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Case di lusso: per le agevolazioni prima casa dal 13 dicembre solo il criterio catastale

Tornano a uniformarsi i requisiti oggettivi - relativi cioè alle caratteristiche dell'immobile - per ottenere l'agevolazione “prima casa”, a seconda che l'atto sia o meno imponibile a Iva.
Anche per gli acquisti soggetti a Iva, come già avviene dal 1° gennaio 2014 per quelli esenti o fuori campo (quindi soggetti a imposta proporzionale di registro), saranno escluse dal trattamento fiscale di favore le abitazioni di categoria catastale A1 (signorili), A8 (ville) o A9 (castelli e palazzi di eminente pregio storico-artistico). Il parametro di esclusione non sarà più dunque il fatto che l'abitazione sia considerata di lusso secondo i criteri fissati dal decreto del ministro dei Lavori pubblici del 2 agosto 1969.

La novità arriva con l'articolo 33 del decreto sulle Semplificazioni fiscali (Dlgs 175/14), che è stato pubblicato il 28 novembre in Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore il prossimo 13 dicembre. E interviene su una situazione che dall'inizio dell'anno aveva bisogno di esser riallineata.

La «parificazione»
Negli acquisti imponibili a Iva, il riferimento ai criteri previsti dal Dm 2 agosto 1969 – vigente ancora per pochi giorni - è quello a un'articolata casistica che, ad esempio, nel caso degli appartamenti taglia fuori dal bonus “prima casa” «le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)». Fino al 31 dicembre 2013, quelli stessi criteri valevano anche per gli acquisti non soggetti a Iva (da privati, enti o imprese esenti): per effetto dell'art.10 del Dlgs 23/2011 come modificato e integrato dal Dl Istruzione (art.26, Dl 104/2013 convertito dalla legge 128/2013) che, oltre a ritoccare le imposte di registro, ipotecaria e catastale, ha portato nel 2014 il nuovo requisito oggettivo della categoria catastale.
Dallo scorso 1° gennaio, nelle compravendite soggetta a imposta proporzionale di registro, l'agevolazione “prima casa” può quindi essere ottenuta per un immobile che ha le caratteristiche previste dal Dm 2 agosto 1969 ma che non è classificato come A1, A8 o A9. Dalla vicina entrata in vigore del Dlgs Semplificazioni, lo stesso accadrà per gli acquisti da imprese di costruzione o ristrutturazione entro cinque anni dalla fine dei lavori (o che esercitano comunque l'opzione Iva).

Le imposte agevolate sull'acquisto
L'agevolazione “prima casa” consiste in imposte inferiori alla norma. Per gli acquisti da privati (o enti o imprese esenti da Iva) si paga l'imposta di registro del 2% (anziché del 9%) sul valore catastale del fabbricato, indipendentemente dal prezzo di vendita e con un minimo di mille euro; più imposte ipotecaria e catastale in misura fissa di 50 euro ciascuna (non si pagano invece l'imposta di bollo e le tasse ipotecarie, pari a 320 euro). Per gli acquisti imponibili a Iva, è prevista invece un'imposta del 4% sul prezzo di vendita, al posto del 10% altrimenti previsto per gli immobili non di lusso, più imposte fisse (registro, ipotecaria e catastale) per 600 euro complessivi (200 euro ciascuna). L'agevolazione comprende le pertinenze, una sola però per ogni categoria C/2 (soffitta e cantina), C/6 (rimessa) e C/7 (tettoia chiusa o aperta).

I requisiti soggettivi
Oltre ai requisiti oggettivi, bisogna rispettare quelli soggettivi. L'acquirente deve infatti avere la residenza nel comune dove si trova l'immobile o impegnarsi a stabilirla lì entro 18 mesi dalla stipula dell'atto. Ma si può comprare, pur senza esservi residenti, nel comune dove si studia o lavora; e se ci si trasferisce all'estero per lavoro, la casa può trovarsi nel comune dove ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui si dipende. Se l'acquirente è un cittadino italiano che risiede all'estero, l'immobile può essere situato in qualsiasi località purché sia la “prima casa” sul territorio italiano.
Chi compra deve inoltre dichiarare di non deve essere titolare, esclusivo o in comunione con il coniuge, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione su un'altra casa nel comune dove si trova quella acquistata. Né titolare su tutto il territorio nazionale, neppure per quote o in comunione legale, degli stessi diritti (inclusa la nuda proprietà) su un'altra abitazione acquistata, anche dal coniuge, con l'agevolazione “prima casa”.
Ad ogni modo, comprare un immobile come prima casa non comporta per forza doverlo destinare a propria abitazione principale. Le due definizioni (“prima casa” e “abitazione principale”), ai sensi fiscali, non sono equivalenti: si può infatti fruire delle agevolazioni previste per la prima casa pur abitando (ad esempio: in affitto o comodato) in un immobile diverso da quello che si vuole acquistare.

La perdita del bonus
Così come si ottiene, il bonus si può anche perdere. Quando? Se viene presentata una falsa dichiarazione; se non si trasferisce la residenza entro il termine di 18 mesi; se l'immobile viene rivenduto o trasferito, anche a titolo gratuito, entro cinque anni dalla data di acquisto: in quest'ultimo caso, le agevolazioni possono essere mantenute se entro un anno dalla rivendita si compra un'altra casa da adibire ad abitazione principale. La perdita del beneficio fiscale significa dover versare l'imposta “risparmiata” (differenza tra quelle ordinaria e quella agevolata), aumentata di una sanzione del 30% oltre agli interessi.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/mercato-immobiliare/2014-12-04/case-lusso-agevolazioni-prima-144819.php?uuid=AbptJujK

Saldo Tari, tutte le istruzioni per pagare e difendersi dalle sanzioni

In questi giorni molti contribuenti stanno ricevendo gli avvisi di pagamento della Tari, il nuovo prelievo sui rifiuti che sostituisce la Tares, ovvero la Tarsu o la Tia per i comuni che nel 2013 non hanno cambiato regime (si veda un esempio di compilazione di F24).

I termini
Diversamente dall'Imu e dalla Tasi, la disciplina della Tari demanda agli enti locali la decisione sulle scadenze di pagamento. Ad esempio il comune di Genova ha previsto tre rate per le utenze domestiche e cinque per le utente non domestiche, spalmate tra settembre 2014 e febbraio 2015, mentre il comune di Milano ha fissato il pagamento del saldo entro il 20 dicembre 2014. Per alcuni comuni (tra cui Bologna) il termine del saldo Tari coincide con il 16 dicembre, lo stesso previsto per l'Imu e della Tasi, una "tax day". Occorre pertanto attenersi alle scadenze stabilite dai singoli enti, contenute negli avvisi di pagamento.

La disciplina della tassa
Gli elementi essenziali della Tari sono rimasti sostanzialmente gli stessi rispetto al passato, se si esclude la maggiorazione di 30 centesimi a metro quadro (ora abrogata). Il soggetto tenuto al pagamento è chi occupa oppure detiene gli immobili a qualsiasi titolo e solo in caso di utilizzo non superiore a sei mesi (come per le locazioni estive) la tassa è posta in capo al proprietario. La superficie di riferimento resta quella calpestabile, mentre il passaggio al criterio dell'80% della superficie catastale partirà dopo che l'Agenzia delle Entrate avrà emanato un apposito decreto. Le differenze riguardano principalmente - specie per i comuni che nel 2013 sono rimasti alla Tarsu - l'utilizzo di nuovi parametri come il numero dei componenti del nucleo familiare e i coefficienti di produttività distinti per fasce d'utenza (domestica e non domestica), con quota fissa e variabile.

Le tariffe e le riduzioni
Le tariffe sono stabilite dai singoli enti in conformità al piano finanziario, utilizzando il metodo normalizzato (Dpr 158/99) e con possibilità di operare una flessibilità del 50% in più o in meno sui coefficienti di produttività, al fine di evitare brusche variazioni tariffarie. Si tratta comunque di un regime provvisorio destinato a far posto ad un nuovo regolamento tariffario statale che dovrà sostituire il Dpr 158, ormai non più attuale.
La tassa è ridotta in caso di disservizio, di ubicazione fuori dalla zona di raccolta, per le attività produttive di rifiuti speciali assimilati avviati al riciclo e per la raccolta differenziata delle utenze domestiche. Il comune può prevedere riduzioni tariffarie (abitazioni con unico occupante o ad uso limitato, abitazioni rurali, eccetera) sino al totale esonero, nonché ulteriori agevolazioni per situazioni di grave disagio sociale ed economico.
Nel complesso l'occupante dell'immobile dovrebbe pagare la Tari sulla base di tariffe determinate con criteri più flessibili e con un maggiore ventaglio di agevolazioni, nella logica del pareggio costi-ricavi. Tuttavia il passaggio alla Tari ha generalmente comportato un aumento delle tariffe, specialmente nei comuni che il 2013 sono rimasti alla Tarsu, dovuto a diversi fattori: 1) la copertura totale dei costi del servizio; 2) l'inserimento di ulteriori componenti dei costi (riscossione, eccetera); 3) l'applicazione del metodo normalizzato, che fa lievitare le tariffe di diverse utenze non domestiche (supermercati, fruttivendoli, eccetera).

La quota variabile delle utenze domestiche
Potrebbe anche trattarsi di errori commessi dagli enti, ad esempio nel calcolo della quota variabile delle utenze domestiche, che va computata una sola volta a prescindere dal numero delle pertinenze. Ipotizziamo di avere un'utenza dalla superficie complessiva di 150 mq.: appartamento (100 mq.), garage (30 mq.) e cantina (20 mq.). Consideriamo un nucleo familiare di 4 componenti a cui corrisponde una quota fissa di 1,2 €/mq. e una quota variabile di 45 euro, secondo il piano tariffario dell'ente. Applicando il Dpr 158/99 dovremmo avere una quota fissa pari a 180 euro (1,2 x 150 mq.) e una quota variabile di 45 euro, per un totale di 225 euro. Il comune potrebbe però aver moltiplicato la quota variabile per tre unità (abitazione e 2 pertinenze), falsando così l'importo finale che lievita a 315 euro. La quota variabile va invece computata una sola volta, essendo l'utenza domestica riferita alla medesima famiglia.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/casa-e-fisco/2014-12-03/tari1-tutte-regole-tassa-200342.php?uuid=Ably6ajK

Fermare il calo del mercato con la riqualificazione dell'immobile

Un patrimonio che sta perdendo di valore giorno dopo giorno e che potrebbe riprendere quota con la riqualificazione condominiale. Questa, in sostanza, l'idea che sta dietro l'iniziativa di Anaci (associazione di amministratori immobiliari) che punta a coinvolgere amministratori e condòmini per frenare la caduta dei prezzi premiando chi si impegna a migliorare le condizioni abitative. E incrementare le attività delle imprese del settore, già orientato alla ristrutturazione (si veda il Sole 24 Ore del 19 novembre scorso).

Esiste infatti un problema di rigenerazione e riqualificazione urbana: «È necessaria - dice il presidente Francesco Burrelli - una nuova forma mentis anche da parte della cittadinanza, che deve acquisire consapevolezza delle opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico in campo edilizio e impiantistico». Per questo, insiste Burrelli «gli amministratori condominiali sono chiamati ad assumere un ruolo di guida favorendo la diffusione di informazioni e di una conoscenza più consapevole dei problemi dell'efficienza ambientale e della sicurezza nelle abitazioni».

Riqualificare l'immobile, quindi, vuol dire anche rivalutarlo: il risparmio energetico (che può arrivare al 60% dei relativi costi) e il miglioramento della qualità abitativa spingono la casa ai primi posti nella qualifica dell'appetibilità e bloccano la sua svalutazione. Una riqualificazione completa (non quindi solo energetica ma anche ambientale), dicono all'Anaci, può arrivare a costare 1 milione di euro (in un condominio di 80-100 unità immobiliari), che però si ammortizzano rapidamente grazie al risparmio energetico e alla rivalutazione economica.

Anaci ha già messo a punto il progetto Abitare Biotech, un protocollo tecnico e gestionale per gli amministratori di condominio per una maggiore valorizzazione degli edifici e conseguente incremento del rating immobiliare. Abitare Biotech viene proposto nel convegno di venerdì 5 dicembre alle 14.30 a Bologna (Cappella Farnese di Palazzo D'Accursio in piazza Maggiore 6): durante l'incontro verrà illustrato il nuovo sistema di monitoraggio degli edifici che prende avvio con il check-up dell'immobile; non una semplice diagnosi energetica ma un sistema che aiuta a fotografare lo "stato di salute" di ogni edificio, considerando gli otto settori chiave presenti: audit, design-for-all, sicurezza e conformità, energia, comfort e qualità dell'abitare, acqua e attrezzature comuni. Tra i vantaggi dell'applicazione del protocollo c'è un sito internet specifico, un repository dove condomini e amministratori possono facilmente archiviare e successivamente consultare tutti i documenti relativi al condominio, dal nuovo libretto di impianto per la climatizzazione ai dati relativi alla sicurezza dell'immobile: certificazioni della funzionalità degli impianti e più in generale dell'abitabilità dell'edificio come le dichiarazioni di conformità (Dm 37/2008) o di agibilità (Dpr 380/2001).

Un corso per tecnici professionisti abilitati alla diagnosi energetica degli edifici, alle imprese del settore riqualificazione, agli energy manager di patrimoni immobiliari pubblici e privati e alle Esco che operano nel settore da più di 5 anni, verrà presentato il 10 dicembre a Milano (info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/condominio/2014-12-01/fermare-calo-mercato-riqualificazione-192153.php?uuid=Ab63VviK

Come frazionare un grande appartamento: ventuno progetti a confronto su internet

 A volte può far comodo dividere un appartamento grande in due spazi più piccoli e funzionali. Proprio questa è la richiesta di un cliente di Roma che ha deciso di frazionare il suo appartamento in due bilocali composti da cucina, camera da letto matrimoniale e bagno. Pochi i vincoli posti agli architetti che si sono potuti sbizzarrire con moltissime idee: ben 21. Vista l'impossibilità di avere due entrate indipendenti, l'unico fattore da tener conto era quella di creare uno spazio di entrata con le porte dei piccoli appartamenti.

Il progetto vincente è di Yaap Studio di Milano. Il progetto dello studio milanese è molto interessante e “innovativo” come definito dallo stesso cliente. Questo ha permesso allo studio di ottenere un punteggio di ben 8.2, molto alto nella media dei vari punteggi di Cocontest. Ma vediamo da vicino quali idee sono state proposte da questo studio.

La semplicità è la parola d'ordine di questo progetto: le mura prevedono tinte chiare per rendere gli spazi meno opprimenti e dare maggior risalto alla luce naturale proveniente dalle finestre. I bagni sono molto semplici, sempre per dare una sensazione di ambiente più spazioso. Le due zone giorno sono state studiate molto attentamente e lo studio milanese è riuscito ad inserire sia la cucina, che una zona con divano, libreria e televisore in un unico ambiente.

Al secondo posto troviamo il progetto di una interior designer di Belgrado. Questa soluzione prevede un primo appartamento con gli ambienti totalmente al contrario rispetto alla soluzione dello Yapp Studio. Appena entrati nell'appartamento infatti ci si trova a destra il salone, di fronte il bagno ed a sinistra la camera da letto. È una soluzione sicuramente molto interessante perché divide molto bene gli spazi. Il secondo appartamento è sostanzialmente simile a quello del progetto vincente. Gordana Ninkovic però non è riuscita a vincere nonostante il punteggio molto alto (7.8).

Al terzo posto troviamo il progetto di Francesca Baghino con un ottimo frazionamento degli spazi, ma probabilmente non in linea con i gusti del cliente, che comunque ha mostrato il suo apprezzamento per la soluzione proposta.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/arredo-design/2014-11-28/come-frazionare-grande-appartamento-171157.php?uuid=Abz9p4hK



Si torna a comprare casa, soprattutto nelle grandi città. Agenzia Entrate: +4,1% di acquisti nel trimestre

Da un lato prezzi del mattone in discesa, come ha registrato ieri la fotografia scattata da Nomisma sul mercato residenziale, dall'altro compravendite in crescita, come dichiara oggi l'agenzia delle Entrate. Due variabili che si muovono in uno stretto legame. Forse è solo perché i valori scendono che le compravendite tornano a salire? Certo che ci sono anche altre componenti da tenere in considerazione, come una fiducia migliorata nel Paese, più mutui disponibili e la speranza di una ripresa. Che certo però non è alle porte.

Secondo il report dell'agenzia delle Entrate il mercato immobiliare italiano nel terzo trimestre 2014 torna a crescere, con compravendite nel complesso in aumento del 3,6%. Il settore residenziale ha registrato da luglio a settembre 2014 un numero di 94.861 compravendite, in aumento di oltre il 4% dalle 91.083 transazioni del terzo trimestre 2013. A fare la parte del leone ancora una volta sono le città capoluogo - come confermato dalle ultime note trimestrali - che recuperano quasi il 7%. In positivo anche i settori commerciale (+9%), produttivo (+1,6%) e le pertinenze (+2,4%). Comunque dal 2004 la perdita accumulata dalla contrazione delle compravendite per via della crisi immobiliare rimane ampia: circa il 45%.

I grandi capoluoghi
Il trend a due velocità tra capoluoghi e resto del Paese è ancor più evidente se si guarda l'andamento delle otto maggiori città. Qui le compravendite sono salite del 9,6% contro il 7% del totale dei capoluoghi. Trend positivo anche nelle rispettive province con transazioni che salgono del 4,4% (meglio del dato nazionale del totale dei non capoluoghi, 2,8%). Fanno eccezione le sole province di Torino e di Palermo, dove il “resto della provincia” è in calo rispettivamente dell’1,1% e del 2,4%.

Ma dove il mercato è diventato più vivace? A Milano per la verità si conferma dinamico visto che per il quinto trimestre consecutivo mette a segno un rialzo del 6,8%, qualcuno sostiene grazie all'attesa per Expo 2015 (+6,9% la crescita nel secondo trimestre e +3,4% quella dei primi tre mesi 2014). Con il resto della provincia che vede scambi in aumento dell'8,8% (-2,9% nel periodo da aprile a giugno 2014 sullo stesso periodo dell'anno precedente). Ma spiccano anche i balzi di Firenze e Bologna vicini al 20%. Roma recupera con vendite in aumento dell'11,8% rispetto al +3,9% del trimestre precedente. Torino è la città con la performance più debole: 0,7%.

Le vendite per aree geografiche
Come si dispone sul territorio quel +4,1% di vendite residenziali? Per questo trimestre in maniera più o meno uniforme. Meglio del resto va il centro (+4,5%), segue il Nord (+4,3%) mentre al Sud si registra un tasso di crescita pari al 3,6%. Nord e Sud nel trimestre scorso avevano incassato segni negativi a fronte di un Centro che saliva per compravendite dell'1,7% (+2,3% nei capoluoghi).

I dati positivi portano con sé un tentativo di recupero della perdita di volumi archiviata dal settore residenziale l’anno scorso. Per l'acquisto di abitazioni nel 2013 il settore ha perso circa otto miliardi di euro, si sono spesi infatti 67,5 miliardi di euro a fronte dei 75,7 miliardi registrati nel 2012.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/mercato-immobiliare/2014-11-20/torna-comprare-casa-soprattutto-111152.php?uuid=AbbMIdfK

Tornano a crescere i mutui che coprono oltre l’80% del valore degli immobili

La discesa dei tassi di interesse sui mutui che ha caratterizzato (molto lentamente) gli ultimi mesi ha riguardato soprattutto chi (oltre ad avere solide basi reddituali e occupazionali) chiedeva cifre basse rispetto al valore della casa da acquistare. La discesa degli spred praticati (e pubblicizzati) dalle banche è stata infatti guidata da una differenziazione delle condizioni applicate a seconda del livello di loan to value del finanziamento. Tuttavia la ripresa delle erogazioni sta riportando a crescere anche i prestiti che coprono porzioni elevate del valore immobiliare.

Almeno è quanto emerge dai dati elaborati da Genworth - compagnia specializzata nella copertura del credito in caso di insolvenza del mutuatario - che stima come le erogazioni dei mutui superiori all’80% del valore dell'immobile raggiungeranno nel 2014 gli 1,2 miliardi di euro (5% del totale), rispetto agli 814 milioni del 2013 (3,8% del totale). Nel 2007 questo mercato - assimilabile, seppur con le dovute distinzioni, a quello che è degenerato nella bolla dei subprime che ha dato il via alla crisi finanziaria globale - valeva 6 miliardi di euro (8,7% del totale).


 

 Si tratta di elaborazioni Genworth su dati di Banca d'Italia, Assofin e Databank, presentate dalla società nella sessione “Sviluppare il credito in un quadro di sostenibilità per la famiglia” del convegno Credito al Credito 2014, organizzato dall'Abi.

«Il 2014 - comunicano da Genworth - non sarà l'anno che sancirà una vera e propria svolta, ma si confermano i segnali di un'inversione di tendenza per il prossimo futuro, per quanto riguarda il mercato sia dei mutui residenziali che delle compravendite immobiliari. Nel corso degli anni la “mortgage insurance” di Genworth ha permesso l'erogazione di mutui a più di 38mila giovani (di cui il 10% atipici a partire dal 2008) e a quasi 24mila nuove famiglie. Nel periodo 2003-2013 Genworth ha assicurato oltre 60mila mutui. La mortgage insurance ha dunque fornito un efficace trasferimento del rischio e ha supportato l'erogazione del credito anche nei momenti di crisi, agevolando l'accesso al mercato dei mutui anche per le categorie più fragili finanziariamente e talvolta escluse dall'offerta di credito».

Intanto un emendamento alla legge di Stabilità prevede che il ministero dello Sviluppo economico, Abi e associazioni di categoria, dovranno concordare misure per sospendere il
pagamento della quota capitale dei mutui e dei finanziamenti a famiglie e micro e piccole e medie imprese per le rate relative agli anni 2015-2017. Le misure dovranno essere adottate entro 90 giorni dall'entrata in vigore della manovra.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/mercato-immobiliare/2014-11-27/tornano-crescere-mutui-coprono-131146.php?uuid=Abt7vlhK

 

La discesa dei tassi di interesse sui mutui che ha caratterizzato (molto lentamente) gli ultimi mesi ha riguardato soprattutto chi (oltre ad avere solide basi reddituali e occupazionali) chiedeva cifre basse rispetto al valore della casa da acquistare. La discesa degli spred praticati (e pubblicizzati) dalle banche è stata infatti guidata da una differenziazione delle condizioni applicate a seconda del livello di loan to value del finanziamento. Tuttavia la ripresa delle erogazioni sta riportando a crescere anche i prestiti che coprono porzioni elevate del valore immobiliare.

Almeno è quanto emerge dai dati elaborati da Genworth - compagnia specializzata nella copertura del credito in caso di insolvenza del mutuatario - che stima come le erogazioni dei mutui superiori all’80% del valore dell'immobile raggiungeranno nel 2014 gli 1,2 miliardi di euro (5% del totale), rispetto agli 814 milioni del 2013 (3,8% del totale). Nel 2007 questo mercato - assimilabile, seppur con le dovute distinzioni, a quello che è degenerato nella bolla dei subprime che ha dato il via alla crisi finanziaria globale - valeva 6 miliardi di euro (8,7% del totale). Si tratta di elaborazioni Genworth su dati di Banca d'Italia, Assofin e Databank, presentate dalla società nella sessione “Sviluppare il credito in un quadro di sostenibilità per la famiglia” del convegno Credito al Credito 2014, organizzato dall'Abi.

Finestra libera in facciata se non è troppo diversa

Via libera all'apertura di una finestra sulla facciata dello stabile se non lede il decoro architettonico. La Corte di Cassazione con la sentenza 25147, esclude che l'apertura di una nuova finestra sulla facciata del palazzo ne alteri la fisionomia se questa, per dimensioni, non si discosta troppo dalle altre. Nel caso esaminato era stata contestata la diversa altezza, circa 40 centimetri, troppo poco per incidere sul decoro architettonico, soprattutto quando questo è già stato alterato, in maniera ben più vistosa, da altri condomini con diversi interventi.


Un'osservazione che risparmia al ricorrente di eliminare il lavoro fatto, restituendo alla facciata l'originaria conformazione. La Cassazione si allinea dunque a quanto già stabilito dalla Corte d'Appello che aveva negato il vulnus all'estetica dell'edificio. Per cercare fino all'ultimo di vincere la causa il condominio, compreso che l'argomento del decoro architettonico non era risolutivo, aveva sollevato il problema del mancato rispetto del regolamento condominiale che vietava ai condomini di fare interventi sulla facciata. La Cassazione però respinge il motivo nuovo, spiegando che non si può cambiare l'imputazione in "corsa".

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/condominio/2014-11-26/finestra-libera-facciata-troppo-222341.php?uuid=AbDCqThK

Edilizia fuori dalla crisi nel 2015 grazie al boom delle riqualificazioni

A portare fuori dalla crisi l'edilizia nel 2015 sarà il mercato del recupero che crescerà del 3,5% mentre per le nuove costruzioni resta una previsione negativa di -3,4%. Il 22° Rapporto sulle costruzioni del Cresme, presentato la settimana scorsa a Milano, conferma la svolta, con una previsione di crescita per il mercato complessivo dell'1,1% dopo otto anni consecutivi di flessione.

Il mercato del «riuso» si conferma in Italia largamente prevalente, circa il 70% del mercato complessivo: 118 miliardi nel 2014 di cui 82 miliardi di manutenzione straordinaria e 36,3 miliardi di manutenzione ordinaria. Il 2014, nonostante i segnali positivi di inizio anno, chiuderà con segno negativo a -2,9%. Per il Cresme è «una grande delusione» perché «le attese erano molto più ottimistiche». «C'è stata una gelata da giugno in avanti - spiega il direttore del Cresme, Lorenzo Bellicini - che a sopresa ha riguardato anche il recupero abitativo incentivato con i bonus fiscali del 65 e del 50 per cento, uno dei grandi motori del mercato di questi anni».

Fatto sta che il quadro di sintesi finale dell'anno in corso resta fortemente negativo con una caduta del mercato del 2,9%, dato da una flessione delle nuove costruzioni del 10,6% e da un dato positivo contenuto all'1,7% per gli investimenti in rinnovo. I picchi negativi del 2014 sono ancora una volta per le nuove case (-14,5%) e per gli edifici non residenziali (-11,9% per gli investimenti privati e -4,9% per quelli pubblici). Caduta verticale anche per le opere pubbliche (-6%). In controtendenza invece, nell'ambito del mercato del rinnovo, gli investimenti negli edifici non residenziali pubblici, in calo del 3,3% e, ancora una volta, quelli del genio civile, con -3,5 per cento.

A spingere sulla ripresa del 2015 - dice il Cresme - ci sarà invece, insieme al rinnovo, anche il settore delle opere pubbliche per cui l'istituto di ricerca accredita una crescita del 2%. Anche qui parliamo di un comparto in caduta da otto anni, fin dal 2005, con l'eccezione del 2007, quando fece registrare una leggera crescita dello 0,5%.

«Il nuovo quadro degli investimenti in opere pubbliche - spiega il Rapporto Cresme - si basa sui nuovi documenti di finanza pubblica, sui bilanci annuali consolidati e sulle relazioni semestrali delle principali imprese pubbliche e private che gestiscono infrastrutture, nonché sui dati del mercato delle opere pubbliche (bandi e aggiudicazioni)» monitorati quotidianamente da Cresme Europa Servizi (e pubblicati da Edilizia e Territorio). La ripresa prevista per il 2015 tuttavia «è strettamente collegata al successo dei provvedimenti messi in atto dagli ultimi governi per il rilancio dell’economia e in particolare lo sblocca-Italia e dalla legge di stabilità 2015 varati dall'attuale governo».

In sostanza il Cresme rileva che la crescita dei bandi e delle aggiudicazioni, soprattutto degli enti territoriali, sono collegabili da una parte alle politiche di allentamento graduale del patto di stabilità, dall'altra anche alla politica di pagamenti dei debiti della Pa, che cancellando le vecchie pendenze, consente di mettere in campo le risorse aggiuntive per nuove opere.

Fin qui i dati. Ma il Cresme si sforza ancora una volta di mettere in guardia gli operatori del settori che un grande cambiamento è alle porte. Crisi strutturale, destinata a cambiare il mercato anche drammaticamente, non solo prolungata crisi del ciclo edilizio. «Le cose che stanno cambiando hanno pesi e misure sorprendenti», afferma l'introduzione del Rapporto che poi continua: «Il settore delle costruzioni/immobiliare va sempre più leytto come un ambito economico più complesso di quello che siamo abituati a considerare: l'attività edilizia non è solo quella connessa alla nuova produzione, è oggi prevalentemente riqualificazione , è progettazione, intermediazione immobiliare e gestione, impiantistica ed energy  technology, ed è da sempre correlato alla finanza». In questa visione ampia il settore «ha rappresentato il 56% della crescita occupazionale del Paese nel primo decennio del 21° secolo e l'80% della caduta occupazionale del Paese tra 2011 e 2014». L'innovazione tecnologica e soprattutto quella dell'informazione e della digitalizzazione «stanno ridefinendo lo scenario delle costruzioni facendolo entrare in una storia nuova».

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/infrastrutture-e-citta/2014-11-25/edilizia-fuori-crisi-2015-211740.php?uuid=AbFLa9gK

Beni comuni e privati, per distinguerli viene in soccorso l'anagrafe condominiale

 Spesso non è del tutto agevole stabilire a priori quali siano, all'interno del condominio, i beni comuni e quali quelli di proprietà esclusiva dei condomini. La prova è data da due recenti interventi dalla Cassazione che, a distanza di pochi giorni, hanno affrontato il tema dei beni comuni ex art. 1117 cod. civ. A quanto pare non è possibile né fare affidamento sui dati progettuali né sui titoli di proprietà ma occorre verificare lo stato dei luoghi e decidere caso per caso. Il fabbricato, in ipotesi, potrebbe essere stato realizzato anche in difformità da quanto progettato e i titoli di proprietà originari, con cui il costruttore ha trasferito le proprietà ai singoli condomini, potrebbero non contenere la giusta rappresentazione della realtà. Ma dove progetti e titoli di proprietà potrebbero fallire, il registro dell'anagrafe condominiale, recentemente introdotto dalla riforma del condominio, potrebbe rappresentare una valida soluzione per evitare la trappola delle liti inutili.

La lite per l'utilizzo dei parcheggi
Il caso nasce quando alcuni condomini contestano ai vicini di aver annesso (abusivamente) ai propri box auto, una parte del corridoio (condominiale) di accesso e di manovra. Ma come si è giunti a questa considerazione? Secondo i denuncianti, lo stato dei luoghi sarebbe difforme dal progetto originario in cui i box auto erano di dimensioni più ridotte rispetto allo stato dei luoghi per cui sarebbe evidente l'illegittimo accorpamento, da parte dei vicini, della proprietà condominiale in quella privata. Di contro, i convenuti proclamavano la propria innocenza. I box auto e le relative pertinenze erano stati acquistati nello stato di fatto in cui si trovavano direttamente dal costruttore e, nel tempo, non avevano subito alcun ampliamento, men che meno ai danni della proprietà comune. Ovvio che, non riuscendo a dirimere la controversia in ambito condominiale, si ricorra alla carta bollata.
Il Tribunale, in primo grado, ritiene possibile che il costruttore, quale unico proprietario del complesso, abbia apportato delle varianti ai progetti assentiti e che le differenze tra questi ultimi e lo stato dei luoghi siano preesistenti alla costituzione del condominio e al trasferimento della proprietà ai singoli condomini. La responsabilità del fattaccio, quindi, non sarebbe imputabile ai singoli proprietari ma dovrebbe essere addebitata al costruttore del complesso. La Corte d'Appello cambia rotta: lo stato dei luoghi è un elemento irrilevante e ciò che conta è il progetto assentito. Se quest'ultimo prevede che uno spazio sia condominiale, tale rimane! Ma come si è giunti a tale conclusione? Il punto di partenza è rappresentato dagli atti di acquisto degli immobili che riportavano gli estremi della concessione edilizia in base alla quale gli immobili erano stati realizzati, ciò rendeva possibile risalire ai progetti del manufatto. I grafici progettuali prevedevano otto box auto, a fronte dei cinque esistenti, mentre la corsia condominiale era misteriosamente scomparsa. Di qui la logica conseguenza: il proprietario del box occupava abusivamente uno spazio comune originariamente destinato a corsia di accesso ai garage! Questa, almeno, la conclusione della Corte d'Appello a cui, evidentemente non si è disposti ad arrendersi per cui la questione finisce in Cassazione.

Il progetto non conta
Sbaglia la Corte di Appello nel fare affidamento sui titoli concessori! E' questo il parere della sesta Sezione della Corte di Cassazione che, con l'ordinanza n. 3908, depositata in cancelleria lo scorso 19 febbraio 2014, rimette la questione ad un ulteriore esame della Corte di Appello. Secondo i giudici romani, mettere i paletti al diritto di proprietà stabilendo se un bene ha natura condominiale rientrando nel dettato dell'art. 1117 cod. civ. ovvero per fissare l'estensione del diritto di proprietà del singolo condomino, non è possibile fare affidamento sul progetto originario. Bisogna aver riguardo, invece, allo stato dei luoghi, tenendo conto dell'effettiva e concreta destinazione funzionale ad uso collettivo delle aree.

I titoli di acquisto non sono convincenti
Ai fini della individuazione degli spazi condominiali, anche i titoli di acquisto potrebbero essere irrilevanti. La circostanza che il titolo di acquisto del box auto non coincida perfettamente con il realizzato è un elemento ininfluente ai fini della determinazione dell'estensione dei diritti condominiali. Come giustamente sottolineato dalla Cassazione, la menzione nei titoli di acquisto, degli estremi del titolo edificatorio, assolve ad un'esigenza formale imposta dalla legge 47/1985 ma non esplica alcun effetto ai fini della individuazione dei beni comuni. Il principio è certamente condivisibile! La legge del 1985 (la prima legge sul condono edilizio), al fine di ostacolare il trasferimento degli immobili abusivi, introdusse l'obbligo di indicare negli atti di trasferimento immobiliare gli estremi del titolo abilitativo dei lavori che ne aveva autorizzato la realizzazione (con la conseguenza che gli immobili abusivi diventavano, di fatto, invendibili) ma tale circostanza non esplica alcun effetto in ambito condominiale. La pratica, inoltre, dimostra che spesso il costruttore non esegue pedissequamente il progetto assentito e, nel corso dei lavori, spesso vengono apportate delle piccole varianti in corso d'opera che, anche se non del tutto lineari, non alterano sostanzialmente la regolarità urbanistica ed edilizia del manufatto.

Anche la situazione catastale non è decisiva
La circostanza che possano verificarsi delle differenze tra il progettato e l'edificato è un malvezzo tutto italiano a cui solo recentemente si sta cercando di porre rimedio non tanto per scongiurare le beghe condominiali quanto per rimpinguare le casse erariali. L'art. 19, comma 16 ("Aggiornamento del catasto") del D.L. 78 del 31 maggio 2010 "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica", convertito con modifiche dalla legge 122 del 30 luglio 2010, modificando l'art. 29 della legge 52 del 27 febbraio 1985 "Modifiche al libro sesto del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento alla introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservatorie dei registri immobiliari" ha aggiunto il comma 1-bis. La norma ha introdotto un ulteriore balzello negli atti di compravendita immobiliare imponendo di verificare, a pena di nullità, l'allineamento tra lo stato dei luoghi e le planimetrie depositate in catasto.
La stessa Cassazione (questa volta la Sez. II) è intervenuta sul tema delle proprietà comuni ex art. 1117 cod. civ. con la sent. n. 147 dell'8 gennaio 2014. Questa volta la lite ha a oggetto l'individuazione dei beni comuni e, in particolare, l'impianto elettrico di illuminazione delle scale, il quadro di alloggio dei misuratori di energia elettrica e il portone di ingresso dello stabile condominiale.
Secondo il Tribunale, «il portone era indubitabilmente comune, un utilizzo del medesimo non poteva avvenire che con un unico impianto elettrico, che pertanto doveva considerarsi comune».
La Corte d'Appello, però, ribalta il giudizio ed esclude la natura condominiale dei beni in questione in quanto essi non erano menzionati nell'atto costitutivo del Condominio. Secondo la Corte di Appello «la presunzione di cui all′art. 1117 cod. civ. non opera quando come nella specie il bene, dotato di propria autonomia e indipendenza, non sia destinato al servizio comune: l'impianto elettrico di illuminazione delle scale, il collegamento del campanello e dell'apriporta del portone di ingresso erano di proprietà esclusiva del convenuto». E invero, nel caso in esame, era stata fornita la prova che gli impianti erano sin dall'origine due, con due distinti contatori, uno al servizio dell'appartamento dell'appellante e, l'altro, degli appellati.

I fatti contano più delle carte
La Cassazione, partendo dal presupposto di fatto che le unità immobiliari erano dotate di impianti distinti ed autonomi, ha ritenuto corretta la sentenza del giudice di appello che aveva escluso l'applicabilità della presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 cod. civ. In parole povere, affinché il bene possa rientrare tra quelli condominiali, è necessario che «il comune godimento sia posto contemporaneamente al servizio delle proprietà esclusive e la cui installazione sia di reciproco vantaggio per i singoli condomini». D'altra parte, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, nell'atto costitutivo del condominio, al quale occorre fare riferimento per stabilire la natura comune dei beni, mancava una specifica menzione dell'impianto de quo. L'insegnamento della Cassazione, quindi, è semplice: per stabilire se un bene è di natura condominiale o rientra nella proprietà privata, bisogna partire dall'esame dei luoghi non essendo possibile fare affidamento su concetti generali o, detto in termini diversi, i principi contenuti nel codice civile hanno portata generale ma devono essere adeguati al caso concreto.

Non è facile decidere tra beni comuni e privati
La casistica della Cassazione dimostra, senza ombra di dubbio, come non è assolutamente agevole tracciare un netto spartiacque tra beni comuni e privati e anche la recente riforma del condominio non sembra aver colmato questa lacuna. A questo punto, ci si chiede, esiste un mezzo per evitare le liti? L'occasione potrebbe essere rappresentata dal registro dell'anagrafe condominiale.

La riforma del condominio
Il registro di anagrafe condominiale è uno dei frutti più recenti introdotti dalla legge 220 dell'11 dicembre 2012 "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici" che ha posto a carico dell'Amministratore una serie di nuovi oneri. Stiamo parlando, in particolare, dell'art. 1130 cod. civ. "riformato" intitolato "Attribuzioni dell'amministratore". Tra i nuovi compiti affidati all'organo amministrativo, spicca quello relativo alla tenuta del registro di anagrafe condominiale. Ma... di cosa si tratta?

Nuovi oneri per l'amministratore
L'art. 1130 cod. civ., prevede testualmente che «L'amministratore, oltre a quanto previsto dall'art. 1129 e dalle vigenti disposizioni di legge, deve: … 6) curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza [delle parti comuni dell'edificio]. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all'amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L'amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore incarica un tecnico per l'acquisizione di ogni informazione necessaria, addebitandone il costo ai responsabili;».

Il registro di anagrafe condominiale
Secondo una prima lettura della norma, il registro di anagrafe condominiale dovrebbe limitarsi a raccogliere tre tipologie di dati: una prima serie di dati, di tipo soggettivo, relativa all'identificativo dei condomini; una seconda serie di dati oggettivi, relativi all'identificativo immobile; una terza serie di dati, di natura oggettiva, relativi alle condizioni di sicurezza del fabbricato. Sotto tale ultimo profilo, l'art. 1, comma 9, lett. c) del D.L. 145 del 23 dicembre 2013, convertito con modificazioni dalla legge 9 del 21 febbraio 2014, "Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia"", modificando l'art. 1130, comma 1, n. 6, cod. civ., come modificato dalla legge 220/2012 (riforma del condominio), ha chiarito che il riferimento alle "condizioni di sicurezza" deve essere interpretato in relazione alle "parti comuni dell'edificio" e non alle singole unità immobiliari. Messo da parte il problema della sicurezza, l'amministratore si troverebbe a gestire un duplicato del catasto che, per l'appunto, è l'Ente istituzionalmente preposto alla gestione dei dati relativi agli identificativi catastali dei singoli immobili e dei relativi proprietari.
Lo scopo della riforma, peraltro, non è quello di duplicare gli adempimenti burocratici, bensì quello di gestire in sicurezza il condominio attraverso la figura dell'amministratore, il cui compito, non è certamente quello di gestire i dati e gli adempimenti catastali, essendo peraltro sprovvisto dei relativi poteri che competono all'Erario e vengono esercitati attraverso l'Agenzia del territorio.
In definitiva, l'amministratore di condominio avrebbe due funzioni istituzionali. Sotto un primo profilo, avrebbe la gestione immediata dei beni comuni; secondo una diversa prospettiva, e in via mediata, l'amministratore verrebbe chiamato a assolvere una funzione di pubblico interesse dovendo garantire la sicurezza del fabbricato e, in tal modo, dell'intera collettività. In tale ottica, l'amministratore, sotto il primo profilo, avrebbe il compito di individuare, con precisione, i condomini e l'estensione dei loro diritti per avere un quadro generale dell'immobile. Parallelamente, dovrebbe avere contezza dei servizi comuni anche al fine di garantire la sicurezza non solo dei condomini residente, ma dell'intera collettività.
Tramite il registro di anagrafe condominiale, l'amministratore dovrebbe avere contezza dello stato dei luoghi in modo da poter intervenire in caso di necessità. Poniamo che il condominio esegua dei lavori di straordinaria manutenzione. L'amministratore dovrà essere in grado di intervenire per sorvegliare che non vengano danneggiati i servizi comuni e la stessa struttura del corpo di fabbrica. Quante volte, specie le piccole imprese, provvedono all'apertura di nuove porte, spostamento di muri, interventi sulle strutture portanti? Il registro dell'anagrafe permetterebbe all'amministratore di avere contezza dello stati dei luoghi per poter effettuare un controllo in corso d'opera. Ma, per poter esercitare un'azione di controllo, non è sufficiente avere i dati catastali degli immobili essendo necessarie delle planimetrie progettuali che diano una rappresentazione chiara e precisa dell'intero fabbricato e dei singoli immobili che lo compongono. E non finisce qui!
Il famoso registro non dovrebbe limitarsi a raccogliere i dati catastali dell'immobile ma, in primo luogo, dovrebbe individuare i soggetti che, vuoi come proprietari, vuoi come titolari di diritti reali, accampano dei diritti sulla res condominiale. Scopo della norma, sotto questo profilo, quindi, sarebbe in primo luogo l'individuazione dei singoli condomini ovvero dei soggetti abilitati a partecipare all'assemblea e, parallelamente, obbligati a contribuire economicamente alla gestione del condominio. Sotto il profilo oggettivo, il "registro" dovrebbe indicare l'estensione dei diritti vantati dai singoli condomini. Se un condomino ha un diritto specifico su un singolo bene (si pensi al diritto di affaccio o di transito nel cortile condominiale, ovvero il diritto di prendere area a luce dall'androne del portone) tale diritto dovrebbe essere annotato nel "registro" con un duplice obiettivo. Da un lato si tratterebbe di chiarire quali sono i diritti dei singoli condomini, dall'altro di individuare gli oneri a loro carico. Diritti e oneri, infatti, vanno a braccetto: rifacendoci all'esempio, se ho il diritto di affaccio o transito nel cortile condominiale, ovvero il diritto di area e luce dall'androne del portone, vorrà dire che dovrò farmi carico di una maggiore quota millesimale contribuendo parallelamente alle relative spese.
L'amministratore di condominio, quindi, dovrebbe farsi carico di acquisire i titoli di proprietà dei singoli condomini e annotare nel registro i diritti, gli obblighi e le servitù posti a carico di ciascun partecipante al condominio in modo tale da avere sempre un quadro preciso e dettagliato della situazione.
In tale ottica il "registro" non dovrebbe limitarsi a duplicare il catasto ma servirebbe per mappare la consistenza dei diritti (e correlati obblighi) dei singoli condomini. In tale contesto, il registro costituirebbe un ausilio insostituibile per la formazione e/o la revisione delle tabelle millesimali. Una volta ottenuta la mappatura dei diritti, si tratterebbe solo di trasformarli in millesimi di proprietà.

Come si forma il registro?
In linea di principio occorre partire dal presupposto che ogni condominio dovrebbe collaborare per la corretta gestione del condominio e, in tale ottica, dovrebbe fornire spontaneamente all'amministratore i dati necessari per la formazione e l'aggiornamento del registro dell'anagrafe. Eventualmente, il condomino potrebbe trasmettere all'amministratore anche un estratto dell'atto di acquisto del proprio immobile con indicazione dei diritti vantati. E' anche logico supporre che chi non ha dichiarato il possesso del diritto non potrà esercitarlo. Quanto ai dati tecnico-progettuali, essi potranno essere reperiti presso l'impresa che ha realizzato il fabbricato o presso gli uffici tecnici comunali. Nel caso di immobili storici, bisognerà armarsi di pazienza e affidare a un tecnico il compito di una mappatura completa del fabbricato. Non bisogna comunque dimenticare che sarebbe oltremodo riduttivo considerare l'amministratore di condomino come un semplice ragioniere che tiene la cassa riscuotendo le quote condominiali e pagando le fatture. La riforma del condominio ha posto l'accento sulla professionalità di questa figura che dovrà farsi carico di acquisire al necessaria capacità tecnica per gestire anche e soprattutto gli aspetti tecnico-progettuali del fabbricato.
Necessario trasmettere copia del titolo di proprietà?
A seguito dell'entrata in vigore della riforma del condomino, si è discusso sulla necessità che il singolo condomino trasmetta all'amministratore copia del titolo di proprietà. Come di consueto, si sono formati due schieramenti diametralmente opposti. Personalmente propenderei per l'obbligo, posto a carico di ciascun condomino, di fornire copia del titolo di proprietà. Tale tesi troverebbe il proprio fondamento nell'art. 18 della legge 220/2012 che ha riscritto l'art. 63 delle disposizioni di attuazione del cod. civ. La norma, all'ultimo comma, prevede: «chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'Amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto». Se il condomino ha l'obbligo di fornire all'amministratore copia autentica del titolo di acquisto in occasione del trasferimento delle proprietà, non si vede per quale ragione non debba farlo in fase iniziale, al momento della costituzione del registro anagrafico.

In conclusione
Per concludere potremmo affermare che la riforma del condominio ha portato maggiore trasparenza nei rapporti condominiali riconoscendo e promuovendo la qualificazione professionale degli amministratori di condominio. Proprio in funzione della professionalità richiesta, all'amministratore vengono devoluti nuovi compiti, ivi compresa la tenuta del registro anagrafico. Tale registro non dovrebbe limitarsi ad uno sterile duplicato del catasto ma dovrebbe servire ad assicurare una chiara visione dell'intero condomino fotografando lo stato dei luoghi sia dal punto di vista soggettivo, con l'individuazione dei singoli condomini e dei relativi diritti vantati da ciascun partecipante, che dal punto di vista oggettivo, con la precisa individuazione della consistenza patrimoniale dell'immobile condominiale.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/condominio/2014-11-24/beni-comuni-privati-distinguerli-183412.php?uuid=AbikZngK

Sblocca Italia/1: sanzioni rafforzate per chi non comunica l'inizio lavori (Cil)

Avviare ristrutturazioni di immobili o nuove costruzioni senza essere in regola con i titoli edilizi necessari costa sempre di più. Con la legge di conversione del Dl 133/2014 sblocca-Italia (legge 164/2014) sono state introdotte sanzioni maggiorate a carico di chi trasgredisce le regole che autorizzano nuove costruzioni e le ristrutturazioni.

Piccoli lavori
La sanzione per il mancato rispetto delle norme relative alla comunicazione di inizio lavori (Cil) per gli interventi minori, che possono essere eseguiti senza titolo abilitativo è stata di fatto quadruplicata: con le modifiche apportate dallo Sblocca Italia al settimo comma dell’articolo 6 del Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), questa sanzione è stata innalzata da 258 a mille euro. La multa non colpisce tutte le attività di edilizia libera, ma solo quelle che possono essere eseguite senza Scia e senza permesso di costruire ma a condizione che l’interessato comunichi l’inizio dei lavori all’amministrazione comunale, anche per via telematica.

Circoscrivere l’elenco è difficile: occorre comunque consultare il Comune dove ha sede l’immobile interessato dai lavori, visto che, sulle attività di edilizia libera, il Dpr fa salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali. Ma vi rientrano di sicuro:
• la pavimentazione e finitura di spazi esterni;
• la realizzazione di vasche di raccolta delle acque e di locali tombati;
• l’installazione di pannelli solari fotovoltaici al servizio degli edifici ubicati fuori dai centri storici;
• la realizzazione di aree ludiche senza fini di lucro e la realizzazione di opere per l’arredo delle aree pertinenziali degli edifici.

Colpiti dall’aumento anche gli interventi di manutenzione straordinaria sui servizi igienico-sanitari e tecnologici, l’apertura di porte interne, lo spostamento di pareti interne, oppure modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa. Per questi ultimi la comunicazione di inizio lavori deve essere asseverata da un tecnico abilitato, che attesti la loro conformità agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi e certifichi che i lavori non intaccano le parti strutturali.

La sanzione si paga per l’importo intero se l’infrazione viene rilevata dal Comune in corso d’opera o a lavori conclusi, ma se l’interessato effettua spontaneamente la comunicazione mentre l’intervento è ancora in corso, si riduce a un terzo.

La mancata demolizione
Le modifiche all’articolo 31 del Dpr 380/2001 introducono una sanzione pecuniaria anche per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al progetto approvato dal Comune.

Finora, quando il dirigente comunale accertava che un’opera era stata eseguita senza il necessario permesso o se ne discostava sostanzialmente, intimava al suo proprietario e a chi era responsabile dell’abuso, di demolirla e riportare l’area a come era prima dell’intervento, altrimenti l’immobile passava nel patrimonio del Comune. Ora, con la conversione in legge del Dl 133/2014 chi non ottempera all’ordine di demolizione del Comune, dovrà pagare anche una multa di importo compreso tra i 2mila e i 20mila euro. Queste cifre possono essere aumentate dalle Regioni a statuto ordinario, che hanno anche la possibilità di comminarle periodicamente, fino a quando non viene eseguita la demolizione. Saranno, verosimilmente, le singole amministrazioni comunali a stabilire la cifra esatta da pagare in base alla gravità dell’abuso.

La nuova norma non lascia, però, alcuno spazio di manovra se le opere sono eseguite senza titolo, o in difformità, su aree sulle quali le leggi statali e regionali o le norme urbanistiche hanno posto un vincolo di inedificabilità, o le hanno destinate ad opere e spazi pubblici oppure alla costruzione di alloggi di edilizia residenziale pubblica: in questi casi i Comuni devono applicare la sanzione massima di 20mila euro. Per i tecnici comunali è rischioso indugiare nell’emanazione della sanzione, e tanto più non farlo. Possono farne le spese al momento della propria valutazione per l’attribuzione di gratifiche salariali o di avanzamenti di carriera; ma possono incorrere anche in responsabilità penali, disciplinari e amministrativo-contabili.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/edilizia-privata/2014-11-20/sanzioni-rafforzate-miniabusi-180353.php?uuid=AbYJgdfK

Nuova entrata dall'androne anche se c'è l'accesso dal viale

La proprietaria di un locale a pianterreno, al quale si accede dal viale condominiale, può aprire una nuova entrata nell'androne della scala. Il secondo ingresso non costituisce, infatti, una servitù di passaggio, non altera irreversibilmente la destinazione dell'androne né priva gli altri condomini della possibilità di usare la parte comune.

La suprema Corte (sentenza 24295/2014) accoglie così il ricorso della proprietaria di due locali e fa cadere una ad una tutte le eccezioni sollevate dall'assemblea dei condomini che, con una delibera, avevano fatto scattare il semaforo rosso ai lavori per l'apertura della nuova entrata.

La Cassazione chiarisce che la servitù di passaggio si configura solo quando si crea un collegamento diretto tra diversi immobili di proprietà di un privato, mentre nel caso esaminato con la seconda "via" la proprietaria determinava solo un utilizzo più intenso del bene comune facilitando il transito dei condomini e dei terzi verso le singole unità abitative della scala.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/condominio/2014-11-20/nuova-entrata-androne-anche-174917.php?uuid=AbEdqdfK

Nuovo fondo per abbattere gli abusi edilizi

Potrebbe sembrare un caso, ma di sicuro dovrebbe far riflettere la notizia che, dopo un anno, il Collegato Ambientale alla legge di Stabilità del 2014 è stato approvato alla Camera e passa ora al Senato. Proprio nei giorni peggiori del nostro Paese, allagato da fiumi e torrenti che esondano, complice una cementificazione selvaggia di cui sono vittime le nostre città, apprendiamo che è stato istituito un fondo in cui confluiranno per quest’anno ben 10 milioni di euro destinati ad abbattere immobili totalmente o parzialmente abusivi.

Nell’occhio del ciclone sono finite le costruzioni che non hanno rispettato o, addirittura, non hanno neppure richiesto una concessione edilizia, soprattutto se presenti in zone ad alto o potenziale rischio idrogeologico. Ai Comuni vengono richieste delle liste da compilare con gli interventi più urgenti che riguardino immobili che hanno già ricevuto un’ordinanza di demolizione. Il Ministero dell’Ambiente, destinatario di questi elenchi, stabilirà poi a chi dare priorità in base alla rischiosità idrogeologica che verrà monitorata ogni trimestre su tutto il territorio italiano.

 

Una volta ricevuto il finanziamento, i Comuni devono provvedere entro 120 giorni alla demolizione, pena la restituzione dell’importo. Alla fine dei lavori le Amministrazioni potranno rivalersi su chi è responsabile dell’intervento abusivo, chiedendo anche gli interessi, in modo da restituire al fondo la somma impiegata. Alla luce della volontà di porre fine alle tragedie del maltempo di cui troppo spesso veniamo messi a conoscenza, è stato stabilito che anche per i piccoli interventi, come l’installazione di prefabbricati, roulotte, camper, depositi e magazzini, dovranno essere richiesti alle amministrazioni locali degli appositi permessi.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/nuovo-fondo-per-abbattere-gli-abusi-edilizi-20488

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