Non perde l'agevolazione "prima casa" chi costruisce un nuovo immobile

Non decade dall’agevolazione "prima casa" il contribuente che prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, venda la casa acquistata con il beneficio fiscale e che, nell’anno successivo alla vendita, si costruisca una nuova “prima casa”.


Questo quanto deciso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 13550 depositata ieri, 1° luglio.

 

 

La legge sull’agevolazione “prima casa” prescrive che la revoca dell’agevolazione a causa di alienazione infraquinquennale si evita se l’acquirente della “prima casa”, "entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici … proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale" (nota II-bis, comma 4, all’articolo 1, Tariffa parte prima allegata al Dpr 131/1986, Testo unico dell’imposta di registro).


La finanziaria da tempo (risoluzione n. 44/E del 16 marzo 2004) consente di ricomprendere, nel concetto di "acquisto" che evita la revoca dell’agevolazione “prima casa”, pure l’ipotesi della costruzione di una “abitazione principale” su un’area di proprietà del soggetto che abbia alienato nel quinquennio la casa acquistata con agevolazione.


Con la sentenza in esame (in scia con quanto la Corte di Cassazione aveva già sancito con la sentenza n. 24253/2015) questa interpretazione oltremodo estensiva riceve, dunque, anche l’avallo della giurisprudenza di legittimità: la tesi si giustifica per l’intento di non voler creare disparità di trattamento tra il caso di chi effettua il reinvestimento del ricavato dalla vendita di una abitazione acquistando la titolarità di un’altra “abitazione principale” mediante un’attività negoziale e il caso di chi invece vi provvede direttamente mediante un’attività “materiale”, e cioè costruendo la casa su un terreno di sua proprietà (non rileva che l’area sia acquistata prima o dopo la vendita né rileva che si tratti di un acquisto a titolo oneroso o di un acquisto a titolo gratuito).


Dato, dunque, che il “riacquisto” con effetto esimente dalla revoca dell’agevolazione non deve necessariamente beneficiare dell’agevolazione “prima casa” (esso infatti deve essere caratterizzato “solo” dalla peculiarità di avere a oggetto una casa da destinare ad “abitazione principale”), è plausibile ritenere che, quando il riacquisto è concretato non da un’attività negoziale ma da un’attività “materiale” (e cioè dall’esecuzione di lavori edili finalizzati alla costruzione dell’abitazione principale del contribuente in questione), esso possa consistere in uno qualsiasi dei seguenti eventi: 

a) nell’affidamento in appalto delle opere occorrenti; 
b) nell’esecuzione in economia dei lavori occorrenti; 
c) in interventi di nuova costruzione o di “recupero” di un manufatto preesistente.


Quanto alla durata di tali lavori, visto che si deve comunque trattare di un "riacquisto entro un anno" dall’alienazione infraquinquennale della casa acquistata con l’agevolazione “prima casa”, la finanziaria ritiene che entro un anno dalla alienazione della casa acquistata con l’agevolazione “prima casa” la nuova casa debba essere, se non proprio completamente “ultimata”, almeno giunta a quello stadio di realizzazione che consenta di ritenerla "venuta ad esistenza".


Ma non v’è chi non veda come questa pretesa di realizzazione, entro un solo anno, di un tale “rustico”, sia oltremodo eccessiva, in quanto è ben difficile che, in così poco tempo, una nuova costruzione possa trovarsi in uno stato talmente avanzato di realizzazione da essere appunto considerabile in termini di sua "venuta ad esistenza".


Fonte articolo: www.ediliziaeterritorio.IlSole24Ore, vetrina web

Londra vs UE: perchè le città europee possono avvantaggiarsi con Brexit



Rischi oppure opportunità? Quali sono gli scenari che Brexit mette sul tavolo per il mercato immobiliare? I pareri sono concordi nell’individuare incertezza nel breve periodo ma occasioni di acquisto ed equilibrio a lungo termine.


Premesso che molto dipende dalle mosse di Mario Draghi e dalla tenuta dell’Unione Europea, gli operatori del segmento immobiliare sono abbastanza concordi nel ritenere che, nel medio termine, ne possono essere avvantaggiate le principali capitali europee e il settore delle costruzioni.

 

 

In un primo momento Londra, così come altre città del Regno Unito che hanno catalizzando investimenti nell’ultimo periodo, potrebbero non risentirne più di tanto, anzi: secondo un sondaggio svolto a caldo da Scenari Immobiliari tra operatori del settore in Italia e in Europa, oltre tre quarti del campione ritiene che il deprezzamento della sterlina, il conseguente calo dei prezzi e la minore concorrenza tra investitori dovrebbe comportare un notevole aumento degli investimenti opportunistici a breve termine nel Regno Unito. Molti investitori che hanno puntato su Londra negli ultimi 36 mesi dovranno mettere in conto perdite, anche pesanti, nel breve.


"Il valore dei patrimoni immobiliari è sceso in pochi giorni per la svalutazione della sterlina – dice Paola Gianasso, vicepresidente di Scenari Immobiliari -. E chi ha liquidità si butterà sull’acquisto. Anche se molte società europee traslocheranno e cominceranno a licenziare". E la stessa immigrazione di qualità che Londra ha visto finora potrebbe ridursi. Il che significa meno domanda di case e di uffici. Secondo Credit Suisse, Brexit provocherà una immediata crescita dei rendimenti per gli uffici a Londra, conseguenza del taglio delle stime di crescita dei canoni. Non solo. Negli ultimi sei mesi la costruzione di uffici è salita del 28%, secondo un report di Deloitte, di cui il 48% non è affittato (il 6% dello stock). Una corsa dovuta alla domanda in crescita esponenziale degli ultimi anni. E se molte banche e gruppi sposteranno uffici e personale – alcune decisioni sono già state prese – in altre città come Parigi, Francoforte e Amsterdam (qui per i vantaggi fiscali che la città offre) lo sfitto nella capitale inglese aumenterà.


Anche Milano potrebbe beneficiare dalla situazione. Se saprà creare una infrastruttura fiscale, giuridica e tecnologia per accogliere nuove imprese. La concorrenza oggi non è più tra Stati ma tra città. E Milano ha le carte in regola per fare concorrenza a capitali come Madrid, ma sconta l’obsolescenza dello stock real estate. Ma anche Roma, potrebbero acquisire una maggior centralità nella vision degli investitori internazionali e delle multinazionali interessate ad avere headquarters nell’area UE.
Più difficile prevedere cosa accadrà nel lungo termine. Molti esperti ritengono che il mercato ritroverà il suo equilibrio. Sono la minoranza a credere che si verificherà un crollo degli investimenti nel Regno Unito.


Secondo Jll per i mercati immobiliari, la correzione iniziale potrebbe essere più severa, ma dovrebbe essere seguita da una ripresa quando riemergeranno opportunità nei mercati core (a reddito) del Regno Unito e i benefici di una sterlina debole saranno riconosciuti. "È probabile che ci sia una rettifica dei capital value negativa nei prossimi due anni (stimata fino al -10% con rendimenti che si potranno scostare di circa 50 punti base) - dice Chris Ireland, ceo di Jll UK -. È previsto anche che il mercato residenziale si raffreddi, nonostante i tassi di interesse più bassi". Ma il mercato immobiliaresi sa ha cicli lunghi.


Fonti articolo: Ilsole24ore.com, Quifinanza.it

Dopo 7 anni il Pil dell'edilizia torna a crescere anche al Sud

L'Istat non lo dice, ma la lettura sembra evidente: l'accelerazione della spesa per investimenti legati all'ultimo anno della programmazione 2007-2013 (in gran parte concentrati nelle Regioni "convergenza": Sicilia, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata) ha invertito la rotta dell'edilizia nel Mezzogiorno. 
Dopo sette anni di cali ininterrotti il Pil nel Sud Italia ha registrato per la prima volta, lo scorso anno, un recupero in valori reali, pari al +1,0%, leggermente superiore al dato nazionale del Pil (+0,8%).


I dati emergono dalla "Stima preliminare del Pil e dell'occupazione a livello territoriale", dati resi noti ieri dall'Istat. 



Nei numeri complessivi del Pil le variazioni fra territori sono modeste: nel 2015 il Prodotto interno lordo (Pil), a valori concatenati, ha infatti registrato un aumento identico a quello nazionale nel Nord-est (+0,8%), più modesto nel Centro (+0,2%) e lievemente superiore alla media nazionale nel Nord-ovest (+1,0%) e nel Mezzogiorno (+1,0%).


Le differenze si fanno invece marcate nel settore delle costruzioni. Nel Centro-Nord la crisi dell'edilizia è proseguita, con -1,4% nel valore aggiunto (Pil), mentre nel Sud la situazione è stata speculare, con una crescita del +1,4% rispetto al 2014. La media nazionale delle costruzioni è del -0,7%, dunque il Sud ha fatto meglio per 2,1 punti percentuali.
In realtà, per le costruzioni, il Nord non è stato tutto uguale. Nel Nord-Ovest la ripresa è già partita nel 2015, con Pil a +1,2%, un dato simile al +1,4% del Sud. Forti invece i cali del Nord-Est (-2,7%) e ancora peggio al Centro (-4,1%).


Per quanto riguarda l'occupazione, invece, la situazione in edilizia (ancora perdita di occupati per l'1,6%) è peggiore della media nazionale (+0,6%). 
Ancora una volta, però, il Sud fa da locomotiva, con +1,6% di occupazione in edilizia nel 2015, mentre il Centro-Nord nel suo complesso (sempre edilizia) ha fatto -2,9%. Con differenze regionali, ma senza eccezioni al segno meno: il Nord-Ovest, che pure nel Pil delle costruzioni è cresciuto dell'1,2%, nell'occupazione è sceso dello 0,2%. Ancora peggio nel Nord-Est (occupazione -4,2%) e al Centro (-5,3%).


Fonti articolo: Ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com

Il direttore dei lavori è responsabile dei difetti di costruzione

Tutti responsabili per i difetti di costruzione del condominio: lo stabilisce l’articolo 1669 del Codice civile in materia di rovina e difetti di cose immobili, che presuppone un genere di responsabilità nella quale incorre certamente l’appaltatore che ha materialmente edificato il fabbricato, ma anche tutti quei soggetti che, a vario titolo, hanno concorso alla realizzazione dell’opera, in particolare, il progettista e il direttore dei lavori che hanno concorso alla determinazione dell’evento dannoso.


Un principio richiamato dalla Cassazione con la sentenza 8700/2016.

 

Con specifico riferimento a quest’ultima figura professionale, infatti, per il direttore dei lavori - nominato dal committente o dall’appaltatore - la responsabilità assume i contorni di quella extracontrattuale, pertanto, può anche concorrere con quella di questi ultimi ma solo quando le rispettive azioni o omissioni, costituiscono autonomi fatti illeciti che hanno contribuito causalmente a produrre l’evento dannoso.


Il direttore dei lavori, quindi, in particolare quando viene nominato dall’appaltatore, risponde del fatto dannoso cagionato sia qualora non si accorga del pericolo, sulla scorta dell’esigibile capacità tecnica e perizia applicabile al caso concreto, ma anche qualora ometta di assegnare le dovute direttive, eventualmente esprimendo anche il suo dissenso nella prosecuzione dei lavori qualora non venissero concretamente seguite.
Tali principi sono stati espressi dalla II sezione civile della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 8700, pubblicata in data 3.05.2016, relatore Orilia.


IL CASO

Il condominio citava in giudizio l’impresa costruttrice, nonché venditrice dell’immobile in condominio, per ottenere il risarcimento dei danni da infiltrazioni d’acqua e umidità. Nel costituirsi in giudizio, questa negava ogni responsabilità ritenendo che i danni, ove effettivamente esistenti, fossero imputabili in via esclusiva al progettista nonché direttore dei lavori, chiedeva pertanto la sua chiamata in causa.


Dopo i gradi di merito la causa arriva in Cassazione, che afferma: "Costituisce obbligazione del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica e pertanto egli non si sottrae a responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente".


E queste responsabilità sarebbero emerse chiaramente dalla Ctu, né il direttore dei lavori si sarebbe potuto avvalere del "principio dell’esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini (...) si attaglia, ricorrendone determinate condizioni, alla figura dell’appaltatore, ma non a quella del direttore dei lavori il quale - come si è visto - assume, per le sue peculiari capacità tecniche, precisi doveri di vigilanza correlati alla particolare diligenza richiestagli: ragionare diversamente significa negare in radice la figura del direttore dei lavori".


Inoltre, prosegue la Cassazione, con riferimento al direttore dei lavori nominato dall’appaltatore "è stato altresì precisato che egli risponde del fatto dannoso verificatosi sia se non si è accorto del pericolo, percepibile in base alle norme di perizia e capacità tecnica esigibili nel caso concreto, che sarebbe potuto derivare dall’esecuzione delle opere, sia se ha omesso di impartire le opportune direttive al riguardo nonché di controllarne l’ottemperanza, al contempo manifestando il proprio dissenso alla prosecuzione dei lavori stessi ed astenendosi dal continuare la propria opera di direttore se non venissero adottate le cautele disposte".


Siamo, quindi, davanti a una responsabilità extracontrattuale da valutare alla stregua della diligenza e competenza professionale esigibile in questi casi, che può anche concorrere con quella del committente e dell’appaltatore "se le rispettive azioni o omissioni, costituenti autonomi fatti illeciti, hanno contribuito causalmente a produrlo". 


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web

L'economia circolare per edifici smart e le proposte dell'Ance

Una casa circolare. Costruita (o recuperata) con strutture prefabbricate e riutilizzabili. Progettata con moduli a strati, intercambiabili, che permettono flessibilità nella disposizione delle pareti, dell’impiantistica degli arredi. Modificabile nel taglio degli spazi, nell’ottica di rendere possibile una nuova eventuale suddivisione delle stanze.


Efficiente e capace di riciclare e trattare le acque piovane. Domotica, smart e dotata di elettrodomestici intelligenti, che dialogano fra di loro. Abitata condividendo una parte degli spazi, in modo innovativo. In grado di produrre al suo interno il cibo, come una vertical farm.

È il risultato che potrebbe scaturire dall’applicazione dell’economia circolare all’edilizia. Un’opportunità che, tradotta in termini di mercato e dopo anni di pesante crisi del settore, potrebbe generare ricavi per 1.010 miliardi entro il 2030, secondo le stime di una ricerca sviluppata quest’anno da McKinsey, Ellen McArthur Foundation e Sun. Di questo valore, circa 90 miliardi potrebbero interessare il comparto immobiliare italiano: spalmato negli anni, significa circa 6 miliardi l’anno di risparmi traducibili in potenziali investimenti.


Che il recupero e la riqualificazione siano la strada maestra per il futuro del mattone è un dato ormai assodato. Che occorra spingere sull’efficienza è addirittura un diktat. Rispetto a questi orizzonti, però, l’economia circolare si spinge più in là. Applicata alla costruzione e riqualificazione degli immobili significa mettere a punto nuovi processi produttivi, che impiegano la tecnologia per garantire alti gradi di efficienza a costi sostenibili.


L'IDEA DELL'ECONOMIA CIRCOLARE APPLICATA ALL'EDILIZIA

"Oggi l’industria delle costruzioni spreca il 57% del proprio tempo produttivo mentre in media, in Europa, il 54% dei materiali che derivano dalla demolizione vengono conferiti in discarica", spiega Thomas Miorin, fondatore di REbuild, evento che si occupa di innovazione per la riqualificazione e gestione immobiliare e che nell’edizione in programma il 21 e 22 giugno prossimi a Riva del Garda metterà al centro della riflessione proprio il tema dell’economia circolare nell’edilizia e che avrà fra i suoi ospiti David Cheshire, autore della pubblicazione Building Revolutions.


"Riutilizzare i materiali già esistenti e progettare pensando all’edificio come fosse una banca di materiali e di componenti e immaginando già una flessibilità futura è uno dei grandi obiettivi da raggiungere – prosegue Miorin -. Così come pensare a nuovi modelli anche per la gestione degli spazi". Sempre secondo la ricerca realizzata da McKinsey, il 60% degli immobili utilizzati per ufficio e il 50% delle abitazioni sono ritenute, dalle persone che li occupano, spazi troppo grandi per l’uso effettivo che se ne fa.


Esistono già esempi concreti. La F87 (Efficiency house plus with electromobility), inaugurata un anno fa nel cuore di Berlino è il frutto di anni di ricerca di un team interdisciplinare di architetti, ingegneri e universitari, capeggiato dal professor Werner Sobek, direttore Ilek (Institut für Leichtbau Entwerfen und Konstruieren) ed è un esempio di immobile realizzato con un sistema costruttivo che ne permette lo smantellamento e il riciclaggio completo al termine del suo ciclo di vita.


LE PROPOSTE DELL'ANCE

Durante il convegno "Verso il futuro. Idee e strategie per governare il cambiamento", organizzato in occasione del Settantennale della fondazione dell'Ance, è emersa la necessità di una nuova politica urbana in Italia, per far recuperare competitività ai nostri territori e migliorare la qualità della vita dei cittadini. L'associazione ha colto l'occasione per illustrare una serie di proposte - da inviare al governo - per trasformare le città in motori di sviluppo.


L'Ance ha individuato alcune proposte per delineare strumenti utili all'avvio di una nuova politica urbana in Italia che punti alla riqualificazione del patrimonio esistente e alla trasformazione delle città.


Tre leve per la rigenerazione urbana

- Risorse: programmazione organica e efficace dei fondi pubblici disponibili;
- fisco: misure per garantire la convenienza economica degli interventi di riqualificazione;
- norme: semplificazione delle procedure urbanistiche e certezza dei tempi.


Un nuovo approccio per l’utilizzo dei fondi pubblici

- Cambiare approccio e ragionare in termini di veri fabbisogni e non di finanziamenti disponibili;
- evitare logiche di distribuzione a pioggia delle risorse;
- realizzare interventi in grado di migliorare la qualità della vita e far crescere l’attrattività delle città.


Fisco come motore della riqualificazione urbana

Si deve premiare la domanda di prodotti nuovi o riqualificati di elevata qualità energetica, strutturale e architettura:

- sostituzione edilizia. Occorre incentivare fiscalmente la sostituzione edilizia estendendo il bonus irpef per la riqualificazione agli interventi di demolizione e ricostruzione anche in presenza di aumenti volumetrici, purché comportino un miglioramento dell’efficienza energetica dell’edificio;

- rottamazione vecchi edifici. bisogna ridurre il carico fiscale (imposte di registro e ipo catastali fisse) nelle operazioni di permuta tra gli edifici vecchi e nuovi e nel trasferimento di immobili a imprese che si impegnino a realizzare o riqualificare edifici ad elevati standard energetici;

- case ad alta efficienza energetica. E’ necessario prorogare la detrazione irpef pari al 50% dell’iva sull’acquisto di abitazioni in classe a o b, per eliminare la disparità di trattamento fiscale tra abitazioni vecchie ed energivore e quelle nuove e più efficienti.Vanno stabilizzati e rimodulati gli incentivi sulla riqualificazione e gli ecobonus premiando gli interventi che consentono di ottenere i migliori risultati di risparmio energetico;

- capitali privati per la riqualificazione. Detassare i dividendi di chi investe nel capitale di rischio di imprese impegnate in operazioni di rigenerazione delle città.


Semplificazione delle procedure e certezza dei tempi

Per incentivare l’attività sulla città costruita è necessario rendere gli interventi di demolizione e ricostruzione agevoli, diffusi ed economicamente sostenibili e c​oncepire la sostituzione del patrimonio edilizio come strumento ordinario di intervento sul territorio, essenziale nella prospettiva di contenere il consumo di nuovo suolo attraverso:

​- demolizione e ricostruzione per rendere semplici e convenienti gli interventi di sostituzione edilizia bisogna superare la rigidità delle disposizioni in tema di altezze, distanze, densità edilizia e prevedere una riduzione degli oneri concessori da versare al comune;

- ristrutturazione edilizia: consentire che la modifica dei prospetti sia classificata come «ristrutturazione leggera» e determinare i costi di costruzione da versare al comune in proporzione al miglioramento dell’efficienza energetica degli immobili;

- cambi di destinazione d’uso: ripensare l’utilizzo degli immobili in linea con le nuove esigenze dei cittadini, rendendo più flessibili i cambi di destinazione d’uso o eliminando quelle prescrizioni che di fatto li rendono impossibili;

- frazionamenti/accorpamenti: superare le possibili esclusioni previste dalle regolamentazioni locali per l’esecuzione di interventi di frazionamento/accorpamento delle unità immobiliari.


Fonti articolo: Idealista.it, Casa24.ilsole24ore.com

Le proposte dell'Ance al Governo per far ripartire le costruzioni

Incentivare la "rottamazione" dei vecchi edifici, attraverso bonus fiscali e semplificazioni, per dare sostanza all'obiettivo di ridurre il consumo di suolo e rilanciare le città.


In una brutale sintesi è questa la proposta avanzata dai costruttori al Governo in un articolato documento che fa il punto sugli investimenti (spesso fallimentari: vedi Piano città 2012) messi in campo per la riqualificazione urbana. 

 

La richiesta è di scommettere con decisione sugli interventi di demolizione e ricostruzione per rinnovare il patrimonio edilizio, adeguandolo ai nuovi standard di efficienza energetica, e mettere così anche un po’ di benzina nel motore dei cantieri che tarda a riaccendersi. Negli ultimi mesi del 2015 eravamo più ottimisti sulla ripresa economica, invece, nei primi dati di quest'anno vediamo luci ed ombre e siamo un po' preoccupati", spiega il presidente dell’Ance Claudio De Albertis. 


LE PROPOSTE

Una nuova politica urbana sarebbe il canale privilegiato per coniugare gli obiettivi di ripresa delle attività nei cantieri con quelli di rilancio delle città, anche nella chiave di "competitività" su cui sta lavorando ora i il Governo. 

Al primo posto ci sono gli interventi per facilitare gli interventi di demolizione e ricostruzione. "La strategia migliore", dice De Albertis, per intervenire su un patrimonio in gran parte obsoleto (e non solo in campo privato , vedi le scuole) e che invece viene ostacolata sia sul piano economico (richiesta di costi di costruzione pari al nuovo) che procedurale (autorizzazioni e distanze).


La proposta in questo caso è quella di confermare ed estendere i bonus fiscali all’edilizia (50-65%) anche agli interventi di sostituzione che prevedono un aumento di volumetria, nel caso in cui questa possibilità sia prevista da norme locali, magari come premio per l’incremento di efficienza energetica. "In questo modo si raggiungerebbe anche l’obiettivo di collegare gli ecobonus al miglioramento effettivo delle performance degli edifici" e non solo all’acquisto di singoli prodotti, dice De Albertis, raccogliendo un’istanza su cui spingono molto i giovani imprenditori del settore, convinti che gli interventi diretti ad aumentare in modo misurabile l’efficienza del patrimonio siano anche la chiave per il rilancio del settore.
Allo stesso tempo andrebbero ridotti di almeno il 20% i contributi relativi al costo di costruzione, rispetto a quelli previsti per le nuove realizzazioni, riducendo la richiesta di oneri di urbanizzazione ai soli casi di aumento effettivo del carico urbanistico. Cosa che, ad esempio, non accade quando si demolisce un fabbricato residenziale senza cambiarne la destinazione. 


Con lo stesso obiettivo l’Ance chiede poi di confermare per almeno tre anni la detrazione Irpef commisurata al 50% dell'Iva pagata per l'acquisto di abitazioni ad alta efficienza (classe A e B), introdotta dall’ultima Legge di Stabilità con scadenza a fine 2016, e di incentivare le operazioni di permuta immobiliare, prevedendo una tassazione agevolata (imposte di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa) per le imprese che prendono in carico un edificio usato nell’operazione di compravendita impegnandosi a ristrutturarlo, migliorandone le performance, e a rimetterlo sul mercato entro cinque anni.


L'aumento delle transazioni per l’edilizia residenziale e della richiesta dei mutui, ha aggiunto De Albertis, non deve ingannare: "Interessa per lo più case esistenti e non il nuovo, genera volumi, ma non investimenti" con ricadute sulla qualità degli edifici e delle città.
Performance peggiori del previsto, per l’Ance, arrivano anche dall'andamento dei lavori pubblici, prima dell’entrata in vigore del Dlgs 50/2016 che ha riformato il sistema degli appalti. Dagli ultimi dati emerge infatti che dopo la crescita registrata nel biennio 2014-2015, nei primi tre mesi dell'anno i bandi per lavori pubblici segnano un calo del 13,5% nel numero di gare e del 35,4% degli importi a base d'asta (1,7 miliardi in meno dell'anno scorso).


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web

Catasto e valore casa: nuova riforma entro il 2018


Il catasto torna nell’agenda delle riforme, ma con cautela. Il Def varato venerdì 8 aprile dal Consiglio dei ministri menziona espressamente "la revisione dei valori catastali", ma subito avverte che l’operazione "sarà oggetto di interventi più generali e organici" da effettuare «al termine di complesse operazioni di allineamento delle basi dati. 
Nel cronoprogramma del Piano nazionale delle riforme viene indicato il triennio 2016-18, senza specificazioni.


Comunque, questo pare il termine per completare l’integrazione e la pulitura dei database, e non la riforma vera e propria, anche considerando che i tecnici delle Entrate avevano ipotizzato cinque anni per perfezionare la revisione generale. E questa è anche la posizione del vicedirettore delle Entrate, Gabriella Alemanno.

 

Ciò che emerge dal Def è che il Governo resta convinto della necessità di riformare un catasto ormai vecchio di decenni, ma anche consapevole della delicatezza della revisione. L’allineamento delle banche dati – si legge – serve a "valutare in modo accurato gli effetti di gettito e distributivi sui contribuenti". Il che è un modo per dire che con la riforma alcuni proprietari vedranno crescere parecchio il valore catastale della propria casa, e pagheranno più imposte. 
È evidente che il problema è capire "quanti" proprietari e "quante" imposte. Finché si tratta dei furbetti che hanno ristrutturato l’abitazione senza informare gli uffici del Territorio o dei fortunati che vivono in case in centro accatastate come “ultrapopolari”, non c’è molto da discutere: tutti sono d’accordo che in questi casi si dovrà pagare qualcosa in più (anche per consentire di abbassare le imposte a chi è penalizzato da rendite eccessive).


Ma il rischio di forti aumenti di valore – e di conseguenti rincari fiscali – è molto più esteso. Nell’ambito della stessa città e tra una città e l’altra. Il Comune di Milano, ad esempio, oggi è diviso in tre grandi zone censuarie, a cerchi concentrici: ma chiunque conosca il mercato cittadino sa che i prezzi delle case cambiano notevolmente anche spostandosi di pochi metri, e spesso le rendite oggi in vigore non sono in grado di cogliere queste differenze. In più bisogna considerare che le tariffe d’estimo dell’attuale sistema catastale fotografano il mercato immobiliare del biennio 1988-89, mercato che è cambiato in modo diseguale tra le diverse aree cittadine: così, sempre a Milano, per la categoria A/2 le tariffe d’estimo della zona 1 (la più centrale) sono mediamente 2,6 volte più elevate di quelle della zona 3 (la più periferica), mentre i prezzi delle case spesso hanno un divario più marcato. Risultato: chi possiede case in centro, dopo la riforma vedrà crescere il loro valore fiscale molto di più di chi vive in periferia.


C’è poi il divario tra un Comune e l’altro, che ripropone – in grande – la dinamica tra quartieri della stessa città. Anche qui vale la considerazione che, rispetto alla fine degli anni Ottanta, i prezzi sono cresciuti di più in alcuni centri e di meno in altri, andando a creare forti discrepanze diverse tra quotazioni di mercato e valori fiscali. 
Per rendersene conto basta guardare l’elaborazione del Sole 24 Ore del lunedì, che combina le Statistiche catastali pubblicate nel 2015 con i prezzi medi rilevati da Nomisma riferiti al primo semestre 2015. A Pistoia la casa-tipo ha un valore di mercato che è il 267% più alto di quello catastale, mentre a Pordenone lo scarto è di appena il 15 per cento. La ricaduta pratica è che oggi – a parità di aliquote e regole comunali – nelle città in cui lo scarto è più alto i proprietari tendono ad avere una pressione fiscale più bassa in rapporto al valore di mercato degli immobili. Al contrario, dove lo scarto è basso, si pagano le tasse su un valore che è quasi quello di mercato.


È chiaro che riallineare i valori catastali ai prezzi di mercato lascerebbe ad alcuni sindaci una base imponibile molto più alta, con il rischio di forti rincari, a meno di non introdurre un qualche sistema di "cap". Ed è proprio sull’applicazione di questa clausola anti-rincari che si erano avute le polemiche più forti la scorsa estate.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web.

Criteri di classamento immobili motivati, altrimenti l'atto è nullo


Accertamenti catastali a rischio di nullità se non adeguatamente motivati: è il principio ormai costante che emerge dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, chiamata spesso, negli ultimi tempi, ad affrontare cause legate alle rettifiche operate dalla ex agenzia del Territorio. 


Il classamento di un immobile è necessario per l’attribuzione della rendita catastale, che di fatto, esprime il valore di ogni unità.

 

A questo fine, occorre considerare sia le singole caratteristiche dell’immobile (come ad esempio la dimensione, l’epoca di costruzione, la struttura e la dotazione impiantistica, la qualità e lo stato edilizio, la presenza di pertinenze comuni o esclusive, il livello di piano), sia il contesto in cui è ubicato (riscontrando il grado di urbanizzazione dell’area circostante, la presenza di infrastrutture o la vicinanza alle principali vie di comunicazione). In sintesi dunque, ogni unità immobiliare è qualificata con una determinata categoria e, in relazione alla “qualità” dell’immobile, con una specifica classe. 


Per ogni Comune è stabilita una tariffa per ogni classe che, moltiplicata per la dimensione del fabbricato (vano, metro quadrato o metro cubo) dà la rendita catastale. Gli uffici, per “aggiornare” questo valore possono rettificare la rendita sia di un singolo immobile, sia di tutte le unità presenti in un determinato quartiere o zona. Le cause che rendono necessario un riclassamento sono riconducibili a due categorie:

- la variazione subita dalla microzona comunale in cui è ubicato l’immobile, come ad esempio il miglioramento della viabilità, la realizzazione di scuole, ospedali; 
- l’esecuzione di opere a cura del possessore, volte alla ristrutturazione del fabbricato. 


Per la Cassazione (sentenza 6593/2015), a prescindere dall’impulso che ha dato avvio alla procedura di classamento, questa attività è (e resta) una procedura "individuale", che va effettuata considerando i fattori posizionali ed edilizi pertinenti a ciascuna unità immobiliare. Si tratta così di un unico criterio che consente di identificare il "parametro globale di apprezzamento" del fabbricato stesso.
Gli atti di accertamento catastali, sebbene possano dipendere da vari fattori, spesso riportano una motivazione sintetica e schematica che difficilmente risponde ai requisiti minimi per la validità dell’atto. 


La Suprema corte ha da tempo dichiarato la nullità degli atti privi di motivazione poiché questa ha carattere sostanziale e non solo formale: non si tratta infatti di un elemento utile solo a provocare la difesa del contribuente, ma circoscrive l’eventuale successivo giudizio (sentenza 20251/2015). La Ctr di Milano, sezione staccata di Brescia (sentenza 1043/67/2016), in virtù di questo principio, ha affermato che la motivazione “integrata” nella costituzione dell’ufficio, quindi dopo l’emissione dell’avviso di accertamento, non consente al contribuente di difendersi e pertanto l’atto è nullo (in questo senso anche Ctp Milano, sentenza 1419/12/2016).


Per la Ctr di Roma (sentenza 1075/21/16), non può ritenersi congruamente motivato il provvedimento che faccia riferimento a un generico scostamento del valore dell’immobile ovvero a non precisate opere edilizie eseguite. 
Occorre così che il provvedimento, per garantire il diritto di difesa, contenga:

- la menzione dei rapporti tra valore di mercato e catastale nella microzona di riferimento, qualora la modifica sia stata avviata su richiesta del Comune; 
- l’indicazione delle trasformazioni edilizie; 
- l’indicazione dei fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li rendono simili all’unità oggetto di riclassamento, quando l’atto sia conseguente a un aggiornamento o a un’incongruità rispetto ad altri immobili (sentenza 23247/2014). 


Il contribuente quindi, dovrà comprendere i motivi della variazione eseguita dall’ufficio, per riscontrarne la correttezza ed eventualmente decidere di ricorrere al giudice tributario.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web.

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