La rinascita del box come investimento in città

Il box auto potrebbe essere una buona scelta. A patto, però, di trovarlo nella zona giusta e a prezzi adeguati ai nuovi livelli di mercato. Senza cedere a facili entusiasmi, gli operatori confermano come il mercato dei garage sia in decisa ripresa, a causa soprattutto dell’appetibilità dei rendimenti.


I box hanno subìto uno stop della domanda ancora più marcato rispetto a quello delle abitazioni. Si calcola che dal 2007 i prezzi siano scesi di almeno il 30-35%, con una contrazione di qualche punto percentuale proseguita ancora per tutto il 2015.

A livello di interesse una dinamica positiva era invece già partita l’anno scorso quando quasi il 60% di chi aveva acquistato il box lo aveva fatto con finalità di investimento. "Dall'inizio del 2016 notiamo una domanda sempre crescente", conferma Guido Lodigiani, Responsabile dell’ufficio studi di Immobiliare.it, così che anche i prezzi nel corso del 2016 potrebbero ritrovare il segno positivo. A che cosa di deve questa rinascita? "Il box è un investimento abbastanza liquido, che si riesce ad affittare e rivendere con meno problemi di una casa. E soprattutto, permette di investire a una platea molto più ampia di persone rispetto alle abitazioni, che saranno anche deprezzate rispetto a dieci anni fa, ma richiedono pur sempre un impegno sostanzioso e hanno bisogno di più manutenzione e riservano spese di condominio ben più alte".


Il rendimento medio lordo nelle città italiane è compreso fra il 5,3% e il 6,4%, ma con punte che arrivano al 7-10%. Si tratta di una resa superiore al residenziale – che, secondo Lodigiani, oggi non offre più del 2-3% – ma anche migliore dei principali strumenti finanziari a rischio zero (o quasi), come i conti deposito. Certo, le cose cambiano quando dal lordo si passa a calcolare il rendimento netto. Il peso di spese e imposte finisce in media per dimezzarlo, e portarlo fra il 2,5% e il 3%, ma è una riduzione fisiologica anche negli investimenti immobiliari in abitazioni.


Su cosa puntare? "Meglio concentrarsi su quartieri in cui ci sia poca disponibilità di parcheggio e una bassa presenza di box rispetto alle abitazioni – suggerisce Fabiana Megliola Responsabile dell’ufficio studi del gruppo Tecnocasa –. Da valutare anche le zone ad alta presenza di uffici, soprattutto se non ben collegate con i mezzi pubblici".


Guardando al dettaglio delle principali città emergono dati interessanti. I rendimenti migliori si spuntano nelle zone di periferia, dove si riesce ad acquistare a buon mercato e affittare a canoni non troppo distanti da quelli del centro. Ecco perché, ad esempio, secondo Immobiliare.it i quartieri esterni di centri come Bari e Verona promettono una resa superiore a quelli di Milano e Roma.


A livello di prezzo, invece, più che il “blasone” della città è la scarsità dell’offerta a determinare i valori più alti, che si trovano quasi sempre nei centri storici. Roma è in testa e in alcune zone, come Campo dei Fiori, si incontrano annunci di vendita anche sui 100mila euro. Napoli e Firenze, invece, battono Milano. La media in pieno centro è sui 45-50mila euro, ma ci sono box in vendita al Vomero a 65mila euro e nel capoluogo toscano, attorno a Santa Croce, anche a 70mila. Mentre la particolarità di Genova – "tipica delle città di mare" secondo Lodigiani – è che molte zone esterne costino più di quelle interne alla città. È il caso ad esempio di Voltri o di Quinto, dove si rintracciano prezzi superiori ai 45mila euro. "


La fascia su cui concentrarsi, comunque, è quella compresa fra i 20 e i 30mila euro.
In questo range si ottiene il risultato migliore come rapporto spesa-rendimento – osserva Lodigiani –. E va sempre considerato che una cosa è la domanda iniziale del proprietario, un’altra il prezzo finale, scontato anche del 15-20 per cento".

 

Fonti articolo: Ilsole24ore.com, vetrina web

Emergenza casa: alloggi popolari svenduti

Nonostante il patrimonio di edilizia pubblica sia cronicamente inferiore al fabbisogno - con 646.445 famiglie in attesa di un alloggio popolare - le Regioni hanno continuato ad approvare piani di alienazione. In questo modo in quasi 20 anni sono usciti dalla disponibilità pubblica 190mila case in affitto.


Dall'altra parte, le Regioni hanno anche avviato programmi edilizi per realizzare o acquistare nuovi alloggi oppure recuperare quelli inagibili; ma il saldo è rimasto fortemente negativo, con una perdita di 56mila unità. Il patrimonio complessivo si attesta oggi a 856mila alloggi. 

Sono alcuni dei numeri-simbolo della condizione dell'edilizia popolare in Italia, che si trova nello studio di Nomisma realizzato per Federcasa e presentato nei giorni scorsi a Roma e a Bologna. I gestori hanno preferito seguire la strada in discesa delle vendite agli inquilini che occupavano l'alloggio invece di affrontare il difficile tema della rotazione del patrimonio, cercando soluzioni che consentissero la "migrazione" di tutti gli inquilini che progressivamente uscivano dai requisiti di legge per la permanenza in un alloggio popolare. Le vendite sono state di fatto delle svendite, con cessioni a prezzi medi di 39mila euro circa (dato 2011, ultimo disponibile) alleviati dal taglio dei costi gestionali a carico delle Aziende casa. 


Il prezzo di cessione di 39.144 euro per alloggio popolare è la media che risulta tra i 22.171 euro nelle città del Centro, i 23.840 euro pagati nelle città del Sud e i 66.149 euro delle città del Nord. "Calcolando un valore medio di mercato per un alloggio di circa 75 mq, in area periferica e in cattivo stato di manutenzione pari a 70-80mila euro, la perdita per il settore pubblico nel solo periodo 2001-2011 è stimabile in 6,5 miliardi di euro, con i quali si sarebbero potuti costruire circa 75mila alloggi in più, senza pesare sul bilancio dello Stato e delle Regioni", si legge nello studio. 


Il canone medio mensile è di 105 euro (1.262 euro l'anno), con oscillazioni tra i 64 euro al mese nelle città del Sud, i 109 euro del Centro e i 122 euro del Nord. Il canone annuo pagato per una casa popolare va di 769 euro al Sud, ai 1.313 euro al Centro mentre gli inquilini del nord pagano 1.462 euro all'anno. Una parte di queste entrate se ne va in tasse. Una parte molto elevata, secondo Nomisma: "l'incidenza del totale delle imposte sulle entrate da canoni di locazione, che rappresentano la principale entrata delle aziende, è passata dal 25 al 52%", afferma il rapporto. 


Un altro capitolo dolente è appunto quello della morosità degli inquilini. In media, uno su cinque non paga l'affitto. Il tasso medio di morosità è infatti del 20,6%, con le solite forti differenze geografiche tra il Mezzogiorno con il 40%, il 15,6% del Centro il Nord con 13,8% del Nord. 
Questa la fotografia ricostruita da Nomisma. Una fotografia comunque già vecchia, visto che i numeri sono aggiornati al 2011. In altre parole, gli ultimi cinque anni di gestione sono ancora un buco nero.


Fonte articolo: Ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com, vetrina web

Affitti a studenti: un mercato che vale decine di milioni

Affittare casa ai circa 55mila studenti stranieri che ogni anno scelgono l’Italia, frutta almeno 15 milioni di euro ai proprietari di immobili. Ma per triplicare gli introiti basterebbe immettere in questo mercato i migliaia di locali sfitti sparsi per le principali città italiane.


La stima arriva da Uniplaces, portale internazionale di annunci che lavora come una sorta di “Airbnb degli affitti” per studenti.

Il dato sui ricavi complessivi si limita alle prime 5 sedi universitarie per arrivi di stranieri (Roma, Milano, Bologna, Torino e Firenze) ed è calcolato moltiplicando questi numeri per il costo medio di un affitto in camera singola rintracciabile sul portale. A Roma, ad esempio, una singola viaggia intorno ai 433 euro al mese, che rapportati ai circa 12mila studenti stranieri genera un guadagno di 5,2 milioni. Dato simile per Milano, che ospita un numero leggermente inferiore, ma dove una stanza sfiora i 500 euro al mese, mentre Torino accoglie circa 5mila studenti ma è meno cara (circa 417 euro al mese) e il ricavo totale è intorno ai 2 milioni.


"Il numero di arrivi è in crescita costante. E gli studenti stranieri sono il tipo di inquilino ideale – ragiona Luca Verginella, marketing manager di Uniplaces per l'Italia –. Dispongono di una capacità di spesa generalmente alta, sostenuta dai genitori, e soggiornano per periodi medio lunghi dando quindi una continuità di reddito". Senza, però, rappresentare un vincolo rigido come potrebbe essere l'affitto di un immobile a una famiglia residente con il classico contratto 4+4.


Inoltre, la società ha stimato il potenziale di ricavi nelle due piazze maggiori, Roma e Milano, ipotizzando di mettere sul mercato i circa 12mila alloggi sfitti presenti (stima di Scenari Immobiliari). Numero moltiplicato per l'affitto medio di un trilocale con due camere singole. Nella capitale, dove l'affitto di un trilocale di quel tipo rende in media 860 euro al mese, i circa 7.200 spazi vuoti darebbero luogo a 6,2 milioni di guadagno extra. Nel capoluogo lombardo ci sono invece 6.500 alloggi sfitti che potrebbero generare 12 milioni. "Ed è una cifra che lieviterebbe in un attimo prendendo in esame il resto della regione, dove si concentrano atenei importanti come Pavia, Bergamo e Brescia", aggiunge Verginella.


Ma anche in assenza di atenei, i Comuni che gravitano attorno alle aree ad alta densità di studenti beneficiano di questa presenza e si tratta di un trend in ascesa. Un recente report di Tecnocasa, ad esempio, ha messo in luce come a Cesena sempre più proprietari mettano a disposizione gli immobili ai ragazzi che frequentano l'università a Bologna, con canoni compresi tra 250 e 350 euro per camera, a patto che le abitazioni siano nei pressi della stazione ferroviaria.


E che ci sia fermento nel segmento del real estate per studenti lo dimostrano diversi altri indicatori. Tra i portali, ha appena aperto un'iniziativa rivolta in particolare ai ragazzi cinesi in arrivo, chiamata Yi-ton. E uscendo dal segmento dei singoli proprietari, per dare uno sguardo agli investitori professionali, l'ultima ricerca sul 2016 di Cbre (Emea Investor Intentions Survey 2016) segnala che il 20% dei grandi investitori intervistati già possiede investimenti nello “student housing” e il 15% di loro ha intenzione di metterne a segno di nuovi nel corso dell'anno. Mentre il 12,7% entrerà in questo segmento per la prima volta (erano solo l'8% nel 2015).


La stessa piattaforma Uniplaces, alla fine del 2015, ha ottenuto un finanziamento Serie A da 24 milioni di euro, per il suo piano di espansione, condotto dalla società di investimenti Atomico, che coinvolge anche Caixa Capital e Octopus Investments, che già figurava tra i sostenitori della start up.


Fonte articolo: Casa24.ilsole24ore.com

Crescita del mercato immobiliare anche nei piccoli centri

Si consolida la ripresa del mercato, seppur con ritmi blandi e con uno sfasamento della componente prezzi che, ancora in discesa, non si adeguano all’aumento della domanda. Un trend iniziato nei grandi centri urbani e che sembra consoldarsi ora anche in provincia, dove tutti gli indicatori svoltano nettamente verso il segno più, seppur con profonde differenze a livello territoriale 


Sono i trend che emergono dal primo Osservatorio Immobiliare Nomisma del 2016, presentato oggi 23 marzo, che ha monitorato le consuete 13 “città intermedie” (Ancona, Bergamo, Brescia, Livorno, Messina, Modena, Novara, Parma, Perugia, Salerno, Taranto, Trieste e Verona).

COMPRAVENDITE

"Nei primi mesi dell'anno hanno trovato conferma i segnali di lenta ripresa del mercato immobiliare italiano con i quali si era chiuso il consuntivo dell'anno 2015. La fase negativa – si legge nel report – dell'attuale ciclo immobiliare si è esaurita e ha preso avvio il “recupero” anche se, come racconta la storia immobiliare italiana, i tempi della svolta tendono continuamente a dilatarsi".


Le tendenze dei mercati cosiddetti intermedi mostrano segnali addirittura migliori rispetto a quelli delle grandi città (ad esclusione di Milano e Roma che sembrano anticipare tali inclinazioni). Si assiste all'aumento degli scambi, alla riduzione degli sconti praticati sui prezzi richiesti e allo stabilizzarsi dei tempi necessari alla vendita.
"L'esiguità dell'offerta di qualità disponibile nei mercati maggiori (si consideri che il 52,8% delle abitazioni italiane ha più di 40 anni) ha contribuito – comunicano da Nomisma – al parziale spostamento degli investitori verso i mercati di secondo livello".


Ritorna l'interesse per la proprietà dell'abitazione, che continua ad essere favorito da una minore selettività da parte del settore bancario riscontrabile nella quota di mercato assistita da mutuo. I mercati intermedi detengono il primato in termini di incidenza delle compravendite intermediate sostenute da credito che si attestano intorno al 70% rispetto al 60% dei mercati metropolitani.


La tendenziale ripresa del mercato è stata sostenuta dall'ulteriore calo dei prezzi, seppure in progressiva riduzione rispetto al passato. A questo proposito – come si legge dal rapporto – "i valori dei mercati intermedi presentano una minore resistenza all'innesco della ripresa. L'ultima variazione annuale dei prezzi (2016/2015) è risultata compresa tra il -3,5% dei capannoni e il -1,5% delle abitazioni nuove. Le abitazioni usate, gli uffici e i negozi hanno fatto registrare flessioni del 2%, 2,1% e 2,3%".


LOCAZIONE

L'altra componente del mercato immobiliare è rappresentata dal segmento della locazione che, a consuntivo della fase recessiva, offre "rendimenti piuttosto bassi e compressi in termini di variabilità tra i diversi mercati, nell'arco di un paio di punti percentuali in tutti i principali segmenti". La locazione dell'abitazione risponde ad una domanda legata soprattutto alle nuove generazioni che, oltre a ricercare nuove soluzioni abitative per emancipazione dal nucleo di origine, nell'ultimo anno si sono spostate per motivi di studio o lavoro lungo la direttrice Mezzogiorno/Centro Nord (di 41.000 unità, il 70% è rappresentato da giovani). La componente di domanda che si rivolge all'opzione dell'affitto continua quindi ad essere consistente e pari a circa il 50%. 

Tra le tipologie di contratti stipulati si segnala la maggiore diffusione nell'ultimo biennio delle locazioni a canone concordato (che rappresentano oggi il 44,1% del totale).


"Negli ultimi dieci anni i prezzi di mercato e i canoni degli immobili locati hanno fatto segnare andamenti simili: in entrambi i casi la crescita si è interrotta attorno al 2007 e da lì è iniziata una fase di declino non ancora conclusa. L'adeguamento al ribasso dei canoni è stata la risposta di mercato alla debolezza economica della maggior parte della domanda che si rivolge a tale segmento. La variazione annuale dei canoni per gli immobili dei mercati intermedi si è attestata nell'ordine del -1,4% per le abitazioni usate, -1,7% per gli uffici e -1,9% per i negozi".


In ultima analisi, seppure la ripresa in atto mostri evidenze di consolidamento, non mancano i fattori potenzialmente critici. L'ulteriore indebolimento del quadro macro-economico, l'ampliamento dell'eccesso di offerta derivante da un'accelerazione nel processo di cessione delle garanzie immobiliari alla base dei non performing loans e un'attenuazione di interesse degli investitori corporate stranieri per il nostro Paese, sono i fronti da cui potrebbe scaturire un rallentamento – anche significativo – del processo di graduale risalita.


Fonte articolo: Casa24.IlSole24Ore

Canoni affitti più alti, si torna a comprare casa

Il mercato degli affitti ha tenuto anche in questi ultimi anni di crisi. Complice la difficoltà nell’acquistare casa, anche per via della difficoltà di accendere un mutuo, la domanda di affitto si è mantenuta infatti molto vivace. E nonostante la molta offerta di case, i canoni hanno retto, seppur con cali di qualche punto percentuale ogni anno.


Ma ora la situazione nel mercato immobiliare sta mutando e i canoni stanno tornando a salire, seppur lievemente. 

La tendenza al rialzo emerge dall’ultimo report del portale Immobiliare.it, che, nonostante un calo sia della domanda (-1,8%) sia dell’offerta (-2,2%) ha registrato a febbraio un aumento dei canoni dell’1,7% rispetto a un anno fa.


"La locazione è un mercato in forte mutamento – dichiara Carlo Giordano di Immobiliare.it – perché il suo maggiore dinamismo lo lega alle evoluzioni tanto del mercato immobiliare nel suo complesso, quanto del sistema economico internazionale, segnato in queste ore dagli annunci della Bce e da nuove politiche di gestione della liquidità. La rinnovata offerta di finanziamenti per l'acquisto della casa, in particolare, ha ridato speranza ai proprietari che, fino a poco tempo fa, avevano optato per la messa in locazione dei loro immobili come opportunità di guadagno in attesa di un compratore. Ora che è tornato il momento giusto per vendere, quegli immobili vengono tolti dal mercato degli affitti, per rendersi disponibili alle compravendite".


È soprattutto nel Nord Italia che la domanda di locazione scende (-3,7%, segno che è qui che si preferisce maggiormente puntare all'acquisto), mentre al Centro (-1,9%) e soprattutto al Sud (-0,2%) sembra ancora mancare, perlomeno nella percezione degli italiani, la giusta spinta (o le opportunità economiche) per comprare casa.


"Interessante è l'emergere di un maggiore interesse nei confronti della locazione nelle grandi città: tra le località con oltre 250mila abitanti la domanda di affitto cresce, seppur di poco (+0,38%). Il dato è dimostrazione di una maggiore mobilità degli abitanti dei grandi centri, che sembrano assimilare almeno in parte le dinamiche abitative delle altre città europee (solitamente più propense all'affitto che alla vendita)". Nelle città più piccole, invece, la domanda di locazione è calata, rispetto ad un anno fa, dell'1,6%. 


A febbraio si registra un incremento dell'1,7%. Non tutta l'Italia registra, però, lo stesso andamento: in molte regioni si rilevano variazioni minime, mentre i numeri crescono maggiormente in regioni con canoni medi più bassi della media nazionale e, quindi, più sensibili alle oscillazioni. Tra queste si segnala il +5,9% in Molise, il +5,1% in Sicilia e il +4,4% di Calabria e Marche. Le uniche regioni con prezzi in calo sono la Campania (-2,9%), la Valle d'Aosta (-2,3%) e l'Umbria (-1,7%).


Il canone d'affitto mensile medio per un bilocale di 65 metri quadri è pari, in Italia a circa 560 euro. Ma quali sono le città più care d'Italia per i canoni di locazione? A Milano servono circa 620 euro al mese per affittare un monolocale, e fino a 1.200 euro per un trilocale. Firenze e Roma occupano gli altri due posti del podio con prezzi simili tra loro: mediamente, 550 euro per un monolocale e tra 900 e 1.040 euro per un trilocale. Molto distanti Torino e Genova dove affittare un monolocale costa, rispettivamente, 330 e 315 euro. Nella top ten troviamo, a seguire, Bolzano – che stacca di molto i prezzi di città ben più grandi, con 520 euro richiesti al mese per un monolocale – e poi, con prezzi allineati, Siena, Venezia, Napoli, Bologna, Pisa e Como.


Fonti articolo: Casa24.ilsole24ore.com

Imposte ed esenzioni con la nuova disciplina sugli affitti

Non sono sempre lineari le modifiche introdotte dal 1° gennaio 2016 nell’ambito della disciplina sanzionatoria prevista dal Testo unico dell’imposta di registro (Dpr 131/1986) per le violazioni relative all’imposta di registro applicabile ai contratti di locazione. La normativa risultante dall’entrata in vigore del Dlgs 158/2015 impone così una certa attenzione agli addetti ai lavori. 


La registrazione

Variazioni significative riguardano la riduzione delle sanzioni nei casi di occultamento del canone (cioè di registrazione per un importo inferiore a quello effettivamente pattuito) e di registrazione tardiva. Se viene occultato anche in parte il corrispettivo previsto dal contratto, la sanzione applicabile, originariamente prevista nella misura dal 200% al 400%, da quest’anno è stata di fatto equiparata a quella per l’omessa registrazione che va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta. 

 

 

Inoltre, se la richiesta di registrazione è effettuata con un ritardo non superiore a 30 giorni, in luogo della sanzione ordinaria dal 120% al 240%, si applica la sanzione ridotta da un minimo del 60% a un massimo del 120%. In quest’ultima ipotesi, però, la norma prevede in ogni caso il pagamento di una sanzione minima di 200 euro. 


E’ di tutta evidenza che, in alcune situazioni, la sanzione minima prevista per i ritardi contenuti nei 30 giorni possa risultare superiore a quella ordinaria non ridotta, considerata addirittura nella misura massima del 240%. Si pensi ad esempio a un contratto di locazione con un canone annuo di 4.000 euro che viene registrato nei 15 giorni successivi alla scadenza. La sanzione ordinaria massima applicabile sarebbe di 192 euro (pari al 240% dell’imposta di registro di 80 euro), evidentemente inferiore al minimo di 200 euro previsto in caso di applicazione della sanzione “ridotta” in caso di registrazione nei 30 giorni. 
Questa anomalia, in relazione alla quale è auspicabile un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, ha anche degli effetti “distorsivi” sul ravvedimento operoso. Si ricorda che attraverso tale istituto il contribuente può rimediare alle violazioni commesse a seguito di errori e/o omissioni, purché versi spontaneamente entro il termine indicato dalla norma, contenuta nell’articolo 13 del Dlgs 472/1997, l’imposta dovuta, la sanzione calcolata in misura ridotta e gli interessi legali, quest’ultimi ridotti allo 0,2% annuo a decorrere dal 1° gennaio 2016.


Il ravvedimento 

Con la riforma del ravvedimento operoso, iniziata già nel 2015 e resa ancora più vantaggiosa con l’entrata in vigore del decreto di riforma delle sanzioni tributarie, è possibile sanare le violazioni commesse anche in materia di registro usufruendo di uno “sconto” che aumenta al diminuire del ritardo con cui si versa l’imposta. I limiti temporali sono stati ampliati, cosicché i contribuenti potranno avvalersi del ravvedimento fino allo scadere dei termini per l’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, sempre che la violazione non sia stata già accertata. 
Tuttavia, applicando la normativa alla lettera, in alcuni casi potrebbe essere più conveniente aspettare e ravvedersi dopo 30 giorni, considerato che la riduzione a 1/10 prevista per la registrazione tardiva contenuta nei 30 giorni (e quindi la sanzione del 6%) comporta comunque il versamento di un importo minimo di 20 euro, pari a 1/10 di 200 euro. 
Tornando all’esempio precedente, il contribuente titolare di un contratto di locazione non registrato nei termini con un canone annuo di 4.000 euro, se si ravvedesse nei 15 giorni successivi alla scadenza si troverebbe a pagare la sanzione minima di 20 euro, addirittura superiore a quella di 16 euro (pari a 1/6 della sanzione minima del 120%) applicabile in caso di ravvedimento oltre i due anni. E’ evidente che in questa ipotesi il contribuente attenderà il trentunesimo giorno per registrare il contratto, pagando la sanzione di 9,60 euro per la quale non è previsto alcun importo minimo. 


I versamenti 

Per quanto attiene all’omesso o ritardato pagamento dell’imposta in presenza di un contratto registrato nei termini - e quindi nei casi di annualità successive alla prima, risoluzioni, proroghe e cessioni dei contratti di locazione - si rende applicabile la sanzione del 30% prevista dall’articolo 13 del Dlgs 471/1997. In questo caso la modifica consiste nella riduzione alla metà della sanzione per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni e a un 1/15 per ciascun giorno per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni. 


Sconto sul canone con imposta a zero

Se il locatore e il conduttore si accordano per ridurre il canone di locazione contrattualmente previsto, possono registrare una scrittura privata in tal senso senza pagare le imposte di registro e di bollo, come stabilito dall’articolo 9, comma 1, del Dl n. 133/2014 (sblocca Italia). L’adempimento non è obbligatorio, ma serve per rendere certa di fronte ai terzi la data della modifica contrattuale. La relativa registrazione è quindi facoltativa, a meno che l’accordo non venga formalizzato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. 
Prima dell’entrata in vigore dello Sblocca Italia, la scrittura privata con cui inquilino e proprietario rivedevano al ribasso il canone di locazione di un immobile scontava l’imposta di registro nella misura fissa di 67 euro, come precisato dalle Entrate nella risoluzione 60/E del 28 giugno 2010. 


L’accordo, infatti, non essendo riconducibile alle ipotesi di cessione, risoluzione e proroga anche tacita del contratto, non rientra tra gli eventi che devono obbligatoriamente essere portati a conoscenza dell’amministrazione finanziaria secondo le modalità dell’articolo 17 del Tur , bensì tra gli atti per i quali è possibile la registrazione volontaria, in base all’articolo 8 dello stesso decreto. Tantomeno può ravvisarsi nell’accordo di riduzione una ipotesi di risoluzione o di novazione dell’originario rapporto contrattuale, trattandosi invece di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione e non dell’oggetto o del titolo della prestazione, come stabilito anche dalla Cassazione nella sentenza 5576/2013. 


Nel corso di Telefisco 2016, le Entrate hanno precisato che l’esenzione prevista dal legislatore vale in tutti i casi di riduzione del canone, e quindi se l’accordo è stato stipulato per l’intera durata del contratto in essere o anche per un solo periodo, ad esempio un anno. 
Ma la stessa esenzione non vale anche quando si intende revocare la riduzione e riportare quindi il canone al valore originariamente previsto nel contratto. Resta da chiarire come tassare il nuovo accordo. Seguendo l’impostazione fornita dalle Entrate nel 2010, tenuto conto che la scrittura privata con cui si revoca una precedente riduzione del canone non concretizza un’ipotesi contrattuale autonoma, ma accede a un contratto di locazione in essere già regolarmente registrato, si ritiene che possa trovare applicazione l’imposta di registro in misura fissa pari a 67 euro.


Fonte articolo: IlSole24Ore.com, vetrina web

Super ammortamento del 140% per beni su immobili terzi


Le manutenzioni straordinarie su beni di terzi, in locazione, in leasing, in comodato o a noleggio, possono essere considerate "beni materiali strumentali" agevolabili con la maggiorazione degli ammortamenti del 40% ai fini Ires e Irpef (non Irap), se hanno una funzionalità autonoma e sono staccabili dai beni sui quali sono installate, se sono nuovi e se non rientrano tra quelli esclusi dall'incentivo introdotto dalla legge di stabilità 2016 per gli investimenti effettuati dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016.

 

Via libera, quindi, all’ammortamento maggiorato, ad esempio, per le caldaie, i condizionatori, gli impianti di video sorveglianza, gli impianti fotovoltaici (se considerati beni mobili), installati su fabbricati di terzi ovvero per le attrezzature o gli impianti che, pur essendo installati su beni di terzi già in uso, possono essere separati dagli stessi senza perdere la loro autonoma funzionalità (ad esempio, una pompa nuova installata su un silos noleggiato).


La conferma arriva anche dalla sentenza della Cassazione 7 agosto 2015, n. 16596, secondo la quale spettava l’agevolazione della Tremonti-bis anche alle spese incrementative di un immobile, non di proprietà del contribuente, se contabilizzate in bilancio tra le immobilizzazioni materiali, perché qualificate "come opere aventi una loro autonoma funzionalità ed individualità". È necessario dimostrare che tali beni, al termine del contratto, possono "essere rimossi e utilizzati separatamente dall’investitore", a differenza delle spese incrementative da classificarsi tra le "altre immobilizzazioni immateriali", le quali non costituiscono beni autonomi.


Principi contabili. 
Civilisticamente, i costi sostenuti per migliorie su beni di terzi sono capitalizzabili, se hanno utilità pluriennale. Questi sono iscrivibili tra le "altre immobilizzazioni immateriali" (voce B.I.7), se non sono separabili dai beni stessi, cioè quando non possono avere una loro autonoma funzionalità. In caso contrario, sono iscrivibili tra le "immobilizzazioni materiali", nella specifica voce di appartenenza (ad esempio, impianti generici o specifici, attrezzatura varia e macchinari).


L’ammortamento delle "immobilizzazioni immateriali" per migliorie dei beni di terzi si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione (Oic 24, paragrafi 77 e 95). Quelle classificate tra le materiali, invece, vanno ammortizzate secondo i criteri della specifica voce di appartenenza, quindi, anche in questo caso l’ammortamento dipende dalla "loro residua possibilità di utilizzazione", la quale è influenzata dalla loro utilità futura e comunque dalla durata del contratto di locazione. Quest’ultimo parametro, però, è irrilevante nei casi in cui si decida di tenere questa “miglioria” anche dopo la fine dell’affitto, del leasing o del noleggio, perché si tratta di un bene staccabile da quello di terzi e con autonoma funzionalità.


Tuir. 
Fiscalmente, le spese su beni di terzi iscrivibili tra le “altre immobilizzazioni immateriali” sono oneri pluriennali, quindi, il relativo ammortamento dipende dalle scelte civilistiche in bilancio (articolo 108, Tuir). Invece, se le opere, realizzate su beni altrui, sono contabilizzate civilisticamente tra le immobilizzazioni materiali, l’ammortamento fiscale va calcolato con le aliquote previste dal Dm 31 dicembre 1988 (risoluzione 179/E/2005 e circolari 27/E/2005 e 36/E/2013).


Super-ammortamento. 
Solo le migliorie di beni di terzi iscritte tra le immobilizzazioni materiali, possono essere considerate "beni materiali strumentali" agevolati con il super-ammortamento del 140%. È necessario, però, rispettare anche le altre condizioni, cioè la novità del bene e la sua tipologia. Non sono agevolati, infatti, i “beni materiali strumentali” con coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5% , i fabbricati, le costruzioni e i beni di cui all’allegato n. 3 della legge 208/2015.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web.

Sanatoria per gli inquilini sugli affitti in nero



Con una norma pensata per contrastare gli affitti in nero, la Legge di Stabilità pone diversi problemi applicativi anche a chi si trova a dover registrare locazioni regolari. Vediamo allora le questioni aperte. 


La Stabilità interviene nuovamente sui canoni pagati dagli inquilini che avevano eseguito la cosiddetta “autoregistrazione” del contratto, dopo che la Corte costituzionale, con un duplice intervento (sentenze n. 150/14 e n. 169/15), aveva escluso che il conduttore potesse continuare sino alla fine del 2015 a versare il canone nella misura minima quantificata dal Dlgs n. 23/2011, pari al triplo della rendita catastale dell’immobile locato (più l’aggiornamento Istat).

 

 

Dopo le pronunce della Consulta, la tardiva registrazione eseguita dal conduttore non poteva più spiegare effetti sananti, con conseguenze estremamente pregiudizievoli per il conduttore.
Di fatto, gli inquilini che a partire dal 2011 e fino al 16 luglio 2015 avevano agito seguendo le norme di legge poi bocciate dalla Consulta, si erano trovati privi di tutela, e quindi soggetti alle richieste di pagamento delle differenze tra il versato (in applicazione dell’articolo 3, commi 8 e 9, del citato decreto legislativo) e quello che invece avrebbero dovuto corrispondere secondo i contratti stipulati con il proprietario e poi non registrati (o registrati per un importo inferiore a quello reale o, ancora, registrati sotto forma di comodati fittizi). Altri inquilini, addirittura, si erano visti intimare lo sfratto per morosità.


L’articolo 13 della legge 431/98, così come riformato dalla Legge di Stabilità (la n. 218/2015), interviene nuovamente a protezione della posizione dell’inquilino. Il nuovo comma 5 conferma infatti che il canone annuo dovuto sino al 16 luglio 2015 (data di pubblicazione della sentenza n. 169/2015) da coloro che se l’erano “autoridotto” è effettivamente quello previsto dal Dlgs n. 23/2011 (articolo 3, commi 8 e 9). Il che significa che sino a tale data l’inquilino non è tenuto a riconoscere alcuna maggior somma al locatore rispetto a quanto versato nella misura pari a tre volte la rendita catastale dell’immobile, aggiornata secondo gli indici Istat. Dato che il legislatore ha previsto la sanatoria solo per "il periodo considerato", cioè dal 7 aprile 2011 sino al 16 luglio 2015, per il prosieguo il conduttore dovrà versare il canone nella misura originariamente pattuita, altrimenti sarà soggetto a possibili azioni da parte del suo locatore. 


Quanto alla durata del rapporto di locazione, si è di fronte ad un contratto comunque registrato, sulla cui decorrenza sussistono però incertezze. Assume primario rilievo l’accertamento della data in cui è avvenuta la registrazione. Se entro i 60 giorni dall’entrata in vigore del Dlgs 23 oppure dopo: nel primo caso, il contratto resterà valido con efficacia dalla sua stipula perché sanato dalla pur tardiva registrazione, mentre dovrà considerarsi nullo nel secondo perché la sanatoria non può avere effetti.


Peraltro, va osservato che anche il nuovo comma 5 dell’articolo 13 potrebbe essere portato all’attenzione della Corte Costituzionale, dal momento che secondo chi lo critica ripropone una soluzione già cassata due volte dal “giudice delle leggi”. Ma questo è un tema che si porrà solo se e quando la norma sarà bocciata.


Fonte articolo: Ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/

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