in sede di gravame. Ora, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso del locatore, ha cassato con rinvio la pronuncia emessa dal giudice d'appello e fondata sulla decisiva affermazione che lo scioglimento del contratto di locazione per mutuo dissenso fosse avvenuto per comportamenti concludenti e comunque in forma verbale. La Corte ha ritenuto così fondate le ragioni del ricorrente, il quale, nel motivi di ricorso, aveva sostenuto che, essendo necessaria ad substantiam la forma scritta per la stipulazione del contratto di locazione di immobili a scopo di abitazione, altrettanto è da ritenersi per il contratto di risoluzione consensuale di esso, non essendo possibile ritenere sussistente una sua tacita risoluzione.


A giudizio della Corte, deve ritenersi assolutamente pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui, in caso di contratti per la cui valida stipulazione è richiesta la forma scritta ad substantiam – tra i quali può senz'altro annoverarsi il contratto di locazione ad uso abitativo ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della Legge n. 431/1998 – il mutuo dissenso deve rivestire la medesima forma prevista per la conclusione del negozio. 


Deve infatti ritenersi superato il precedente orientamento secondo cui la risoluzione consensuale del contratto di locazione non sarebbe soggetta a vincoli di forma, orientamento del resto riferito e riferibile ai contratti di locazione non soggetti al requisito di validità della forma scritta, e cioè anteriori al 1998 ovvero non aventi ad oggetto immobili destinati ad uso abitativo. 


L'adozione del requisito formale, il quale può ritenersi integrato e soddisfatto soltanto in presenza di un documento contenente l'espressa e specifica dichiarazione negoziale delle parti, riguarda tuttavia esclusivamente la risoluzione del contratto di locazione per mutuo dissenso e non anche la mera disdetta contrattuale, istituto in ordine al quale, conclude la Cassazione, vale invece il principio della libertà di forma come confermato in varie pronunce.


Fonte articolo: IlSole24Ore.QuotidianodelCondominio, vetrina web

La rinascita del box come investimento in città

Il box auto potrebbe essere una buona scelta. A patto, però, di trovarlo nella zona giusta e a prezzi adeguati ai nuovi livelli di mercato. Senza cedere a facili entusiasmi, gli operatori confermano come il mercato dei garage sia in decisa ripresa, a causa soprattutto dell’appetibilità dei rendimenti.


I box hanno subìto uno stop della domanda ancora più marcato rispetto a quello delle abitazioni. Si calcola che dal 2007 i prezzi siano scesi di almeno il 30-35%, con una contrazione di qualche punto percentuale proseguita ancora per tutto il 2015.

A livello di interesse una dinamica positiva era invece già partita l’anno scorso quando quasi il 60% di chi aveva acquistato il box lo aveva fatto con finalità di investimento. "Dall'inizio del 2016 notiamo una domanda sempre crescente", conferma Guido Lodigiani, Responsabile dell’ufficio studi di Immobiliare.it, così che anche i prezzi nel corso del 2016 potrebbero ritrovare il segno positivo. A che cosa di deve questa rinascita? "Il box è un investimento abbastanza liquido, che si riesce ad affittare e rivendere con meno problemi di una casa. E soprattutto, permette di investire a una platea molto più ampia di persone rispetto alle abitazioni, che saranno anche deprezzate rispetto a dieci anni fa, ma richiedono pur sempre un impegno sostanzioso e hanno bisogno di più manutenzione e riservano spese di condominio ben più alte".


Il rendimento medio lordo nelle città italiane è compreso fra il 5,3% e il 6,4%, ma con punte che arrivano al 7-10%. Si tratta di una resa superiore al residenziale – che, secondo Lodigiani, oggi non offre più del 2-3% – ma anche migliore dei principali strumenti finanziari a rischio zero (o quasi), come i conti deposito. Certo, le cose cambiano quando dal lordo si passa a calcolare il rendimento netto. Il peso di spese e imposte finisce in media per dimezzarlo, e portarlo fra il 2,5% e il 3%, ma è una riduzione fisiologica anche negli investimenti immobiliari in abitazioni.


Su cosa puntare? "Meglio concentrarsi su quartieri in cui ci sia poca disponibilità di parcheggio e una bassa presenza di box rispetto alle abitazioni – suggerisce Fabiana Megliola Responsabile dell’ufficio studi del gruppo Tecnocasa –. Da valutare anche le zone ad alta presenza di uffici, soprattutto se non ben collegate con i mezzi pubblici".


Guardando al dettaglio delle principali città emergono dati interessanti. I rendimenti migliori si spuntano nelle zone di periferia, dove si riesce ad acquistare a buon mercato e affittare a canoni non troppo distanti da quelli del centro. Ecco perché, ad esempio, secondo Immobiliare.it i quartieri esterni di centri come Bari e Verona promettono una resa superiore a quelli di Milano e Roma.


A livello di prezzo, invece, più che il “blasone” della città è la scarsità dell’offerta a determinare i valori più alti, che si trovano quasi sempre nei centri storici. Roma è in testa e in alcune zone, come Campo dei Fiori, si incontrano annunci di vendita anche sui 100mila euro. Napoli e Firenze, invece, battono Milano. La media in pieno centro è sui 45-50mila euro, ma ci sono box in vendita al Vomero a 65mila euro e nel capoluogo toscano, attorno a Santa Croce, anche a 70mila. Mentre la particolarità di Genova – "tipica delle città di mare" secondo Lodigiani – è che molte zone esterne costino più di quelle interne alla città. È il caso ad esempio di Voltri o di Quinto, dove si rintracciano prezzi superiori ai 45mila euro. "


La fascia su cui concentrarsi, comunque, è quella compresa fra i 20 e i 30mila euro.
In questo range si ottiene il risultato migliore come rapporto spesa-rendimento – osserva Lodigiani –. E va sempre considerato che una cosa è la domanda iniziale del proprietario, un’altra il prezzo finale, scontato anche del 15-20 per cento".

 

Fonti articolo: Ilsole24ore.com, vetrina web

Affitti a studenti: un mercato che vale decine di milioni

Affittare casa ai circa 55mila studenti stranieri che ogni anno scelgono l’Italia, frutta almeno 15 milioni di euro ai proprietari di immobili. Ma per triplicare gli introiti basterebbe immettere in questo mercato i migliaia di locali sfitti sparsi per le principali città italiane.


La stima arriva da Uniplaces, portale internazionale di annunci che lavora come una sorta di “Airbnb degli affitti” per studenti.

Il dato sui ricavi complessivi si limita alle prime 5 sedi universitarie per arrivi di stranieri (Roma, Milano, Bologna, Torino e Firenze) ed è calcolato moltiplicando questi numeri per il costo medio di un affitto in camera singola rintracciabile sul portale. A Roma, ad esempio, una singola viaggia intorno ai 433 euro al mese, che rapportati ai circa 12mila studenti stranieri genera un guadagno di 5,2 milioni. Dato simile per Milano, che ospita un numero leggermente inferiore, ma dove una stanza sfiora i 500 euro al mese, mentre Torino accoglie circa 5mila studenti ma è meno cara (circa 417 euro al mese) e il ricavo totale è intorno ai 2 milioni.


"Il numero di arrivi è in crescita costante. E gli studenti stranieri sono il tipo di inquilino ideale – ragiona Luca Verginella, marketing manager di Uniplaces per l'Italia –. Dispongono di una capacità di spesa generalmente alta, sostenuta dai genitori, e soggiornano per periodi medio lunghi dando quindi una continuità di reddito". Senza, però, rappresentare un vincolo rigido come potrebbe essere l'affitto di un immobile a una famiglia residente con il classico contratto 4+4.


Inoltre, la società ha stimato il potenziale di ricavi nelle due piazze maggiori, Roma e Milano, ipotizzando di mettere sul mercato i circa 12mila alloggi sfitti presenti (stima di Scenari Immobiliari). Numero moltiplicato per l'affitto medio di un trilocale con due camere singole. Nella capitale, dove l'affitto di un trilocale di quel tipo rende in media 860 euro al mese, i circa 7.200 spazi vuoti darebbero luogo a 6,2 milioni di guadagno extra. Nel capoluogo lombardo ci sono invece 6.500 alloggi sfitti che potrebbero generare 12 milioni. "Ed è una cifra che lieviterebbe in un attimo prendendo in esame il resto della regione, dove si concentrano atenei importanti come Pavia, Bergamo e Brescia", aggiunge Verginella.


Ma anche in assenza di atenei, i Comuni che gravitano attorno alle aree ad alta densità di studenti beneficiano di questa presenza e si tratta di un trend in ascesa. Un recente report di Tecnocasa, ad esempio, ha messo in luce come a Cesena sempre più proprietari mettano a disposizione gli immobili ai ragazzi che frequentano l'università a Bologna, con canoni compresi tra 250 e 350 euro per camera, a patto che le abitazioni siano nei pressi della stazione ferroviaria.


E che ci sia fermento nel segmento del real estate per studenti lo dimostrano diversi altri indicatori. Tra i portali, ha appena aperto un'iniziativa rivolta in particolare ai ragazzi cinesi in arrivo, chiamata Yi-ton. E uscendo dal segmento dei singoli proprietari, per dare uno sguardo agli investitori professionali, l'ultima ricerca sul 2016 di Cbre (Emea Investor Intentions Survey 2016) segnala che il 20% dei grandi investitori intervistati già possiede investimenti nello “student housing” e il 15% di loro ha intenzione di metterne a segno di nuovi nel corso dell'anno. Mentre il 12,7% entrerà in questo segmento per la prima volta (erano solo l'8% nel 2015).


La stessa piattaforma Uniplaces, alla fine del 2015, ha ottenuto un finanziamento Serie A da 24 milioni di euro, per il suo piano di espansione, condotto dalla società di investimenti Atomico, che coinvolge anche Caixa Capital e Octopus Investments, che già figurava tra i sostenitori della start up.


Fonte articolo: Casa24.ilsole24ore.com

Alloggi popolari: serve un Piano Casa dello Stato

L'edilizia popolare gestita dalle Regioni? Meglio quando la gestiva lo Stato. L'housing sociale con il sistema dei fondi immobiliari? Una goccia nel mare: ad oggi il programma cofinanziato dal maxi fondo di Cassa depositi e prestiti ha realizzato 3.480 case su circa 22mila in progetto.


La risposta attuale al fabbisogno di alloggi popolari? Largamente insufficiente: nel 1997 c'erano 650mila famiglie in disagio abitativo, oggi sono oltre 1,7 milioni. 

 

La soluzione? Riportare indietro le lancette al 1998, anno del decentramento regionale dell'Erp, riconsegnando la piena competenza allo Stato. Poi serve un "piano casa" da 1,3-1,4 miliardi per realizzare 200mila alloggi su un orizzonte di 15-20 anni. Risorse da trovare attraverso un meccanismo fisso e centralizzato, per garantire la programmazione sul lungo periodo. L'esempio storico è quello della "Gescal", il prelievo sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti che ha sostenuto la produzione delle case popolari fino a l 1999. L'esempio più recente che viene in mente è la soluzione del canone in bolletta trovata per sostenere la Rai. Nulla è ancora uscito dal cappello, ma il tema - e il problema - c'è tutto.


A ricordarlo - facendo anche un bilancio di quasi 20 anni della gestione "decentrata" dell'edilizia residenziale pubblica - è Luca Talluri, giovane presidente degli ex-Iacp italiani riuniti in Federcasa. 
Talluri si è fatto interprete del revival statalista che circola tra gli ex-Iacp, che muove dalla consapevolezza che il rubinetto delle Regioni resterà chiuso: "Noi pensiamo che la soluzione migliore sia restituire la delega dalle Regioni al Governo centrale, perché le Regioni ci stanno facendo capire che il sistema deve rimanere cristallizzato agli anni '90 e tale deve rimanere". Detto in altri termini: non vogliono mettere soldi sulle case popolari. Risorse che Federcasa chiede ora allo Stato: "servirebbero almeno 1,3-1,4 miliardi di euro per aumentare il numero di alloggi di 150-200mila unità", dice.


Come trovare i soldi? "Qualche idea ce l'abbiamo", risponde. Intanto, ricorda il presidente di Federcasa, "è importante che il Governo abbia messo risorse consistenti per attuare il piano di recupero degli alloggi inagibili, ma pensiamo che occorra cominciare a pianificare una risposta strutturale".
Secondo lo studio realizzato da Nomisma per Federcasa, il disagio abitativo dilaga: sono almeno 3 milioni le famiglie che, nel 2014, hanno mancato il pagamento di una rata di affitto o di mutuo. Restringendo il campo alle sole famiglie in affitto, ci sono 1,708 milioni di famiglie (pari al 41% delle famiglie in affitto) con un affitto oltre il 30% del reddito. Negli anni '80, ricorda Nomisma, c'erano solo 3 famiglie su cento che pagavano un affitto superiore al 30% del reddito, oggi sono 34 su cento. Intorno a questa fascia ci sono poi le 600mila famiglie circa in attesa di un alloggio popolare; ma ci sono anche 690mila famiglie che andrebbero in crisi se il loro canone superasse la soglia delle 450 euro.


A fronte di questa situazione, si ridimensiona molto anche la risposta del social housing, cioè l'affitto a un canone intermedio tra quello di mercato e quello popolare: "Chi sosteneva che la risposta definitiva al disagio abitativo fosse l'housing sociale, perché creava case levando dalle case popolari i più ricchi dalle case popolari, ha sbagliato. Le famiglie che potrebbero uscire superano il reddito minimo sono rappresentano l'1,2% del totale. Così non si risolve il problema. La soluzione è aumentare pesamentemente il numero di case popolari".


Fonte articolo: Ediliziaeterritorio.IlSole24ore.com, vetrina web

Canoni affitti più alti, si torna a comprare casa

Il mercato degli affitti ha tenuto anche in questi ultimi anni di crisi. Complice la difficoltà nell’acquistare casa, anche per via della difficoltà di accendere un mutuo, la domanda di affitto si è mantenuta infatti molto vivace. E nonostante la molta offerta di case, i canoni hanno retto, seppur con cali di qualche punto percentuale ogni anno.


Ma ora la situazione nel mercato immobiliare sta mutando e i canoni stanno tornando a salire, seppur lievemente. 

La tendenza al rialzo emerge dall’ultimo report del portale Immobiliare.it, che, nonostante un calo sia della domanda (-1,8%) sia dell’offerta (-2,2%) ha registrato a febbraio un aumento dei canoni dell’1,7% rispetto a un anno fa.


"La locazione è un mercato in forte mutamento – dichiara Carlo Giordano di Immobiliare.it – perché il suo maggiore dinamismo lo lega alle evoluzioni tanto del mercato immobiliare nel suo complesso, quanto del sistema economico internazionale, segnato in queste ore dagli annunci della Bce e da nuove politiche di gestione della liquidità. La rinnovata offerta di finanziamenti per l'acquisto della casa, in particolare, ha ridato speranza ai proprietari che, fino a poco tempo fa, avevano optato per la messa in locazione dei loro immobili come opportunità di guadagno in attesa di un compratore. Ora che è tornato il momento giusto per vendere, quegli immobili vengono tolti dal mercato degli affitti, per rendersi disponibili alle compravendite".


È soprattutto nel Nord Italia che la domanda di locazione scende (-3,7%, segno che è qui che si preferisce maggiormente puntare all'acquisto), mentre al Centro (-1,9%) e soprattutto al Sud (-0,2%) sembra ancora mancare, perlomeno nella percezione degli italiani, la giusta spinta (o le opportunità economiche) per comprare casa.


"Interessante è l'emergere di un maggiore interesse nei confronti della locazione nelle grandi città: tra le località con oltre 250mila abitanti la domanda di affitto cresce, seppur di poco (+0,38%). Il dato è dimostrazione di una maggiore mobilità degli abitanti dei grandi centri, che sembrano assimilare almeno in parte le dinamiche abitative delle altre città europee (solitamente più propense all'affitto che alla vendita)". Nelle città più piccole, invece, la domanda di locazione è calata, rispetto ad un anno fa, dell'1,6%. 


A febbraio si registra un incremento dell'1,7%. Non tutta l'Italia registra, però, lo stesso andamento: in molte regioni si rilevano variazioni minime, mentre i numeri crescono maggiormente in regioni con canoni medi più bassi della media nazionale e, quindi, più sensibili alle oscillazioni. Tra queste si segnala il +5,9% in Molise, il +5,1% in Sicilia e il +4,4% di Calabria e Marche. Le uniche regioni con prezzi in calo sono la Campania (-2,9%), la Valle d'Aosta (-2,3%) e l'Umbria (-1,7%).


Il canone d'affitto mensile medio per un bilocale di 65 metri quadri è pari, in Italia a circa 560 euro. Ma quali sono le città più care d'Italia per i canoni di locazione? A Milano servono circa 620 euro al mese per affittare un monolocale, e fino a 1.200 euro per un trilocale. Firenze e Roma occupano gli altri due posti del podio con prezzi simili tra loro: mediamente, 550 euro per un monolocale e tra 900 e 1.040 euro per un trilocale. Molto distanti Torino e Genova dove affittare un monolocale costa, rispettivamente, 330 e 315 euro. Nella top ten troviamo, a seguire, Bolzano – che stacca di molto i prezzi di città ben più grandi, con 520 euro richiesti al mese per un monolocale – e poi, con prezzi allineati, Siena, Venezia, Napoli, Bologna, Pisa e Como.


Fonti articolo: Casa24.ilsole24ore.com

Imposte ed esenzioni con la nuova disciplina sugli affitti

Non sono sempre lineari le modifiche introdotte dal 1° gennaio 2016 nell’ambito della disciplina sanzionatoria prevista dal Testo unico dell’imposta di registro (Dpr 131/1986) per le violazioni relative all’imposta di registro applicabile ai contratti di locazione. La normativa risultante dall’entrata in vigore del Dlgs 158/2015 impone così una certa attenzione agli addetti ai lavori. 


La registrazione

Variazioni significative riguardano la riduzione delle sanzioni nei casi di occultamento del canone (cioè di registrazione per un importo inferiore a quello effettivamente pattuito) e di registrazione tardiva. Se viene occultato anche in parte il corrispettivo previsto dal contratto, la sanzione applicabile, originariamente prevista nella misura dal 200% al 400%, da quest’anno è stata di fatto equiparata a quella per l’omessa registrazione che va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta. 

 

 

Inoltre, se la richiesta di registrazione è effettuata con un ritardo non superiore a 30 giorni, in luogo della sanzione ordinaria dal 120% al 240%, si applica la sanzione ridotta da un minimo del 60% a un massimo del 120%. In quest’ultima ipotesi, però, la norma prevede in ogni caso il pagamento di una sanzione minima di 200 euro. 


E’ di tutta evidenza che, in alcune situazioni, la sanzione minima prevista per i ritardi contenuti nei 30 giorni possa risultare superiore a quella ordinaria non ridotta, considerata addirittura nella misura massima del 240%. Si pensi ad esempio a un contratto di locazione con un canone annuo di 4.000 euro che viene registrato nei 15 giorni successivi alla scadenza. La sanzione ordinaria massima applicabile sarebbe di 192 euro (pari al 240% dell’imposta di registro di 80 euro), evidentemente inferiore al minimo di 200 euro previsto in caso di applicazione della sanzione “ridotta” in caso di registrazione nei 30 giorni. 
Questa anomalia, in relazione alla quale è auspicabile un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, ha anche degli effetti “distorsivi” sul ravvedimento operoso. Si ricorda che attraverso tale istituto il contribuente può rimediare alle violazioni commesse a seguito di errori e/o omissioni, purché versi spontaneamente entro il termine indicato dalla norma, contenuta nell’articolo 13 del Dlgs 472/1997, l’imposta dovuta, la sanzione calcolata in misura ridotta e gli interessi legali, quest’ultimi ridotti allo 0,2% annuo a decorrere dal 1° gennaio 2016.


Il ravvedimento 

Con la riforma del ravvedimento operoso, iniziata già nel 2015 e resa ancora più vantaggiosa con l’entrata in vigore del decreto di riforma delle sanzioni tributarie, è possibile sanare le violazioni commesse anche in materia di registro usufruendo di uno “sconto” che aumenta al diminuire del ritardo con cui si versa l’imposta. I limiti temporali sono stati ampliati, cosicché i contribuenti potranno avvalersi del ravvedimento fino allo scadere dei termini per l’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, sempre che la violazione non sia stata già accertata. 
Tuttavia, applicando la normativa alla lettera, in alcuni casi potrebbe essere più conveniente aspettare e ravvedersi dopo 30 giorni, considerato che la riduzione a 1/10 prevista per la registrazione tardiva contenuta nei 30 giorni (e quindi la sanzione del 6%) comporta comunque il versamento di un importo minimo di 20 euro, pari a 1/10 di 200 euro. 
Tornando all’esempio precedente, il contribuente titolare di un contratto di locazione non registrato nei termini con un canone annuo di 4.000 euro, se si ravvedesse nei 15 giorni successivi alla scadenza si troverebbe a pagare la sanzione minima di 20 euro, addirittura superiore a quella di 16 euro (pari a 1/6 della sanzione minima del 120%) applicabile in caso di ravvedimento oltre i due anni. E’ evidente che in questa ipotesi il contribuente attenderà il trentunesimo giorno per registrare il contratto, pagando la sanzione di 9,60 euro per la quale non è previsto alcun importo minimo. 


I versamenti 

Per quanto attiene all’omesso o ritardato pagamento dell’imposta in presenza di un contratto registrato nei termini - e quindi nei casi di annualità successive alla prima, risoluzioni, proroghe e cessioni dei contratti di locazione - si rende applicabile la sanzione del 30% prevista dall’articolo 13 del Dlgs 471/1997. In questo caso la modifica consiste nella riduzione alla metà della sanzione per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni e a un 1/15 per ciascun giorno per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni. 


Sconto sul canone con imposta a zero

Se il locatore e il conduttore si accordano per ridurre il canone di locazione contrattualmente previsto, possono registrare una scrittura privata in tal senso senza pagare le imposte di registro e di bollo, come stabilito dall’articolo 9, comma 1, del Dl n. 133/2014 (sblocca Italia). L’adempimento non è obbligatorio, ma serve per rendere certa di fronte ai terzi la data della modifica contrattuale. La relativa registrazione è quindi facoltativa, a meno che l’accordo non venga formalizzato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. 
Prima dell’entrata in vigore dello Sblocca Italia, la scrittura privata con cui inquilino e proprietario rivedevano al ribasso il canone di locazione di un immobile scontava l’imposta di registro nella misura fissa di 67 euro, come precisato dalle Entrate nella risoluzione 60/E del 28 giugno 2010. 


L’accordo, infatti, non essendo riconducibile alle ipotesi di cessione, risoluzione e proroga anche tacita del contratto, non rientra tra gli eventi che devono obbligatoriamente essere portati a conoscenza dell’amministrazione finanziaria secondo le modalità dell’articolo 17 del Tur , bensì tra gli atti per i quali è possibile la registrazione volontaria, in base all’articolo 8 dello stesso decreto. Tantomeno può ravvisarsi nell’accordo di riduzione una ipotesi di risoluzione o di novazione dell’originario rapporto contrattuale, trattandosi invece di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione e non dell’oggetto o del titolo della prestazione, come stabilito anche dalla Cassazione nella sentenza 5576/2013. 


Nel corso di Telefisco 2016, le Entrate hanno precisato che l’esenzione prevista dal legislatore vale in tutti i casi di riduzione del canone, e quindi se l’accordo è stato stipulato per l’intera durata del contratto in essere o anche per un solo periodo, ad esempio un anno. 
Ma la stessa esenzione non vale anche quando si intende revocare la riduzione e riportare quindi il canone al valore originariamente previsto nel contratto. Resta da chiarire come tassare il nuovo accordo. Seguendo l’impostazione fornita dalle Entrate nel 2010, tenuto conto che la scrittura privata con cui si revoca una precedente riduzione del canone non concretizza un’ipotesi contrattuale autonoma, ma accede a un contratto di locazione in essere già regolarmente registrato, si ritiene che possa trovare applicazione l’imposta di registro in misura fissa pari a 67 euro.


Fonte articolo: IlSole24Ore.com, vetrina web

Subscribe to this RSS feed

La invitiamo a lasciare il suo numero di telefono per essere ricontattato.

Cliccando invia dichiari di aver letto ed accettato l'informativa sulla privacy