Senza aggiornamento l'amministratore può essere revocato

Il legislatore del 1942, nell'emanare la disciplina del condominio all'interno del codice civile, ha considerato l'amministratore quale mero contabile capace, soprattutto, di tenere la contabilità inerente alle spese che il condominio deve arffrontare per la corretta gestione e per l'essenziale manutenzione delle parti e dei servizi comuni, in relazione alla tipologia di immobili e alla realtà sociale di quell'epoca.


Entrambe le situazioni sono notevolmente mutate, tanto da cosigliare il legislatore, dal 1989 in avanti, di individuare, in particolare, nell'amministratore il responsabile della sicurezza statica e impiantistica dell'edificio condominiale.


Si è riconosciuta, pertanto, legislativamente all'amministratore una particolare competenza giuridica e tecnica, oltre a quella contabile, computate sia le materie di diritto fiscale e di diritto amministrativo sia le tecniche di comportamento con i condomini in assemblea e non solo.


Con le leggi n. 220 del dicembre 2012 e n. 4 del gennaio 2013 il legislatore ha riconosciuto la professionalità morale, intellettuale e tecnica dell'amministratore, prescrivendo che per esercitare la professione necessitano alcuni requisiti soggettivi e oggettivi, senza alcuni dei quali, previsti nelle lettere da a) a e) dell'art. 71 bis disp. Att. c.c., ciascun condomino può convocare l'assemblea per la nomina di un nuovo amministratore in sostituzione di quello cessato per legge; nel caso di mancata frequentazione di un corso di formazione e di uno di aggiornamento può essere richiesta la sua revoca, anche giudiziale.


È affidato, quindi, al cittadino consumatore, il condomino, il potere di vigilare che il proprio amministratore abbia i requisiti necessari per essere tale; tra questi in principalità, come sopra indicato, l'avere frequentato un corso di formazione iniziale e, ogni anno, un corso di aggiornamento.
Come è noto, le ore di corso, per quello iniziale, devono essere almeno 72 e, per quello di aggiornamento, almeno 15.


Il d. m. n. 140/2014, entrato in vigore il 9 ottobre 2014, ha stabilito quale sia il percorso formativo che chiunque voglia esercitare questa professione deve effettuare, specificandone le materie e prescrivendo per i formatori qualità morali e professionali,in particolare di conoscenza in materia condominiale.
Il mancato riferimento del decreto ministeriale alla legge n. 4/2013 lascia chiaramente intendere che tutti coloro, iscritti o no a Ordini e Collegi, che vogliano praticarla, devono adempiere a questo incombente.


Il giorno 8 ottobre 2015 è scaduto il primo anno di vigenza della nuova normativa e ciascun condomino, conseguentemente, può pretendere di ottenere copia dell'attestato con il quale il responsabile scientifico dell'ente formatore, dopo la prescritta segnalazione al Ministero, riconosce il superamento dell'esame obbligatorio di fine corso.


A questo scopo l'ANACI ha organizzato, in tutta Italia, numerosi corsi sia di formazione sia di aggiornamento, tra l'altro con un numero di ore superiori al minimo di legge, che, unitamente ai numerosi convegni tenuti, hanno consentito un miglioramento qualitativo dei propri associati.


Fonte articolo: Il Quotidiano del Condominio-Il Sole24Ore, vetrina web.

A cosa fare attenzione nella compravendita dell'immobile

Prima di procedere con l’acquisto di un immobile è bene verificare il suo “stato di salute”, così da evitare brutte sorprese a compravendita conclusa. 


Alcuni degli elementi oggetto d’indagine come intonaci, pavimento e serramenti, sono immediatamente visibili e quindi più facili da valutare. Eventuali tracce di umidità e muffe, ad esempio, in molti casi celano problemi più grossi, che comportano spese aggiuntive. Lo stesso vale per gli avvallamenti del pavimento, che potrebbero derivare da infiltrazioni d’acqua. 


Sono però gli elementi nascosti a richiedere maggiore attenzione e una serie di domande alle quali il venditore, sia esso proprietario o agenzia immobiliare, dovrà rispondere in modo esaustivo.

Innanzitutto, è bene controllare lo stato degli impianti (elettrico, gas, riscaldamento, idrico, ecc.) e verificare se sono stati realizzati rispettando le normative vigenti. La legge prevede che tutti quelli installati dopo il 27 marzo 2008 siano accompagnati da un documento di progetto e da una dichiarazione di conformità rilasciata dall’installatore. Quelli realizzati tra il 13 marzo 1990 e il 27 marzo 2008 devono essere sottoposti a verifica tecnica, a cui segue il rilascio della cosiddetta "dichiarazione di rispondenza", che sostituisce quella di conformità. Un impianto realizzato prima del 13 marzo 1990, invece, per essere considerato a norma è necessario sia dotato all’origine di sezionamento e protezione contro le sovraccorrenti, oltre a un interruttore differenziale, il cosiddetto "salvavita". Infine, è bene accertarsi che cavi e prese siano protetti contro eventuali contatti diretti. 


Altrettanto importante è verificare la certificazione energetica dell’immobile, che chi cede l’immobile è tenuto a manifestare già in fase di annuncio della vendita e consegnare per l’inserimento nell’atto notarile: una casa energivora, a lungo andare, può risultare dispendiosa.


Un ulteriore passaggio, fondamentale, è capire dall’amministratore di condominio se ci sono in programma eventuali lavori di manutenzione straordinaria o, qualora ne fosse sprovvisto, l’installazione di un ascensore. In entrambi i casi, le spese possono essere significative, e vanno oltre il prezzo della compravendita.


Esaurita questa prima parte di verifiche, l’acquirente deve concentrarsi su una serie di aspetti burocratici, che vanno approfonditi. A partire dalla provenienza dell’appartamento e la prova che il venditore sia davvero il legittimo proprietario. Per ottenere una risposta certa, non è sufficiente conoscere gli estremi catastali, ma occorre una visura ipotecaria alla Conservatoria dei registri immobiliari o una visura catastale al Servizio di pubblicità immobiliare dell’Agenzia delle entrate, quest’ultima disponibile anche attraverso una procedura online. 


Una volta accertato che non vi siano state donazioni negli ultimi vent’anni, ci sono altri due importanti accertamenti da compiere: il primo riguarda l’eventuale presenza di ipoteche sull’immobile. Quella della banca che ha concesso il mutuo è la più diffusa, ma non ostacola il processo di compravendita. L’acquirente può, infatti, presentare la proposta d’acquisto e firmare il contratto preliminare, ricordandosi però che entro il rogito l’ipoteca va estinta a spese del proprietario.
La situazione diviene più complessa se si tratta di un’ipoteca giudiziale o legale. In casi come questi è utile il parere di un notaio. Che deve essere contattato anche per verificare l’eventuale presenza di un pignoramento: all’acquirente non basta saldare i debiti del proprietario, perché in futuro i creditori di quest’ultimo, qualora ad esempio dovesse fallire, potrebbero ancora rivalersi sull’immobile.


Anche le spese condominiali arretrate, infatti, rappresentano uno spauracchio ricorrente per i neo proprietari, che in molti casi si ritrovano a pagare i debiti del predecessore. La legge sostiene che eventuali morosità nei confronti del condominio debbano essere pagate dal nuovo proprietario, a patto che queste si riferiscano all’anno (di esercizio condominiale) in corso e a quello precedente la data di acquisto.
I giudici della Cassazione hanno altresì precisato che in caso di vendita di un immobile condominiale nel quale siano stati deliberati lavori di manutenzione straordinaria o innovazioni sulle parti comuni, a sostenere le spese è colui che risulta proprietario al momento dell'approvazione della delibera assembleare. 
Il nuovo proprietario potrà comunque rivalersi sul vecchio e ottenere quanto gli spetta.
Proprio per evitare situazioni di questo tipo, la riforma del condominio ha obbligato l’amministratore a compilare periodicamente un documento che tiene conto dello stato dei pagamenti e delle pendenze dei condomini.


Fonti articolo: il Sole 24 Ore, vetrina web

Detrazioni per ristrutturazione in piccolo condominio col Codice Fiscale

Anche i piccoli condomìni, per usufruire del bonus ristrutturazioni sulle parti comuni, hanno bisogno del codice fiscale.
Quindi se i pagamenti fatti dai singoli proprietari, per ristrutturazioni su parti comuni dell’edificio, vengono effettuati tramite bonifici bancari, con ritenuta d'acconto dell’8%, allora le detrazioni per le spese sostenute nel 2014 si possono “recuperare” se il piccolo condominio richiede il codice fiscale, versando una sanzione di 103,29 euro e inviando apposita comunicazione all'Agenzia.


Questo quanto stabilito dalla Risoluzione 74/E in cui l’Agenzia delle Entrate risponde ad un'istanza di interpello inviata da tre fratelli.

Detrazioni piccoli condomini: il caso.
In un edificio con tre appartamenti, ognuno di proprietà esclusiva di tre fratelli, vengono effettuati nel 2014 interventi di recupero su parti comuni, pagati dai proprietari pro-quota con bonifico bancario.

Secondo la Legge 449/1997 la fruizione dell’agevolazione è subordinata alla circostanza che sia il condominio l’intestatario delle fatture e l’esecutore, tramite l’amministratore o uno dei condòmini, degli adempimenti richiesti dalla normativa.


Nella Risoluzione 74/E però l’Agenzia osserva che, avendo i contribuenti in questione eseguito i pagamenti con la procedura giusta per la fruizione del bonus ristrutturazioni, cioè con apposito bonifico “parlante”, è stato regolarmente rispettato l’obbligo, in capo all’istituto bancario o a Poste, di operare la prescritta ritenuta dell’8% sulle somme accreditate (articolo 25 del Dl 78/2010).


Quindi si può usufruire delle detrazione per il 2014, a patto che si chieda l’attribuzione del codice fiscale. Infatti le Entrate, in una precedente circolare (11/2014) avevano ribadito che, per fruire della detrazione relativa a spese su parti comuni, anche i condomini minimi (quelli con non più di otto condòmini e che non hanno l’obbligo di nominare un amministratore), devono richiedere l’attribuzione del codice fiscale. 


Bonus ristrutturazioni parti comuni: quale procedura seguire.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che entro il termine della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2014, in cui sono state sostenute le spese, è necessario:


- presentare a un ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate la domanda di attribuzione del codice fiscale al condominio, tramite modello AA5/6;
- versare mediante F24 (codice tributo 8912), a nome del condominio, con indicazione del cf attribuito, la sanzione minima di 103,29 euro, per omessa richiesta del codice fiscale;
- inviare una comunicazione in carta libera all’ufficio delle Entrate competente in relazione all’ubicazione del condominio.


Nella comunicazione, unica per tutti i condòmini, devono essere specificati, distintamente per ciascuno di essi, le generalità e il codice fiscale; i dati catastali delle rispettive unità immobiliari; i dati dei bonifici dei pagamenti effettuati per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio; la richiesta di considerare il condominio quale soggetto che ha effettuato gli interventi; le fatture emesse dalle ditte nei confronti dei singoli condòmini, da intendersi riferite al condominio.


Ogni condomino potrà inserire le spese sostenute nel periodo d’imposta 2014 nel modello Unico Pf 2015 da presentare entro il prossimo 30 settembre o, se ha utilizzato il 730, nel modello 730 integrativo da presentare entro il 26 ottobre 2015.
Infine la risoluzione ricorda che, non essendo necessario nel caso in esame nominare un amministratore, i contribuenti non sono tenuti a compilare l’apposito quadro AC del modello Unico Pf, in cui è prevista l’indicazione, tra l’altro, dei dati catastali degli immobili condominiali: andranno specificati nella comunicazione unica per tutti i condòmini.


Fonte articolo: http://www.edilportale.com/news/2015/08/normativa/ristrutturazioni-piccoli-condomini-sgravi-solo-con-codice-fiscale_47436_15.html

Riforma del condominio: le nuove regole sulle delibere


La Riforma del condominio ha apportato modifiche anche allo svolgimento dell’assemblea. In prima convocazione il quorum costitutivo (ovvero il limite delle presenze al di sotto delle quali nemmeno è possibile iniziare a discutere) è stato ridotto. Occorrono sempre i due terzi dei millesimi, ma è sufficiente la maggioranza dei condomini.


Nulla è cambiato, invece, per quanto attiene al quorum deliberativo: sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi.

Tuttavia, se in prima convocazione non vi è il numero legale, in un giorno successivo e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla prima, si tiene la riunione in seconda convocazione. In merito a quest’ultima è stato introdotto il quorum costitutivo: l’assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo dei millesimi e un terzo dei condomini. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo dei millesimi.


Il codice non fa mai espresso riferimento ai 333 o ai 500 millesimi, in quanto esiste il cosiddetto “condominio parziale”, che si verifica tutte le volte in cui un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato. Solo il gruppo di condomini che ne trae utilità è proprietario di quei beni e, pertanto, solo questi possono deliberare. Così, per esempio, la pulizia o le spese per l’ascensore della scala A sono approvate e pagate solo dai condomini di questa scala.


Prima dell’assemblea ciascun interessato può, previo appuntamento, accedere all’ufficio dell’amministratore, prendere visione della documentazione e, se ritenuto, estrarne copia. Nessun compenso, a parte il costo delle copie, può essere chiesto dall’amministratore per questa attività. Il mancato esercizio di questo diritto può portare all’annullamento della delibera se impugnata entro i 30 giorni. Alla documentazione possono accedere non solo i condomini, ma chiunque nel condominio vi abbia interesse (per esempio, i conduttori).


Anche in seconda convocazione, ci sono materie che richiedono, per la validità della deliberazione, la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi:

a) nomina e revoca dell’amministratore;

b) liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore;

c) ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità;

d) tutela delle destinazioni d’uso dei beni comuni;

e) innovazioni cosiddette “virtuose” di cui all’articolo 1120 comma 2 del Codice Civile;

f) impianti di videosorveglianza sulle parti comuni.


Fonte articolo: quotidiano del condominio ilSole24Ore, vetrinaweb

L'amministrazione del condominio non va in vacanza


Il periodo estivo comporta alcuni problemi per la vita condominiale, che si trova solitamente “svuotata” da molti dei suoi usuali protagonisti, dai condòmini (salvo pochi superstiti) allo stesso amministratore. Ci si può pertanto trovare ad affrontare emergenze o situazioni che normalmente non si presentano nella restante parte dell'anno.


Va detto, anzitutto, che l’amministratore professionale, prima di lasciare lo studio, avrà l'accortezza (soprattutto se il condominio non usufruisce dei servizi di un portinaio) di tutelare i suoi amministrati anche nel periodo nel quale non sarà presente (e magari neppure reperibile) stilando (e lasciando in bella evidenza in condominio) una comunicazione con la lista e i riferimenti delle aziende e dei professionisti ai quali, di norma, ci si deve rivolgere per le riparazioni e la manutenzione dei vari impianti condominiali: pensiamo per esempio all'ascensore rotto o a una chiave che si spezza nel portone o ancora alla piscina condominiale con problemi di depurazione.

 

All'amministratore, ovviamente, non potrà essere richiesto di essere presente tutto l'anno senza interruzioni, ma di fare in modo che dalla sua assenza non derivino possibili danni per lo stabile certamente sì: quindi l'amministratore che venisse meno a tale avvertenza potrebbe certamente essere ritenuto (in forza del rapporto di mandato che lo lega ai suoi amministrati) responsabile e quindi chiamato a risarcire i danni occorsi allo stabile a causa di un suo comportamento omissivo.


Anche il condòmino
, ovviamente, prima di abbandonare temporaneamente la propria abitazione dovrà preoccuparsi (al pari dell'amministratore) di chi resta, e mettere in atto quei necessari accorgimenti volti ad evitare un possibile danno per i pochi che si trovino a trascorrere agosto in città. Anche perché di tali danni, al pari dell'amministratore, lo stesso condomino potrebbe poi essere chiamato a rispondere sia civilmente che, ricorrendone i presupposti, penalmente in base alla responsabilità delle “cose in custodia” regolata dal codice civile all''articolo 2051.
Come prima cosa, anzitutto, anche il condomino (al pari dell'amministratore) dovrà lasciare la propria reperibilità (al portinaio se presente, all'amministratore o piuttosto ad un condomino che resti sulla località), in modo che sia possibile avvisarlo in caso di emergenza.


Il condòmino, inoltre, potrebbe lasciare a persone di fiducia (amministratore, portinaio, vicini che non vadano in vacanza nel suo stesso periodo) il numero dell'azienda che ha installato l'allarme antifurto, dato che tutti conosciamo lo sgradevolissimo fenomeno di allarmi che suonano sino ad esaurimento o al ritorno dei diretti interessati. In questo modo, fatti ovviamente gli opportuni controlli, la ditta potrebbe intervenire a disinnescare la fonte di molestie sonore.
A questo proposito, va ricordata una recente decisione della Cassazione che ha stabilito che per considerare o meno illecita (e quindi vietata) una immissione sonora, occorre anche tenere presente il rumore “di fondo” presente sul posto: più tale rumore (come d'estate a città semi deserte) sarà attenuato, e più una singola fonte sonora potrà risultare molesta.


Altra avvertenza da seguire, per il condòmino che voglia allontanarsi dal proprio alloggio per un certo periodo, è quello di chiudere l'interruttore dell'acqua, assicurandosi così dal rischio di perdite indesiderate. Qualora avvenissero, infatti, è ovvio che l'amministratore (o persino altri condòmini) potrebbero intervenire per evitare che dall'acqua che fuoriesce derivino danni alle parti comuni o private dello stabile. Attenzione: a meno che ci si trovi in una fase tale di emergenza e pericolo assoluti, i condòmini dovranno evitare di agire di propria iniziativa e chiedere invece l'intervento della autorità pubblica (ad esempio vigili del fuoco) per segnalare quanto sta accadendo. Nonostante l'esistenza di una perdita d'acqua, infatti, nessun privato ha il diritto di introdursi in un altro appartamento e deve necessariamente richiedere l'intervento della forza pubblica.


L’amministratore, inoltre, inviterà i condòmini a staccare nei propri alloggi la corrente elettrica o almeno, se non è possibile, almeno tutte le spine di televisione computer e telefono dato che le prese elettriche sono conduttori di fulmini (tipici del periodo estivo) e per evitare il fenomeno ricorrente (d'estate) del blocco dell'elettricità.
Nel periodo estivo non viene, dunque, meno il legame (e le conseguenze che necessariamente ne derivano) che lega o in forza di un contratto di mandato (l'amministratore) o in forza di un diritto reale (il condomino) il singolo al bene immobile: per entrambi varrà quindi il principio di evitare o almeno circoscrivere le insidie che ne possono derivare.


Fonte articolo: ilsole24ore.com, edicola24web

Condòmino insolvente: l'amministratore deve fornire i dati


In caso di crediti imprevisti, l’amministratore deve fornire al creditore tutti i nominativi dei condomini con l’indicazione delle quote millesimali. Lo ha stabilito il Tribunale di Monza con l’ordinanza del 3 giugno 2015.


Il diritto di accesso nel Codice 
La legge impone all’amministratore di comunicare ai creditori non soddisfatti che lo interpellano i dati dei condomini morosi e consente di agire nei confronti degli adempienti solo dopo avere infruttuosamente escusso i morosi.

Si tratta per l’amministratore di un dovere legale di salvaguardia dell’aspettativa di soddisfazione dei titolari di crediti derivanti dalla gestione condominiale, che delinea un obbligo per lui di cooperazione con costoro a prescindere dal contenuto del programma interno del suo rapporto di mandato con i condomini.


Il tenore letterale del primo comma dell’articolo 63 delle disposizioni attuative del Codice civile limita però tale obbligo alla comunicazione dei dati dei soli condomini morosi e non legittima affatto l’amministratore a fornire al creditore i nomi e le quote dei condomini in regola con i pagamenti.


L’ordinanza del Tribunale
 
Il Tribunale di Monza è stato di diverso avviso e ha condannato l’amministratore a fornire al creditore l’anagrafe completa di tutti i nominativi con l’indicazione delle quote millesimali di ciascuno.


La decisione del giudice monzese opera una netta distinzione tra il credito già deliberato dall’assemblea da quello invece imprevisto che, come tale, non è stato ancora sottoposto ad approvazione. Per il primo trova perfetta applicazione il principio secondo cui il creditore non soddisfatto deve preventivamente escutere il condomino moroso e dunque è imposto all’amministratore solo l’obbligo di consegnargli il nominativo (e millesimi) di questi. Per i crediti invece non deliberati, tutti i condomini sono di fatto tenuti a pagare il credito pro quota millesimale, non sussistendo in tal caso la sussidiarietà di cui all’articolo 63, comma 2 delle disposizioni attuative del Codice civile: da qui il diritto del creditore di pretendere la consegna dell’intera anagrafica dei condomini.


L’ordinanza si spinge però oltre e ritiene che, non essendo dato di conoscere al creditore se rispetto al suo credito ci siano morosi ovvero se neppure si sia deliberato in merito, l’obbligo di comunicazione in capo all’amministratore si estende comunque anche alla intera anagrafica condominiale, ben potendo il creditore cercare tutela in via preventiva: "Sarà poi l’amministratore a dovergli comunicare se qualche condomino non sia moroso, avendo pagato la sua quota". Ed ancora: "L’espressione “dati” dei condomini morosi dell’articolo 63, comma 1 delle disposizioni attuative deve intendersi comprensiva anche delle quote millesimali", essendo esclusa la solidarietà tra i condomini (Cassazione, Sezione unite, 9148/2008) e dovendo il creditore agire pro quota.


I dubbi per la privacy 
Il ragionamento non convince del tutto, vuoi perché la ratio del comma 1 dell’articolo 63 è certamente quella di proteggere i condomini solventi e vuoi perché in contrasto con la normativa di tutela della privacy. Infatti, la superfluità del consenso dei condomini morosi al trattamento dei loro dati personali discende dall’articolo 24, primo comma, lettere a) del Dl 196/2003, non essendo richiesto ogni qualvolta il trattamento sia necessario per adempiere a un obbligo previsto dalla legge (appunto dall’articolo 63, comma 1 delle disposizioni attuative).


La riforma non autorizza invece l’amministratore a fornire al creditore il nominativo e le quote dei condomini in regola con i pagamenti, quindi il comunicarlo esula dagli obblighi legali e contrattuali dell’amministratore e impone pertanto il preventivo consenso dell’interessato in base all’articolo 23 del Dlgs 196/2003.


Fonte articolo: il quotidiano del condominio, il Sole24Ore web. 

Condominio: vige la Privacy sul rogito

Il garante si pronuncia sulla legittimità della richiesta al condòmino di copia del titolo di proprietà ai fini della compilazione dei registri previsti dall’dell'articolo 1130 n. 6 del Codice civile, ritenendo che l’amministratore non abbia il potere di pretendere tale documento e che pertanto la richiesta sia non fondata e il relativo trattamento di dati eccessivo rispetto alle finalità perseguite.

La pronuncia appare condivisibile, poiché la norma richiede che l’amministratore conosca i dati relativi al titolare di diritti reali e non autorizza affatto a richiedere più di tali elementi, rispetto ai quali la copia dell’atto di acquisto è sicuramente qualcosa di più, che contiene dati estranei alle finalità di compilazione dei registri. Anche ove il condòmino non adempia alla richiesta di comunicazione di tali dati, l’amministratore potrà ricavarli dai pubblici registri con una semplice visura e addebitandone i relativi costi, ma non potrà procurarsi copia del titolo se non eccedendo i limiti del Codice della privacy e, plausibilmente, anche quelli previsti dallo stesso codice civile.

L’indicazione di ragionevolezza e adeguatezza, con invito all’amministratore di attenersi a quanto strettamente indicato dalla legge, può essere spunto di riflessione interessante anche per ciò che attiene alla questione dei dati relativi alle condizioni di sicurezza.

Diversa è l’ipotesi prevista dall’articolo 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile che, all’ultimo comma, pone in capo al soggetto che vende l’unità immobiliare l’obbligo di trasmettere copia autentica dell’atto ove voglia liberarsi dal vincolo di solidarietà con l’acquirente. In tal caso l’obbligo è espressamente previsto dalla legge ed ha tutt’altra ragione, prima fra tutte quella di dare data certa al venir meno della responsabilità patrimoniale del cedente nei confronti del condominio.

Fonte articolo: quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web

Subscribe to this RSS feed

La invitiamo a lasciare il suo numero di telefono per essere ricontattato.

Cliccando invia dichiari di aver letto ed accettato l'informativa sulla privacy