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Innovazione in edilizia, il decalogo di Federcostruzioni - Ricerca Cresme

 «Un terzo delle imprese di costruzioni italiane ha il Ros negativo» (Return On Sales, ritorno sulle vendite, il rapporto tra risultato operativo e ricavi netti), «dunque di fatto è a rischio default».
Lo ha detto il direttore del Cresme Lorenzo Bellicini in occasione del convegno organizzato presso la sede del Cnr, a Roma, su «Mercati nuovi per nuovi imprenditori» da Federcostruzioni, in collaborazione con Cna (ordine architetti) e Cni (ingegneri) .
«La nostra indagine sui bilanci delle imprese - ha spiegato Bellicini - ci dice che questa è la situazione del sistema dell'offerta in un mercato che dal 2008 ha perso 55 miliardi di investimenti, oltre un terzo del valore complessivo. Un mercato che nel 2014 vale 170 miliardi»: 8 miliardi per le energie rinnovabili, 36,3 miliardi per la manutenzione ordinaria in edilizia, 126 milioni per investimenti in costruzioni (divisi tra nuovo, 44 miliardi, e manutenzione straordinaria, 82 miliardi). In tutto, dunque - ha sottolineato Bellicini - il mercato del recupero vale il 70% del totale.

Eppure il Cresme prevede nel 2015 l'anno di inversione del ciclo, in cui si aprirà il settimo ciclo edilizio dal dopoguerra. I primi segnali vengono dalla crescita del valore delle gare di appalto, +21% negli avvisi e +50% nell'importo (si veda il nostro servizio) e del numero delle compravendite immobiliari nel terzo trimestre 2014 (+4%). Per questo il CResme prevede per il 2015 una crescita degli investimenti in costruzioni dell'1,1% in valori reali, con il rinnovo che crescerà del 3,5% mentre le nuove costruzioni segneranno un nuovo calo, del 3,4%.

«Un ciclo - spiega Bellicini - nel quale uno dei driver principali sarà rappresentato dalla capacità di offrire livelli crescenti di qualità, in cui rientrano elementi di sostenibilità, di qualità gestionale, di processo, ovvero un insieme di prestazioni in grado di innovare profondamente il modo stesso di costruire».

«Il sistema imprenditoriale che si riconosce in Federcostruzioni – ha sottolineato il Presidente di Federcostruzioni Rudy Girardi - è pronto a raccogliere la sfida che viene da un diverso modo di costruire. La qualità delle costruzioni rappresenta effettivamente un'opportunità di crescita per tutto il settore delle costruzioni, con effetti positivi sull'intero sistema Paese». «Ma - ha aggiunto - per far questo è necessario che le Amministrazioni pubbliche assicurino un quadro compatibile con tale obiettivo attraverso un quadro regolatorio chiaro, univoco e coerente».

Per sostenere la qualità nelle costruzioni in Italia Federcostruzioni ha lanciato un "decalogo" di proposte. Eccolo, riportato integralmente

LE DIECI PROPOSTE DI FEDERCOSTRUZIONI PER LA QUALITA' IN EDILIZIA

1) Garantire un clima di effettiva legalità contrastando sia i tentativi di infiltrazione da parte di organizzazioni malavitose sia le pratiche quotidiane di concorrenza anomala che estromettono dal mercato gli operatori virtuosi e che comportano opere di scarso livello qualitativo.
2) Razionalizzare e rendere più efficace il sistema dei controlli oggi del tutto insufficienti, episodici - nonostante previsti dalle norme - e basati su adempimenti burocratico-formali, puntando su un vero e proprio sistema pervasivo e fondato su indicatori prestazionali.
3) Promuovere a livello nazionale ed europeo l'introduzione di una standardizzazione dei criteri e degli strumenti di valutazione degli attestati di qualità.
4) Sostenere i processi di innovazione tecnologica sia di prodotto che di processo il cui fine ultimo è sempre quello di accrescere il livello qualitativo delle opere, attuando procedure di controllo e qualificazione altamente specializzate.
5) Incentivare i processi di integrazione e convergenza tecnologica così da favorire una crescita reale in termini di sistemi costruttivi e di soluzioni a tutto vantaggio sia dell'utenza finale che in termini di qualità e di sostenibilità del prodotto immobiliare.
6) Regolamentare l'applicazione di prodotti e innovazioni certificate così da garantirne i valori qualitativi e prestazionali.
7) Realizzare un efficientamento della macchina burocratica dello Stato perseguendo il duplice obiettivo di ridurre gli elevati oneri diretti e di semplificare norme e regole così da facilitare l'operato delle amministrazioni pubbliche nei ruoli che le sono più propri, quelli della programmazione e del controllo.
8) Introdurre un efficace sistema di analisi costi-benefici degli investimenti e modificare l'attuale sistema degli appalti che privilegia il prezzo a scapito della qualità con effetti devastanti sul tessuto delle imprese, disincentivando la crescita tecnologica e gli investimenti produttivi.
9) Restituire centralità alla fase progettuale che deve rappresentare il punto certo di partenza di ogni iniziativa per consentire la formulazione di offerte dettagliate.
10) Intervenire per ridurre in maniera strutturale il peso eccessivo del costo dell'energia.

LA RICERCA CRESME: CERTIFICAZIONI INEFFICACI
Uno degli aspetti più interessante della ricerca Cresme, presentata il 16 dicembre al convegno Federcostruzioni, è quello relativo alla certificazione. «C'è stata una forte crescita delle certificazioni in edilizia in Italia» ha spiegato Bellicini. «Le certificazioni dei sistemi di gestione ottenute da imprese italiane del settore costruzioni - si legge nella ricerca - sono passate dalle 2.309 del 1999 alle 29.955 di gennaio 2012. Si tratta per il 93% di certificazioni ISO 9001 (sistemi di gestione della qualità), mentre il restante 7% è diviso tra ISO 14001 (gestione ambientale, 4,2%), BS OHSAS 18001 (salute e sicurezza sul lavoro, 2,8%) e altri (0,3%). In termini di numerosità totale, il 47% delle certificazioni è detenuto da imprese di servizi, il 34% da imprese industriali in senso stretto, il 19% da imprese di costruzioni e lo 0,4% da imprese agricole o ittiche».
Tuttavia «L'"intensità di certificazione" del settore costruzioni è di (soli) 3,3 certificati ogni 100 imprese, leggermente superiore alla media di tutta l'economia (2,8), ma nettamente inferiore rispetto all'industria in senso stretto, che presenta 8,3 certificazioni ogni 100 imprese».

Inoltre in Italia, ha rilevato il Cresme, negli ultimi anni si è creata «una corsa tra i certificatori a chi è più compiacente con le imprese o a chi ribassa maggiormente i prezzi (a scapito, ovviamente, della qualità delle certificazioni). Di pari passo con la diffusione dei certificati di qualità, infatti, è cresciuto anche il problema dei certificati "gonfiati"».
«Ma il problema, a ben vedere, è anche più ampio di così, e riguarda sia le certificazioni volontarie sia gli adempimenti obbligatori: troppo spesso nel nostro paese i controlli sono basati sugli adempimenti formali invece che sulle reali prestazioni erogate. Il nocciolo del problema, nel nostro paese, è che spesso una certificazione diventa un "pezzo di carta", un adempimento formale necessario ma privo di significato concreto».

Dovremmo passare - spiega Bellicini «da certificazioni ed auto-dichiarazioni basate su adempimenti formali a certificazioni basate sulle prestazioni dei prodotti finali ed eseguite da enti terzi, totalmente indipendenti anche rispetto alla progettazione e all'esecuzione dei lavori. A ciò va aggiunto un sistema di controlli efficaci e credibili».

A livello internazionale il modello di riferimento viene considerato quello tedesco: «Tutti gli osservatori - osserva la ricerca Cresme - sono concordi nel sostenere che in Germania l'elevato livello qualitativo del mercato deriva, oltre che da fattori storici e culturali, proprio dalle caratteristiche del sistema di controllo della qualità. E la regola è semplice: i controlli, sono: 1) basati sulla misurazione delle performance, non solo sulle procedure formali; e sono 2) caratterizzati da grande rigore e severità. I controlli sono veri per tutti e puntano al contenuto, piuttosto che alla procedura formale. Inoltre la responsabilizzazione del costruttore è assicurata dal fatto che le norme statali e locali sono integrate da altre "regole tecniche generalmente accettate" (Allgemein anerkannte Regeln der Technic – AaRdT). Queste norme, pur non facendo parte del corpo legale ufficiale, sono riconosciute dalle leggi ufficiali (ad esempio quelle sui contratti e sugli appalti) e possono fungere da riferimento in caso di controversie legali derivanti da problemi nelle costruzioni. Molto spesso si tratta di linee-guida formulate dalle associazioni di categoria. Più in generale, si tratta di riferimenti allo "stato dell'arte" del costruire».

«I segnali positivi indicati dal Cresme - ha commentato il presidente dell'Ance Paolo Buzzetti - possono diventare fattori stabili di un processo di ripresa delle costruzioni italiane solo se si accompagneranno a una spinta vigorosa sul piano degli investimenti pubblici soprattutto sui fronti della messa in sicurezza del territorio e della manutenzione del patrimonio pubblico ad iniziare dalle scuole e a sostegno di concreti diffusi interventi di riqualificazione urbana." Per il presidente dell'Ance è altresì necessaria una razionalizzazione del sistema impositivo sulla casa verso un' unica local tax in grado di dare certezza al mercato immobiliare, che da sempre costituisce un fattore essenziale di qualunque possibile concreta ripresa economica.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/impresa-e-professione/2015-01-16/innovazione-edilizia-decalogo-federcostruzioni-174403.php?uuid=AbpV2MxK

Anche i mini lavori nel programma di recupero degli alloggi Iacp

Al nastro di partenza il programma di recupero e razionalizzazione delle abitazioni di proprietà degli Iacp e di altri enti pubblici, previsto dall'articolo 4 del decreto legge 47/2014, il cosiddetto piano casa Renzi. La conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali il 14 dicembre ha, infatti, dato il via libera al decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti che ripartisce tra le regioni i finanziamenti per la sua realizzazione. Il piano casa ha assegnato al programma una dote di circa 550 milioni di euro, ma la copertura finanziaria per 400 milioni è arrivata con la legge finanziaria per il 2015.Gli enti pubblici proprietari delle case popolari dovranno impiegare i finanziamenti che riceveranno, per il tramite delle regioni, per realizzare piccoli interventi di manutenzione ordinaria oppure interventi più consistenti di ripristino di alloggi sfitti e di manutenzione straordinaria.

 Nel primo caso deve trattarsi di lavori di lieve entità, con una spesa non superiore a 15.000 euro per alloggio, da realizzare in massimo 30 giorni. Per gli interventi più pesanti il finanziamento può raggiungere i 50mila euro, da investire per abbattere le barriere architettoniche, mettere in sicurezze parti strutturali e migliorare il rendimento energetico degli immobili.Nel complesso il finanziamento statale ammonta a 468 milioni di euro, spalmati su più anni. I 68 milioni riservati ai piccoli interventi devono essere spesi entro il 2017, mentre gli ultimi 25 milioni, dei 400 complessivi, destinati a finanziare le spese per il ripristino degli alloggi sfitti e per i lavori di ristrutturazione straordinari saranno stanziati nel 2024. Questa lunga diluizione nel tempo dei finanziamenti riduce il contributo del programma al ripristino degli alloggi sfitti, che non possono essere riassegnati, e rischiano di essere occupati abusivamente, perché i loro impianti non sono a norma o perché hanno necessità di altri lavori di recupero. Sull'intero territorio nazionale sono circa 16.500 (una parte dei fondi è stata ripartita tra le regioni anche in base al loro numero). Con tutte le risorse del programma è possibile ripristinarne 12.500, se sia i piccoli lavori che quelli più consistenti sono finanziati con l'importo massimo previsto per ognuna delle sue linee di intervento, ma nel triennio 2015-2017 saranno intorno alle 2.000 all'anno.

L'approvazione del decreto ministeriale, arrivata dopo 6 mesi dalla scadenza stabilita dal piano casa, non significa ancora apertura dei cantieri: prima le regioni devono verificare la rispondenza dei criteri proposti dagli enti proprietari con i criteri di selezione da esso previsti. Se sarà rispettata la tabella di marcia prevista per i passaggi ammnistrativi ancora da compiere, la prima cazzuolata di malta sarà posata a partire dalla prossima estate. Dall'entrata in vigore del decreto legge del piano casa saranno passati non meno di 15 mesi: troppo per un programma nato per dare risposte immediate al disagio abitativo.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/infrastrutture-e-citta/2015-01-16/anche-mini-lavori-programma-185439.php?uuid=Abv73LxK

La fiducia smarrita tra tasse e mercato

Dare una casa in affitto è ancora un buon affare? A prima vista, vien da dire di sì, almeno guardando i migliori tra i rendimenti netti calcolati dal Sole 24 Ore del lunedì.

Dopotutto, livelli medi di ritorno sul capitale tra l’1,78 e il 2,61% - al netto di imposte e spese, e senza considerare il rischio di morosità - non sono male di questi tempi. Ma ci sono altri aspetti che aiutano a capire perché gli italiani non stiano correndo a comprar case da affittare.

Secondo gli ultimi dati, ci sono 2 milioni di proprietari “persone fisiche”, cioè privati, che concedono in affitto 2,7 milioni di abitazioni. È un popolo di risparmiatori, che spesso non si muove analizzando le percentuali di rendimento, ma cogliendo i segnali che definiscono lo spirito del momento.

Il primo segnale – chiarissimo – è l’aumento delle tasse. Certo, nel 2011 ha debuttato la cedolare secca. Ma poi è arrivato lo shock dell’Imu, e la pressione fiscale è sempre cresciuta. Basta vedere la progressione dell’aliquota media sulle case locate nei capoluoghi, rilevata dal Caf Acli: 9,49 per mille nel 2012, poi 9,62 per mille l’anno seguente e 10,35 per mille nel 2014 con l’arrivo della Tasi accanto all’Imu. Senza dimenticare la riduzione dal 15 al 5% della deduzione forfettaria per gli affitti in tassazione ordinaria.

Il secondo segnale è la diminuzione dei canoni, accompagnata dall’esplosione della morosità. Tra gli indicatori giudiziari di crisi, il numero degli sfratti per morosità è quello che è salito di più negli ultimi quattro anni: +46% tra il 2011 e il 2014 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 5 gennaio). Da una parte ci sono famiglie di inquilini in forte difficoltà economica. Dall’altra c’è sempre maggiore prudenza nella selezione dei conduttori, periodi più lunghi in cui la casa resta sfitta e timore di dover anticipare le imposte su affitti non incassati.

Il terzo segnale è la diminuzione delle quotazioni immobiliari, che ha scavato crepe profonde nel vero pilastro su cui si è sempre fondato ogni investimento popolare nel mattone, al di là del canone mensile. Se vacilla la certezza della rivalutazione dell’immobile, il risparmiatore medio guarda all’acquisto della casa come alle azioni di Wall Street: prospettive interessanti, magari, ma con l’incognita che il cambio rovini tutto.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/casa-e-fisco/2015-01-09/fiducia-smarrita-tasse-mercato-191136.php?uuid=AboX0euK

Investimenti immobiliari, l’Europa richiama liquidità

Sarà la liquidità, e non un miglioramento dei fondamentali dell’economia, a guidare la ripresa di volumi e valori del real estate in Europa nel 2015. Almeno secondo quanto evidenzia la consueta ricerca Emerging trend in real estate stilata da Pwc in collaborazione con Uli.

Quest’ultima panoramica della catena immobiliare ha come tema principale proprio il considerevole afflusso di capitali, sia di rischio sia di debito, che sta investendo il mercato. «L’impiego dei capitali richiede oggi una attività di bilanciamento tra i molti fattori di rischio per gli operatori - spiega Elisabetta Caldirola, partner di Pwc, real estate leader Italy -. Tra i principali fattori che influenzano il mercato c’è la scarsità di prodotto adeguato. I rendimenti compressi delle attività finanziarie rendono disponibili masse di capitali - frutto del mercato dei tassi quasi pari allo zero - in cerca di ritorni adeguati e spingono la domanda per immobili anche core.

Domanda che preme sui prezzi». La forte concorrenza sugli oggetti più interessanti spinge alcuni operatori a dirigersi verso città secondarie e prodotti meno qualificati, per i quali sono necessarie competenze più granulari. « Il secondo fattore che influenza il mercato è il costo del debito - continua Caldirola -. Nel Nord Europa, come in Germania e Uk, c’è debito in quantità, nel Sud Europa invece le banche sono ancora poco disposte a finanziare».

I due terzi degli intervistati da Pwc per il report sottolineano che gli asset core sono quasi sempre sopravvalutati. A determinare la crescita dei valori sono gli investimenti dei ricchi fondi sovrani, dei fondi pensione internazionale e delle società assicurative asiatiche, focalizzate su città come Londra, Parigi, Milano e Berlino.

Quali saranno le città sulle quali puntare nel 2015? Le prime cinque mete, sempre secondo gli intervistati, sono Berlino, Dublino, Madrid, Amburgo e Atene. Le posizioni di Dublino e Atene segnalano le nuove opportunità presenti in Europa. La scelta di Madrid è dettata dal ritorno dei capitali in Spagna. Tendenza di cui ci sono segnali di diffusione in tutto il Sud Europa. Anche in Italia, Nazione che Pwc considera più interessante della vicina Spagna in termini di fondamentali economici e di liquidità del mattone. Nella classifica stupisce che Londra sia scesa al decimo posto (era al quinto lo scorso anno), penalizzata dai pesanti rincari del mattone.

A livello di settori la logistica guadagna posizioni, anche grazie all’e-commerce. Seguono nella classifica gli uffici nei centri delle grandi città, ma anche nel 2015 continueranno a soffrire uffici periferici e business park. E il settore residenziale? Diventa un asset più importante. In Italia però meno che altrove, per via delle normative in vigore e dello scarso rendimento. A livello europeo, invece, il segmento acquisisce appetibilità sotto il profilo di case per studenti, per anziani e strutture di cura che hanno rendimenti stabili nel medio e lungo termine.

A livello di volumi di investimenti nei primi tre trimestri 2014 si evince che il Regno Unito è stato il Paese più attivo con 47 miliardi di euro (21 miliardi solo a Londra), seguito dalla Germania con 30 miliardi, dalla Francia con 16, per passare poi a Paesi Bassi e Spagna con sei, Svezia e Russia con 4 miliardi. Seguono Irlanda e Italia (3 miliardi) e con due miliardi Polonia, Austria, Norvegia e Finlandia. Negative le attese per la Russia. Gli investimenti a Mosca nel corso dei primi tre trimestri del 2014 sono scesi a quota 2,7 miliardi di euro dai 4 miliardi di un anno prima.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/real-estate/2015-01-14/investimenti-immobiliari-leuropa-richiama-190315.php?uuid=AbDuhFwK

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