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Fondo prima casa: in 12 mesi moltiplicate le richieste

Cresce il ricorso al Fondo garanzia prima casa, lo strumento ricolto principalmente alle giovani coppie che opera a monte della concessione del mutuo offrendo alle banche una garanzia del 50% sul rimborso.


Tra febbraio 2015 e marzo 2016, secondo l’Abi, sono state infatti registrate richieste di accesso per 808 milioni di euro, di cui 531 milioni di nuovi mutui già erogati o in attesa di essere concessi.

 

 

Il numero delle domande è passato da 62 al mese (nel marzo del 2015) a circa 450 (nel marzo del 2016), in particolare con un maggior utilizzo registrato in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Sicilia e Lazio. Lo strumento ha interessato gli under 35 per il 58% del totale erogato.


Il Fondo, sottolinea l'Abi, rappresenta un fondamentale esempio di collaborazione tra banche e Istituzioni, a disposizione delle famiglie che aspirano ad acquistare l'abitazione principale. L'obiettivo è, infatti, continuare a favorire l'accesso ai mutui attraverso una dotazione da 550 milioni di euro che potrebbe garantire finanziamenti potenziali per 12-15 miliardi di euro. Le banche che utilizzano il Fondo non possono richiedere ulteriori garanzie ai mutuatari, oltre a quella ipotecaria.


Il “Fondo di garanzia per la casa” controgarantito dallo Stato prevede il rilascio di garanzie a copertura del 50% della quota capitale dei mutui ipotecari (fino a 250mila euro) erogati per l'acquisto, o la ristrutturazione per l'accrescimento dell'efficienza energetica, degli immobili adibiti a prima casa, con priorità di accesso per le giovani coppie o ai nuclei famigliari monogenitoriali con figli minori, nonché di giovani con contratti di lavoro atipico con età inferiore a 35 anni. 


La garanzia può essere richiesta da coloro che, alla data di presentazione della domanda di mutuo, non risultino proprietari di altri immobili ad uso abitativo, salvo quelli di cui abbiano acquistato la proprietà per successione e che siano in uso a titolo gratuito a genitori o fratelli.
Ad ora, comunica l’Abi, hanno aderito al Fondo 142 banche (rappresentando più del 70% in termini di sportelli bancari) che sono impegnate anche a promuovere una informazione sempre più adeguata sull'iniziativa. La lista è consultabile presso il sito del Gestore Consap www.consap.it, dove è possibile scaricare anche l’apposito modulo di domanda.


Fonte articolo: Casa24.ilsole24ore.com

 

Al Salone del Mobile l'eccellenza del Made in Italy



Ci siamo. Anche quest’anno Milano è pronta ad accogliere quel Salone del Mobile che da oltre mezzo secolo conferma alla città il ruolo di Capitale internazionale del design.


Un ruolo che quest’anno si consolida anche grazie alla concomitanza con la XXI Triennale Internazionale (dedicata anch’essa al design), inaugurata lo scorso 2 aprile e in scena fino al prossimo 12 settembre in 19 sedi cittadine.



Da domani a domenica nel quartiere espositivo di Rho sono attesi più di 300mila operatori da 160 Paesi, oltre a 30mila visitatori non professionali in arrivo nel week-end, che verranno a conoscere le novità di circa 2.400 aziende espositrici, di cui il 30% estere. Protagoniste di questa 55esima edizione – che si apre nel segno di una generale ripresa del comparto (+3,5% rispetto al 2014, a quota 25 miliardi di euro) – sono in particolare le rassegne biennali dedicate al mondo della cucina (Eurocucina FTK) e del bagno (Salone del bagno), due comparti che più degli altri hanno accusato i contraccolpi della crisi, ma che nel 2015 hanno dato importanti segnali di vitalità, recuperando sia sul mercato interno, grazie alla spinta del bonus mobili, sia soprattutto su quelli esteri.


E non a caso il carattere internazionale del Salone del Mobile di Milano è quello che lo rende unico al mondo e imprescindibile per le tante aziende del made in Italy che sui nello sviluppo oltreconfine devono cercare le occasioni migliori per crescere.
"Abbiamo lavorato molto per promuovere sui mercati più dinamici l’eccellenza delle imprese italiane e la fiera che le rappresenta – spiega Roberto Snaidero, Presidente del Salone e dell’associazione di categoria, FederlegnoArredo, che lo organizza –. Grazie al sostegno del Ministero allo Sviluppo Economico e dell’Ice abbiamo realizzato eventi, missioni B2B e progetti di incoming di buyer soprattutto negli Stati Uniti e in Cina, dove le esportazioni di mobili hanno registrato nel 2015 ritmi di crescita straordinari". 


Ma l’attenzione della federazione è stata rivolta anche alle “nuove frontiere” del mobile italiano: dall’Iran del dopo-sanzioni al Messico, dall’Estremo Oriente nel suo complesso al continente africano. Senza dimenticare la vecchia Europa, che lo scorso anno ha dato buoni segnali di risveglio (+6% l’export di arredo made in Italy verso i Paesi dell’Unione) e che rappresenta da sola oltre la metà dell’export del settore.


"Grazie alle attività di incoming svolte durante l’anno, ci aspettiamo un aumento di buyer dagli Stati Uniti – dice Snaidero – che da sempre arrivano numerosi al Salone (l’anno scorso erano oltre 5mila, ndr). Arriveranno delegazioni qualificate di developer, studi di progettazione e architettura e interior designer". Anche la pattuglia dei cinesi (la più numerosa: l’anno scorso sfiorò le 22.600 unità) dovrebbe crescere, anche in vista del Salone del Mobile di Shanghai che debutterà nella metropoli asiatica il 19 novembre.


Tra le novità di quest’anno, si segnala un focus, all’interno del Salone, dedicato al settore dell’arredamento classico, spesso meno considerato rispetto a quello del contemporaneo-design, ma che ha invece un valore importante non solo in termini di fatturato ed export, ma anche di tradizione e competenze artigianali da preservare. Un’eccellenza che sarà raccontata nella mostra "Before Design: Classic" e da un corto firmato da Matteo Garrone. Inoltre, un intero padiglione, battezzato "xLux" sarà dedicato all’alto di gamma, con spazio in particolare per i brand del lusso, della moda e dell’auotomotive.


Fonte articolo: IlSole24ore.com

Emergenza casa: alloggi popolari svenduti

Nonostante il patrimonio di edilizia pubblica sia cronicamente inferiore al fabbisogno - con 646.445 famiglie in attesa di un alloggio popolare - le Regioni hanno continuato ad approvare piani di alienazione. In questo modo in quasi 20 anni sono usciti dalla disponibilità pubblica 190mila case in affitto.


Dall'altra parte, le Regioni hanno anche avviato programmi edilizi per realizzare o acquistare nuovi alloggi oppure recuperare quelli inagibili; ma il saldo è rimasto fortemente negativo, con una perdita di 56mila unità. Il patrimonio complessivo si attesta oggi a 856mila alloggi. 

Sono alcuni dei numeri-simbolo della condizione dell'edilizia popolare in Italia, che si trova nello studio di Nomisma realizzato per Federcasa e presentato nei giorni scorsi a Roma e a Bologna. I gestori hanno preferito seguire la strada in discesa delle vendite agli inquilini che occupavano l'alloggio invece di affrontare il difficile tema della rotazione del patrimonio, cercando soluzioni che consentissero la "migrazione" di tutti gli inquilini che progressivamente uscivano dai requisiti di legge per la permanenza in un alloggio popolare. Le vendite sono state di fatto delle svendite, con cessioni a prezzi medi di 39mila euro circa (dato 2011, ultimo disponibile) alleviati dal taglio dei costi gestionali a carico delle Aziende casa. 


Il prezzo di cessione di 39.144 euro per alloggio popolare è la media che risulta tra i 22.171 euro nelle città del Centro, i 23.840 euro pagati nelle città del Sud e i 66.149 euro delle città del Nord. "Calcolando un valore medio di mercato per un alloggio di circa 75 mq, in area periferica e in cattivo stato di manutenzione pari a 70-80mila euro, la perdita per il settore pubblico nel solo periodo 2001-2011 è stimabile in 6,5 miliardi di euro, con i quali si sarebbero potuti costruire circa 75mila alloggi in più, senza pesare sul bilancio dello Stato e delle Regioni", si legge nello studio. 


Il canone medio mensile è di 105 euro (1.262 euro l'anno), con oscillazioni tra i 64 euro al mese nelle città del Sud, i 109 euro del Centro e i 122 euro del Nord. Il canone annuo pagato per una casa popolare va di 769 euro al Sud, ai 1.313 euro al Centro mentre gli inquilini del nord pagano 1.462 euro all'anno. Una parte di queste entrate se ne va in tasse. Una parte molto elevata, secondo Nomisma: "l'incidenza del totale delle imposte sulle entrate da canoni di locazione, che rappresentano la principale entrata delle aziende, è passata dal 25 al 52%", afferma il rapporto. 


Un altro capitolo dolente è appunto quello della morosità degli inquilini. In media, uno su cinque non paga l'affitto. Il tasso medio di morosità è infatti del 20,6%, con le solite forti differenze geografiche tra il Mezzogiorno con il 40%, il 15,6% del Centro il Nord con 13,8% del Nord. 
Questa la fotografia ricostruita da Nomisma. Una fotografia comunque già vecchia, visto che i numeri sono aggiornati al 2011. In altre parole, gli ultimi cinque anni di gestione sono ancora un buco nero.


Fonte articolo: Ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com, vetrina web

Criteri di classamento immobili motivati, altrimenti l'atto è nullo


Accertamenti catastali a rischio di nullità se non adeguatamente motivati: è il principio ormai costante che emerge dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, chiamata spesso, negli ultimi tempi, ad affrontare cause legate alle rettifiche operate dalla ex agenzia del Territorio. 


Il classamento di un immobile è necessario per l’attribuzione della rendita catastale, che di fatto, esprime il valore di ogni unità.

 

A questo fine, occorre considerare sia le singole caratteristiche dell’immobile (come ad esempio la dimensione, l’epoca di costruzione, la struttura e la dotazione impiantistica, la qualità e lo stato edilizio, la presenza di pertinenze comuni o esclusive, il livello di piano), sia il contesto in cui è ubicato (riscontrando il grado di urbanizzazione dell’area circostante, la presenza di infrastrutture o la vicinanza alle principali vie di comunicazione). In sintesi dunque, ogni unità immobiliare è qualificata con una determinata categoria e, in relazione alla “qualità” dell’immobile, con una specifica classe. 


Per ogni Comune è stabilita una tariffa per ogni classe che, moltiplicata per la dimensione del fabbricato (vano, metro quadrato o metro cubo) dà la rendita catastale. Gli uffici, per “aggiornare” questo valore possono rettificare la rendita sia di un singolo immobile, sia di tutte le unità presenti in un determinato quartiere o zona. Le cause che rendono necessario un riclassamento sono riconducibili a due categorie:

- la variazione subita dalla microzona comunale in cui è ubicato l’immobile, come ad esempio il miglioramento della viabilità, la realizzazione di scuole, ospedali; 
- l’esecuzione di opere a cura del possessore, volte alla ristrutturazione del fabbricato. 


Per la Cassazione (sentenza 6593/2015), a prescindere dall’impulso che ha dato avvio alla procedura di classamento, questa attività è (e resta) una procedura "individuale", che va effettuata considerando i fattori posizionali ed edilizi pertinenti a ciascuna unità immobiliare. Si tratta così di un unico criterio che consente di identificare il "parametro globale di apprezzamento" del fabbricato stesso.
Gli atti di accertamento catastali, sebbene possano dipendere da vari fattori, spesso riportano una motivazione sintetica e schematica che difficilmente risponde ai requisiti minimi per la validità dell’atto. 


La Suprema corte ha da tempo dichiarato la nullità degli atti privi di motivazione poiché questa ha carattere sostanziale e non solo formale: non si tratta infatti di un elemento utile solo a provocare la difesa del contribuente, ma circoscrive l’eventuale successivo giudizio (sentenza 20251/2015). La Ctr di Milano, sezione staccata di Brescia (sentenza 1043/67/2016), in virtù di questo principio, ha affermato che la motivazione “integrata” nella costituzione dell’ufficio, quindi dopo l’emissione dell’avviso di accertamento, non consente al contribuente di difendersi e pertanto l’atto è nullo (in questo senso anche Ctp Milano, sentenza 1419/12/2016).


Per la Ctr di Roma (sentenza 1075/21/16), non può ritenersi congruamente motivato il provvedimento che faccia riferimento a un generico scostamento del valore dell’immobile ovvero a non precisate opere edilizie eseguite. 
Occorre così che il provvedimento, per garantire il diritto di difesa, contenga:

- la menzione dei rapporti tra valore di mercato e catastale nella microzona di riferimento, qualora la modifica sia stata avviata su richiesta del Comune; 
- l’indicazione delle trasformazioni edilizie; 
- l’indicazione dei fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li rendono simili all’unità oggetto di riclassamento, quando l’atto sia conseguente a un aggiornamento o a un’incongruità rispetto ad altri immobili (sentenza 23247/2014). 


Il contribuente quindi, dovrà comprendere i motivi della variazione eseguita dall’ufficio, per riscontrarne la correttezza ed eventualmente decidere di ricorrere al giudice tributario.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web.

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