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News dal franchising (890)

Investimenti in costruzioni: riparte l'Europa, locomotiva Est

 Sarà per l'attesa del «piano Juncker» o perché gli Stati allentano la politica di rigore cercando di incoraggiare la ripresa economica, ma l'Europa delle costruzioni torna a correre a ritmi sostenuti nel 2015 con una previsione di incremento del mercato del 2,1%, dopo un 2013 contrassegnato dal «profondo rosso» (-2,7%) e un 2014 di ripresa leggera (+1%).
I dati arrivano da Eurocontruct, l'organizzazione che tiene insieme primari istituti di ricerca del settore dell'edilizia e delle costruzioni di 19 paesi europei. Nel convegno semestrale di presentazione del rapporto con lo scenario di medio termine, che si terrà a Milano il 19-20 novembre a cura del Cresme, il partner italiano dell'organizzazione, i 1.305 miliardi di euro di investimenti stimati come dimensione totale del mercato per il 2014 e le proiezioni sul 2015 saranno dettagliate per Paese e per tipo di attività e di mercato.

Il dato che ne viene fuori in modo netto è che a fare da locomotiva al settore delle costruzioni tornano i Paesi dell'Est che già nel 2014 hanno potuto contare su un tasso di crescita del 4,8% e che nel 2015 toccheranno una punta del 5,5%.
È in fondo la storia di questi ultimi anni. Si torna, infatti, vicini ai tassi di crescita impetuosa che hanno caratterizzato il decennio scorso.
Tanto più significativi appaiono questi numeri, nella fase attuale, se confrontati con il tasso di crescita dei Paesi dell'Ovest che quest'anno si fermeranno a un incremento degli investimenti complessivi dello 0,8% e il prossimo anno arriveranno all'1,9 per cento. Anche l'Italia riparte nel 2015 con un +1,1% dopo un 2014 a -2,2%.
La due giorni milanese si terrà nella sede della Triennale (nel primo giorno il Rapporto Euroconstruct, nel secondo il focus sull'economia delle costruzioni in Italia con la presentazione del Rapporto congiunturale Cresme 2015) e sarà un momento di incontro e confronto cui parteciperanno protagonisti delle costruzioni e della finanza immobiliare europea. Ancora una volta nella forte crescita dei paesi dell'Est Europa emerge la capacità di sfruttare al meglio i fondi strutturali europei, una marcia in più che infatti spinge soprattutto i comparti delle opere pubbliche nel 2014 e nel 2015.

Quanto ai Paesi dell'Occidente insieme all'onda inarrestabile del recupero, che in Italia arriva a costituire una quota del 75% del mercato totale, a sorpresa comincia a ripartire - sia pure con situazione molto variegata - la costruzione di nuovo residenziale, segno che comincia probabilmente a vedersi l'uscita dal tunnel per il mercato immobiliare.
Al solito è una storia tutta a sé quella del mercato inglese: nel Regno Unito il segmento dato in forte crescita è quello delle opere pubbliche, trainate dal piano infrastrutturale straordinario del governo e dal salto di innovazione che si vuole produrre con l'obbligo di utilizzo del Building Information Modeling (Bim) nei lavori pubblici dal 2016. La ripresa del «nuovo non residenziale», poi, con il ritorno alla crescita di uffici e capannoni, è un'altra faccia della ripresa che nell'Europa continentale ancora è fragile.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/infrastrutture-e-citta/2014-11-11/investimenti-costruzioni-riparte-europa-203806.php?uuid=AbL3htcK

Abitazione principale, guida alle tasse di fine anno

 

Il 16 dicembre quasi 23 milioni di soggetti proprietari della casa in cui risiedono saranno chiamati al pagamento della Tasi. In pochi eviteranno l’appuntamento con la tassa sul mattone: coloro che possiedono un immobile con un valore catastale che non genera imposta, in quanto completamente assorbita dall’eventuale detrazione riconosciuta dal Comune, quelli che hanno l’alloggio in uno dei rari Comuni che hanno escluso dalla tassa tutti gli immobili e, in molti casi, i proprietari delle abitazioni di lusso che scontano invece l’Imu.
L’abitazione principale
Ma procediamo con ordine partendo dalla definizione di abitazione principale che è la stessa dell’Imu. Si tratta dell’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Ne discende che in caso di utilizzo di più unità abitative, il contribuente dovrà scegliere quale di esse considerare abitazione principale con conseguente esclusione dall’Imu e assoggettamento, nella generalità delle situazioni, alla Tasi.

Tutte le altre unità saranno considerate immobili diversi dall’abitazione principale. È da ritenere che questa regola incontri una deroga quando l’accatastamento unitario sia precluso dalla diversa titolarità dei due beni, come si verifica nel caso in cui un appartamento risulti in proprietà alla moglie e l’altro al marito, fermo restando l’unitario utilizzo come abitazione principale di entrambi. In questa ipotesi, infatti, è possibile richiedere un accatastamento unitario delle due unità, in esito al quale le due unità vengono considerate come porzioni di un unico complesso immobiliare, pur conservando rendite catastali separate (Direzione centrale del catasto, nota n. 15232 del 2002). Affinché l’unità immobiliare possa essere considerata abitazione principale, è poi necessario che il proprietario vi dimori abitualmente e, inoltre, che lì abbia la residenza anagrafica. Vi è però un’eccezione, che riguarda gli appartenenti al comparto sicurezza, ai quali non sono richieste le condizioni della dimora e della residenza in relazione, però, a un solo fabbricato, purché non di lusso e non locato.
I coniugi
Va poi ricordato che in presenza di coniugi non separati ma con residenze diverse in due unità abitative possedute dagli stessi soggetti, occorre distinguere a seconda che i due immobili siano, o meno, nello stesso Comune. Nella prima ipotesi, solo uno dei due fabbricati sarà considerato abitazione principale sulla base della scelta operata dai contribuenti. Nella seconda eventualità, invece, entrambi sono abitazioni principali. Le stesse regole previste per il calcolo della Tasi dovuta per l’abitazione principale trovano applicazione anche alle pertinenze di cui all’articolo 817 del Codice civile, si ritiene però, con le stesse limitazioni previste per l’Imu: ossia si deve trattare di una sola unità immobiliare per ciascuna delle categorie catastali C2 (depositi), C6 (autorimessa) e C7 (tettoie, chiuse o aperte). In pratica, si potranno avere, al massimo, tre pertinenze: una accatastata in C2, l’altra in C6 e la terza in C7. Le pertinenze richiedono particolare attenzione anche con riguardo all’eventuale detrazione che il comune potrebbe aver collegato alle rendite catastali. Alcune delibere prevedono, invero, la quantificazione della detrazione in ragione della rendita del solo appartamento; altre, invece, con riguardo alla sommatoria delle rendite dell’abitazione e delle relative pertinenze. Rispetto al calcolo dell’imposta da versare entro il 16/12, occorrerà poi verificare quando il Comune ha inviato la delibera della Tasi al dipartimento delle Finanze per la pubblicazione sul sito internet del ministero. Se infatti la delibera è stata pubblicata entro il 31 maggio 2014, il contribuente dovrebbe aver già versato l’acconto entro il 16 giugno (termine differito al 16 ottobre se la delibera sia stata pubblicata entro il 18 settembre) e pertanto, il 16 dicembre, resterà da pagare il saldo. Diversamente, se la delibera è stata pubblicata dopo il 18 settembre, oppure non compare proprio sul sito ministeriale in quanto non adottata o non trasmessa, il tributo sarà dovuto in unica soluzione, sempre entro il 16 dicembre, con applicazione dell’aliquota di base dell’1 per mille.

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20141209&startpage=1&displaypages=2

Caldaie e condizionatori allineati al nuovo libretto

L’obbligo del nuovo modello di libretto per le caldaie, i sistemi di riscaldamento e i condizionatori, sulla carta, è scattato il 15 ottobre. Ma condomini, uffici e famiglie non dovranno affannarsi per mettersi in regola: potranno farlo in occasione del primo controllo utile sull’efficienza dei propri dispositivi.

L’adempimento deriva dal Dm 10 febbraio 2014 (che a sua volta attua il Dpr 74/2013) e prevede che le caldaie tradizionali, già in passato dotate di un libretto, debbano rinnovarlo con la compilazione del nuovo modello. Inoltre, la stessa documentazione è estesa in via obbligatoria anche ai condizionatori (in Lombardia, per effetto della legge regionale, solo quelli sopra i 12 kW) e all’intero universo dei sistemi di riscaldamento, dalle pompe di calore ai cogeneratori, dal teleriscaldamento ai dispositivi alimentati da fonte rinnovabile. Gli unici impianti “dispensati” sono gli scaldacqua per uso igienico-sanitario a servizio di singole unità immobiliari, purché siano a uso abitativo. Se si parla, ad esempio, di un apparecchio installato in una palestra o in un centro sportivo, allora il libretto è necessario.


Che cosa è il libretto
È la carta di identità dell’impianto, lo segue dalla prima accensione alla fine del servizio e alla successiva demolizione, registra tutte le modifiche, sostituzioni di apparecchi e componenti, interventi di manutenzione e di controllo, valori di rendimento nel corso della vita utile, cambi di proprietà. Rispetto all’edizione in uso fino a oggi, il modello in vigore dal 15 ottobre non si fonda più su due tipologie di moduli (uno riferito alle centrali e l’altro al singolo impianto) ma su un modulo unico, personalizzabile, costituito da tante schede, usate e assemblate in funzione delle componenti dell’impianto.

Chi compila il libretto
La responsabilità della compilazione iniziale (per un impianto termico nuovo) è della ditta installatrice. Al contrario, l’aggiornamento, così come (ad esempio nel caso di un condizionatore) la compilazione ex novo per un sistema già esistente, spetta al responsabile dell’impianto, cioè, nel caso di un appartamento, la persona che fisicamente ci abita o, nel caso di un condominio, l’amministratore (che a sua volta può delegare a un terzo responsabile). «Il modello può essere scaricato dal sito del Mise» – spiega Giorgio Bighelli, della società di consulenza e-training. «Tuttavia, visto che si presenta identico, sia che riguardi un apparato da 20kW sia uno di 300 kW, è troppo complesso perché il singolo cittadino possa predisporlo senza l’aiuto di un tecnico». Per questa ragione, lo stesso Ministero ha chiarito che l’adeguamento dei documenti potrà essere effettuato in occasione del primo controllo, obbligatorio, sull’efficienza energetica dell’impianto (fissato ogni due o ogni quattro anni, in genere dalle Regioni). Ma per chi ha un contratto di manutenzione di caldaie e condizionatori, l’adeguamento può essere effettuato anche prima, in occasione della prima ispezione programmata. «È sempre buona norma comunque per il cittadino che ha la responsabilità dell’impianto – conclude Bighelli – farsi spiegare dal manutentore come è compilato il modello e fare una verifica con le istruzioni allegate al modello in bianco. Perché, alla fine, la responsabilità è sempre sua».

In Lombardia, per i condizionatori sotto i 12kW, non è richiesta la compilazione di un libretto: una differenza sostanziale rispetto allo Stato, tenendo anche conto che gli impianti domestici in genere oscillano fra 1 e 6 kW.

Il vecchio libretto

Il vecchio libretto, già in uso per le caldaie tradizionali, non va buttato. Anzi, deve essere conservato. Così era già accaduto nel 2003, quando il modello di libretto era stato aggiornato la prima volta. Un apparato installato nel 2002, ad esempio, dovrà avere tre versioni di libretto, quella che fa capo al modello del 1993, quella del 2003 e quella del 2014.

L’efficienza energetica
Tra le novità del Dm del 10 febbraio 2014 c’è anche l’aggiornamento della modulistica per inviare il rapporto di controllo al termine delle verifiche di efficienza dell’impianto. Questo documento si distingue in 4 tipologie (riscaldamento a fiamma e combustione, condizionamento, teleriscaldamento, come trigenerazione) e scatta solo nel caso di impianti di riscaldamento con potenza maggiore di 10 kW e di condizionamento con potenza maggiore di 12 kW. La compilazione spetta ai tecnici, che inviano il rapporto all’ente preposto a tenere il catasto degli impianti, pagando l'importo del bollino, secondo un tariffario che cambia persino da Comune a Comune.

Le sanzioni
Le sanzioni stabilite dal Dlgs 192/2005, vanno da 500 a 3mila euro a carico di proprietario, conduttore, amministratore di condominio o terzo responsabile che non ottemperino ai propri obblighi. «Il rischio reale che scattino le verifiche – prosegue Bighelli – è comunque proporzionato all’esistenza o meno, a livello regionale, del catasto degli impianti termici e all’operatività degli enti preposti a effettuare gli accertamenti. In Lombardia, ad esempio, l’assenza di libretto comporta una multa da 100 a 600 euro».

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/edilizia-privata/2014-11-07/caldaie-condizionatori-allineati-nuovo-142714.php?uuid=AbuuUfbK

Dallo Sblocca Italia pochi bonus fiscali per l'immobiliare

Lo Sblocca Italia (Dl 133/2014, convertito in legge l'altro ieri, a tarda sera) prova a non pesare troppo sull'erario dal punto di vista fiscale e concentra quasi tutte le (scarse) agevolazioni sul settore immobiliare.

Anzitutto l'esenzione dalla imposte di registro e bollo degli accordi tra proprietario e inquilino in cui il canone viene ridotto. Poi c'è uno dei piatti forti, riservato alle Siiq nella speranza che riprendano vita e diano un impulso al mercato: viene prevista la detassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione degli immobili locati e delle quote dei fondi immobiliari (che rispettano i requisiti delle Siiq) detenute dalle Siiq stesse. E da ultimo il bonus per chi compra, dal 2014 a fine 2017, case invendute alla data di entrata in vigore della legge di conversione (o ristrutturate, senza limiti di tempo).

Potrà scontare dall'imponibile Irpef il 20% della spesa, sino al limite di 300mila euro. Stesso bonus sulle spese sostenute per la costruzione di un'abitazione su un'area già di sua proprietà. Le condizioni sono che l'acquirente sia una persona fisica non esercente attività commerciali e, entro sei mesi, la casa (che non deve essere di lusso), venga affittata per almeno otto anni. Il canone, poi, non deve essere superiore a quello «concordato» o a quello di housing sociale. Inoltre, locatore e inquilino non devono essere parenti di primo grado (cioè genitore e figlio). A quest'ultimo riguardo, il presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici, prevede un percorso a ostacoli e il rischio che si formi una tendenza alla convivenza al posto del matrimonio dato che, pur se in funzione elusiva, un affitto tra due estranei è giustificabile mentre tra coniugi (che formalmente rientrano nei parametri) sarebbe, per il fisco, sicuramente simulato.
Poco entusiasta anche la reazione degli agenti immobiliari: per il presidente della Fimaa, Valerio Angeletti «Le norme sul pacchetto casa contenute nello Sblocca Italia sono insufficienti per il vero rilancio del settore immobiliare» mentre secondo Paolo Righi, presidente della Fimaa «Dal decreto Sblocca Italia fino alla legge di stabilità, niente di buono per il settore immobiliare».

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/casa-e-fisco/2014-11-06/dallo-sblocca-italia-pochi-195252.php?uuid=AbegJSbK

L’ipotesi di una tassa unica sulla casa

Entro l’anno dovrebbe essere sciolto il nodo intricato di tutte le imposte che i cittadini versano ai propri Comuni, comprese quelle che gravano sugli immobili, e dovrebbe essere creata un’unica local tax. Questo è l’impegno che Matteo Renzi ha preso con l’Anci, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani guidata da Piero Fassino. Sembrerebbe semplice, ma forse non lo sarà e su alcuni punti non si è ancora giunti a un accordo.

Per quanto riguarda il tema casa e le imposte che gravano sugli immobili, si è certi, come lo stesso premier ha promesso, che Imu e Tasi saranno accorpate in modo da avere un’unica tassa, considerando che entrambe si fondano su una stessa base imponibile. In questo modo si è certi che le scadenze saranno certamente più semplici e implicherebbero per i cittadini un calendario di date da ricordare molto più snello.

Quello che ancora non è chiaro è se anche la Tari, la tassa sui rifiuti, verrà inclusa nell’unica imposta sulla casa, visto che si tratta più che altro di una tariffa i cui margini sono stabiliti anche a livello europeo.

Ma le modifiche e l’accorpamento di tutte le imposte attuali in un’unica tassa sugli immobili dovrà pur sempre mantenere una differenziazione tra prime e seconde case, nonché tutta una serie di eccezioni e norme sulle detrazioni possibili.

Secondo i calcoli della Cgia di Mestre il gettito delle local tax vorrebbe dire un’entrata unica di 31,2 miliardi di euro, di cui ben 18,8 miliardi provenienti dalle imposte sulla casa. Quello che non torna all’Anci, o meglio, non coincide con ciò che afferma il Governo è l’ammontare del taglio che la riunificazione delle tasse comporterebbe per i Comuni. Su questo bisogna ancora parlare, quanto meno per capire se si tratta di entrate a cui, come afferma il Governo Renzi, i Comuni sono in grado di rinunciare.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/lipotesi-di-una-tassa-unica-sulla-casa-20329

Case popolari occupate: facciamo il punto

Tra inchieste giornalistiche della stampa e interventi delle televisioni nazionali, la questione sulle case popolari occupate abusivamente è tornata a essere un’emergenza e mette il Governo di fronte alla necessità di reagire per dare risposta a chi chiede spiegazioni e per dare un segnale di reazione a quella che ormai è diventata una questione nazionale.

Sì perché gli alloggi popolari non vengono occupati abusivamente solo a Milano, benchè la maggior parte delle inchieste e delle immagini che ci vengono fornite dai media riguardino esclusivamente il capoluogo lombardo: il fenomeno ha proporzioni nazionali, come ha affermato la stessa Unione Inquilini presieduta da Massimo Pasquini.

In un’intervista televisiva ha parlato il Ministro degli Interni, Angelino Alfano, chiamato a rendere conto su quanto progetta di fare per risolvere il problema. La soluzione che dal Viminale è stata proposta direttamente in TV sembra drastica e definitiva: togliere a chi occupa abusivamente la possibilità di prendere la residenza (perché finora evidentemente è stato fatto in maniera regolare) in un appartamento in cui non si ha diritto di vivere  e tagliare poi le utenze, ovvero la fornitura di luce e gas per rendere l’alloggio invivibile.

Quello che fa riflettere, al di là degli interventi sopra citati che sono stati inseriti in un decreto legge appositamente approvato, è che in Italia ci sono circa 40 mila alloggi popolari sfitti e nella sola Milano, centro mediatico della questione, ci sono 23 mila famiglie in attesa di assegnazione, in una città che conta circa 8 mila appartamenti inutilizzati o degradati che appartengono al Comune o agli istituti di case popolari. Si parla tanto di emergenza cemento in Italia, di troppe case per il numero di abitanti, e poi siamo di fronte a fenomeni di questo tipo. Siamo ancora una volta al paradosso!

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/case-popolari-occupate-facciamo-il-punto-20361

Mutui: calano gli spread

Sono stati appena pubblicati i dati dell’osservatorio periodico che il Crif realizza sul mercato dei mutui e una delle notizie migliori è che, nel corso del terzo trimestre 2014, gli spread applicati dagli Istituti di credito alle concessioni di mutuo ai privati sono scesi ancora.

Per quello che riguarda, ad esempio, il finanziamento a tasso variabile, lo spread è ormai assestato al di sotto del 2%, con un importo medio pari all’1,95%, in calo di 0,65 punti percentuali da gennaio 2014. Scorrendo i dati del Crif appare evidente anche come abbia ripreso vigore la surroga che, oramai, è giunta ad avere dei differenziali di spread molto simili, se non assolutamente identici in molti casi, a quelli applicati alle concessioni di mutuo per l’acquisto casa.

 Nel corso del trimestre appena concluso, le surroghe hanno rappresentato addirittura un quarto dei nuovi mutui richiesti in Italia ed oltre un quinto (21%) di quelli effettivamente concessi. Tutto rose e fiori dunque? No, il mercato immobiliare ancora stenta a riprendersi e se si guarda ai dati legati alle compravendite, le case vendute nel terzo trimestre del 2014 sono state circa l’1% in meno rispetto a quelle che avevano cambiato proprietario fra luglio e settembre 2013, ma se i dati del terzo trimestre 2014 vengono messi a confronto con quelli del primo semestre dello stesso anno questa volta le vendite sono state più numerose, nella misura dell’1,4%. Paradossalmente, però, i prezzi degli immobili non sono scesi quando avrebbero dovuto o, almeno, quanto i consumatori avrebbero sperato ed  è proprio il costo del mattone, e non la possibilità di ottenere un mutuo, che sta frenando il settore.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/mutui-calano-gli-spread-20356



Danni in casa, risponde l'impresa. L'appaltatore risarcisce in proprio solo se è stato davvero autonomo nell'esecuzione

Enrico Morello
Quando i lavori condominiali creano un danno al singolo appartamento, si crea una complessa catena di responsabilità. Ma con la sentenza 20557/2014 la Cassazione mette ordine in una vicenda che aveva visto coinvolti, da una parte, un condomino che richiedeva il risarcimento dei danni subiti nell'unità immobiliare di sua proprietà, a causa della cattiva esecuzione di opere di bonifica e di impermeabilizzazione del tetto del palazzo e, dall'altro, quali soggetti ai quali era stata indirizzata tale richiesta di risarcimento danni, il condominio stesso, l'amministratore dello stabile, nonché l'impresa che aveva svolto i lavori.

Nel corso dei primi due gradi di giudizio, a evidenziare la difficoltà di giungere a una soluzione uniforme, il Tribunale aveva ritenuto responsabile (e condannato quindi al risarcimento dei danni) la sola impresa, rigettando quindi la domanda svolta sia nei confronti del condominio che in proprio dell'amministratore, mentre la Corte d'appello aveva ribaltato la decisione estendendo la condanna, in solido tra loro, a impresa costruttrice, condominio e amministratore in proprio.


 

La Cassazione chiariva anzitutto come normalmente sia l'appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi: questo a causa della autonomia con cui egli svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato.
A tale responsabilità dell'appaltatore si può poi affiancare (con possibilità di condanna in solido), sia la responsabilità del condominio quale committente, o per aver dato un ordine all'appaltatore tale da privare quest'ultimo di ogni possibile autonomia nell'esecuzione dello stesso, o per la cosiddetta «culpa in eligendo», e cioè per aver demandato l'esecuzione dei lavori (in questo caso su parti condominiali) a un soggetto palesemente non idoneo ad adempiervi con efficacia.
È poi possibile, come argomenta la Suprema Corte nella sentenza esaminata, che alla responsabilità dell'impresa esecutrice dei lavori, o del condominio, si aggiunga quella in proprio dell'amministratore del condominio (che si chiama «culpa in vigilando»), qualora questi sia venuto meno al suo dovere, quale delegato dello stabile, di controllare la regolare e corretta esecuzione dei lavori.
A tale condanna dell'amministratore, ed è questo il punto centrale e decisivo della sentenza della Cassazione, si può solo arrivare, tuttavia, qualora l'amministratore sia effettivamente venuto meno al suo dovere di vigilanza sulla corretta esecuzione dei lavori, ma non certo quando il danno sia stato causato, come nel caso di specie, da una libera iniziativa presa dall'impresa che aveva coperto (con dei teloni di plastica evidentemente rivelatisi inadatti) il tetto durante i lavori di scopertura e successiva ricostruzione.
In sostanza, non esiste una responsabilità oggettiva dell'amministratore per i danni causati ai condòmini dall'impresa costruttrice che intervenga sulle parti comuni: essendo viceversa necessario, perché l'amministratore possa essere ritenuto responsabile in proprio nei confronti del condominio, che tali danni si siano verificati per un comportamento dell'impresa che l'amministratore, se avesse correttamente vigilato, avrebbe potuto evitare.
Particolarmente rilevante, nella decisione in oggetto, è il richiamo della Cassazione a una sua precedente decisione (sentenza 25251/2008) che aveva introdotto un indirizzo «tendenzialmente più rigoroso» valutando le eventuali responsabilità dell'amministratore condominiale nel vigilare sulla corretta esecuzione di opere sulle parti comuni.
A tale indirizzo, che secondo la Corte è espressione «dell'evoluzione della figura dell'amministratore di condominio, i cui compiti vanno viepiù incrementandosi sia da far ritenere che gli stessi possano venire assolti in modo più efficace dalle società di servizi all'interno delle quali operano specialisti in settori diversi, in grado di assolvere alle numerose e gravi responsabilità ascritte allo stesso amministratore dalle leggi speciali», la più recente decisione pone in qualche modo un limite, precisando che l'amministratore (che pure rimane custode delle parti comuni nonostante la presenza di un appaltatore che debba eseguirvi degli interventi) risponderà dei danni derivati dalla cattiva esecuzione dei lavori da parte di un'impresa terza,solo qualora effettivamente egli vigilando con attenzione potesse accorgersene ed evitarli.


Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20141104&startpage=1&displaypages=2

Seminterrati: l'altezza minima per l'abitabilità è 2,70 metri

In Basilicata, Calabria, Molise e Puglia i locali per i negozi di frutta e verdura, le mercerie o gli spazi per ospitare uffici possono essere ottenuti anche recuperando i volumi interrati o seminterrati degli immobili. Calabria e Puglia ne permettono il recupero anche per destinarli a residenza.

Alcune condizioni del recupero sono comuni alle quattro Regioni. L'altezza interna dei locali non può essere inferiore ai 2,70 metri. È una regola che vale in tutte le Regioni, con qualche deroga. In Calabria si può scendere a 2,60 se lo permettono le condizioni igienico-sanitarie oppure se vengono adottate soluzioni tecniche alternative che possano garantire la sicurezza dei posti di lavoro.

In Basilicata, se i locali sono situati a piano terra e sono alti almeno 5 metri, la loro superficie può essere ampliata del 75% con la realizzazione di soppalchi, con altezza minima di 2,70 metri. Anche in Calabria è consentito la suddivisione orizzontale di interrati e seminterrati esistente, purché il soppalco non riduca l’altezza dell’ambiente sottostante a meno di 2,70 metri.


L’apertura per la ventilazione naturale dei locali deve essere pari almeno a 1/8 della superficie del pavimento, ma in Calabria questo rapporto quasi si dimezza e diventa 1/15. Quello delle aperture non è però un ostacolo insuperabile: in alternativa il locale recuperato può essere dotato di un impianto di areazione meccanica.

I locali adibiti a negozi o uffici devono anche essere accessibili alle persone con difficoltà di movimento e rispettare le norme in fatto di energia, sicurezza del lavoro e sugli impianti antincendio (condizioni non previste dalla legge calabra).

Il Molise consente il recupero dei locali interrati e seminterrati a condizione che il volume da trasformare non ecceda il 20% del volume dell’intero edificio; finché si resta entro questo limite gli interventi di recupero possono avvenire anche in deroga ai parametri e agli indici previsti dagli strumenti urbanistici vigenti o adottati.

Anche la Basilicata applica una norma analoga, con la sola differenza che l’incremento di volume non deve superare il 15%, e la deroga si applica anche e quando il volume da recuperare rientra già nel volume massimo ammissibile dell’immobile previsto dal titolo abilitativo.

In Calabria gli interventi sono realizzabili in deroga agli strumenti urbanistici senza alcuna condizione; al contrario, Puglia e Basilicata li consentono solo se gli strumenti urbanistici comunali non vietano gli interventi di ristrutturazione.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/edilizia-privata/2014-10-31/altezza-servono-sempre-metri-163019.php?uuid=Ab3DlbZK

Fibra ottica nelle case: mai più senza

L’Italia è rimasta molto indietro rispetto ad altri Paesi in termini di connessione alla rete e non regge il confronto con altri membri dell’Unione Europea in termini di accessi veloci a internet: ci sono ancora aree del nostro Paese in cui non esistono reti veloci e dove il web viaggia ancora sui canali più datati. Ma arriva, con il decreto Sblocca Italia approvato negli scorsi giorni, un’importantissima novità che, non in tempi brevi, potrebbe far guadagnare terreno all’Italia in termini di connessione e accessibilità. In un emendamento (approvato alla Camera) alla legge di conversione del decreto si stabilisce che dal prossimo 1 luglio tutti gli edifici nuovi o ristrutturati dovranno obbligatoriamente essere predisposti alla banda larga.

Nel dettaglio, sono interessati tutti gli stabili il cui permesso di costruzione sarà richiesto dopo la data stabilita (1 luglio 2015) o quelli che dovranno essere sottoposti a ristrutturazioni importanti che richiedano un’autorizzazione. All’interno di questi nuovi edifici dovranno essere predisposti gli spazi necessari e interni alla struttura per il passaggio dei cavi di fibra ottica per la banda larga. Inoltre ogni palazzo dovrà avere un punto di accesso a cui potranno lavorare i tecnici inviate dalle aziende che forniscono i servizi di navigazione.

Gli edifici così costruiti, o ristrutturati, si potranno avvalere, ma questo non è un obbligo, di una targa esterna che attesti la capacità di tutto lo stabile di navigare con fibra ottica. Queste etichette, che diventeranno certamente un vanto degli inquilini, saranno attribuite da tecnici specializzati. E non stentiamo a credere che diventeranno anche un plusvalore per immobili da vendere o dare in locazione.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/fibra-ottica-nelle-case-mai-piu-senza-20181

Crescono gli annunci e i rogiti di case in vendita con la formula del rent to buy

«Possibilità di affitto con riscatto». «Proponiamo rent to buy». Gli annunci di vendita che aggiungono simili incisi sono aumentati negli ultimi anni in risposta alle difficoltà di ripresa del mercato immobiliare. Si propone sempre più la via di combinare un contratto di affitto a uno di vendita, aggiornando vecchie formule o inventandone di nuove: se non riesco a cedere l'immobile, consento a chi è interessato di goderne subito, con l'impegno (obbligo o facoltà) di acquisirne la proprietà entro qualche anno, imputando i canoni versati – o una loro quota – a pagamento di una parte di prezzo.

Il decreto Sblocca Italia prevede ora una «disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili», per eliminarne le incertezze normative. Certo si potrà continuare, come prima, a combinare più contratti, ma la codificazione della formula punta anche a rilanciare gli accordi, che al momento rimangono difficilmente misurabili. Confedilizia ha al proposito già stilato un contratto-tipo di rent to buy, elaborato dall'ufficio legale sulla base del decreto e richiedibile presso le sue associazioni territoriali.

Quanto alla “generica” disponibilità al rent to buy, i numeri sono ancora in ascesa: il sito Kijiji segnala ad esempio che negli ultimi tre mesi questo tipo di annunci è aumentato del 23 per cento. Negli ultimi due-tre anni è stato comunque sempre un susseguirsi di “boom” di offerte. Ma quante si traducano in accordi è un altro discorso. «Il fenomeno è in ascesa, ma ancora circoscritto – osserva Vincenzo de Tommaso, responsabile dell'ufficio studi Idealista.it –. È vero che secondo i nostri dati l'offerta di case in rent to buy è più che triplicata negli ultimi due anni. Ma si tratta di numeri piccoli, a oggi circa 1.800 annunci, che rappresentano meno dell'1% dell'offerta del portale. La formula viene proposta soprattutto per le case di nuova costruzione, in genere abitazioni di 2-3 locali». Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna sono le regioni pilota; anche se crescono Toscana e Lazio. In media si tratta di appartamenti di 90 mq, con un prezzo richiesto di 170mila euro.

Nel residenziale, secondo l'ufficio studi di Immobiliare.it, il 64% degli annunci di rent to buy si riferisce ad abitazioni nuove o in pronta consegna; il 28% a quelle appena ristrutturate e quindi comparabili al nuovo. Il 65% degli immobili si trova nelle regioni del nord, il 30% al centro e solo il 5% al sud. La formula – sottolineano – è proposta soprattutto da costruttori interessati a piazzare più immobili nello stesso complesso, perché implica una conoscenza approfondita dell'impianto normativo e una solidità economica che consenta di fatto di prolungare l'iter della compravendita.

La presunta diffidenza dei privati è superabile con servizi di consulenza e supporto specializzati. In Italia, la rete Rent to Buy Consulting dichiara di aver concluso oltre un centinaio di contratti (diversi già a rogito), con una progressione che dimostra il crescente interesse per lo strumento (50% delle firme nel 2014). E anzi il fondatore, Andrea Russo, che rivendica «l'assenza di fallimenti delle operazioni», afferma di lavorare più con i privati che con i costruttori, «che chiedono di solito un acconto e un canone di locazione più elevati proprio perché offrono immobili nuovi». In teoria il rent to buy aiuta in primis i costruttori, che devono smaltire l'invenduto: ma non si può nascondere – denunciano gli operatori – che spesso sia usato come pura leva di marketing, per attirare clientela e proporre poi altre soluzioni. La Ducale, società di sviluppo immobiliare del gruppo Tecnocasa, ha avviato i primi contratti di rent to buy nel 2011 e da allora ne ha sottoscritti 62, di cui 12 già andati a rogito. «Il bilancio è positivo – dice il responsabile commerciale Alberto Girino – ma abbiamo deciso di riposizionarci con prezzi più convenienti e quindi abbandonare le offerte di rent to buy: perché se abbasso il costo non posso “rimanere fuori” per tre anni. Il rent to buy ha senso solo in un approccio strategico di costanza di prezzo».

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/mercato-immobiliare/2014-10-29/crescono-annunci-rogiti-case-175436.php?uuid=AbDF44YK

In aumento nel terzo trimestre gli investimenti italiani sul real estate nazionale

  Tornano gli investitori italiani sul mercato. Dopo una lunga fase dominata da investitori esteri, soprattutto di natura opportunistica come i fondi Usa Balckstone, Cerberus, Tristan e così via, si riaffacciano al real estate gli investitori del Paese. Secondo un report CBRE, l’aumento di investimenti domestici nel terzo trimestre ha ridotto leggermente la quota totale di capitale straniero investito nei primi nove mesi che si attesta sul 71%.

Nel terzo trimestre del 2014 gli investimenti immobiliari in Italia hanno superato il miliardo di euro, secondo il report appena pubblicato. I volumi sono in aumento del 5,5% rispetto ai tre mesi precedenti, e di oltre il 16% su base annua. Rispetto allo scorso trimestre, questo è stato caratterizzato dal perfezionamento di due transazioni per asset singoli e core come la vendita del centro commerciale Le Terrazze (SP) e dell'HQ di Credit Suisse a Milano per oltre 100 milioni di euro ciascuno.

Rimangono ancora nella pipeline, perché perfezionati all'inizio del quarto trimestre o in via di perfezionamento, la cessione del 50% delle quote di CBRE Global Investors nel centro commerciale Roma Est e l'acquisizione di Olinda Fondo Shop. Altri grandi del sono attesi nei prossimi mesi, come la vendita dell'ex sede Unicredit a Milano da definirsi entro l'anno. “I volumi d'investimento aumentano per il terzo trimestre consecutivo e l'interesse da parte degli investitori non sembra diminuito dopo l'estate, nonostante le avvisaglie di una nuova recessione economica per il Paese ed il posticipo dell'inizio della ripresa al 2016” spiegano dal team di Cbre. In particolare il volume investito è tornato sopra la media trimestrale degli ultimi tre anni, e le transazioni di portafogli hanno proseguito a rappresentare la quota principale del volume totale degli investimenti, pari a poco più della metà. Un segnale che rende concreti i primi risultati delle novità contenute nel Decreto Sblocca in tema di immobiliare.

Il volume degli investimenti nei primi nove mesi del 2014 si è attestato a circa 2,7 miliardi, il 7% in meno sullo stesso periodo dello scorso anno. La lentezza nel perfezionare gli investimenti insieme ad una carenza di prodotto che riduce la possibilità di acquisire asset di grandi dimensioni ha contribuito al risultato.

Nel trimestre gli uffici tornano a superare il settore retail, rappresentando il 45% del volume di investimenti trimestrale, quasi interamente concentrati a Milano, che si conferma il mercato italiano più importante.

Per quanto riguarda la distribuzione settoriale degli investimenti nei primi nove mesi dell'anno, il settore retail con quasi il 50% del totale si conferma il più attraente pur perdendo qualche posizione rispetto al settore uffici che segue con il 30% del totale investito. A far crescere gli investimenti nel settore uffici nel trimestre è stato il perfezionamento di due acquisizioni di portafogli, entrambi acquisiti da Cordea Savills sgr per conto di Cerberus. Migliora il settore della logistica con i volumi in aumento grazie all'interesse per portafogli Pan-europei da parte di investitori internazionali ed il ritorno di operatori specialistici come Prologis che ha espresso l'interesse per una futura fase di espansione in Italia attraverso ulteriori acquisizioni.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/real-estate/2014-10-28/investimenti-mattone-aumento-italia-123706.php?uuid=AbX2xmYK

 

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