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Gli immobili efficienti si vendono prima e con più guadagno

In Trentino Alto Adige e in Veneto oltre il 10% degli annunci di vendita riguarda immobili in classe A; record negativi in Toscana e Lazio, dove circa il 70% degli annunci ha per oggetto abitazioni energivore.


Quella della riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare italiano è una partita ancora aperta, sebbene qualcosa sembra essere cambiato negli ultimi due anni, soprattutto quando si parla del mercato delle compravendite. 

Analizzando gli annunci di immobili residenziali in vendita in Italia su Immobiliare.it è emerso infatti che il 23,5% delle abitazioni sul mercato vanta una classe energetica alta o media (D e superiori). A una domanda che, in un caso su due (53%), sia per l’acquisto sia per l’affitto si orienta su immobili efficienti, il mondo delle locazioni non risponde allo stesso modo, considerando che solo il 13,7% delle case in affitto è in classe D o superiore.


La sensibilità di chi cerca casa verso il valore di una classe energetica efficiente, inoltre, è in crescita: confrontando il dato della domanda con quello della rilevazione del 2015, risultano in aumento sul sito le ricerche di immobili in classe A (+3% sia per gli acquisti che per le locazioni).


"Chi vuole vendere casa ha chiaro il valore della riqualificazione energetica del suo immobile, che porta a concludere le trattative in tempi mediamente più veloci e con un guadagno maggiore –  dichiara Carlo Giordano, Amministratore Delegato di Immobiliare.it – La percezione del valore di questi interventi non è altrettanto forte in chi decide di affittare: a una domanda di locazione sempre più esigente e in aumento non corrisponde ancora un incremento della qualità degli alloggi offerti".


Le differenze regionali        

A fronte del quadro nazionale appena delineato, fra le regioni sussistono consistenti differenze. Per quanto riguarda gli annunci di vendita di immobili in classe energetica A e superiori, vale a dire di nuova costruzione, il Trentino Alto Adige e il Veneto risultano le Regioni più virtuose: in entrambe la percentuale di immobili in queste classi rappresenta circa il 10% del totale delle inserzioni.
Di contro, le Regioni dove oltre il 60% degli immobili in vendita è energivoro (dalla classe E alla classe G) sono quattro e sono, nell’ordine, Toscana, Lazio, Liguria e Sicilia.


Fonte articolo: Infobuild.it

Infiltrazioni nell'appartamento appena acquistato: chi paga?

In tema di infiltrazioni in condominio e più nello specifico di macchie presenti in un'unità immobiliare oggetto di compravendita, l'esistenza di tali infiltrazioni conosciute dagli acquirenti da prima dell'acquisto esclude la possibilità di una responsabilità per vizi occulti ai sensi degli artt. 1490-1491 c.c.


Questa in sostanza la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 22699 depositata in cancelleria il 28 settembre 2017.

 

I fatti di causa: due persone chiamano in giudizio chi gli ha venduto l'appartamento con due box e cantina per chiedere il risarcimento del danno in relazione a delle infiltrazioni che quest'ultimo avrebbe taciuto al momento dell'acquisto. Vizio occulto, insomma.
In primo grado il Tribunale gli dava ragione, mentre l'esito del giudizio d'appello ribaltava quello di prime cure. Nessuna responsabilità e domanda originariamente posta da rigettarsi, per giunta con condanna alle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Che cos'È un vizio occulto e quando può configurarsi?

Un vizio occulto è quel difetto del bene oggetto di compravendita che non si nota - né è possibile notare con la normale avvedutezza - e che comporta un danno per chi l'ha comprato. Danno consistente nella necessità di eliminare il pregiudizio com'anche nel maggior esborso effettuato per acquistarlo.

Vediamo le principali ipotesi di vizi occulti nell'ambito di un appartamento:

  • - mal funzionamento dell'impianto idrico;
  • - mal funzionamento dell'impianto elettrico;
  • - infiltrazioni occultate mediante accurata pitturazione;
  • - infiltrazioni nascoste dalla presenza di mobili in prossimità delle pareti;
  • umidità estesa occultata con pitturazione degli ambienti interessati.

Queste solo alcune delle caratteristiche del vizio occulto.

L'occultamento del vizio da parte del venditore fa sì che non sia necessaria denuncia - da effettuarsi negli altri casi entro otto giorni dalla scoperta - ferma restando la necessità di agire in giudizio entro un anno dallo scoperta (art. 1495 c.c.).

Quando la garanzia per simili problematiche non è dovuta?

Ai sensi dell'art. 1491 del codice civile la garanzia non è dovuta e al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa. Non solo, dice la norma: nessuna garanzia anche quando se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi.
Come dire: davanti ad un goffo occultamento potrebbe non darsi luogo ad alcuna responsabilità del venditore.


Nel caso risolto dalla sentenza n. 22699, chi aveva acquistato l'appartamento e poi proposto la causa era perfettamente a conoscenza delle circostanze. Tale fatto era inoppugnabile. Gli attori, si legge in sentenza, in quanto già condòmini avevano "finanche concorso a deliberare il conferimento di un incarico tecnico per l'accertamento, per l'appunto, delle perdite d'acqua a piano terra".


Fonte articolo: Condominio.web

Tari: quali rimborsi chiedere?

I rimborsi della Tari cresciuta con i calcoli illegittimi su box e cantine possono guardare indietro fino al 2014, data di nascita del tributo, e le richieste vanno presentate in carta semplice, senza troppe formalità; a patto di indicare tutti i dati che servono a "identificare il contribuente, l’importo versato e quello di cui si chiede il rimborso", specificando anche la pertinenza che ha generato l’errore.

 

Da escludere rimborsi per la Tares 

Arrivano, e hanno la forma ufficiale della circolare, le istruzioni del Ministero dell’Economia per sciogliere il ginepraio creato dai calcoli sbagliati sul tributo rifiuti. Curiosamente il Ministero, pur ricordando il termine di cinque anni per la prescrizione, esclude la possibilità di chiedere rimborsi anche per il 2013, quando era in vigore un tributo (la Tares) caratterizzato dalle regole poi ereditate dalla Tari, come spiega la stessa circolare. Fuori dal problema, e quindi dai rimborsi, è anche la "Tari puntuale", applicata finora in meno di 300 Comuni che provano a misurare davvero la quantità dei rifiuti prima di calcolare la bolletta.


Rischio rincari per i contribuenti 

Ma ripartiamo da capo. L’errore, come ricordato in queste settimane da Il Sole 24 Ore alla luce della risposta del sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta al question time presentato in commissione Finanze alla Camera da Giuseppe L’Abbate del Movimento 5 Stelle, riguarda i criteri seguiti in una serie di Comuni, grandi e piccoli, per applicare la "quota variabile" del tributo.


Accanto alla "quota fissa", che va moltiplicata per i metri quadrati, la Tari prevede infatti una parte variabile, che cambia in base al numero degli abitanti dell’immobile e serve a parametrare il conto alla quantità di rifiuti prodotti. Proprio questa funzione della parte variabile, ribadisce il dipartimento Finanze, determina il meccanismo per il calcolo, che deve applicare la quota variabile una sola volta anche quando l’appartamento è completato da cantine, box e solai. Nei Comuni con l’errore, la quota variabile è stata invece ripetuta per ogni pertinenza autonoma dal punto di vista catastale, gonfiando il conto finale.


Il meccanismo non ha “arricchito” i Sindaci, perché la Tari è misurata in base ai costi del servizio indicati nei piani economico-finanziari dei gestori, e questo apre un problema su come finanziare i rimborsi; con il rischio che gli euro di ritorno nelle tasche dei contribuenti colpiti dal calcolo sbagliato siano spalmati come richieste aggiuntive su tutti gli altri.


Cantiere aperto per i regolamenti locali 

Di questo la circolare non si occupa, perché la sua competenza punta solo a dire l’ultima parola su norme, obblighi dei Comuni e diritti dei contribuenti. I Sindaci sono chiamati a modificare i regolamenti sbagliati, e i cittadini a verificare le bollette perché le discipline locali spesso "non contengono un’espressa e univoca previsione" sui calcoli.


Unica utenza per abitazione e pertinenze 

In effetti il caos è parecchio, ma la circolare spiega che quella giusta è solo la via maestra, e che l’ "utenza domestica deve intendersi comprensiva sia delle superfici adibite a civile abitazione sia delle relative pertinenze". Tradotto, significa che casa, garage, cantina e solaio sono un tutt’uno: la somma della loro superficie serve a calcolare la quota fissa, e la quota variabile va aggiunta una volta sola. Finiscono così in fuorigioco tutti i calcoli alternativi dei Comuni, e considerati corretti dalla nota Anci di mercoledì: a partire dai regolamenti che trattano i garage come utenza "non domestiche". Gli effetti in bolletta sono minori rispetto a quelli delle pertinenze moltiplicate: ma restano illegittimi.


Fonte articolo: IlSole24ore.com

Mettere a reddito una casa comprata dà un netto del 2%

Sempre meglio di un bond. Con un po’ di fortuna. Mettere a reddito una casa comprata ora è una scelta che non promette scenari lusinghieri, ma che a conti fatti, e se non si incappa in gravi problemi, consente di avere una redditività netta intorno al 2% (a meno, certo, di imprevisti di ogni sorta). 


Discorso ben diverso, invece, quando la casa è stata comprata all’epoca d’oro dei valori immobiliari: la redditività attuale è infatti molto più bassa.

 

  • E stiamo parlando di canoni di mercato: chi sceglie il contratto concordato, pur contando sulla cedolare del 10% anziché del 21%, può eguagliare la redditività dell’accordo “libero” solo se la differenza tra i canoni non supera il 20-22 per cento. Per questo Il Sole 24 Ore del Lunedì – nel calcolare sette esempi concreti di affitti di mercato (quattro in grandi città e tre in centri minori), con l’aiuto di Confedilizia e del Centro studi Fiaip – è andato a verificare anche questi dati, che si aggiungono all’Imu, alla Tasi e alla pur generosa cedolare secca. Ebbene, in base a questo "affittometro", il 2% netto risulta un obiettivo quasi sempre raggiungibile.


  • Ma ciò che incide in modo diverso non è tanto l’affitto lordo quanto le tasse, i periodi di sfittanza e la morosità potenziale (talmente frequente da dover essere sempre messa in conto). In casi di ottima redditività lorda, come per esempio alla periferia di Roma, dove sfiora il 5%, il netto si riduce al 2,4 per cento. E nella periferia di Milano lo scarto è anche peggiore: da 5,7% a 2,6%, morosità media compresa. Mentre a Bergamo il reddito lordo è del 4,4% e quello netto del 2,6 per cento.

Le differenze possono anche avere una loro ragione di mercato; e tuttavia la penalizzazione dell’Imu non appare giustificabile. Ancor meno comprensibile è il peso della morosità: se in alcune città è minore e in altre maggiore, ciò è dovuto a un problema sociale e all’oggettiva impossibilità di riavere il canone “scontato” dall’inquilino. 


Proprio qualche giorno fa, Confedilizia ha reso nota la sentenza del Tribunale di Roma 21347/2017, che afferma un importante principio: il Ministero dell’Interno è stato dichiarato responsabile del mancato sgombero per occupazione abusiva di un ampio immobile, e condannato a pagare svariati milioni per i mancati affitti. Il principio va a tutela dei proprietari e sarebbe estensibile alle situazioni di sfratto, che si protraggono per mesi e anni.


"Sulla tassazione – spiega Gian Battista Baccarini, presidente Fiaip – resta il peso eccessivo a livello territoriale rappresentato dall’Imu sulle seconde case. Quanto al nodo della morosità, vorremmo che il contratto di locazione stesso diventasse titolo esecutivo, per accelerare il ritorno al possesso dell’immobile". Dall’altro lato, il segretario generale del Sunia, Daniele Barbieri, punta il dito contro il sistema degli aiuti: "Il Fondo per la morosità incolpevole dovrebbe intervenire in casi straordinari, e la “normalità” dovrebbe essere la leva del Fondo a sostegno dell’affitto. Purtroppo il primo vede tempi di erogazione troppo lunghi, e il secondo manca delle risorse necessarie, perché non viene rifinanziato".


Tornando al discorso della redditività, tra l’altro, non tutti gli oneri a carico del proprietario sono stati considerati: chi non riesce a destreggiarsi con la registrazione del contratto e il pagamento della cedolare, per esempio, dovrà rivolgersi a un professionista.


C’è poi un altro fattore, imponderabile ma ben presente: il costo dell’immobile. I calcoli sono stati infatti svolti sulla base dei valori attuali, che però, rispetto a otto-nove anni fa, risultano crollati del 30 per cento. E chi affitta ora una casa comprata all’epoca del picco massimo dei prezzi si troverà, inevitabilmente, una redditività ribassata anche fino allo “zero virgola”. Restando agli esempi, la casa nel semicentro milanese nove anni fa valeva 450mila euro e ora renderebbe meno del 2 per cento.


A parere di Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, "la media di redditività del 2% deriva da calcoli in parte ottimistici (i periodi di sfitto sono spesso di molti mesi, quando non di anni) e comunque presuppone un investimento fatto ora, dopo che il risparmio immobiliare è stato distrutto da un’imposizione fiscale scellerata". Per far ripartire il mercato "è necessario ridurre la tassazione sul settore e fornire maggiori garanzie ai proprietari, per rientrare in possesso del bene al termine della locazione".


Fonte articolo: IlSole24ore

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