Se si affitta la "prima casa" si perdono le agevolazioni?

La legge italiana prevede una serie di agevolazioni per l'acquisto della prima casa, ossia per l'acquisto di un'abitazione da parte di una persona che, prima di allora, non sia proprietario di altri immobili.


Tali agevolazioni sono di natura fiscale e riguardano principalmente le imposte da pagare al momento della compravendita.

La normativa riguardante l'agevolazione per acquisto della prima casa è particolarmente articolata. Vanno sicuramente tenuti in considerazioni i testi di legge che la disciplinano, ma fondamentale importanza a tali fini è da attribuirsi anche alle circolari emanate nel corso del tempo dell'Agenzia delle Entrate.


Partiamo dal concetto di prima casa: essa non è necessariamente l'abitazione utilizzata per dimorarvi, quanto piuttosto il primo immobile ad uso abitativo che viene acquistato da una determinata persona umana.
Come ricorda l'Agenzia delle Entrare nella propria guida sull'acquisto della casa, le categorie ammesse alle agevolazioni prima casa sono:

- A/2 (abitazioni di tipo civile)

- A/3 (abitazioni di tipo economico)

- A/4 (abitazioni di tipo popolare)

- A/5 (abitazioni di tipo ultra popolare)

- A/6 (abitazioni di tipo rurale)

- A/7 (abitazioni in villini)

- A/11 (abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi)


Come precisato dal d.p.r. n. 131 del 1986, "l'immobile deve essere situato nel Comune in cui l'acquirente abbia o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all'estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l'acquirente sia cittadino italiano emigrato all'estero, che l'immobile sia acquistato come prima casa sul territorio italiano".


Essere acquirente della "prima casa" non vuol dire dover necessariamente stabilire la residenza in quell'abitazione. La legge è chiara sul punto: la residenza dev'essere fissata nel Comune in cui è situato l'immobile, non nell'immobile medesimo.


In questo contesto, è sempre l'Agenzia delle Entrate a specificarlo, "la locazione dell'immobile acquistato con l'agevolazione non comporta la decadenza della stessa, in quanto, non si ha la perdita del possesso dell'immobile" (Fonte: Agenzia delle Entrate).


Leggermente diverso il caso di locazione della prima casa che sia anche abitazione principale: in quest'ultima ipotesi l'immobile acquistato non è solamente il primo ad essere acquistato, ma l'acquirente vi fissa (o dichiara che lo farà) la propria residenza ai fini della fruizione di ulteriori benefici fiscali (es. detrazione interessi passivi mutui, esenzione IMU).
Secondo l'indicazione che si può desumere da una circolare del Ministero delle finanze, sebbene sia possibile la locazione parziale (es. una o più stanze), tale contratto potrebbe far venire meno, parzialmente, l'esenzione IMU.


Si legge nella circolare: "particolare risulta l'ipotesi dell'abitazione principale “parzialmente locata” trattandosi al tempo stesso di un immobile non locato per la parte adibita ad abitazione principale e di un immobile locato per la rimanente parte. In tal caso si ritiene, sulla falsariga delle scelte interpretative operate ai fini IRPEF fino al 31 dicembre 2011, che debba applicarsi la sola IMU nel caso in cui l'importo della rendita catastale rivalutata del 5% risulti maggiore del canone annuo di locazione (abbattuto della riduzione spettante ovvero considerato nel suo intero ammontare nel caso di esercizio dell'opzione per la cedolare secca)" (circolare n. 3/DF Ministero dell'Economia e delle Finanze).


Fonte articolo: Idealista.it

Aliquote massime Imu su case in affitto nel 50% dei capoluoghi

Più della metà dei Sindaci, 56% su 106, delle città capoluogo di provincia applica l’aliquota massima dell’Imu (ovvero il 10,6 per mille) alle abitazioni locate a canone di mercato.


Tre punti in più rispetto al livello minimo del 7,6 per mille. 

 

A beneficiare del livello più basso dell’imposizione, invece, sono molti di meno: solo i proprietari in cinque Comuni (Gorizia, Piacenza, Nuoro, L’Aquila e Teramo, questi ultimi due terremotati.
La geografia variegata di quelli che si sono attestati al massimo dell’imposta spazia da Bergamo a Benevento, da Crotone ad Asti, da Potenza a Pavia. Delle quattordici città metropolitane solo Milano, Cagliari, Venezia e Napoli hanno deciso di non stare con il gruppo di testa nella graduatoria delle aliquote.


Questo allineamento in alto della maggioranza dei Sindaci nella tassazione delle abitazioni affittate a canone di mercato anche per il 2017 è dovuto alla necessità di ottenere il massimo gettito per aiutare i bilanci traballanti; in un certo numero di casi, però, può avere influito anche la volontà di creare un cuscinetto finanziario da usare, a fini sociali, per abbassare le aliquote su immobili destinati ad altri usi. Una buona metà dei Comuni, poi, non distingue tra canoni di mercato e canoni concordati. E tra questi, in molti, alle abitazioni locate a canone libero si applica l’aliquota massima.


A Bari, Pisa, Vicenza, Pavia e Livorno, le aliquote per i canoni concordati sono almeno dimezzate rispetto a quelle applicate alle altre abitazioni affittate a canone libero; in una trentina di città la differenza è di almeno il tre per mille.
Alcuni Comuni applicano anche più di un’aliquota: ad Asti i proprietari disposti ad affittare ai livelli più bassi dei canoni previsti dagli accordi territoriali pagano l’Imu al 5,6 tre punti in meno rispetto a chi stipula ai livelli massimi (sempre concordati).


Dall’analisi del Sole 24 Ore del Lunedì sulle aliquote Imu 2017 nei 106 capoluoghi di provincia emerge che i Sindaci anche quest’anno non hanno usato molto questa leva fiscale per tentare di accrescere l’offerta di case in affitto.
Per differenziare le aliquote avrebbero potuto applicare la maggiorazione Tasi (fino al 2,5 per mille) concessa anche per il 2017 dalla Legge di Bilancio. Qualcuno si è avvalso di questa possibilità, ma sembrerebbe più con obiettivo di far cassa che per altro. Hanno, infatti, applicato la Tasi sia agli alloggi locati (anche a canone concordato) sia a quelli sfitti, rendendo quindi indifferente, sul piano della tassazione comunale, per i proprietari affittare o non affittare.


Tra gli altri Comuni che non hanno l’aliquota massima per le abitazioni affittate, quattro su dieci hanno cercato di disincentivare lo sfitto rendendo più pesante l’imposta. Considerando la somma di Imu e Tasi, il proprietario di una casa sfitta deve calcolare l’imposta comunale con un’aliquota più alta oscillante tra il 3 per mille di Piacenza e Teramo e il 4 di Ravenna, Ferrara e Belluno. Ma dei 23 consigli comunali che hanno deliberato in questa direzione, più della metà penalizza lo sfitto con una differenza di aliquota minima, che non supera l’uno per mille.


Per accrescere l’offerta di case a prezzi calmierati, una mano più sostanziosa può averla data la norma statale che riduce del 25% l’Imu su questi immobili se locati come abitazioni principali.


Fonte articolo: IlSole24ore

Se l'affitto è in nero, l'inquilino paga un'indennità, non il canone

Salva la norma con cui il legislatore ha inteso tutelare l'affidamento del conduttore.


Il locatore non può agire contro l'inquilino per ottenere la differenza tra quanto versato e quanto pattuito, giacché il triplo della rendita catastale equivale all'indennità di occupazione stabilita dalla legge e non rappresenta un canone di affitto.

 

In tema di tardiva registrazione del contratto di locazione, la Consulta considera legittimo l'art. 13 c. 5 legge 431/1998, così come novellato dalla Legge diSstabilità 2016,"salvando" gli inquilini che avevano registrato tardivamente il contratto e "auto-ridotto" l'affitto.
Secondo il giudice delle leggi, non si tratta di un canone locatizio, ma di un'indennità di occupazione; inoltre, la norma di cui sopra non ripropone quella caducata dalla precedente declaratoria di illegittimità ed, infine, il pregiudizio economico patito dal locatore è "non irragionevole"(Corte Costituzionale, ordinanza n. 238 del 2017).


La vicenda. Il locatore agisce in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Palermo, nei confronti del conduttore al fine di ottenere una condanna al pagamento della differenza tra quanto effettivamente pattuito e quello che l'inquilino aveva versato. Il conduttore, infatti, si era "auto-ridotto" il canone.
Tuttavia non si trattava di un atto arbitrario,giacché l'inquilino, denunciando l'affitto in nero, si era avvalso di quanto disposto dall'art. 13 legge 431/1998.


Infatti, secondo la legge, il conduttore che consenta l'emersione di un contratto non registrato è autorizzato a versare il corrispettivo nella minor misura pari al triplo della rendita catastale. Il Tribunale di Palermo solleva una questione incidentale di legittimità costituzionale su quanto disposto dall'art. 1 comma 59 legge 208/2015 (legge di stabilità 2016) nella parte in cui ha sostituito l'art. 13 della legge 431/1998.
Secondo il giudicante, la citata norma, così come emendata, sarebbe in contrasto con una precedente declaratoria di illegittimità costituzionale, pronunciata sull'art. 3 comma 8 del d. lgs. 23/2011 (legge sulla "cedolare secca").


Per meglio comprendere il complesso quadro giuridico, occorre fare un passo indietro ed analizzare le precedenti pronunce di illegittimità costituzionale.
Interventi della Corte Costituzionale in ambito locatizio. Nel 2014 la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 3, commi 8 e 9, del d. lgs 23/2011 (legge della "cedolare secca").
La norma in commento consentiva all'inquilino, che denunciava il contratto locatizio in nero, di ottenere una significativa riduzione del canone.


Nondimeno, secondo la Corte Costituzionale, tale disposizione non poteva produrre effetti sananti in pregiudizio degli interessi del locatore. In buona sostanza, la norma che consente all'inquilino l'auto-riduzione del canone nella misura del triplo della rendita catastale è discriminatoria nei confronti dei locatori e lesiva del diritto di proprietà (Corte Cost. 50/2014; Corte Cost.169/2015). La Consulta, quindi, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 3, commi 8 e 9, d. lgs 23/2011, che è da considerarsi caducato.


Conseguenze della declaratoria di illegittimità costituzionale. Gli inquilini che dal 2011 (anno di entrata in vigore dell'art. 3 comma 8 del d. lgs 23/2011) al 16 luglio 2015 (data della pronuncia di incostituzionalità n. 169/2015) avevano versato un corrispettivo pari al triplo della rendita catastale - in ossequio ad una precisa disposizione di legge (ossia del succitato art. 3 comma 8 d. lgs 23/2011) - si trovavano scevri di tutela ed erano esposti alle pretese del locatore, il quale aveva titolo per chiedere la corresponsione della differenza tra quanto versato (vale a dire il triplo della rendita) e quanto concordato nel contratto.


In buona sostanza, a causa dell'intervento caducante della Corte Costituzionale, i conduttori che avevano denunciato l'affitto in nero e auto-ridotto il canone, rischiavano di subire la richiesta della differenza da parte del proprietario di casa.
Soluzione "tampone" adottata dal legislatore. Visto il caotico quadro normativo venutosi a creare a seguito delle su ricordate sentenze della Consulta, il legislatore è intervenuto sostituendo l'art. 13 della legge 431/1998, con quanto disposto dall'art. 1 comma 59 legge 208/2015 (legge di stabilità 2016).


La norma cerca di chiarire la situazione originata dalla declaratoria di incostituzionalità. Secondo la citata disposizione, l'inquilino che provvede a registrare il contratto, ha correttamente auto-ridotto il canone, almeno sino al 16 luglio 2015.
In altre parole, sino alla data indicata, il conduttore non deve alcuna somma ulteriore al locatore rispetto a quanto versato (ovverosia il triplo della rendita catastale).


Riassumendo, dal 7 aprile 2011 al 16 luglio 2015, il conduttore che abbia registrato il contratto, facendo emergere il sommerso, ha correttamente corrisposto un canone ridotto.
Invece, a far data dal 17 luglio 2015, l'inquilino è tenuto a versare il canone nella misura concordata dal contratto. In difetto, si espone a possibili azioni da parte del proprietario dell'immobile.
Il nuovo art. 13 legge 431/1998 e la questione di legittimità costituzionale. Tutto ciò premesso, possiamo tornare alla disamina dell'ultima sentenza, in ordine di tempo, pronunciata dalla Consulta.


Secondo i giudici a quibus (Tribunale di Palermo e Tribunale di Milano), l'art. 13 legge 431/1998 come novellato dalla Legge di Stabilità 2016, reiterava il cosiddetto "contratto catastale", introdotto nel nostro ordinamento dall'art. 3 comma 8 d. lgs. 23/2011, dichiarato costituzionalmente illegittimo e caducato (Corte Cost. sent. 50/2014 e 169/2015).
La Corte, al contrario, ritiene che l'art. 13 legge 431/1988 "non ripristina (né ridefinisce il contenuto relativo a durata e corrispettivo) dei pregressi contratti non registrati, la cui convalida […] è venuta meno, ex tunc, in conseguenza delle correlative declaratorie di illegittimità costituzionale e viceversa prevede una predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o della misura dell'indennizzo dovuto dal conduttore, in ragione dell'occupazione illegittima del bene locato, stante la nullità del contratto e, dunque, l'assenza di suoi effetti ab origine".


Situazione di fatto e indennità di occupazione dovuta dal conduttore. Secondo il percorso argomentativo seguito dal giudice delle leggi, relativamente ai contratti non registrati tempestivamente, il pagamento del "canone catastale" va ricollegato allo stato di fatto di illegittima detenzione del bene.
Detenzione illegittima in quanto avvenuta in forza di un contratto nullo, giacché non registrato.


Pertanto è coerente il pagamento da parte del conduttore di un'indennità di occupazione e non già di un canone di locazione, che non è dovuto. Non a caso, l'art. 13 legge 431/1998 non menziona l'adeguamento ISTAT dell'importo da versare, proprio perché non si tratta di un canone locatizio.

Breve e sintetica cronistoria:
  • 2011: art. 3, commi 8 e 9, del d. lgs 23/2011 (trattasi della legge sulla "cedolare secca") consente al conduttore, che faccia emergere un contratto non registrato, di corrispondere un canone pari al triplo della rendita catastale (cosiddetto "contratto catastale");
  • 2014: la Consulta considera costituzionalmente illegittimo l'art. art. 3, commi 8 e 9, del d. lgs 23/2011,perché è discriminatorio nei confronti dei locatori e lesivo del diritto di proprietà (Corte Cost. 50/2014);
  • 2014: art. 5 c. 1 ter d.l. 47/2014, convertito, sulla salvaguardia degli effetti di disposizioni in materia di contratti di locazione;
  • 2015: la Consulta considera costituzionalmente illegittimo l'art. 5 c. 1 ter d.l. 47/2014, convertito, che di fatto prorogava quanto disposto dall'art. 3 c. 8 e 9 d. lgs 23/2011 (Corte Cost. 169/2015);
  • 2015: il legislatore con l'art. 1 comma 59 legge 208/2015 (legge di stabilità 2016) sostituisce l'art. 13 della legge 431/1998, tutelando gli inquilini che dal 2011 (anno di entrata in vigore dell'art. 3 comma 8 del d. lgs 23/2011) al 16 luglio 2015 (data della pronuncia di incostituzionalità n. 169/2015) avevano versato un corrispettivo pari al triplo della rendita catastale.
  • 2017: la Consulta dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sull'art. 1 comma 59 legge 208/2015 nella parte in cui sostituisce l'art. 13 della legge 431/1998 (Corte Cost. 87/2017 e 238/2017).

Conclusioni

In definitiva, secondo la Corte Costituzionale (sent. 238/2017), è pur vero che l'art. 13 legge 431/1998 - come novellato - riprende in parte il caducato art. 3 comma 8 d. lgs 23/2011, tuttaviala suddetta disposizione "trova giustificazione nella particolare situazione di diritto, ingenerata dalla pregressa normativa poi dichiarata illegittima".


In altre parole, il legislatore ha inteso tutelare l'affidamento del conduttore che, sino alla datadella declaratoria di illegittimità, si era conformato alla legge. Inoltre, il pregiudizio economico riportato dal locatore risulta non irragionevole, stante la sua natura parziale e temporanea.


Inoltre, il proprietario non può agire contro l'inquilino per ottenere la differenza tra quanto versato e quanto pattuito, giacché il triplo della rendita catastale equivale all'indennità di occupazione stabilita dalla legge e non rappresenta un canone di affitto.


Fonte articolo: Idealista.it

 

Canone concordato richiesto in oltre il 50% dei contratti

L’affitto a canone concordato è un’opportunità non solo per chi prende un immobile in locazione, ma sicuramente anche per chi affitta.


Il 53,9% dei contratti di affitto è stipulato con questa formula: oltre la metà, e in crescita rispetto al 53,4% dello scorso anno.

A contribuire ad aumentarne la popolarità, gli aggiornamenti intervenuti con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto interministeriale del 16 gennaio 2017, che hanno rinnovato le regole e introdotto importanti variazioni rispetto al precedente DM del 30/12/2002.


È necessario premettere che la concezione classica di canone concordato era quella di un contratto che trovava applicazione esclusivamente nei Comuni ad alta densità abitativa e che pur "autorizzando le parti contraenti a definire liberamente il suo contenuto, li vincolava in ordine al valore del canone e alla durata del contratto". Il modello contrattuale standard del canone concordato doveva essere inoltre predisposto dalle associazioni rappresentative della categoria dei proprietari e di quella degli inquilini, sulla base di un accordo territoriale.


Il nuovo decreto introduce importanti novità alla vecchia disciplina. In tema di territorio di competenza, ad esempio, perché adesso è possibile siglare contratti a canone concordato dovunque, anche nei comuni privi di alta tensione abitativa, pur sempre sulla base di accordi territoriali. E in tema di vantaggi fiscali, visto che l’ultima finanziaria ha abbassato del 25% l’IMU per i proprietari che affittano a canone concordato e ha ridotto del 30% la base imponibile sulla quale calcolare l’IRPEF in dichiarazione dei redditi. In alternativa, il locatore può avvalersi della cedolare secca, la tassazione diretta sul reddito percepito ridotta nel 2017 al 10% nei comuni ad alta tensione abitativa e limitrofi.


Anche grazie agli affitti a canone concordato il mercato delle locazioni nel territorio di Milano registra una ripresa e la città più metropolitana d’Italia può allargare la sua cerchia accogliendo anche nelle aree limitrofe alla cintura i molti giovani che necessitano di condizioni agevolate per accedere al mercato immobiliare. Secondo il viceministro dell’Economia e delle finanze Enrico Morando, l’interesse verso il canone concordato è in crescita anche da parte delle istituzioni e indispensabile sarà rinnovare la cedolare secca del 10% sugli affitti, in scadenza il prossimo 31 dicembre.


Fonte articolo: MutuiOnline.it

Estesa la detrazione fiscale per gli affitti ai fuori sede

A passare in rassegna le (spesso) incomprensibili formulazioni degli emendamenti, si possono anche trovare buone notizie.


È il caso del correttivo al decreto fiscale approvato dalla commissione Bilancio del Senato che riguarda gli affitti degli studenti universitari fuori sede.

Già perché lo sconto fiscale (una detrazione dall’Irpef del 19%) potrà riguardare molti più contribuenti rispetto ai 249mila dell’ultimo monitoraggio disponibile (numero molto esiguo). In realtà in questo caso si tratta di un vantaggio fiscale soprattutto per le famiglie, che potranno sfruttare il bonus in dichiarazione (modello 730 e modello Redditi) e quindi avranno maggiore convenienza a stipulare contratti di affitto registrati.


Un esempio di quello che, tecnicamente, si chiama contrasto di interessi. In pratica l’emendamento approvato estendono la detrazione anche all’ipotesi in cui l’università sia ubicata in un Comune distante da quello di residenza almeno 50 chilometri e gli studenti fuori sede siano residenti in zone montane o disagiate.

Che cosa cambia 

Le regole attualmente in vigore prevedono che la detrazione spetti solo agli studenti iscritti a un corso di laurea presso un’università ubicata in un Comune distante da quello di residenza almeno 100 chilometri e comunque in una provincia diversa, per unità immobiliari situate nello stesso Comune in cui ha sede l’università o in Comuni limitrofi, per un importo non superiore a 2.633 euro. A conti fatti, quindi se si indica questo importo massimo il tetto della detrazione utilizzabile è di 500 euro (arrotondati per difetto).


Di fatto, viene eliminato il riferimento alla provincia diversa. Quindi la detrazione potrà essere concessa se il contratto di locazione regolare (quindi non deve essere in nero) riguarda anche un fuori sede nella stessa provincia purché distante dalla famiglia almeno 100 chilometri oppure 50 chilometri se residenti in zone montane o disagiate.

Agevolazione a tempo? 

Attenzione però. L’emendamento, infatti, aggiunge anche un periodo alla norma attualmente in vigore (l’articolo 5, comma 1, lettera i-sexies, del Testo unico delle imposte sui redditi) in base al quale "la disposizione di cui al periodo precedente si applica limitatamente ai periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2017 ed al 31 dicembre 2018". Quindi da un lato si tratterebbe di una detrazione retroattiva (questa volta a favore del contribuente) ma sembrerebbe chiudere le porte a un utilizzo successivo dopo il 2018 (dichiarazione dei redditi da presentare nel 2019). E gli oneri stimati come costo della detrazione ampliata sono 13,7 milioni per il 2018 e 7,8 milioni per il 2019.


Ci sarà poi da chiarire il parametro in base al quale si definiranno le "zone montane o disagiate". E quindi molto probabilmente bisognerà aspettare l’interpretazione dell’agenzia delle Entrate in una circolare.


Detrazione per 249mila contribuenti 

Stando alle ultime statistiche fiscali delle dichiarazioni dei redditi disponibili (anno d’imposta 2015), i contribuenti che hanno sfruttato questa agevolazione non sono tantissimi: 249mila. Al top ci sono Sicilia (34.560) e Puglia (34.465) seguite dal Veneto (18.937), dalla Calabria (17.696) e dalla Campania (15.951). Subito dopo c’è la Lombardia (14.619). Forse questo è il dato più sorprendente, se si immagina che la migrazione universitaria sia un fenomeno che tradizionalmente segue un flusso da Sud verso Nord.


Probabilmente però bisogna anche considerare la migrazione all’interno della stessa regione e il fatto che la detrazione vale anche per i canoni di locazione degli studenti iscritti a un corso di laurea presso un’università in uno Stato dell’Unione europea o aderente all’accordo sullo Spazio economico europeo.
Anche la spesa complessiva indicata nelle dichiarazioni è di poco superiore a 409mila euro con un importo medio di 1.640 euro.


Fonte articolo: IlSole24ore.com

Affitti: in aumento canoni e "qualità"

Contrariamente ai prezzi di compravendita, i canoni d’affitto continuano ad aumentare, consolidando il trend in tutti i segmenti di mercato e in tutte le tipologie di alloggi, dopo la ripresa che avevano già fatto segnare nel corso del 2016.


Che a sua volta però seguiva alla perdita di circa 15 punti percentuali registrata a pa rtire dal 2008.

 

Nel primo semestre del 2017 i canoni di locazione delle grandi città registrano i seguenti aumenti: +2% per i monolocali, +1,2 per i bilocali e +1,1% per i trilocali rispetto alla seconda parte del 2016, variazioni che diventano rispettivamente +2,1%, +1,7% e +1,5% su base annua.
A crescere di più è Bologna (+5,3% per i monolocali e +4,6% per i trilocali) mentre Genova è in controtendenza (-2,9% per i monolocali, stabili bi e trilocali).

Canone concordato in crescita 

Una conferma arriva per quel che riguarda l’aumento al ricorso per il canone concordato, a cui si fa ricorso nel 28,1% dei casi (erano il 22,9% nella scorsa rilevazione). In sostanza si tratta di contratti che adottano corrispettivi massimi fissati da accordi territoriali tra associazioni di inquilini e proprietari e che godono di alcune agevolazioni fiscali, tra cui soprattutto la cedolare secca al 10%, che la legge di Bilancio attualmente in discussione in Parlamento dovrebbe confermare per i prossimi anni.

Restano pressoché costanti le motivazioni della ricerca della casa in affitto: il 60% cerca la casa principale, il 36,6% per motivi legati al lavoro e il 3,4% per motivi legati allo studio. 
Oltre il 41% di chi cerca casa in affitto ha un’età compresa tra 18 e 34 anni, il 25,4% ha un’età compresa tra 35 e 44 anni. Il 40,7% è rappresentato da single. Le tipologie più affittate sono i bilocali (39,6%), a seguire il trilocale (34,7%).


Aumenta la qualità 

I potenziali inquilini sono sempre più esigenti nella ricerca dell’immobile e si evidenzia una maggiore facilità di affitto per le soluzioni di "qualità", ovvero ben arredate, posizionate in zone servite e luminose. Cresce l'interesse per gli immobili arredati o parzialmente arredati. La presenza del riscaldamento autonomo è apprezzata, perché consente una riduzione dei costi condominiali. I proprietari stanno recependo questa esigenza e di conseguenza la qualità dell’offerta abitativa in locazione è in miglioramento.


Il peso sull’economia familiare 

In uno scenario di tassi bassi e occupazione precaria, l’affitto resta una soluzione obbligata per le categorie sociali più deboli; l’aumento dei canoni in un contesto di perdurante difficoltà economica e bassa inflazione rischia di diventare "un costo eccessivo per l’economia familiare", come sostiene Eurostat a proposito di una elaborazione su dati relativi al 2015 ripresa da idealista.it, secondo cui circa un terzo dei cittadini italiani che vivono in affitto investono nel canone oltre il 40% dei propri guadagni. In Spagna, Grecia e Romania si arriva a quasi la metà dei locatari.


Fonte articolo: IlSole24ore

Affitti: cedolare secca o tassazione ordinaria?

La Legge di Bilancio 2018, che ha da poco cominciato il suo iter parlamentare, contiene la tanto attesa proroga della cedolare secca al 10% per i contratti a canone concordato.


Ma qual è la differenza tra la tassazione agevolata sugli affitti e quella ordinaria? A spiegarlo sono i nostri collaboratori di condominioweb.

 

Negli ultimi anni la disciplina relativa alla registrazione di un contratto di locazione è stata profondamente modificata sia per l'introduzione di nuove procedure di tassazione, ad esempio tassazione forfettaria della cedolare secca, sia per aver reso più semplice la registrazione favorendo il canale telematico.

Registrazione contratto locazione senza cedolare secca

Per i contribuenti che preferiscono scegliere la tassazione ordinaria (o per quanti non hanno la possibilità di optare per la cedolare secca) la registrazione di un contratto di locazione comporta il pagamento di:

  • - Imposta di registro pari al 2% del canone annuo (tale importo andrà quindi moltiplicato per il numero di annualità previste);
  • - Imposta di bollo pari a 16 euro ogni 4 facciate del contratto (o comunque ogni 100 righe).

    Tali imposte sono dovute per ogni copia per la quale è richiesta la registrazione.
    Qualora il contratto abbia una durata di più anni, l'imposta di registro potrà essere pagata:

  • - Annualmente: L'importo dovuto è il 2% del canone inerente ogni annualità con un minimo di 67 euro. L'imposta è dovuta entro 30 giorni dalla scadenza della precedente annualità;
    - Per più anni: Qualora si opti per il pagamento in unica soluzione il versamento sarà del 2% del corrispettivo complessivo.

  • A tale importo occorrerà detrarre un importo pari alla metà del tasso di interesse legale (pari allo 0,5% a partire dal 1° Gennaio 2015) per il numero delle annualità, pertanto avremo:

  1. Detrazione pari allo 0,5% qualora il contratto duri 2 anni;
  2. Detrazione pari allo 0,75% per contratto di durata 3 anni;
  3. Detrazione pari ad 1% per contratto di durata pari a 4 anni.

registrazione contratto di affitto con cedolare secca

La cedolare secca è una modalità di tassazione forfettaria alternativa alla tassazione ordinaria che è possibili scegliere qualora si posseggano i seguenti requisiti:

  • - Immobile oggetto della locazione appartenente alle categorie catastali da A1 ad A11 (ad eccezione della cat. A10 – uffici e studi privati) locato per un uso esclusivamente abitativo.

    - E' possibile far rientrare nel regime della cedolare secca anche le eventuali pertinenze locate insieme all'abitazione (ad esempio cantina o garage).

    Inoltre è stato precisato che non potranno beneficiare della cedolare secca i contratti di locazione che hanno per oggetto immobili accatastati come abitativi, ma locati ad uso ufficio o promiscuo.
    Non è inoltre possibile beneficiare della cosiddetta tassa piatta qualora l'immobile affittato sia situato all'estero o qualora si effettui una sublocazione;
    Le parti del contratto di locazione sono privati o esercenti attività di impresa o professionisti che no non agiscono nell'esercizio dell'attività. Non potranno pertanto aderire alla cedolare secca associazioni ed enti commerciali e non commerciali.


  • Pertanto i contratti devono avere come parti soggetti che non agiscono nell'esercizio di imprese, arti o professioni compresi anche enti pubblici o privati non commerciali.
    La cedolare secca è un'unica tassa che sostituisce Irpef, addizionale regionale e addizionale comunale (in merito alla parte che deriva dal reddito dell'immobile), imposta ai fini del registro ed imposta di bollo. La tassazione prevista per chi sceglie il regime della cedolare secca è pari a:

  • - 21% del canone annuo qualora il contratto di affitto sia a canone libero;
  • - 15% del canone annuo (10% peri contratti che hanno validità nel periodo 2014 – 2017) per i contratti di affitto a canone concordato per abitazioni che si trovano in Comuni ad alta tensione abitativa, nei Comuni con carenze di disponibilità abitative, nei Comuni per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza a seguito di eventi calamitosi nel quinquennio precedente il 28 maggio 2014.

L'opzione per la cosiddetta “tassa piatta” potrà essere effettuata dal contribuente:

  • - All'atto della registrazione del contratto (che può avvenire sia telematicamente che tramite presentazione in ufficio sempre tramite modello Rli);
  • - In annualità successiva (il termine per aderire alla tassa sarà comunque di 30 giorni dalla scadenza di ogni annualità);
  • - Qualora avvenga la proroga del contratto di locazione, anche tacita (il termine previsto anche in questo caso sarà comunque di 30 giorni da quando è stata effettuata la proroga).
    - Qualora si opti per la cedolare secca il locatore applicherà tale regime per l'intero periodo di durata del contratto o, qualora sia effettuata in annualità successive, per il residuo periodo di durata del contratto.


In ogni caso il locatore ha comunque la possibilità di revocare l'opzione in ogni annualità contrattuale successiva a quella in cui è stata esercitata (qualora si cambi regime le imposte di registro e quelle di bollo già versate non potranno essere rimborsate). Inoltre se viene scelta la cedolare secca per tutto il periodo di durata del contratto di locazione non potrà essere applicato l'aggiornamento del canone, incluso l'adeguamento Istat (in sostanza l'importo del canone rimarrà invariato).

Pagamento della cedolare secca

Per effettuare il pagamento dell'imposta sostitutiva occorrerà fare riferimento alle regole in materia di Irpef, infatti sia il calcolo dell'importo che le scadenze sono simili a quelle dell'imposte sui redditi (a variare è solo l'entità dell'acconto che è pari al 95% dell'imposta pagata nell'anno precedente).
L'acconto sulla cedolare secca non è dovuto qualora sia il primo anno in cui si è optato per la tassazione forfettaria. Per gli anni successivi il pagamento dell'acconto sarà dovuto qualora l'imposta sostitutiva dovuta per l'anno precedente è di ammontare superiore a 51,65 euro. In tale caso il versamento sarà:

  • - In unica soluzione se l'ammontare della cedolare è inferiore a 257,52 euro (con scadenza entro il 30 novembre);
  • - In due soluzione se l'imposta dovuta supera 257,52 euro.

    In tal caso il primo acconto sarà pari al 40% del 95% di quanto pagato nell'anno precedente e sarà dovuto entro il 16 Giugno (la scadenza sarà il 16 Luglio qualora l'importo venga maggiorato dello 0,40%).

    La restante parte dell'acconto (pari al 60% del 95% di quanto pagato nell'anno precedente) dovrà essere versata entro il 30 Novembre.
    Anche per il pagamento del successivo saldo le regole saranno simili a quelle Irpef. In particolare il versamento dovrà essere effettuato entro il 16 Giugno dell'anno successivo (entro il 16 Luglio qualora venga applicata la maggiorazione del 0,40%).

I codici tributi che andranno inseriti all'interno del modello F24 saranno i seguenti:

1840 – Cedolare secca locazioni – Acconto prima rata;
1841 – Cedolare secca locazioni – Acconto seconda rata o unica soluzione;
1842 – Cedolare secca locazioni – Saldo.


Fonte articolo: idealista.it

In Bilancio anche cedolare secca e cessione del credito

Una famiglia allargata quella dei bonus fiscali per la casa: siamo ormai a quota sei.


Il disegno di legge di Bilancio 2018, effettuando il consueto tagliando delle detrazioni dedicate agli immobili, quest’anno aggiunge a beneficio dei cittadini una nuova possibilità di recupero delle spese.

 

 

Vengono, infatti, confermati i cinque sconti uscenti: mobili, ristrutturazioni, Sismabonus, Ecobonus ordinario e strutturale, e ne viene aggiunto un sesto, il "bonus verde".


La legge di Bilancio ha poi aggiunto due ulteriori tessere a questo mosaico: la cessione del credito e la cedolare del 10% sugli affitti. Vediamoli insieme.

PORTABILITA' SEMPLIFICATA 

Rendere facilmente cedibili i crediti fiscali, per consentire a chi è titolare di uno sconto di monetizzarlo immediatamente. In questo modo, anziché pagare l’intervento e poi recuperare il beneficio con la dichiarazione dei redditi, sarà possibile saldare almeno una quota dei lavori direttamente con il trasferimento del bonus.


Il Governo guarda a questo obiettivo da quando, un paio d’anni fa con la legge di Stabilità 2016, ha iniziato a lavorare al tema della cessione dei crediti fiscali. Nel tempo sono, così, arrivate diverse correzioni. L’ultima di queste è stata inserita nel Ddl di Bilancio e restituirà un quadro ancora piuttosto articolato.


Vanno distinti Ecobonus e Sismabonus. Per il primo la manovra consente il trasferimento dei crediti per tutti gli interventi, sia sulle parti comuni condominiali che sulle singole unità immobiliari. Diverso il discorso del Sismabonus, che non viene rivisto: potrà essere ceduto solo in caso di interventi sulle parti comuni o per la demolizione con ricostruzione.


La disciplina resta disallineata sul fronte dei cedenti. Il Sismabonus al 75 e 85% può, infatti, essere ceduto da tutti i beneficiari a privati e fornitori. Gli incapienti (che non possono recuperare lo sconto perché hanno un reddito troppo basso) potranno cedere l’ecobonus al 65, 70 e 75% a soggetti privati e anche alle banche. Gli altri beneficiari non incapienti potranno possono cedere l’Ecobonus al 70 e 75% a tutti i privati, ma non alle banche. 


CEDOLARE AFFITTI 

Con la proroga sino al 31 dicembre 2019 della cedolare secca del 10% sulle locazioni a canone concordato i proprietari tirano un sospiro di sollievo. In non pochi centri, infatti, con la tassa secca così bassa anche i canoni concordati riescono a essere competitivi, grazie anche alla minore durata della locazione (3 anni più due di proroga semi automatica) rispetto a quelli di mercato, che invece scontano la cedolare del 21 per cento.


Il meccanismo è semplice: i canoni devono essere compresi entro limiti minimi e massimi, determinati sulla base di accordi raggiunti in sede locale tra organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini.
La durata cambia a seconda se si tratti di uso abitativo (3 anni +2), uso transitorio (minimo 1 mese, massimo 18 mesi non rinnovabili) o uso studenti universitari (minimo 6 massimo 36 mesi).


Con la cedolare (che comprende l’imposta sui redditi e quella di registra) non è possibile dedurre le eventuali spese dalla base imponibile, che è rappresentata dall’intero canone pattuito.
L’opzione per la cedolare (che va espressa in sede di dichiarazione dei redditi l’anno successivo alla stipula) può essere esercitata per unità immobiliari appartenenti alle categorie catastali da A1 a A11 (esclusa l’A10 – uffici o studi privati) locate a uso abitativo e per le relative pertinenze.


La cedolare non è obbligatoria ma, a conti fatti, non c’è praticamente nessuna ragione di convenienza che possa far scegliere l’Irpef.

Fonte articolo: IlSole24ore.com, vetrina web

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