Mutui: la ripresa continua nel primo trimestre 2015

 

+32,5% su base annua. E la crescita prosegue quest'anno con +49,4% a marzo. I dati 2014 riferiti da ABI, l’associazione delle banche italiane, e le stime 2015 del Crif evidenziano la ripresa del mercato legato all’acquisto di abitazioni.

I dati relativi all’intero 2014 riferiti da ABI, l’associazione delle banche, evidenziano la ripresa del mercato dei finanziamenti alle famiglie per l’acquisto delle abitazioni. Dal campione selezionato da ABI, composto da 84 banche, che rappresenta circa l’80% della totalità del mercato bancario italiano, emerge che tra gennaio e dicembre 2014 l’ammontare delle erogazioni di nuovi mutui è stato pari a 25,283 miliardi di euro rispetto ai 19,085 miliardi del 2013.

L’incremento su base annua è, quindi, del 32,5%. L’ammontare dei nuovi mutui che derivano da rinegoziazioni di mutui preesistenti è stimabile in circa il 18% delle erogazioni (4,6 miliardi di euro). 
L’ammontare delle nuove erogazioni di mutui nel 2014 è anche superiore al dato dell’intero 2012 quando si attestarono sui 20,712 miliardi di euro. Sono in aumento soprattutto i mutui a tasso variabile che rappresentano nel 2014 il 77,5% delle nuove erogazioni complessive; tale valore era del 77,1% nel 2013 e del 70,7% nel 2012. Il mercato dei mutui sembra reagire positivamente alle recenti riforme del settore creditizio.

Secondo le rilevazioni della Crif, che si occupa di consulenza finanziaria e soluzioni creditizie, la ripresa del mercato è partita dall'ultimo trimestre del 2014 ed è proseguita nel primo trimestre del 2015. 
Grazie al continuo monitoraggio del settore, iniziato nel 2008, la ricerca ricostruisce la continua evoluzione del mercato, mese dopo mese.
Mettendo a confronto il numero delle domande e l'ammontare degli importi richiesti, è stato individuata nel periodo compreso tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 la fase più critica per il mercato. 

Infatti superata quella fase, la domanda dei mutui è tornata a risalire toccando solo nel primo trimestre del 2015 dei valori davvero significativi. Infatti, il mese di febbraio avrebbe registrato una crescita delle domande del 37.5% rispetto allo stesso periodo del 2014, una crescita proseguita nel mese di marzo.
A febbraio c’è stato un aumento del 49.4% rispetto ai dati raccolti lo scorso anno. Con riferimento agli ultimi sei mesi, lo studio mette in luce anche un netto calo degli importi richiesti. Nel 30.1% dei casi si tratta di valori compresi tra i 100 e i 150 mila euro, seguono con il 26.3% delle preferenze le richieste di mutui per somme pari o inferiori ai 75.000 euro.

Fonte articolo: http://www.guidafinestra.it/news/economia/2015/04/29/news/immobiliare_abi_crescono_i_mutui_per_le_abitazioni-74885/

Social Housing: casa efficiente e a basso costo

Case belle, efficienti, “vivibili” e a basso costo? Grazie alla collaborazione tra pubblico e privato non sono più una chimera. Sul territorio diversi progetti stanno diventando realtà, come dimostrano gli esempi illustrati in questa pagina. Le diverse formule proposte di affitti low cost rappresentano la via italiana al social housing, un tipo di edilizia che sembra finalmente decollare, dopo anni di incertezze, anche nel nostro Paese.

L'idea di fondo è semplice: grazie a concessioni e finanziamenti pubblici, i privati sviluppano complessi residenziali da dedicare, almeno in parte, alle fasce più deboli della popolazione. 

Il mix nell’offerta prevede quasi sempre diverse formule: affitto calmierato, vendite a prezzi convenzionati, riscatto della proprietà nel lungo periodo. Il risultato sono abitazioni “sociali” (quindi più accessibili) di cui gli italiani hanno sempre più bisogno, in tempi di crisi: più calano i redditi, più crescono le disuguaglianze, e maggiore è il fabbisogno di abitazioni da assegnare a canone “sociale”.

La soglia di sostenibilità di una locazione si aggira intorno al 25% del reddito dichiarato da una famiglia. A dirlo è una ricerca realizzata da Caire, cooperativa architetti e ingegneri, insieme alla Camera di Commercio, al Comune e all’Acer (azienda per il diritto alla casa) di Reggio Emilia. L'indagine fotografa il progressivo impoverimento del territorio (nel Modenese metà delle famiglie ha registrato redditi in calo oltre il 10%) e definisce, per le diverse fasce di reddito, il tetto di sostenibilità dei canoni d’affitto: rispetto all’offerta attuale le maggiori criticità emergono sotto gli 11mila euro. Queste famiglie spesso sul mercato non trovano una risposta adeguata. Ecco perché le politiche di social housing devono rivolgersi soprattutto a questo target, promuovendo la costruzione di alloggi a basso costo sul territorio.

In questa direzione si muovono le scelte di Cdp Investimenti Sgr, impegnata ormai da diversi anni con il «fondo dei fondi» Fia (Fondi investimenti per l'abitare, attivo a livello nazionale dal 2010). Finora sono stati approvati progetti che impegnano tre quarti dei 2 miliardi messi a disposizione del fondo ed entro il 2015 verrà completata l’approvazione degli accordi. Tra gli ultimi, ad esempio, lo scorso febbraio Cdp ha siglato con il Comune di Reggio Emilia e Acer un impegno da 10 milioni di euro per realizzare 100 alloggi sociali da locare a canoni calmierati e vendere a prezzi convenzionati alle famiglie in difficoltà. Finora Cdp Investimenti Sgr ha deliberato investimenti per 1.515 milioni di euro, attraverso 27 fondi immobiliari locali gestiti sul territorio da 11 Sgr. In tutto sono previsti oltre 220 progetti. L’obiettivo è realizzare 14.081 alloggi sociali e 6.783 posti letto in residenze temporanee.

In questa fase diventa sempre più importante accompagnare le operazioni, dopo la prima iniezione di liquidità, e definire un mix nell’offerta finale capace di rispondere davvero al fabbisogno del territorio. L’analisi di posizionamento dell’operazione rispetto alla domanda locale, insieme alla qualità abitativa, sono le principali chiavi di successo del social housing. Rispetto alle prime operazioni, infatti, oggi il Fia preferisce focalizzarsi sull’affitto a lungo termine o con riscatto, riducendo al minimo la quota di appartamenti messi in vendita, incrementando il sostegno ai progetti esistenti e ai fondi immobiliari locali più virtuosi, senza disperdere le risorse.

Ci vorranno anni, però, per iniziare a vedere i primi risultati. Basta pensare, ad esempio, che ce ne sono voluti circa otto per arrivare a inaugurare Cascina Merlata (nel 2007 l'acquisto delle aree da parte di EuroMilano): il villaggio da 397 alloggi, che oggi ospita 1.334 delegati da tutto il mondo per Expo 2015, al termine della manifestazione (a ottobre) sarà convertito in residenze “sociali”. 

Fonte articolo: quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web

Quanti stipendi occorrono per comprare casa?

 

Il mercato immobiliare è sempre più sovente oggetto di studi e osservatori che ne parlano in maniera approfondita con la consapevolezza che il mattone, in linea generale, è lo specchio della situazione economica di un Paese e del suo momento storico. Le valutazioni a cui siamo abituati, i report di cui leggiamo quasi giornalmente, misurano questo settore in base al rapporto del prezzo di vendita al metro quadro; l’ultima analisi di Tecnocasa, però, misura tutto in base a un nuovo parametro: il numero di stipendi che servono agli italiani per comprare casa.


L’analisi non ha calcolato il numero di anni che servono a un italiano per comprare la casa dei suoi sogni, ma quelli che servono per comprarne una piuttosto “normale”, ovvero un immobile usato di 65 metri quadri.

Ebbene i calcoli riferiti all’appena chiuso 2014 rivelano che per l’agognata residenza servono ben 5,8 anni di lavoro e di stipendi interamente versati sul conto casa.
La notizia ha diverse possibilità di interpretazione: se da una parte il bicchiere mezzo vuoto rivela come bisognerebbe lavorare (e basta) quasi sei anni per pagarsi una casa; chi ama vedere il lato positivo delle cose, apprezzerà sapere che il numero di annualità rispetto al 2013 è sceso di ben due mensilità, visto che due anni fa servivano esattamente sei anni di lavoro a tempo pieno per lo stesso tipo di immobile. Servono ancora meno stipendi se si confrontano i dati relativi al 2006/2007, anni pre-crisi in cui erano necessari ben 8,6 anni di stipendio.


Ovviamente il calo va di pari passo con quello dei prezzi che dall’inizio della crisi è stata, come sappiamo, una costante del mattone insieme a quello delle compravendite. Ma nel 2014 si è profilata una mini ripresa dal punto di vista del numero delle transazioni immobiliari e gli esperti del gruppo Tecnocasa si sbottonano anche per ciò che sarà questo 2015 che, a detta loro, vedrà continuare questo trend di risalita. Se le transazioni aumenteranno, i prezzi continueranno a scendere, come si legge nello studio, in un range stabilito da -1 a -3%. 


Le città. Se si vuole puntare la lente sulle singole città italiane, Roma è quella in cui c’è un maggiore dislivello tra i prezzi e il numero di stipendi che servono a comprare un immobile: nella Capitale si supera la media nazionale e bisogna lavorare per ben 9,5 anni. Anche Milano va oltre e qui servono 7,9 anni di lavoro per un immobile da 65 metri quadri. Le città in cui, di contro, servono meno anni di lavoro sono Palermo Verona: qui i cittadini si possono dire fortunati e a loro bastano rispettivamente 3,6 e 3,9 anni di duro impegno per pagarsi una casa.


Differenze col periodo pre-crisi. 
Nonostante serva uno dei più alti numeri di buste paga, il capoluogo meneghino è quello che ha visto più di tutti abbassarsi il numero di annualità necessarie a coprire il costo di una casa tipo: nel 2004, infatti, ne servivano 11,1. Se a Milano la variazione dall’inizio della crisi è stata la più evidente, anche a Bologna Firenze si è ridotto il numero dei mesi di stipendio da destinare per l’acquisto di un immobile: nel capoluogo dell’Emilia Romagna il calo è stato di 3 annualità, mentre a Firenze si parla di 3,1. L’unica a tenere, stando allo studio, è proprio Roma.


Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/quanto-si-lavora-per-comprare-casa-21206

Confedilizia: sugli immobili è necessaria una "operazione fiducia"

 

In Italia, rispetto all'anno 2011, le tasse locali sugli immobili sono quasi triplicate. Questo è quanto emerso, tra l'altro, da un Dossier della Confedilizia che ha messo in evidenza, Governo dopo Governo in questi ultimi anni, quello che è stato il pesante inasprimento della tassazione immobiliare. Nel 2011, e negli anni precedenti, c'era solo l'ICI che assicurava un gettito di 9,2 miliardi di euro. Poi, nel 2012 con il Governo del senatore a vita Mario Monti, chiamato a "salvare l'Italia" dalla speculazione internazionale sul debito, è arrivata l'Imu con un gettito pari a ben 23,8 miliardi di euro. Breve stop and go con il Governo Letta con un gettito annuo pari a 20,4 miliardi tra Imu e mini-Imu. Dopodiché, riporta altresì la Confedilizia, nel 2014 di nuovo l'ascesa con il Governo Renzi con Imu e Tasi per complessivi 25 miliardi di euro.

Ne consegue che la tassazione sulla casa con il Governo Renzi risulta essere più aspra rispetto al Governo Monti quando agli italiani veniva apertamente chiesto di fare dei sacrifici. Solo negli ultimi tre anni, quindi, la tassazione locale sulla casa è stata pari ad oltre 69 miliardi di euro e, comunque, rispetto all'ICI dal 2012 in poi i proprietari di immobili versano annualmente nelle casse dei Comuni dai 15 ai 16 miliardi di euro in più. Una cifra che, sottolinea altresì la Confedilizia, è superiore del 50% rispetto alle coperture per assicurare il bonus da 80 euro al mese riconosciuto ai lavoratori dipendenti.

Ecco perché, secondo la Confederazione Italiana Proprietà Edilizia, sugli immobili è necessaria una "operazione fiducia" che vada ad allentare la morsa della tassazione su un bene chiave come la casa. Questo anche in vista di scenari futuri di riordino della tassazione attraverso l'introduzione della cosiddetta "local tax". E questo anche perché nella maggioranza dei casi il contribuente nel pagare le tasse sugli immobili altro non deve fare, purtroppo, che attingere dai propri risparmi e, comunque, da altri redditi derivanti da lavoro oppure da pensione.

Fonte articolo: http://it.blastingnews.com/tasse/2015/04/mercato-immobiliare-italiano-le-tasse-locali-del-governo-da-monti-
a-renzi-00370891.html

Previsioni di crescita per tutto il real estate italiano

Il colore dominante nei prossimi mesi per il real estate nostrano sarà il grigio chiaro. Il rapporto 2015 di Scenari Immobiliari afferma che dopo un accenno di ripartenza lo scorso anno (+1,8%), ci sono le fondate premesse per un ulteriore miglioramento sia per l’abitativo sia per il non residenziale. Il giro d’affari complessivo del real estate italiano è previsto in crescita del 3,7% quest’anno, per arrivare a 112 miliardi. Altro aumento, del 7%, nel 2016, quando il mercato, con 120 miliardi, sarà comunque sotto ancora rispetto al 2010; bene quindi, ma il boom è destinato a rimanere un ricordo.

 

Per quanto riguarda la casa, il 2014 si è chiuso con un fatturato di 81 miliardi di euro, con un aumento dell’1,2% su base annua; la lieve discesa dei prezzi, attorno al 2%, è stata infatti compensata da un aumento delle transazioni di pari entità e riguardante acquisti di maggior valore unitario. Con la crisi i valori hanno comunque lasciato sul campo nei capoluoghi tra il 15% nelle zone centrali e il 27% delle periferie. Per il 2015 sono previste 450mila compravendite, destinate a salire a mezzo milione l’anno prossimo. Il fatturato è stimato in crescita a 84 miliardi quest’anno per balzare a 91, anche grazie alla moderata ripartenza dei prezzi, nel 2016.

Uffici, crisi alle spalle. Per quanto riguarda il non residenziale, la buona notizia, soprattutto per i fondi immobiliari che in Italia hanno un portafoglio molto sbilanciato sugli uffici, è che per il mercato del terziario la fase peggiore è alle spalle. Rimane alto lo sfitto, a Milano più che a Roma, ma nei business district la situazione è in miglioramento. Le previsioni per il comparto sono di un giro d’affari di 6,2 miliardi di euro, con un incremento del 3,3% rispetto allo scorso anno; un ulteriore aumento del 4,8% dovrebbe portare nel 2016 il fatturato complessivo a 6,5 miliardi.

Scenari immobiliari concorda con l’analisi di altri osservatori, già riportate daCorriere Economia, secondo le quali le migliori perfomance nel 2014 sono state registrate dal commerciale. Il mercato dei negozi nelle strade ad alto afflusso di pubblico e degli shopping center ha ripreso quota presso gli investitori istituzionali non solo perché i rendimenti offerti sono elevati (uno-due punti più degli uffici) ma anche perché la crisi ha dimostrato che i retailer di richiamo della moda (gli inquilini ideali per le proprietà) non corrono rischi quando cadono i consumi: negli ultimi anni nonostante la recessione in Italia i bilanci delle insegne più trendy sono sempre saliti. Il giro d’affari immobiliare del comparto nel 2014 ha registrato un incremento del 10,4 per cento, sfiorando gli otto miliardi. Le previsioni sono di una crescita quest’anno e il prossimo al medesimo ritmo.

Più logistica. Per quanto riguarda la logistica, Scenari computa il giro d’affari 2014 in poco meno di 4 miliardi, con prospettive di incremento limitato nel biennio. I rendimenti sono ottimi (fino al dieci per cento) ma è in corso un processo di accorpamento dei magazzini più piccoli in strutture più grandi, con il rischio che sul mercato vengano immessi immobili usati di scarso interesse per gli utilizzatori.

Infine, per l’alberghiero il rapporto vede ottime prospettive: il settore ha tenuto bene negli anni della crisi e per i prossimi mesi può contare su un’accoppiata eccezionale: Expo e Giubileo. Se il sistema turistico riuscirà a «fidelizzare» almeno una parte dei milioni di turisti in arrivo per i due eventi non ci guadagneranno solo i proprietari degli hotel e i gestori delle strutture, ma tutto il sistema Paese.

Fonte articolo: http://www.corriere.it/economia/confronta_e_risparmia/mutui/15_aprile_03/mercato-cinquanta-sfumature-ripresa-e1ab629e-d7a4-11e4-82ff-02a5d56630ca.shtml

 

Situazione mutui casa primi mesi 2015

Mutui casa +35% a novembre-gennaio, prestiti -1,4% a febbraio
Da quanto si legge nel Rapporto mensile stilato dall’Abi (Associazione Bancaria Italiana), in termini di nuove erogazioni di mutui per l’acquisto di immobili nel trimestre novembre 2014–gennaio 2015 (anno su anno) si è registrato un incremento annuo di oltre il 35%, mentre, nello stesso periodo, il flusso delle nuove operazioni di credito al consumo ha segnato un incremento su base annua dell’8,1%.

A febbraio 2015 il totale dei finanziamenti a famiglie e imprese ha presentato una variazione annua di -1,4%, -1,5% il mese precedente e migliore rispetto al -4,5% di novembre 2013, quando aveva raggiunto il picco negativo. Questo di febbraio 2015 per i prestiti bancari a famiglie e imprese è il miglior risultato da luglio 2012. Dalla fine del 2007, prima dell’inizio della crisi, a oggi i prestiti all’economia sono passati da 1.673 a 1.821 miliardi di euro, quelli a famiglie e imprese da 1.279 a 1.405 miliardi di euro.

Tasso mutui scende al 2,78%, raccolta obbligazioni a -13,5%
A febbraio 2015, i tassi di interesse sui prestiti si sono posizionati in Italia su livelli ancora bassi. Il tasso medio sul totale dei prestiti è risultato pari al 3,57%, minimo storico (3,63% il mese precedente; 6,18% a fine 2007). Il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni si è attestato al 2,78% (2,82% il mese precedente e segnando il valore più basso da ottobre 2010; 5,72% a fine 2007). Il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese si è collocato al 2,54% (il valore più basso da ottobre 2010) dal 2,45% di gennaio 2015 (5,48% a fine 2007).

In Italia diminuisce, su base annua, la raccolta a medio e lungo termine cioè tramite obbligazioni, (a febbraio 2015: -13,5%, segnando una diminuzione su base annua in valore assoluto di 68,5 miliardi di euro) il che penalizza l’erogazione dei prestiti a medio e lungo termine. Mentre i depositi aumentano – sempre a fine febbraio 2015 – di quasi 52,3 miliardi di euro rispetto all’anno precedente (su base annua, +4,3%, +5,1% a gennaio 2015). L’andamento della raccolta complessiva (depositi da clientela residente + obbligazioni) registra a febbraio 2015 una diminuzione di circa 16,2 miliardi di euro rispetto ad un anno prima, manifestando una variazione su base annua di -1% (-0,6% a gennaio 2015), risentendo della dinamica negativa della raccolta a medio e lungo termine. Dalla fine del 2007, prima dell’inizio della crisi, ad oggi la raccolta da clientela è passata da 1.513 a 1.701,2 miliardi di euro, segnando un aumento – in valore assoluto – di quasi 190 miliardi.

 

Fonte articolo: http://news.attico.it/2015/03/16/abi-mutui-casa-35-a-novembre-gennaio/

L'identikit di chi compra casa

 

 

Il 63,8% di chi compra un’abitazione ha tra 18 e 44 anni, lo rileva l’analisi delle compravendite dell’Agenzia del Gruppo Tecnocasa riferita al secondo semestre del 2014. Più nello specifico, il 30,4% di chi acquista la casa ha tra i 18 e i 34 anni, il 33,4% ha tra i 35 e i 44 anni, il 19,3% ha tra i 45 e i 54 anni, il 10,9% tra i 55 e i 64 anni e il 5,9% ha oltre 65 anni.

Dall’analisi emerge inoltre che nel periodo in esame oltre tre quarti degli acquirenti ha comprato l’abitazione principale, il 16,2% una casa come investimento e il 6,6% la casa per le vacanze; dati stabili rispetto allo stesso periodo del 2013. 
Si rileva inoltre che chi compra la casa principale diminuisce con il crescere dell’età, tranne che nella fascia oltre i 65 anni dove il dato torna a risalire leggermente.

 

 

 

Come nel 2013, ad avvalersi di un mutuo bancario per l’acquisto è stato il 54,4% del totale (era il 54,7% nello stesso periodo dell’anno precedente). Per quanto riguarda invece i dati relativi a chi ha scelto di vendere, la motivazione è stata nel 44,5% dei casi il miglioramento della qualità abitativa (55,1% nello stesso periodo del 2013), il 39,9% lo ha fatto per reperire liquidità (contro il 26,6% del secondo semestre dell’anno precedente) e il 15,6% per un trasferimento in altra zona o città. Aumenta con il crescere dell’età la percentuale di chi vende per reperire liquidità, mentre decresce con l’aumentare dell’età il numero di coloro che lo fanno per migliorare la qualità della vita. Passando infine ai contratti di locazione stipulati da Tecnocasa, il 58% utilizza l’affitto come scelta abitativa (in crescita del 3,1% sullo stesso periodo del 2013), il 35,5% per motivi di lavoro e il 6,5% per motivi di studio.

Fonte articolo: http://www.e-duesse.it/News/Cucine-Built-in/Mercato-immobiliare-il-63-8-di-chi-compra-ha-tra-18-e-44-anni-187664



Patrimonio immobiliare e prelievo fiscale: Italia ed Europa a confronto

Si parla spesso della pressione fiscale che grava sulle spalle degli italiani proprietari di immobili, ma molto meno di quello che accade al di fuori dei confini nazionali. Qual è la situazione negli altri Paesi europei? In Germania, in Spagna, in Grecia, per esempio.

Una risposta arriva dalla recente pubblicazione Gli immobili in Italia 2015 realizzata dagli esperti dell’Agenzia delle Entrate in collaborazione con Sogei, la società ITC del Ministero delle finanze.
Il primo dato che spicca emerge dal confronto tra l’andamento del prelievo sul patrimonio finanziario e immobiliare tra Germania, Italia, Spagna, Francia e Regno Unito negli anni 2000, 2010 e 2012.

 

Se è vero che l’Italia è stata quella che nel biennio 2010-2012 ha subito il maggiore incremento, passando dal 4,8% al 6,2%, occorre dire che, tranne in Germania, il prelievo fiscale era già molto alto nel 2010 in tutti i Paesi considerati: 6,4% in Spagna (ridotto a 6,2% nel 2012), 8,5% in Francia (praticamente immutato nel 2012 con l’8,6%) e nel Regno Unito 12% (ridotto all’11,8% nel 2012).
In tutti i Paesi esaminati l’abitazione principale è esente dall’imposta sui redditi delle persone fisiche e gode di un trattamento preferenziale per l’acquisto che include forme dirette di sussidio, deduzioni/detrazioni fiscali per gli interessi sui mutui e riduzioni di prelievo sui redditi della prima casa.
Questo trattamento fiscale di favore per la proprietà immobiliare (e per la abitazione principale in particolare) è spesso giustificato dalla natura specifica del bene «abitazione» e dalle esternalità positive che possono essere associate alla scelta di dimorare nella casa di residenza da parte del proprietario.

Discorso interessante anche per quanto riguarda la deducibilità fiscale dal valore imponibile degli interessi sui mutui ipotecari contratti per l’acquisto della casa.
Per esempio, Germania, Grecia, Francia e Regno Unito non prevedono, oggi, alcun sistema di agevolazione fiscale sui mutui contratti. In Belgio, interesse e spese possono essere dedotti fino a un tetto massimo di 2.770 euro per i primi 10 anni e di poco più di 2.000 euro in seguito. In Olanda gli interessi sui mutui ipotecari possono essere interamente deducibili in regime di tassazione personale del reddito, mentre l’Estonia, pur consentendo un limite generale per la deducibilità fissato a 1.920 euro, si è verificata una stretta considerando che fino al 2013 l’importo deducibile era molto superiore (circa 3.200 euro).


Fonte articolo: http://www.geometri.cc/il-prelievo-fiscale-sulla-casa-tra-italia-ed-europa-cosa-cambia.html



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