News dal franchising

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Imu-Tasi: chi paga in caso di comproprietà ed affitto?

Una casa, un proprietario. Questa è senz’altro la situazione più lineare in vista dell’acconto Imu e Tasi del prossimo 16 giugno. Il problema è che molti dei 25,7 milioni di contribuenti titolari di immobili sono al centro di incroci più o meno ingarbugliati, che complicano il calcolo dell’imposta.


Dire esattamente quanti proprietari siano coinvolti è impossibile, ma i dati ufficiali aiutano a tracciare i contorni di un fenomeno che coinvolge alcuni milioni di contribuenti.

Il primo caso è quello della comproprietà. Se un immobile appartiene a due persone, ognuno deve pagare la propria quota di tributo, a meno che il Comune non consenta “accorpamenti”.
Inoltre, nel caso dell’Imu – diversamente dalla Tasi – non c’è neppure quella che tecnicamente si chiama “solidarietà”: quindi se uno dei comproprietari non paga, il Comune non può chiedere l’intero importo agli altri.
Se i contitolari fanno lo stesso uso dell’immobile, le regole di calcolo sono identiche, altrimenti ognuno tassa la propria quota in base all’utilizzo. È l’ipotesi di due fratelli che hanno ereditato un’abitazione in cui risiede solo uno dei due: da quest’anno, il fratello che vi risiede è esentato da Imu e Tasi, mentre l’altro paga l’Imu sulla propria metà di immobile (ed eventualmente la Tasi, se istituita dal Comune).


Ma le situazioni possono essere molto più articolate. Perché su una stessa casa potrebbero ad esempio incrociarsi l’usufrutto e la nuda proprietà (paga solo l’usufruttario). Oppure il diritto d’abitazione del coniuge superstite e la proprietà dei figli (l’unico soggetto passivo è il coniuge, con il risultato che non paga nessuno). O, ancora, potrebbe esserci un contratto di locazione intestato a uno solo dei comproprietari (Imu e Tasi seguono il possesso, non l’intestazione dell’affitto).
Per capire quanto siano estese queste eccezioni basta pensare che 14 milioni di persone fisiche proprietarie di case – il 57% del totale – risultano coniugate per il fisco. È chiaro che il marito o la moglie non saranno sempre comproprietari, ma il dato è comunque rilevante. E lo stesso si può dire dei 2,3 milioni di vedovi e vedove, una parte dei quali ha maturato il diritto d’abitazione sulla casa familiare. O degli 1,2 milioni di separati e divorziati, perché l’assegnazione dell’ex casa coniugale – se formalizzata dal giudice – è una delle circostanze in cui la dimora viene parificata per legge all’abitazione principale.


In altri casi, l’incrocio dipende dalla presenza della Tasi sui fabbricati diversi dalla prima casa. Questo tributo, infatti, grava per una quota tra il 10 e il 30% – a scelta della delibera locale – anche su chi occupa un immobile a titolo di locazione o comodato. La legge di Stabilità per il 2016 ha eliminato la Tasi per gli inquilini che usano l’immobile come abitazione principale, ma è evidente che rimarranno molti casi in cui la Tasi va versata. Secondo le statistiche delle Finanze, ci sono 1,2 milioni di pertinenze e 1,2 milioni di fabbricati non residenziali affittati. Considerato che circa metà dei Comuni italiani ha istituito la Tasi sui fabbricati diversi dall’abitazione principale, sono probabilmente coinvolti più di un milione di immobili.
In più, tra i 2,8 milioni di case affittate da persone fisiche ce ne sono sicuramente alcune locate a imprese (foresterie, case assegnate a dipendenti) e altre in cui l’inquilino non può o vuole prendere la residenza (studenti, lavoratori fuori sede e così via). E lo stesso vale per gli oltre 400mila box auto, cantine, magazzini e altri fabbricati dati in comodato.


Tasi, ogni contitolare risponde per l’intero

Se soltanto uno dei comproprietari paga l’imposta, il Comune può chiedergli di versare anche la quota dell’altro?
Nel campo dei tributi immobiliari, la risposta giusta è "dipende". Se parliamo dell’Imu, bisogna rispondere "no", perché ogni proprietario rimane responsabile della sua parte di tributo. 
Nel caso della Tasi, invece, vale la responsabilità solidale. Di conseguenza, se un comproprietario non paga, il Comune può scegliere di rivolgersi agli altri, che a loro volta potranno poi rivalersi su chi non ha versato la propria parte. Lo stesso accade tra gli utilizzatori, ad esempio tra i diversi inquilini di un unico immobile. Ma non tra utilizzatori e possessori, perché qui le obbligazioni tributarie sono divise e il proprietario non risponde per le inadempienze dell’inquilino.


C’è però anche un’altra possibilità, prevista a livello generale dallo Statuto del contribuente: si tratta dell’accollo, con cui il proprietario può farsi carico della Tasi dell’utilizzatore, nei casi in cui l’immobile non costituisce abitazione principale dell’occupante e il tributo è ancora dovuto (articolo 8, comma 2, della legge 212/2000). Il possessore può semplicemente aggiungere la quota dell’inquilino all’importo a proprio carico, ma deve comunicare l’avvenuto accollo al Comune. Non occorrono formalità particolari, ma avvisare gli uffici serve a evitare equivoci. Peraltro, se nonostante la comunicazione il versamento fosse insufficiente, l’inquilino rimarrebbe comunque obbligato a pagare la propria parte.


Fonte articolo: Il Soe24Ore, vetrina web

Dl Scia edilizia atteso per la prossima settimana

Incassati gli ultimi via libera torna in Consiglio dei ministri per il varo definitivo il decreto che rivede le regole della Scia. Obiettivo è accelerare l’avvio delle attività economiche ed edilizie, attraverso modelli standard per le segnalazioni e le comunicazioni alla Pa, da presentare in via telematica e con risposta in tempi certi (30 giorni salvo il ricorso alla Conferenza dei servizi) tramite il meccanismo del silenzio/assenso.

Nel testo finale del decreto saranno recepiti i pareri del Consiglio di Stato e delle commissioni di Montecitorio. In particolare per evitare il rischio che gli ostacoli cancellati sulla carta tornino a ripresentarsi nella realtà: per far questo ci sarà un divieto esplicito per la Pubblica Amministrazione nel suo complesso di chiedere documentazione ulteriore rispetto a quella indicata nel modulo standard (che dovrà essere effettivamente adottato da tutti gli enti). Mentre sul silenzio-assenso verrà comunicata al cittadino che presenta una Scia la data di avvio del procedimento, per garantire che in caso di trasmissione della comunicazione a un ufficio sbagliato sia la PA stessa a girare la pratica all’indirizzo giusto e coordinare meglio le regole da seguire nei casi in cui sono necessarie comunicazioni e segnalazioni ulteriori (Scia plurima).


Questa opera di “ripulitura” procedurale sembra una questione da tecnici ma è essenziale per centrare davvero l’obiettivo di garantire tempi certi all’esercizio delle attività economiche. Allo stesso filone appartiene il chiarimento sul termine dei 18 mesi, oltre il quale la Pubblica Amministrazione non potrà più ripensare le decisioni già assunte. Il criterio è generale, scritto nella stessa legge delega, ma va coordinato con le regole specifiche introdotte dal decreto sulla Scia. Dalle ultime limature dipenderà la possibilità, caldamente suggerita dal Consiglio di Stato, di applicare questo termine ad ampio raggio, e anche ai provvedimenti emanati prima dell’entrata in vigore della riforma evitando quindi una “riapertura” delle possibilità di nuove obiezioni da parte della Pa sui via libera già concessi. 


Con il varo definitivo, la settimana ventura, dei tre decreti legislativi annunciati (Scia, Conferenza dei servizi e norme sui licenziamenti) riparte il treno attuativo della delega Madia (legge 124/2015). Entro il mese di giugno dovrebbero seguire gli altri decreti legislativi varati nel primo “pacchetto” del 20 gennaio scorso, di cui solo il decreto sull’accesso agli atti pubblici (Foia) è finora arrivato in Gazzetta ufficiale.
In ritardo resta invece il decreto che taglia i tempi per le procedure autorizzative di grandi opere, quello che prevede poteri sostitutivi del presidente del Consiglio.


Il secondo giro di decreti attuativi della delega (un’altra decina è attesa) dovrebbe invece arrivare entro metà luglio: con questa tempistica, infatti, il Governo riuscirebbe a ottenere una sorta di “bonus” di 90 giorni in più sui tempi di esame parlamentare dei provvedimenti puntando sul varo definitivo entro fine novembre (contro una scadenza delle delega prevista a fine agosto), fra cui è prevista la cosiddetta Scia 2 (per la mappatura delle procedure).

 


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web

Giusto chiedere l'aumento dell'affitto quando si ristruttura?

Il proprietario di un appartamento può domandare l'aumento del canone di locazione nel caso di esecuzione di lavori straordinari? Se sì, in che misura ed a che condizioni?


Per rispondere ai quesiti è inutile leggere, rileggere e scartabellare le leggi vigenti: nessuna norma di rango legislativo attualmente in vigore disciplina questa fattispecie.

 

Com'è possibile, allora, che in tanti, tantissimi, siano convinti che la esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell'edificio – siano essi relativa all'unità immobiliare e/o alle parti comuni del palazzo – diano automatico al proprietario automatico diritto a domandare l'aumento del canone?


Molto dipende dalla legislazione vigente fino al 1998. Al riguardo l'art. 23 della legge n. 3928 del 1978 (la così detta legge sull'equo canone parzialmente abrogata dalla legge n. 431/98), al primo e secondo comma recitava:

"Quando si eseguano sull'immobile importanti ed improrogabili opere necessarie per conservare ad esso la sua destinazione o per evitare maggiori danni che ne compromettano l'efficienza in relazione all'uso a cui è adibito, o comunque opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità, il locatore può chiedere al conduttore che il canone risultante dall'applicazione degli articoli precedenti venga integrato con un aumento non superiore all'interesse legale sul capitale impiegato nelle opere e nei lavori effettuati, dedotte le indennità e i contributi di ogni natura che il locatore abbia percepito o che successivamente venga a percepire per le opere eseguite.
L'aumento decorre dalla data in cui sono state ultimate le opere, se la richiesta è fatta entro trenta giorni dalla data stessa; in caso diverso decorre dal primo giorno del mese successivo al ricevimento della richiesta".


Tale disposizione, come si accennava, è stata abrogata sul finire del secolo scorso: essa aveva la funzione di adeguare il valore del canone di locazione rispetto alla nuova situazione, derivante dagli interventi conservativi, compensando in tal modo con effetto immediato l'aumento di valore del bene in ragione dei suddetti interventi.
Nel vigore di questa norma, quindi, era la legge a consentire la richiesta di adeguamento del canone, stabilendone tra l'altro anche le modalità e la tempistica di calcolo.


Eliminata questa disposizione e passati nel regime degli contratti così detti a canone libero è sparito ogni riferimento a questa facoltà.
Ciò non vieta, naturalmente, che le parti possano prevedere un aggiornamento del canone per queste ipotesi stabilendo contestualmente; ma è solamente la fonte contrattuale l'unica in grado di rendere legittima una richiesta di aggiornamento del canone.


Insomma, se il contratto di locazione non prevede l'aumento del canone per l'ipotesi di lavori di manutenzione della casa e/o delle parti comuni dell'edificio, il proprietario non avrà alcun diritto di avanzare pretese in tal senso – per mancanza di disposizioni legislative a sostegno – e qualora lo facesse la sua richiesta potrebbe essere contestata legittimamente dal conduttore.


Fonte articolo: Condominioweb.com

Nuovo Conto Termico: via alle domande online

Entra in vigore oggi, 31 maggio, il nuovo Conto termico che mette a disposizione 900 milioni di euro all’anno per incentivare la produzione di energia termica da fonti rinnovabili per piccoli impianti.


Da oggi sarà operativo anche il nuovo Portaltermico, per le sole richieste in accesso diretto. Per facilitare l'utilizzo del portale il GSE, nella pagina web dedicata al Conto Termico 2.0, ha messo a disposizione la Guida all’utilizzo dell’applicazione web Portaltermico, rinnovata secondo il DM 16 febbraio 2016.

 

Nuovo conto termico: le novità  

Le variazioni più significative riguardano la dimensione degli impianti ammissibili, che è stata aumentata (la taglia massima degli impianti passada 1 MW a 2 MW per i sistemi a pompa di calore e da 1000 metri quadri a 2500 metri quadri per gli impianti solari termici). 
Altre novità riguardano gli incentivi stessi come l'innalzamento del limite per la loro erogazione in un'unica rata (dai precedenti 600 agli attuali 5.000 euro) e la riduzione dei tempi di pagamento che passano da 6 a 2 mesi.
Infine rispetto allo scorso Conto Termico è stato previsto lo snellimento della procedura di accesso diretto per gli apparecchi a catalogo.


Conto termico 2.0: il catalogo dei prodotti idonei

Per semplificare la compilazione della scheda-domanda, il Gestore dei Servizi energetici (GSE) ha pubblicato il "Catalogo degli apparecchi domestici" , una lista di collettori solari e generatori a biomassa idonei, per rendere semiautomatica la procedura di accesso agli incentivi per l'installazione di sistemi per la produzione di energia termica.
Infatti acquistando i prodotti della lista, l’operatore potrà accedere a un iter semplificato per la compilazione della scheda domanda, in cui non sarà necessario indicare i dati relativi alla descrizione dell’apparecchio in quanto tutti gli apparecchi elencati nel Catalogo rispondono ai requisiti tecnici contenuti negli allegati al DM 16 febbraio 2016.
Il Gse però specifica che il Catalogo ha valore esemplificativo e non esclude, quindi, che anche altri apparecchi non elencati possano rispondere ai requisiti richiesti dal Decreto.


Nuovo Conto Termico: Pa e Imprese

Dei 900 milioni di euro annui a disposizione, 700 sono per privati e imprese e 200 per le amministrazioni pubbliche. L'incentivo è spalmato in un periodo compreso tra i 2 e i 5 anni.


Le Pubbliche Amministrazioni potranno richiedere gli incentivi per:

- interventi di efficienza energetica (isolamento termico di superfici opache, sostituzione di impianti di climatizzazione invernale, installazione di sistemi di schermatura e/o ombreggiamento, etc);

- interventi per incentivare la produzione di energia termica da rinnovabili.

 
Sia i privati sia le Pubbliche Amministrazioni potranno fare domande per:

- la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale, anche combinati per la produzione di acqua calda sanitaria, dotati di pompe di calore, elettriche o a gas, utilizzanti energia aerotermica, geotermica o idrotermica, unitamente all’installazione di sistemi per la contabilizzazione del calore nel caso di impianti con potenza termica utile superiore a 200 kW;

- la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti o di riscaldamento delle serre e dei fabbricati rurali con impianti dotati di generatore di calore alimentato da biomassa, unitamente all’installazione di sistemi per la contabilizzazione del calore nel caso di impianti con potenza termica utile superiore a 200 kW;

- l’installazione di impianti solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria e/o ad integrazione dell’impianto di climatizzazione invernale, anche abbinati a sistemi di solar cooling, per la produzione di energia termica per processi produttivi o immissione in reti di teleriscaldamento o teleraffrescamento. Nel caso di superfici del campo solare superiori a 100 metri quadri, è richiesta l’installazione di sistemi di contabilizzazione del calore;

- sostituzione di scaldacqua elettrici con scaldacqua a pompa di calore;

- sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistente esistenti con sistemi ibridi a pompa di calore.


Conto Termico 2.0: incentivi più alti

L’incentivo sarà pari al 65% dell’investimento per la trasformazione in “edificio a energia quasi zero” e la sostituzione dei sistemi di illuminazione con dispositivi efficienti. È inoltre previsto un incentivo pari al 50% per gli interventi di isolamento termico delle superfici opache realizzati nelle zone climatiche E e F (nelle altre zone è pari al 40%). Se all’isolamento termico delle superfici opache si abbina la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale, sarà riconosciuto un incentivo pari al 55% a entrambi gli interventi.


Previsti incentivi anche fino al 65% per pompe di calore, caldaie e apparecchi a biomassa, sistemi ibridi a pompe di calore e impianti solari termici.
Le spese per le diagnosi energetiche e la redazione dell’Attestato di prestazione energetica (APE), richiesti per la trasformazione in edificio a energia quasi zero e l’isolamento termico delle superfici opache, saranno incentivate al 100% per la PA (e le ESCO che operano per loro conto) e al 50 % per i soggetti privati, con le Cooperative di abitanti e le Cooperative sociali.


Conto Termico 2.0: i meccanismi di accesso

L’accesso agli incentivi può avvenire attraverso 2 modalità: accesso diretto e prenotazione.
Nella modalità di accesso diretto per gli interventi realizzati dalle PA e dai soggetti privati, la richiesta deve essere presentata entro 60 giorni dalla fine dei lavori, sul portale Portaltermico, già attivo da oggi.
E’ previsto un iter semplificato per gli interventi riguardanti l’installazione di uno degli apparecchi di piccola taglia (per generatori fino a 35 kW e per sistemi solari fino a 50 mq) contenuti nel Catalogo degli apparecchi domestici, reso pubblico e aggiornato periodicamente dal GSE.


La prenotazione vale per gli interventi ancora da realizzare da parte delle PA e delle ESCO che operano per loro conto.
Per la prenotazione dell’incentivo, le PA, ad eccezione delle cooperative di abitanti e delle cooperative sociali, possono presentare la scheda-domanda a preventivo, qualora si verifichi una delle seguenti condizioni in presenza di:

- una Diagnosi Energetica e un atto amministrativo attestante l’impegno alla realizzazione di almeno un intervento tra quelli indicati nella Diagnosi Energetica;

- un contratto di prestazione energetica stipulato tra la PA e una ESCO;

- un provvedimento o un atto amministrativo attestante l’avvenuta assegnazione dei lavori con il verbale di consegna dei lavori.


La richiesta di prenotazione deve essere accettata dal GSE. In tal caso, quest’ultimo procede a impegnare, a favore del richiedente, la somma corrispondente all’incentivo spettante.


Fonte articolo: Edilportale.com

Imu e Tasi: l'acconto di giugno per case, fabbricati e terreni

L’esenzione di quasi 20 milioni di prime case allenta la pressione fiscale sul mattone, ma non elimina le insidie per il pagamento dell’acconto Imu e Tasi, in scadenza il prossimo 16 giugno.
Per legge la prima rata – che è pari al 50% dell’imposta annua – va pagata facendo riferimento alle aliquote e alle detrazioni deliberate dai Comuni per il 2015.


Ma anche quest’anno sono pochi i proprietari che potranno limitarsi a “ricopiare” il modello F24 o il bollettino postale compilati per lo scorso 16 dicembre. Intanto, in tutte le città che l’anno scorso hanno aumentato il prelievo, il saldo è stato superiore al 50% dell’imposta dovuta per l’intero anno, a causa del conguaglio. Inoltre, anche dove le aliquote sono ferme da tempo, non è detto che siano rimaste immutate le condizioni di utilizzo dell’immobile o le regole a cui fare riferimento.

 

Prime case e "assimilazioni"

Partiamo dalle case “assimilate” alle abitazioni principali (focus in basso). Quest’anno, l’assimilazione regala l’esenzione dalla Tasi, e vale in media 220 euro di risparmio d’imposta, prendendo in esame la rendita-tipo delle prime case (625,58 euro) e l’aliquota media applicata nel 2015 dai Comuni italiani (2,09 per mille). Potrebbe essere il caso, ad esempio, dell’ex dimora coniugale assegnata dal giudice nell’ambito di una separazione. 


Il perimetro delle abitazioni assimilate, però, è cambiato molte volte negli ultimi anni, tra parificazioni di legge e decisioni dei sindaci. Dal 2016 sono automaticamente eliminate le assimilazioni delle case concesse in comodato ai parenti di primo grado, decise nel 2015 da circa 1.700 Comuni. Di conseguenza, chi l’anno scorso ha pagato la Tasi su questi immobili come se si trattasse di prime case, quest’anno dovrà utilizzare le aliquote generiche dell’Imu (ed eventualmente della Tasi) che il Comune applica agli "altri fabbricati", oppure quelle specifiche previste per le case in prestito. Dopodiché, il proprietario dovrà verificare se la base imponibile può essere ridotta del 50% applicando l’agevolazione nuova di zecca introdotta nel 2016 per legge in tutti i Comuni. La differenza per i proprietari delle oltre 900mila abitazioni in comodato non è da poco, perché oltre agli importi cambiano anche i codici tributo da usare nel modello F24.


Affitti e terreni agricoli 

In alcune situazioni il calcolo dell’acconto cambia perché è cambiata la disciplina di legge. Succede con le case affittate a canone concordato, per le quali la legge di Stabilità 2016 ha introdotto uno sconto del 25% che può essere applicato fin dal 16 giugno. Ma succede anche con i 60 milioni di particelle catastali contenenti terreni agricoli, per i quali quest’anno si torna alla classificazione della circolare 9/1993 (che di fatto esenta molti terreni di collina), con in più l’esenzione per tutti terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, anche se situati in pianura.


Le decisioni dei Comuni 

Anche dove la normativa e le condizioni di utilizzo sono rimaste invariate, un’occhiata alle delibere comunali conviene darla (la fonte ufficiale è il sito delle Finanze, www.finanze.it). È la situazione, tra l’altro, degli oltre 11 milioni di case che non sono utilizzate come abitazione principale, né date in affitto o in uso gratuito. Se il Comune avesse deciso un aumento, il rincaro è comunque “congelato” per il 2016 e può essere ignorato (con la sola eccezione degli enti locali che deliberano il predissesto o il dissesto).


Se invece ci fosse una riduzione d’aliquota, il contribuente potrebbe scegliere di approfittarne fin da subito, calcolando una prima rata pari al 50% del "nuovo" prelievo. Altra possibilità è quella di pagare tutto il 16 giugno, confidando sul fatto che le aliquote quest’anno non potranno vedere altri aumenti: una chance interessante, ad esempio, per chi possiede solo la prima casa (ora esente) e qualche terreno agricolo che genera imposte ridotte.


PRIME CASE

Abitazione principale non di lusso esente da Tasi e da Imu.
Acconto: non va pagato nulla. 

Assimilazioni per legge: alcune case seguono per legge lo stesso regime previsto per l’abitazione principale. Si tratta di:
- alloggi di cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibiti ad abitazione principale dei soci assegnatari;
- alloggi di cooperative edilizie a proprietà indivisa destinati a studenti universitari soci assegnatari, anche se non hanno la residenza anagrafica;
- alloggi sociali, così come definiti dal Dm 22/4/2008;
- ex casa coniugale assegnata dal giudice della separazione;
- una sola abitazione posseduta dai militari purché non concessa in locazione;
- una sola abitazione posseduta da residente estero (Aire), né locata né data in comodato, a condizione che il contribuente sia già pensionato nel paese di residenza.
Acconto: non va pagato nulla.

Assimilazioni del Comune 
Il Comune può deliberare di assimilare all’abitazione principale la casa posseduta da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non sia locata. Se viene decisa l’assimilazione, si segue il regime delle abitazioni principali.
Acconto: non va pagato nulla.

Prima casa di lusso 
L’abitazione principale di lusso (categorie catastali A/1, A/8 e A/9) è soggetta a Imu ed eventualmente a Tasi, se istituita dal Comune.
Acconto: va pagata la metà di quanto dovuto in base alle aliquote e detrazioni deliberate per il 2015 (se più favorevoli, si possono usare le eventuali delibere per il 2016).


ALTRE CASE

Affitto a canone libero
E' soggetta a Imu ed eventualmente a Tasi, se istituita dal Comune.
Acconto: il proprietario deve pagare la metà di quanto dovuto in base alle aliquote deliberate nel 2015 (o per il 2016 se più favorevoli). Per la Tasi occorre tener conto della quota stabilita dal Comune a carico del proprietario, variabile tra il 70 e il 90%. La quota di Tasi dall'inquilino non va più pagata se si usa la casa come abitazione principale.

Affitto concordato
E' soggetta a Imu ed eventualmente a Tasi, se istituita dal Comune. Potrebbero essere previste aliquote specifiche a livello locale, eventualmente legate a condizioni particolari (es. la residenza nell'immobile). Per legge le aliquote previste dai Comuni - sia quelle generiche che quelle specifiche - sono ridotte del 25%.
Acconto: va calcolato secondo le stesse regole per gli affitti liberi. Inoltre il proprietario può applicare subito la riduzione del 25% Imu e Tasi.


Abitazione in comodato
Sono eliminate le assimilazioni all'abitazione principale decise dai Comuni nel 2015.E' prevista un'agevolazione statale valida in tutti i Comuni che a certe condizioni riduce la base imponibile Imu e Tasi del 50 per cento. Resta la facoltà per il Comune di prevedere agevolazioni (Imu minima al 4,6 per mille e Tasi azzerata) stabilendo anche le condizioni per averle.
Acconto: anche se nel 2015 il Comune aveva deciso l’assimilazione, si deve pagare l’acconto calcolando la metà di quanto dovuto in base all’aliquota ordinaria Imu o all’eventuale aliquota ridotta per le case in comodato decisa dal Comune nel 2015. Se la Tasi è stata deliberata dal Comune, il possessore deve pagare anche la metà dell’importo dovuto per questo tributo nel 2015 (se più favorevoli, può usare le aliquote Imu e Tasi deliberate per il 2016). Sulle aliquote Imu e Tasi così individuate, se ha i requisiti, il proprietario può applicare la riduzione di base imponibile del 50%. Se usa la casa come abitazione principale, il comodatario non deve più pagare la quota dell’eventuale Tasi a proprio carico.

Case popolari
Soggette a Imu ed eventualmente a Tasi, se istituita dal Comune. Si tratta degli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (Iacp) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli Iacp si applica l'aliquota ordinaria (o altra aliquota agevolata stabilita dal Comune) e la detrazione di 200 euro.
Acconto: il proprietario deve pagare la metà di quanto dovuto in base alle aliquote deliberate per il 2015 (o per il 2016, se più favorevoli).

Altre case
Sono soggette a Imu ed eventualmente a Tasi, se istituita dal Comune.
Acconto: il proprietario deve pagare la metà di quanto dovuto in base alle aliquote deliberate per il 2015 (o per il 2016, se più favorevoli).


FABBRICATI NON ABITATIVI  

Fabbricati produttivi 
Soggetti a Imu ed eventualmente a Tasi, se istituita dal Comune. Per i fabbricati con “imbullonati” si può presentare un Docfa per scomputare il valore degli impianti. Se il Docfa è presentato entro il 15 giugno la nuova rendita vale per tutto il 2016.
Acconto: il proprietario deve pagare la metà di quanto dovuto in base alle aliquote deliberate per il 2015 (o per il 2016, se più favorevoli). Se è stato presentato il Docfa per gli imbullonati l'acconto va calcolato con la nuova rendita. Il detentore deve pagare la quota Tasi, se prevista dal Comune.

Fabbricati in leasing 
Sono soggetti a Imu ed eventualmente a Tasi, se istituita dal Comune. Soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto. 
Acconto: il locatario deve pagare la metà di quanto dovuto in base alle aliquote deliberate per il 2015 (o per il 2016, se più favorevoli).

Beni merce 
Sono esenti da Imu ma potrebbero essere soggetti a Tasi se prevista dal Comune. 
Acconto: la Tasi è dovuta in base alle aliquote deliberate per il 2015 (o per il 2016, se più favorevoli). Dal 2016 l'aliquota massima è al 2,5 per mille. Se il Comune ha previsto nel 2015 un’aliquota superiore al 2,5 e non l’ha ridotta, l'acconto può essere pagato in base al 2,5 per mille.

Enti non commerciali 
I fabbricati degli enti non commerciali sono esenti da Imu e da Tasi. Per gli edifici a uso promiscuo l'esenzione si applica in proporzione all’utilizzo non commerciale.
Acconto: in caso di versamento, entro il 16 giugno va versata metà dell'imposta totale versata per il 2015 e l'eventuale conguaglio dell'imposta dovuta per il 2015.

Altri fabbricati 
Sono soggetti a Imu ed eventualmente a Tasi, se istituita dal Comune
Acconto: il proprietario deve pagare la metà di quanto dovuto in base alle aliquote deliberate per il 2015 (o per il 2016, se più favorevoli). 


AREE E TERRENI

Aree fabbricabili
Sono soggette a Imu e a Tasi, se istituita dal Comune.
Acconto: il proprietario deve pagare la metà di quanto dovuto in base alle aliquote deliberate per il 2015 (o 2016, se più favorevoli).

Terreni agricoli
Non sono soggetti a Tasi. Sono soggetti a Imu, da chiunque posseduti, i terreni non individuati come montani o collinari dalla circolare 9/1993. I terreni di pianura sono esenti se posseduti e condotti dal coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali.
Acconto: se un terreno tassato nel 2015 è esente in base alle regole 2016, non si deve pagare nulla. Altrimenti, il proprietario deve pagare la metà di quanto dovuto in base alle aliquote decise per il 2015 (o 2016, se più favorevoli).

Fabbricati rurali strumentali
Sono esenti da Imu ma soggetti a Tasi se prevista dal Comune, con aliquota massima dell’1 per mille.
Acconto: il proprietario deve pagare la metà di quanto dovuto in base all'aliquota Tasi deliberata per il 2015 (o 2016, se più bassa).


Fonte articolo: Il Sole24Ore, vetrina web

Decreto mutui: cosa cambia per i consumatori

La ripresa del mercato dei mutui in Italia era stata confermata proprio pochi giorni fa dal rapporto mensile dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI), grazie anche alla politca espansiva della BCE ma anche al decreto mutui


Il 20 aprile scorso il governo ha varato il Decreto legislativo sui mutui, attuando la direttiva europea sui "contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali", che stabilisce maggiori protezioni per i consumatori.

 

Nello specifico, la finalità della direttiva è quella di garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivono contratti di credito relativi a beni immobili (mutui immobiliari garantiti da ipoteche o finalizzati all’acquisto del diritto di proprietà su un immobile).  La direttiva impone, tra l’altro, che siano fornite al consumatore informazioni precontrattuali dettagliate su un Prospetto Informativo Europeo Standardizzato (PIES o ESIS), spiegazioni adeguate prima della conclusione del contratto di credito e chiarimenti in ordine al calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG).


Il decreto legislativo chiarisce l’ambito di applicazione delle nuove norme che è circoscritto a: mutui aventi ad oggetto la concessione di credito garantito da ipoteca su un immobile residenziale; mutui finalizzati all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato.


Vengono individuati, inoltre, i canoni di comportamento per i finanziatori e gli intermediari del credito che offrono contratti di credito ai consumatori (canoni di diligenza, correttezza, trasparenza e attenzione ai diritti e agli interessi dei consumatori). Recependo i contenuti dei pareri parlamentari sono state inserite norme che vengono incontro ai consumatori in difficoltà a pagare le rate del mutuo. Viene previsto che la Banca d’Italia, nelle disposizioni attuative, abbia particolare riguardo ai casi di eventuale stato di bisogno o di debolezza del consumatore, oltre agli obblighi informativi e di correttezza del finanziatore.


Nella stipula del contratto le parti possono convenire attraverso clausola espressa che, in caso di inadempimento del consumatore, la restituzione o il trasferimento del bene dato a garanzia o dei proventi della vendita del bene stesso, comportino l’estinzione dell’intero debito anche se il valore del bene immobile restituito (o i proventi) sia inferiore al debito residuo. Qualora il valore dell’immobile o i proventi dalla vendita siano invece superiori al debito residuo, il consumatore ha diritto all’eccedenza. La possibilità di acconsentire, da parte del consumatore, al trasferimento della proprietà dell’immobile in caso di inadempimento, è applicabile solo ai futuri contratti


E’ stata altresì prevista l’assistenza obbligatoria di un consulente per il consumatore che intenda sottoscrivere questa clausola. E’ stata estesa a 18 mesi di rate mensili non pagate la soglia oltre la quale si ha “inadempimento” da parte del consumatore, rispetto alle 7 rate previste dalla versione iniziale.
Con l'aiuto di queste nuove garanzie si spera che il mercato immobiliare possa tornare a crescere con vigore, visti i segnali positivi già visti nel 2015. Secondo il Rapporto Immobiliare 2016 sul settore residenziale realizzato dall'Agenzia delle Entrate in collaborazione con l'ABI, nel 2015 le compravendite di case sono state pari a circa 499.000, in crescita del 6,5% rispetto al 2014. Si tratta di un'accelerazione rispetto al 2014 che si era chiuso con un aumento delle compravendite del 3,5%. Gli italiani sono dunque tornati ad investire sul mercato immobiliare, grazie ad un maggiore ottimismo nella ripresa ma anche intimoriti dal fatto che i prezzi delle case stanno tornando a salire.  


IL TREND DEI MUTUI NEL 2016

La domanda di mutui conferma nel 2016 il trend di progressivo recupero verso i volumi pre-crisi.
Ad aprile le richieste di finanziamento hanno fatto registrare un incremento dell’8,6% rispetto allo stesso mese del 2015, periodo che a sua volta si era caratterizzato per un rialzo superiore al 70% sull’anno precedente. In termini assoluti, il numero di domande dello scorso mese rappresenta un valore record dall’inizio del 2011.
Il merito è da attribuire sia al basso livello dei tassi interesse e degli spread applicati dagli istituti di credito che alla riduzione dei prezzi di acquisto delle case che stimolano l’interesse delle famiglie a investire sul mattone.


L’indagine conferma la tendenza da parte degli italiani a richiedere finanziamenti di valore minore rispetto al passato, visto che l’importo medio si è attestato sui 122.683 euro. La cifra è in lieve aumento rispetto i 121.911 del corrispondente mese del 2015 ma ancora lontana dai quasi 141 mila euro dell’aprile 2010, il valore più alto degli ultimi 6 anni.
La progressiva riduzione dell’importo richiesto è da attribuire alla preferenza degli acquirenti a pagare una rata mensile che gravi il meno possibile sul reddito disponibile. Inoltre, le minori somme dipendono anche dall’incidenza delle surroghe che si caratterizzano per somme più contenute rispetto ai nuovi mutui.


Dunque la fascia d’importo compresa tra i 100 e i 150.000 euro resta la preferita dagli italiani con il 29,5% del totale, mentre quella al di sotto dei 100 mila euro si attesta sul 48,7%. Sale la percentuale dei finanziamenti sopra i 300 mila euro che registrano una quota del 2,7%.
Per quanto riguarda la distribuzione della domanda di mutui per classi di durata, si nota che quella compresa tra 15 e 20 anni risulta essere la più richiesta con il 23,4% del totale. I 2/3 delle domande (66,8%) prevedono un arco temporale superiore ai 15 anni.
Infine, il CRIF mette in evidenza che l’età dei richiedenti si concentra maggiormente nella fascia tra i 35 e i 44 anni con il 36,3%, seguita dai 25-34enni con il 25%: si abbassa invece il numero di futuri mutuatari sotto i 24 anni, segno che la precarietà lavorativa dei giovani è un problema tutt’altro che superato.


Fonti articolo: Mutui.segugio.it, Mutuionline.it

Come i genitori possono aiutare i figli nell'acquisto della casa?

Aiutare i figli nell'acquisto di una casa è il desiderio di molti genitori. Senza il loro sostegno, anzi, in questi ultimi anni di crisi economica, elevato tasso di precarietà e disoccupazione giovanile, il livello del mercato immobiliare residenziale sarebbe stato con ogni probabilità ridotto ancora di più ai minimi termini.


Si tratta di un aiuto legittimo che, tuttavia, per non comportare problemi fiscali e civilistici – e per non pregiudicare una corretta gestione delle future questioni ereditarie – deve avvenire nel modo più trasparente possibile, con passaggi di denaro chiari e tracciabili.

Succede invece che – per poca conoscenza della materia e magari proprio per paura di contravvenire alla legge – spesso si agisca in modo da mettere a rischio un'operazione che invece è del tutto lecita.
Sostanzialmente ci sono due strade percorribili per sostenere i figli nell'acquisto della casa – tema che è stato al centro di uno degli appuntamenti di “comprar casa senza rischi”, incontri con la cittadinanza organizzati dal consiglio notarile di Milano:
- o si cede ai figli una somma di denaro che poi verrà utilizzata per acquistare l'immobile;
- o si dispone direttamente dal proprio conto corrente il pagamento alla parte venditrice davanti al notaio.

 
La donazione di denaro con atto notarile 

La prima ipotesi necessita di un doppio passaggio e di regola di due atti notarili. Il primo è la donazione del denaro, il secondo è la compravendita della casa, il cui prezzo sarà a questo punto pagato direttamente dai figli. Tra i vantaggi di questa soluzione – spiega un vademecum dei notai – c'è un elevato grado di chiarezza sui passaggi di denaro e la trasparenza nei rapporti familiari, specialmente se ci sono altri figli.


Inoltre, dato che il passaggio di denaro avviene attraverso un atto registrato, è noto all'amministrazione finanziaria e quindi non sorge nessun tipo di problema davanti a eventuali verifiche fiscali sulla provenienza del denaro. Non emerge poi nessuna donazione dall'atto di compravendita, il che facilita l'eventuale successiva alienazione dell'immobile (vedi articolo in basso). Tra gli svantaggi c’è principalmente l’aumento dei costi, perché il notaio redige due atti. Inoltre la donazione di denaro va a erodere la franchigia di un milione di euro (limite su cui non si pagano imposte) di cui gode la tassazione sulla successione ereditaria.


Il pagamento dei genitori al venditore 

La seconda ipotesi è invece più snella e meno costosa, perché si redige un solo atto e l’importo pagato non erode le franchigia per la successione. "Se l'atto è ben scritto – spiega il vademecum – è comunque garantita la chiarezza e la trasparenza dell'operazione", tuttavia "potrebbe accadere che la liberalità che emerga dall'atto di compravendita possa complicare la successiva rivendita della casa, sebbene tale rischio sarebbe privo di ragioni alla luce dei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali".


Potrebbe anche accadere "Che l’atto di compravendita, ove ometta o comunque non sia chiaro nell'esplicitare che i genitori paghino in tutto o in parte il prezzo dovuto al venditore, non assicuri la necessaria chiarezza, sia nei rapporti famigliari, sia rispetto a eventuali controlli dell'Agenzia delle Entrate".

Il passaggio di denaro senza donazione 

Una “variante” della prima ipotesi non presa esplicitamente in considerazione dal vademecum dei notai potrebbe però consistere anche in un passaggio di denaro – sempre “tracciabile” – da un conto corrente all'altro, senza che ci sia un atto di donazione davanti al notaio. Si tratta in realtà di una pratica molto diffusa, soprattutto nel caso i genitori coprano solo una parte dell'importo necessario all'acquisto, tipicamente (almeno) quello che non si riesce a finanziare con il mutuo. È una prassi che non va contro la legge, soprattutto se si tratta di un “importo non rilevante”.


Un primo problema è però che in sostanza non esiste una soglia critica circa la somma donabile: la “rilevanza” dipende dal patrimonio di chi trasferisce i soldi, dal contesto, dall'area geografica e da altri criteri che solo il giudice potrà eventualmente stabilire in caso di contestazioni.


Il rischio redditometro

"La principale controindicazione di questi passaggi, oltre la mancata trasparenza per cui queste donazioni potrebbero essere sconosciute ad altri eredi – commentano dal notariato – è che può più facilmente scattare un accertamento delle Entrate, a cui si dovrà documentare la lecita provenienza del trasferimento, cosa che può essere poco auspicabile per chi non ha mai avuto a che fare con l'amministrazione finanziaria". O comunque per chi preferisce non essere sottoposto a controlli fiscali.


La spesa per una casa può infatti facilmente incappare nelle incongruenze vagliate dal meccanismo del cosiddetto “redditometro”: in sostanza quando si riscontrino differenze di più del 20% tra il reddito dichiarato dal contribuente e spese effettuate, cosa che accade facilmente nel caso dell'acquisto di una casa.


Mantenere il controllo sulla Casa

Capita spesso che i genitori desiderino mantenere un qualche tipo di controllo sulla casa dei figli, per evitare che possano ad esempio rivenderla per ottenere liquidità. In questo caso il consiglio potrebbe essere quello di intestarsi un particolare diritto (per esempio l'usufrutto) o una quota di comproprietà. In questo caso vanno messi sulla bilancia i relativi costi in termini fiscali.


Le complicazioni in caso di successione

Tipicamente si decide di intestare l’immobile direttamente ai figli, per evitare di pagare l’imu e le tasse d’acquisto sulla seconda casa e per prevenire il possibile inasprimento dell’imposta di successione (che oggi non si paga sotto il milione di euro). E magari per non dover ricorrere poi a un atto di donazione in futuro.


Le donazioni – si pensi anche al caso in cui l’immobile sia già in possesso dei genitori – possono infatti comportare due tipi di complicazioni:
- da un lato altri eredi potrebbero rivendicare la parte di eredità a loro riservata dalla legge (la cosiddetta legittima): non è infatti possibile usare la donazione per sottrarre beni al proprio patrimonio disponibile;

- dall’altro, per lo stesso motivo, il bene risulta difficilmente rivendibile. Questo perché al momento della preparazione dell’eventuale futuro rogito, il notaio, rilevando una donazione negli atti di provenienza, metterà in guardia il potenziale acquirente dai rischi di rivalsa. La circolazione di un bene donato incorre in questi problemi per 20 anni dalla donazione o per 10 dalla successione.


Fonte articolo: Casa24.ilsole24ore.com

Più della metà delle città ha un "profilo verde"

Secondo la rilevazione dell'Istat, nel 2014 il verde urbano rappresenta il 2,7% del territorio dei capoluoghi di provincia (oltre 567 milioni di m2). Il 16,1% della superficie comunale è inclusa in aree naturali protette mentre la superficie agricola utilizzata (Sau 2010) è pari in media al 44,3% della superficie.


Ogni abitante dispone mediamente di 31,1 mq di verde urbano. Le dotazioni più elevate si rilevano tra le città del Nord-est (50,1 mq), più che doppie rispetto a quelle del Centro, del Nord-ovest e delle Isole. La media del Sud (42,5 mq per abitante) risente delle elevate disponibilità dei capoluoghi lucani. Nel 17,2% delle città la dotazione pro capite è pari o superiore ai 50 mq per abitante, mentre nel 16,4% non si raggiunge la soglia, prevista dalla norma, dei 9 mq pro capite.

 

Calcola la superficie di verde della tua città e scopri se è diminuita nel corso degli anni al link de IlSole24Ore. 


PROFILO VERDE URBANO

Più della metà delle città hanno uno specifico "profilo verde", definito da dotazioni superiori alla media delle superfici destinate a verde urbano (18 città), delle aree naturali protette (19 città) o delle superfici destinate a uso agricolo (ulteriori 28 città). Pavia, Lodi, Cremona e Matera si collocano sopra la media per tutte le caratteristiche considerate.


ORTI URBANI

Gli orti urbani, sono in continua crescita nelle città, attivati in 64 amministrazioni nel 2014 (+4,9% rispetto all'anno antecedente).


VERDE STORICO

Le aree del verde storico e dei parchi ville e giardini di non comune bellezza – che distinguono i paesaggi urbani nazionali – rappresentano in media circa un quarto del verde urbano, le aree boschive oltre il 20%, quelle a verde attrezzato il 14%, i grandi parchi urbani e le aree di arredo entrambe circa il 10%. Gli alberi monumentali (una delle componenti del verde tutelata dal Codice dei beni culturali) sono presenti in 67 città capoluogo.


PIANTUMAZIONE ALBERI

Sono 55 i comuni che alla fine del 2014 hanno classificato gli alberi piantati in area di proprietà pubblica. 30 comuni hanno messo a dimora nuovi alberi, 15 hanno reso pubblico un bilancio arboreo e 29 hanno avviato iniziative locali per lo sviluppo di spazi verdi urbani.
Nel secondo anno dall'istituzione, 55 comuni hanno attuato iniziative in occasione della Giornata nazionale degli alberi.


CENSIMENTO DEL VERDE

Lo strumento di gestione del verde urbano più utilizzato dalle amministrazioni è il censimento del verde (lo realizzano circa 3 città su quattro). In 25 capoluoghi viene svolto un monitoraggio finalizzato alla messa in sicurezza delle alberature.


Fonte articolo: Casaeclima.com

Agevolazioni "prima casa": verande e posto auto sono superficie coperta



Agevolazioni prima casa: verande e posto auto rientrano nella superficie coperta.
Ai fini della determinazione delle agevolazioni "prima casa" verande e posto auto non costituiscono una superficie pertinenziale bensì rientrano nel calcolo della superficie coperta.


I chiarimenti forniti dalla Commissione Tributaria vengono confermati dalla Corte di Cassazione ed il contribuente riesce ad ottenere le agevolazioni richieste in sede di acquisto.



L'immobile di lusso perde le agevolazioni 

Tutto nasce dalla richiesta di agevolazioni fiscali "prima casa" per l'acquisto di un abitazione monofamiliare a Forte dei Marmi. L'Agenzia delle Entrate sospetta che si tratti di un immobile di lusso che, come tale, non potrebbe godere del trattamento di favore e, conseguentemente, scatta l'avviso di liquidazione per le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, con applicazione d'interessi ed irrogazione di sanzioni. Ad entrare in gioco è il Dm 2 agosto 1969 che indica i parametri che qualificano le "abitazioni di lusso"; il problema di fondo riguarda le modalità di determinazione della superficie dell'immobile.


Quando l'immobile è "di lusso" 

Il decreto, all'articolo 5 "Costruzioni aventi come pertinenza un'area scoperta della superficie di oltre sei volte l'area coperta" stabilisce testualmente che devono essere considerate di lusso "le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed eventi come pertinenza un'area scoperta della superficie di oltre sei volte l'area coperta". La norma, quindi, stabilisce che l'immobile debba essere considerato "di lusso" a due condizioni: che abbia una superficie utile superiore ai 200 mq ed un'area pertinenziale scoperta di oltre sei volte l'area coperta. A questo punto si tratta di stabilire se l'immobile abbia o meno queste caratteristiche.


Il parere dell'acquirente 

L'acquirente ritiene di avere diritto di godere delle agevolazioni prima casa e in quanto, ai fini della determinazione della superficie coperta dell'immobile, andrebbero incluse le due verande e la pensilina utilizzata per la copertura del posto auto, con la conseguenza che il rapporto intercorrente tra superficie coperta e pertinenza doveva essere conteggiato a favore del contribuente.


Il parere dell'Agenzia 

L'Agenzia delle Entrate concentra la propria attenzione sul concetto di "superficie coperta" e punta i riflettori sulle superfici pertinenziali. Secondo l'Erario per "superficie coperta di una abitazione" deve intendersi, ai sensi dell'art. 1 della parte I della tariffa, nota II- bis del Dpr 131/1986 in relazione all'art. 5 del Dm 2/8/1969 e all'art. 360, Co. I n. 3 c.p.e. "la copertura offerta da una struttura di tipo permanente assimilabile ad un tetto". A questo punto l'iter logico seguito dall'Erario è il seguente: verande e posto auto non dovevano essere considerate come "superfici coperte" ma dovevano essere conteggiate all'interno delle aree pertinenziali. Di conseguenza, l'immobile doveva essere considerato "di lusso" in quanto la superficie pertinenziale era oltre sei volte l'area coperta.


Il parere della Commissione Tributaria 

La tesi del contribuente viene accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale e confermata dalla Sez. 18 della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza del 12 novembre 2010 n. 111. Secondo la Ctr le due verande ed il posto auto dovevano essere considerate come "superfici coperte" in quanto il posto auto era protetto da una tettoia in ferro coperta con plastica e le due verande presentavano una struttura, caratterizzata da un'intelaiatura in ferro, infissa nel pavimento ed al muro dell'edificio. In definitiva, le strutture presentavano "i caratteri di solidità ed immobilizzazione della costruzione"; irrilevanti i materiali utilizzati e la circostanza che le strutture potessero essere rimosse.


Le verande, poi, erano state oggetto di un permesso a costruire in sanatoria, previo pagamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione. Si trattava, quindi, di strutture permanenti ed inamovibili per cui la relativa superficie andava conteggiata, per l'appunto tra quella "coperta", con il risultato che l'immobile non poteva essere considerato, dal punto di vista fiscale, come "casa di lusso" in quanto la superficie pertinenziale doveva essere epurata da quella relativa al posto auto e dalle due verande.


Il parere della Cassazione 

La quinta sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza del 18 maggio 2016 n. 10190, conferma il verdetto della Commissione Tributaria non solo dando partita vinta al contribuente ma addirittura condannando l'Agenzia al pagamento delle spese di giustizia quantificate in 4.000 euro oltre accessori. Ai fini dell'art. 5 del Dm 2 agosto 1969 per superficie utile dell'immobile si intende la superficie utile complessiva abitabile ovvero quella "preordinata a soddisfare una esigenza necessaria dell'edificio principale al quale è inscindibilmente legata da vincolo di funzionalità". In parole povere, verande e posti auto concorrono a formare la superficie coperta.


Fonte articolo: Ilsole24ore.com il Quotidiano del Condominio, vetrina web

 

Detrazioni al 50-60% e sui mobili: facciamo chiarezza

Prorogati, estesi, integrati, affinati. I bonus fiscali per la casa hanno assistito negli anni a una serie di modifiche e aggiunte, che hanno in parte semplificato e snellito il percorso per ottenerli.


Ma stratificando divieti di cumulo e requisiti di accesso, le stesse regole hanno disegnato un complesso quadro di incroci tra le varie detrazioni dedicate ai lavori edilizi e all’arredo delle abitazioni.

I bonus mobili 

Partiamo dal fondo, dall’ultima agevolazione arrivata con la legge di Stabilità per il 2016 (208/2015): quella per l’acquisto dei mobili da parte delle giovani coppie. La detrazione del 50% è concessa a coniugi o conviventi more uxorio da almeno tre anni, che quest’anno comprano nuovi arredi per la casa da adibire ad abitazione principale (il cui acquisto può esser stato effettuato anche nel 2015). Altra condizione fondamentale, almeno uno dei due partner non deve superare i 35 anni di età nel 2016. 


L’agevolazione è calcolata su un importo complessivo di 16mila euro e non può cumularsi – nella stessa abitazione – con il bonus mobili abbinato ai lavori, che consente invece di detrarre il 50% su una spesa massima di 10mila euro sostenuta per comprare non solo gli arredi ma anche grandi elettrodomestici in classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni). L’utilizzo di questo bonus, che è in vita dal 6 giugno 2013 e varrà fino al 31 dicembre di quest’anno, preclude dunque la possibilità di sfruttare la nuova detrazione per giovani coppie, anche per l’acquisto di mobili diversi. Al contrario, se ci sono tutti i presupposti di legge, nulla vieterebbe di avere i due diversi bonus mobili in due case differenti o, addirittura, di duplicare le detrazioni abbinate ai lavori, magari una per arredare la prima casa e un’altra nell’alloggio al mare.


Un aspetto importante è il fatto che il bonus mobili “generale” è strettamente collegato alla detrazione per il recupero edilizio: per le singole unità abitative, il presupposto per accedervi sono gli interventi di manutenzione straordinaria, ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo, ricostruzione o ripristino di immobili danneggiati da eventi calamitosi agevolati al 50%. 
Di conseguenza, interventi già realizzati (e pagati a partire dal 26 giugno 2012) potrebbero dare diritto oggi al bonus mobili, a patto che il contribuente utilizzi nella dichiarazione dei redditi la detrazione del 50%.
Altre agevolazioni, invece, non sono abbinabili allo sconto sugli arredi: vale a dire il 65% sul risparmio energetico, ma anche le vecchie versioni del 55% e del 36%.


Naturalmente, anche i lavori realizzati quest’anno possono regalare il bonus sugli arredi: è sufficiente che la data di avvio del cantiere sia precedente all’acquisto dei mobili, anche se i pagamenti fossero successivi.
Alcuni contribuenti potrebbero trovarsi anche nella condizione di avere le carte in regola per entrambi gli sconti sull’arredo, e dovranno sceglierne uno. Nella maggior parte dei casi – potendo – converrà puntare sullo sconto con il plafond di spesa più elevato(16mila euro, giovani coppie), ma chi spende molto in elettrodomestici e poco in mobili troverà più vantaggioso l’altro sconto (10mila euro, abbinato alla detrazione edilizia).


Le detrazioni sui lavori 

Oltre a “raddoppiare” il bonus mobili per tutto il 2016, l’ultima legge di Stabilità ha anche prorogato fino al termine di quest’anno le detrazioni per ristrutturazione (50%) e per riqualificazione energetica (65%).
Chi ne ha beneficiato già negli anni scorsi, magari nei “vecchi” livelli del 36 e 55%, potrà sfruttare le percentuali extra-large. Ma con una doppia avvertenza: 
- da un lato, il plafond di spesa riparte da zero solo se i lavori sono nuovi, mentre in caso di cantieri pluriennali vanno conteggiate le somme spese negli anni precedenti;
- dall’altro, se in uno stesso anno solare si fanno lavori diversi, non si può comunque superare il tetto massimo.


Inoltre, nel caso della detrazione al 65% per il risparmio energetico bisogna anche considerare che ci sono limiti di spesa differenziati in base agli interventi. Quindi, il cambio della caldaia ricade in una categoria (e ha un massimale), quello delle finestre in un’altra (e ha una diversa soglia). Senza contare che alcuni interventi potrebbero ricadere in più categorie – tipico il caso della coibentazione e riqualificazione globale – e il contribuente dovrà scegliere.


Va poi ricordato che praticamente tutti i lavori di riqualificazione energetica premiati dal 65% negli immobili residenziali possono, in alternativa, avere il bonus del 50%, che copre tra l’altro gli interventi per il risparmio energetico, realizzati anche in assenza di opere edilizie propriamente dette. Dato per scontato che non si possono avere i due bonus per la stessa opera, anche qui il contribuente dovrà scegliere.
Ma c’è anche la possibilità – e anzi spesso succede – che i due bonus coesistano nello stesso cantiere, ad esempio il 65% per il cambio delle finestre e il 50% per la ristrutturazione della casa. In queste situazioni, sarà fondamentale tenere separati i bonifici (le causali sono diverse) e gestire in modo ordinato le fatture.

Rissumendo:


Il vecchio 36% e il 50%

Chi sta già beneficiando della detrazione del 36% per spese di ristrutturazione edilizia sostenute prima del 26 giugno 2012 può avere anche il 50% per nuovi lavori pagati da quella data.
L’esempio: un contribuente spende 60mila euro nel 2011 per unire e ristrutturare due appartamenti in una villetta, e detraeil 36% su una spesa di 48mila euro(importo massimo agevolato). Se nel 2016 rifà il tetto, potrà detrarre il 50% su 96mila euro (nuovo massimale).


Il vecchio 55% e il 65%

Chi ha già la detrazione del 55% per spese di riqualificazione energetica sostenute prima del 6 giugno 2013 può avere anche il 65% per nuovi interventi pagati da quella data. 
L’esempio: nel 2008 un condominio spende 30mila euro per sostituire la caldaia con una a condensazione , e detrae il 55%. Se nel 2016 fosse necessario per motivi tecnici sostituire l’impianto con uno più efficiente il condominio potrebbe avere il 65%.


Il 50% al raddoppio

Se sull’immobile si eseguono due interventi “autonomi” nello stesso periodo di imposta, oppure un intervento che è la prosecuzione di un altro iniziato in anni precedenti, deve essere rispettato il limite complessivo di spesa ammesso (96mila euro).
L’esempio: nel 2016 un contribuente spende 20mila euro per cambiare le finestre della villa e 105mila euro per il ripristino, con un totale di 125mila euro. Potrà detrarre dalle tasse solo 48mila euro.


L’abbinata 50-65%

Le opere di riqualificazione detraibili al 65% possono avere anche il 50%, che copre gli interventi per il risparmio energetico (pur senza opere edilizie). Ma sugli stessi lavori non è ammesso il cumulo.
L’esempio: nel 2016 un contribuente spende 4mila euro per sostituire la caldaia con una a condensazione, detraibile al 50% ma con rendimento utile anche per il 65%: sull’apparecchio può avere un solo beneficio. Mentre può sempre avere il 50% sulle eventuali opere murarie.


Il bis sul risparmio energetico

Se una stessa opera di risparmio energetico detraibile al 65% ha i requisiti per essere ricompresa in due tipologie di agevolazione dell’ecobonus, si può chiedere il beneficio in relazione a una sola di esse. 
L’esempio: un condominio spende 70mila euro nel 2016 per la coibentazione esterna, inquadrata sia come riqualificazione dell’edificio (detrazione massima 100mila euro) sia come intervento sull’involucro (60mila euro). Deve scegliere a quale beneficio fare riferimento.


Il 50% e il bonus mobili

Chi realizza lavori di ristrutturazione edilizia dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2016, detraibili al 50%, per la stessa abitazione può avere il 50% anche per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici.
L’esempio: un contribuente spende 4mila euro nel 2014 per il rifacimento integrale del bagno, comprese le tubature, e detrae il 50% della spesa. Se nel 2016 compra dei nuovi arredi potrà detrarre il 50% su 10mila euro (spesa massima agevolabile).


Il 65% e il bonus mobili

Gli interventi di riqualificazione energetica detraibili al 65% non consentono di beneficiare del 50% per l’acquisto degli arredi. Requisito per accedere al bonus mobili sono i lavori edilizi agevolati al 50%, come manutenzioni straordinarie o ristrutturazioni.
L’esempio: un contribuente spende 12mila euro nel 2015 per sostituire le finestre, e detrae il 65% dell’importo. Se nel 2016 compra nuovi arredi per la casa, non può detrarre i costi.


Più detrazioni sugli arredi

Il limite di spesa di 10mila euro del bonus mobili va calcolato sui costi sostenuti nell’intero periodo agevolato (dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2016). Ma se i lavori di ristrutturazione collegati vengono eseguiti su più case, il bonus (e il plafond) vale per ciascuna unità.
L’esempio: un contribuente spende 2mila euro nel 2014 per frigo, lavatrice e forno, e detrae il 50%; nel 2016 può ancora detrarre 8mila euro. Ma se ha un’altra casa, qui ha l’intero plafond di 10mila euro.


50-65% e mobili per le giovani coppie

La detrazione del 50% per l’acquisto di mobili da parte di giovani coppie vale se uno dei due non ha superato i 35 anni di età e per le case da adibire ad abitazione principale (requisiti da soddisfare nel 2016). Il beneficio è slegato dai bonus edilizi del 50 e 65%.
L’esempio: nel 2016 una coppia di under 35 spende 24mila euro per gli arredi della prima casa, acquistata nel 2015. Può detrarre il 50% su 16mila euro anche senza effettuare alcun tipo di lavori.


I due bonus sugli arredi

E' vietato cumulare nella stessa abitazione la detrazione per gli arredi delle giovani coppie e quella abbinata ai lavori di ristrutturazione. 
L’esempio: nel 2016 la coppia under 35 spende 15mila euro per gli arredi detraibili della nuova casa: se durante l’anno avvia lavori di ristrutturazione, nel 730/2017 potrà scegliere solo uno dei due bonus mobili: quello per i giovani (16mila euro ma solo sui mobili) o quello abbinato ai lavori (10mila euro inclusi elettrodomestici).


Fonte articolo: ilsole24ore.Com, vetrina web

Boom degli incentivi edilizi confermato dalle Finanze

Dopo la battuta d'arresto registrata nel 2015, torna a correre all'inizio di quest'anno la spesa per ristrutturazione edilizia abitativa e interventi per il risparmio energetico degli edifici incentivata dalle detrazioni fiscali (rispettivamente) del 50 e del 65% (in dieci anni). 


I dati sono del Cresme su fonte del Ministero delle Finanze: nel primo trimestre del 2016 l'ammontare dei pagamenti per interventi di rinnovo edilizio ed energetico (bonifici efffettuati con l'apposito format bancario) è stato di 7.640 milioni di euro, il 49,5% in più rispetto al primo trimestre 2015 (allora furono 5.109 milioni).

Il Cresme non fornisce per ora lo "spaccato" tra bonus edilizi e risparmio energetico, ma teniamo conto che nella media degli ultimi tre anni i primi rappresentavano in valore degli interventi circa l'85% del totale (lo sconto del 50% copre infatti interventi edilizi, mediamente più costosi, mentre il 65% va in gran parte nella sostituzione degli impianti termici e delle finestre, pur potendo coprire anche la riqualificazione energetica complessiva dell'edificio). 


Il boom è stato consistente soprattutto a gennaio, quando i pagamenti sono raddoppiati a 4.697 milioni dai 2.379 del gennaio 2015 (+97%); ma anche a febbraio (1.281 milioni, +3,7%) e marzo (1.662 milioni, +11,2%) la crescita è proseguita. Crescita che peraltro era partita già a dicembre (2.684 milioni, +7,3%) e fra l'altro gli ultimi mesi del 2015 sono andati meglio del previsto, perché il rapporto Cresme per la Camera dei Deputati di metà ottobre prevedeva in tutto il 2015 una spesa incentivata per 23,556 miliardi di euro, mentre il dato effettivo dell'anno è stato superiore, a 25,147 miliardi.


Confrontando il dato dei pagamenti 2016 (7.640 milioni) con quelli dei primi trimestri degli anni scorsi emerge un livello inferiore solo al 2014 (anno record), allora fu 8.510 milioni a gennaio-marzo, ma superiore ai 5.929 milioni del 2013 e ai 4.841 milioni del 2012.
Si tratta per ora, è chiaro, ancora di dati parziali, ma per Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme, sono un altro segnale (insieme ai bandi 2015, alle macchine movimento terra e alle vendite Angaisa) che il mercato dell'edilizia sta ripartendo.


La quota degli interventi incentivati sul totale del rinnovo edilizio residenziale è cresciuta progressivamente negli anni, fino ad arrivare al 60% stimato dal Cresme nel 2013 e 2014, anche se nel 2015 (documento Camera di ottobre) si sarebbe registrata una preoccupante marcia indietro al 50-52% circa (nel senso che il dato potrebbe nascondere un ritorno al nero di parte di questi interventi).


Ricordiamo che la legge di Stabilità 2016 ha prorogato gli sconti fino al 31 dicembre di quest'anno, per poi tornare dal 2017 all'aliquota ordinaria di incentivo del 36% prevista per gli interventi di recupero edilizio abitativo. 


Fonti articolo: IlSole24Ore Edilizia e Territorio, vetrina web

Detrazione anche per immobili acquistati indirettamente da imprese edili



La nuova detrazione dall’Irpef del 50% dell’importo dell’Iva pagata nel 2016, per l’acquisto, effettuato sempre nel 2016, di abitazioni di classe energetica A o B, può essere usufruita anche dalle persone fisiche che acquistano abitazioni non nuove da imprese che hanno effettuato su queste abitazioni interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia, a differenza di quanto previsto “letteralmente” dalla norma, che impone che le unità siano "cedute dalle imprese costruttrici delle stesse".


Il chiarimento è contenuto nella circolare 20/E/2016, con la quale viene estesa l’agevolazione, introdotta dall’articolo 1, comma 76, della legge 208/2015 anche alle abitazioni non nuove. 



COSA AVEVA DETTO L'AGENZIA ENTRATE

A Telefisco 2016, basandosi solo sul tenore letterale della norma, l’Agenzia ha risposto che l’agevolazione spetta solo per "l’acquisto di immobili nuovi" (cioè quelli "per i quali non sia intervenuto un acquisto intermedio"), venduti "direttamente dalle imprese costruttrici dei medesimi", restando "escluse le vendite effettuate da imprese che hanno solo eseguito lavori di recupero edilizio".
Nella successiva circolare 12/E/2016, risposta 7.1, riassuntiva dei chiarimenti di Telefisco, però, questa risposta non è stata riportata.


COSA DICE OGGI L'AGENZIA ENTRATE

Ora la circolare 20/E/2016, paragrafo 10, basandosi anche sulla "finalità della disposizione in esame" (non solo sul "tenore letterale della norma"), sottolinea che l’espressione "imprese costruttrici" può essere intesa nel senso ampio di "impresa che applica l’Iva all’atto del trasferimento". Può utilizzare l’agevolazione, quindi, non solo chi acquista dall’impresa che ha realizzato l’immobile, ma anche chi compera l’abitazione da un’impresa di «ripristino» o "ristrutturatrice", la quale ha eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia (quindi solo le lettere c, d e f dell’articolo 3, comma 1, del Dpr 380/2001).
Il bonus spetta anche alle pertinenze dell’abitazione agevolata (ad esempio, posto auto o cantina), a patto che l’acquisto avvenga contestualmente all’acquisto dell’unità abitativa e che nell’atto vi sia l’evidenza del vincolo pertinenziale. Per gli acconti pagati nel 2015, per acquisti di case effettuati nel 2016, il bonus non spetta.


Il cumulo

Quando si acquista l’unità immobiliare all’interno di un edificio interamente ristrutturato dall’impresa, oltre a questa nuova detrazione sul 50% dell’Iva pagata nel 2016, è possibile beneficiare anche della classica detrazione del 50%, prevista dall’articolo 16-bis, comma 3, del Tuir, prestando attenzione, tuttavia, che non è possibile far valere due agevolazioni sulla medesima spesa. Ad esempio, per un bonifico nel 2016 di 208mila euro (200mila euro, più Iva al 4% per "prima casa"), si ha diritto alla detrazione del 50% di 8mila euro e a quella del 50% sul 25% "del costo dell’immobile rimasto a suo carico", cioè di 204mila euro (208mila – 4mila). Le stesse conclusioni valgono anche per le realizzazioni di box pertinenziale, acquistato contestualmente all’immobile agevolato.


La domotica

Relativamente all’estensione per il solo 2016 della detrazione dall’Irpef e dall’Ires del 65% delle spese sostenute per l’acquisto o l’installazione di dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti di riscaldamento o climatizzazione di abitazioni, la circolare 20/E ha precisato che la nuova fattispecie agevolata spetta anche se questi lavori sono effettuati successivamente o anche senza interventi di riqualificazione energetica.


Condòmini incapienti

Quanto poi alla chance per i condòmini incapienti di cedere ai fornitori (di beni e di servizi) del condominio la detrazione del 65% per gli interventi (pagati nel 2016) di risparmio energetico qualificato delle parti comuni condominiali (sotto forma di credito d’imposta, da ripartite in 10 anni e da compensare in F24 dal 10 aprile 2017), l’Agenzia ha confermato che i fornitori non sono obbligati ad accettare, in luogo del pagamento loro dovuto, il credito in questione.


Fonte articolo: IlSole24Ore

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