Revisione tabelle millesimali: bisogna andare in giudizio

Le tabelle millesimali sono uno strumento di funzionamento dell'assemblea nonché di ripartizione delle spese.


Attraverso di esse, è cosa nota, è possibile addivenire al calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi, nonché calcolare la quota spesa spettante a ciascun condòmino.

Le tabelle millesimali, dice la legge (art. 1138 c.c.), sono un allegato al regolamento di condominio. Siccome il regolamento condominiale - è sempre l'art. 1138 c.c. a dirlo - è obbligatorio quando il numero dei condòmini è superiore a dieci, non è mancato chi ha concluso per la obbligatorietà delle tabelle superato tale numero.
Non è così: com'è stato in più occasioni affermato (si veda ad esempio, Trib. Trapani 28 febbraio 2008), l'adozione delle tabelle millesimali è sempre possibile - ad avviso dello scrivente obbligatoria - eventualmente anche per via giudiziale al di là del numero dei condòmini.


Per lungo tempo è stato dubbio se le tabelle millesimali potessero essere approvate a maggioranza. Le Sezioni Unite della Cassazione (n. 18477/2010) hanno eliminato ogni incertezza sancendo la legittimità delle tabelle approvate a maggioranza e revisionate.
Il dato letterale del nuovo art. 69 disp. att. c.c. - cioè quello modificato dalla legge n. 220 del 2012 e attualmente in vigore - secondo alcuni potrebbe portare a concludere per la necessità del voto favorevole di tutti i condòmini per l'approvazione di tabelle millesimali, ma così non pare essere secondo le prime letture date dalla giurisprudenza.
In questo contesto è utile rammentare che le tabelle millesimali possono avere origine:

- assembleare;

- contrattuale;

- giudiziale.

Con le stesse modalità si può giungere alla revisione dei millesimi.
La revisione per via contrattuale è sempre possibile, sostanziandosi eventualmente in una modificazione pattizia, mentre la revisione per assembleare e giudiziale è legittima solamente se le tabelle che s'intende cambiare sono errate ovvero non più attuali.
Sul modo di contestare le tabelle è utile segnalare una pronuncia della Corte di Cassazione - la sentenza n. 20071 dell'11 agosto 2017 - che ben fotografa la differenza tra giudizio finalizzato alla contestazione delle tabelle millesimali e giudizio di contestazione delle delibere.

Come si legge nel provvedimento citato "ove delle tabelle millesimali esistono, avendo esse, come già detto, natura valutativa e non attributiva della proprietà, la costituzione dell'assemblea e la validità delle deliberazioni possono essere riscontrate dal giudice sulla base di dette tabelle, finché non siano state modificate, senza essere tenuto ad esaminare i titoli di acquisto dei singoli condomini ed a valutarli, di sua iniziativa, come (eventualmente) difformi dalle tabelle; se il condomino intenda, non di meno, denunciare la violazione dell'art. 1118 c.c., è tenuto ad impugnare le tabelle, chiedendone la modifica giudiziale, e non le deliberazioni assembleari adottate in base alle tabelle medesime (cfr. Cass. Sez. 2, 18/08/2005, n. 16982)".


In sostanza chi è convinto della erroneità delle tabelle deve iniziare un apposito giudizio, non potendosi limitare ad eccepirlo in altro pur sempre connesso alla gestione condominiale, quale ad esempio quello d'impugnazione di una delibera.
Ricordiamo che nel giudizio di revisione delle tabelle millesimali - siano esse di origine contrattuale ovvero assembleare - è possibile chiamare in causa l'amministratore e non tutti i condòmini (art. 69 disp. att. c.c.).


Fonte articolo: Condominioweb.com

L'amministratore può sostituire un condòmino in assemblea?

Si sta per tenere la riunione di condominio alla quale non potrai tuttavia partecipare.


L’unico modo per far valere la tua posizione in assemblea nonostante l’assenza e di votare sui punti all’ordine del giorno è di conferire a qualcuno una delega affinché ti sostituisca. 

 

Ma, in questo momento, ti fidi di una sola persona e solo a questa sei disposto a dare la delega: l’amministratore. Al contrario di molti altri condomini del tuo palazzo che, invece, vorrebbero sostituirlo, secondo te l’attuale amministratore è quello che meglio rappresenta i tuoi interessi. In una situazione del genere ti chiedi prima se l’amministratore di condominio può avere deleghe. Il tuo dubbio, infatti, è che non si possa fare e, in tale ipotesi, non solo la delega sarebbe illegittima ma ogni decisione in questo modo presa e, in definitiva, l’intera assemblea condominiale.

Come deve essere la delega

Per stabilire se è possibile dare una delega all’amministratore in sostituzione di uno o più condomini non si può non partire dalla riforma del condominio del 2012 che ha modificato anche le norme sulle deleghe. Viene stabilito, in particolare che la delega deve essere rilasciata per forza per iscritto.


Per uniformare le deleghe e facilitare l’adempimento, l’amministratore può inserire nell’avviso di convocazione di assemblea un prestampato da compilare a cura dei condomini che intendono rilasciare delega, che poi consegneranno al loro rappresentante (che a sua volta lo consegnerà all’amministratore).

Si può dare più di una delega alla stessa persona?

È possibile che la stessa persona riceva più di una delega e, quindi, rappresenti diversi condomini oltre ovviamente a se stesso. Esiste però un tetto: se nel condominio ci sono più di 20 condomini, ciascun rappresentante non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale.


Ciò evita che l’assemblea si riduca ad un incontro tra poche persone che rappresentano l’intero condominio, di fatto annullando il momento della discussione.
Il regolamento può prevedere ulteriori requisiti e modalità, ad esempio può stabilire che un condomino possa farsi rappresentare solo da determinate persone, come un parente o un altro condomino.


Si può dare la delega in assemblea all’amministratore di condominio?

Rispondiamo ora al quesito da cui siamo partiti: l’amministratore di condominio può avere deleghe? La risposta è negativa. La legge vieta espressamente che siano rilasciate deleghe, per la partecipazione a qualunque assemblea, all’amministratore del condominio. La norma è contenta nelle disposizioni di attuazione al codice civile che espressamente stabilisce: "All’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea". Questo perché l’amministratore potrebbe porsi in una condizione di conflitto di interesse.


Risultato: nessuna delega può essere conferita all’amministratore.
Questi pertanto non può rappresentare alcun condomino o votare per conto suo.

Se il delegato è in conflitto di interessi

Se il delegato risulta in conflitto di interessi con il condominio, la sua situazione di conflitto non si estende al delegante solo se quest’ultimo era a conoscenza di tale situazione e, nel conferire il mandato, abbia ritenuto il proprio interesse conforme a quello del delegato. In tal modo, secondo la Cassazione non è in conflitto di interessi il condomino che delega il condomino-amministratore a rappresentarlo in un’assemblea avente ad oggetto la nomina dell’amministratore stesso.

Quali requisiti deve avere la delega?

Una delega a partecipare in assemblea deve avere i seguenti requisiti per essere valida:

- non può essere rilasciata all’amministratore di condominio;
- deve essere scritta;
- non importa se indichi il volere del delegante, devono risultare con certezza i soggetti: delegante e delegato;
- può essere attribuita a un estraneo;
- nella proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante designato dai medesimi comproprietari;
- se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale;
- obbliga il delegato a eseguire quanto deciso dal delegante;
- è una procura che crea un rapporto interno tra delegato e delegante: se il delegato non rispetta il volere del delegante, l’eventuale controversia coinvolge solo loro e non anche il condominio. Per cui l’assemblea e la votazione resta valida.


Fonte articolo: Laleggepertutti.it

 

 

Chi subentra come nuovo condòmino assume i debiti del vecchio?

Chi subentra nei diritti di un condomino non può essere oberato da debiti che riguardano gestione molto precedenti al suo acquisto.


In tal senso è molto chiaro l'art. 63, quarto comma, disp. att. c.c.

 

Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente.
Inutile dire che sovente i debiti del venditore, per sua morosità o per fatti legati ad appropriazioni dell'amministratore, sono oggetto di contenzioso tra il nuovo condòmino ed il condominio.
Una sentenza resa dal Tribunale di Treviso è particolarmente utile in relazione a tre aspetti della questione:

  • - valutazione concreta del biennio di riferimento;
  • - considerazione dei così detti riporti, ossia dei debiti di anni precedenti inseriti nell'ultimo rendiconto;
  • - profili di validità delle delibere che decidono in queste materie.

Anno in corso e quello precedente alla compravendita

Il dictum normativo appare chiaro, eppure alcune volte potrebbe generare dubbi.
Esempio: la vendita avviene nel maggio 2014. Anno in corso, 2014, anno precedente 2013. Supponiamo che la gestione annuale del condominio sia così strutturata 01.06.2012 – 31.05.2013 e 01.06.2013 – 31.05.2014.


Cosa bisogna intendere per anno? Quello solare o quello di gestione? Il Tribunale di Treviso ha risposta, sulla scorta di precedenti pronunciamenti, affermando che è “pacifica la giurisprudenza di merito nel ritenere che la locuzione "anno in corso e... quello precedente" vada intesa nel senso di anno di gestione in corso e anno di gestione precedente (cfr. Trib. Bolzano 10/06/1999 in Giur. Di Merito, 2000, 15)” (Trib. Treviso 18 ottobre 2016 n. 2554).


In questo caso, quindi, l'anno precedente parte dall'1 giugno 2012. Fin qui possono essere chieste al nuovo condòmino, in via solidale, le somme dovute dal suo dante causa.
Se nel 2010 ho un debito verso il condominio e non lo pago e l'amministratore non agisce per il recupero, alla chiusura dei conti dell'anno 2011 egli dovrà indicarlo nel rendiconto di questo periodo come credito del condominio verso un condòmino.


Tale indicazione basta a far considerare quella somma come dovuta in ragione dell'approvazione del rendiconto dell'anno 2011?
Secondo il Tribunale di Treviso no: si tratta di una mera indicazione di natura contabile. Insomma si dice quanti crediti ha il condominio e perché.
Ciò ha una conseguenza: nel caso di compravendita l'inserimento del debito nel rendiconto approvato dal nuovo condòmino non può avere effetto nei suoi confronti.
In tal senso, si legge in sentenza,l'assemblea non può in alcun modo ampliare la solidarietà passiva del neo proprietario oltre tale biennio previsto per legge, pena la nullità della delibera assembleare (Tribunale di Torino, sentenza 19.11.2009 n. 7873). Il pagamento dei riporti degli esercizi precedenti potranno essere richiesti esclusivamente al precedente proprietario”.


Conseguenze sulle delibere che riconoscono i capo a nuovi condòmini debiti per loro predecessori

Se io approvo un rendiconto con debiti riguardanti il mio dante causa e riferiti ad un periodo temporale escluso da quello per cui è previsto il vincolo di solidarietà, non possono essermi comunque richieste tali somme e qualora la delibera le intestasse a me, essa sarebbe nulla per violazione dell'art. 63, quarto comma disp. att. c.c.


Fonte articolo: Condominioweb.com

Affitto in condominio: chi comunica il contratto all'amministratore?

Se un'unità immobiliare ubicata in condominio viene concessa in locazione, è necessario comunicare il contratto di locazione all'amministratore.


Entro quanto tempo e da parte di chi va posto in essere questo adempimento?

 

L'esecuzione di questo compito è sufficiente per considerare realizzato anche l'obbligo di collaborazione che la legge pone in relazione all'anagrafe condominiale?


Partiamo subito dalla norma di riferimento: essa è contenuta nella legge n. 431 del 1998 recante "Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo".
La norma cui guardare per trovare risposta a tutti i quesiti posti in apertura di questo breve approfondimento è il primo comma dell'art. 13 che recita:

"[...] E' fatto carico al locatore di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all'amministratore del condominio, anche ai fini dell'ottemperanza agli obblighi di tenuta dell'anagrafe condominiale di cui all' articolo 1130, numero 6), del codice civile".

La norma prevede un insieme di adempimenti chiaro e preciso. Innanzitutto un obbligo di natura tributaria, ossia la registrazione del contratto di locazione da parte del locatore, ossia della persona che concede in locazione l'unità immobiliare.
La registrazione, ossia il deposito del contratto presso l'Agenzia delle Entrate ai fini dell'applicazione delle imposte in ragione del regime prescelto (es. cedolare secca) deve avvenire entro trenta giorni dalla conclusione del contratto stesso. Dal momento della registrazione inizia a decorrere un nuovo termine, che rileva nei rapporti condominiali.


Si tratta di sessanta giorni entro i quali il medesimo locatore deve comunicare all'amministratore condominiale, in modo documentato, l'avvenuta registrazione del contratto di locazione. Che cosa vuol dire ciò? Il locatore deve trasmettere all'amministratore il contratto di locazione registrato?


Ad avviso di chi scrive, no. La legge impone a questo soggetto di dare documentata comunicazione della registrazione del contratto, non di comunicare il contratto registrato.
Ed allora? Allora è sufficiente comunicare all'amministratore la ricevuta di registrazione rilasciata dall'Agenzia delle entrate, esplicitando chiaramente i nomi delle parti (sovente le ricevute di registrazione riportano il solo codice fiscale delle medesime).


Tale adempimento, specifica il primo comma dell'art. 13 della legge n. 431/1998 vale anche in relazione agli obblighi posti in capo ai condòmini in relazione alla tenuta del registro di anagrafe condominiale.
Al riguardo è utile specificare un aspetto concernente la tempistica. L'art. 1130 n. 6 c.c. pone in capo ai condòmini un obbligo di comunicazione di una serie di dati (ivi comprese le generalità dei titolari di diritti personali di godimento) entro sessanta giorni dall'avvenuta variazione.


Esempio: Tizio è proprietario di un appartamento e lo concede il locazione a Caio. I dati identificativi di Caio devono essere comunicati all'amministratore entro sessanta giorni dalla stipula del contratto (data di riferimento ai fini della suddetta variazione).
Come s'è detto, però, l'art. 13 della legge n. 431 del 1998 impone l'obbligo di comunicazione della registrazione del contratto di locazione - anche ai fini della tenuta del registro di anagrafe condominiale - entro sessanta giorni dalla registrazione (e non della firma del contratto).


Quindi? Quale termine considerare? Ad avviso dello scrivente va tenuto in considerazione quello indicato dalla legge n. 431, in quanto l'adempimento ivi previsto è stato inserito nella legge dopo l'entrata in vigore dell'art. 1130 n. 6 c.c.


Fonte articolo: Condominioweb.com

L'amministratore risarcisce se non opera secondo il volere dell'assemblea

L’amministratore non può uscire dai confini dettati dall’assemblea: e se conclude una transazione senza successiva ratifica deve restituire quanto ha speso il condominio, anche se l’accordo era vantaggioso.


Questo, in sintesi, il principio espresso dal Tribunale di Milano con la sentenza 5021/2017.

  • L’incarico conferito all’amministratore è assimilabile a un mandato a contenuto generale, abbracciando tutti gli affari attinenti alla gestione condominiale, fatta esclusione per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Tra questi ultimi rientra senza dubbio la transazione, cioè quel contratto finalizzato a risolvere una controversia, presente o anche solo potenziale, mediante reciproche concessioni dei contraenti e che comporta quindi la disposizione dei diritti delle parti. È quindi necessaria una preventiva e specifica autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale.

  • Nell’ipotesi in cui l’assemblea non abbia definito con esattezza tutti i termini dell’accordo, limitandosi invece a prevedere le regole da seguire in sede di trattative, l’amministratore è tenuto ad attenersi scrupolosamente a tali criteri non potendo, per esempio, formulare autonomamente una proposta transattiva se l’assemblea abbia invece previsto l’obbligo di preventiva consultazione di una commissione di condòmini all’uopo nominata.

  • A tale soluzione è giunto il Tribunale di Milano nella recente sentenza 5021/2017, nell’ambito della quale è stato evidenziato anche come il non puntuale rispetto della procedura dettata in sede assembleare configuri inadempimento dell’amministratore all’obbligo di eseguire le delibere condominiali (articolo 1130 del Codice civile).
    La transazione eventualmente formalizzata in violazione dei confini dettati dall’assemblea è un atto esorbitante i limiti del mandato con la conseguenza che, in mancanza di successiva ratifica dell’accordo da parte del condominio, i relativi obblighi rimangono in capo all’amministratore stesso, in base all’articolo 1711 del Codice civile. Se però la transazione sia già stata eseguita e il relativo obbligo assunto dall’amministratore risulti ormai estinto con risorse del condominio, l’amministratore risulterà soggetto all’azione risarcitoria da parte dei singoli condòmini interessati.

  • Nella quantificazione del relativo danno il giudice meneghino ha ritenuto superflua ogni valutazione in merito all’opportunità o meno a transigere alle condizioni individuate dall’amministratore, ritenendo invece il danno immediatamente identificabile nell’intera spesa affrontata dal condominio. La domanda svolta da un solo condomino può tuttavia essere accolta nei limiti dell’esborso economico da quest’ultimo affrontato, con conseguente condanna dell’Amministratore a risarcire la sola quota millesimale di competenza di chi è andato in giudizio. 

  • Fonte articolo: IlSole24ore, vetrina web

Senza aggiornamento l'amministratore può essere revocato

Il legislatore del 1942, nell'emanare la disciplina del condominio all'interno del codice civile, ha considerato l'amministratore quale mero contabile capace, soprattutto, di tenere la contabilità inerente alle spese che il condominio deve arffrontare per la corretta gestione e per l'essenziale manutenzione delle parti e dei servizi comuni, in relazione alla tipologia di immobili e alla realtà sociale di quell'epoca.


Entrambe le situazioni sono notevolmente mutate, tanto da cosigliare il legislatore, dal 1989 in avanti, di individuare, in particolare, nell'amministratore il responsabile della sicurezza statica e impiantistica dell'edificio condominiale.


Si è riconosciuta, pertanto, legislativamente all'amministratore una particolare competenza giuridica e tecnica, oltre a quella contabile, computate sia le materie di diritto fiscale e di diritto amministrativo sia le tecniche di comportamento con i condomini in assemblea e non solo.


Con le leggi n. 220 del dicembre 2012 e n. 4 del gennaio 2013 il legislatore ha riconosciuto la professionalità morale, intellettuale e tecnica dell'amministratore, prescrivendo che per esercitare la professione necessitano alcuni requisiti soggettivi e oggettivi, senza alcuni dei quali, previsti nelle lettere da a) a e) dell'art. 71 bis disp. Att. c.c., ciascun condomino può convocare l'assemblea per la nomina di un nuovo amministratore in sostituzione di quello cessato per legge; nel caso di mancata frequentazione di un corso di formazione e di uno di aggiornamento può essere richiesta la sua revoca, anche giudiziale.


È affidato, quindi, al cittadino consumatore, il condomino, il potere di vigilare che il proprio amministratore abbia i requisiti necessari per essere tale; tra questi in principalità, come sopra indicato, l'avere frequentato un corso di formazione iniziale e, ogni anno, un corso di aggiornamento.
Come è noto, le ore di corso, per quello iniziale, devono essere almeno 72 e, per quello di aggiornamento, almeno 15.


Il d. m. n. 140/2014, entrato in vigore il 9 ottobre 2014, ha stabilito quale sia il percorso formativo che chiunque voglia esercitare questa professione deve effettuare, specificandone le materie e prescrivendo per i formatori qualità morali e professionali,in particolare di conoscenza in materia condominiale.
Il mancato riferimento del decreto ministeriale alla legge n. 4/2013 lascia chiaramente intendere che tutti coloro, iscritti o no a Ordini e Collegi, che vogliano praticarla, devono adempiere a questo incombente.


Il giorno 8 ottobre 2015 è scaduto il primo anno di vigenza della nuova normativa e ciascun condomino, conseguentemente, può pretendere di ottenere copia dell'attestato con il quale il responsabile scientifico dell'ente formatore, dopo la prescritta segnalazione al Ministero, riconosce il superamento dell'esame obbligatorio di fine corso.


A questo scopo l'ANACI ha organizzato, in tutta Italia, numerosi corsi sia di formazione sia di aggiornamento, tra l'altro con un numero di ore superiori al minimo di legge, che, unitamente ai numerosi convegni tenuti, hanno consentito un miglioramento qualitativo dei propri associati.


Fonte articolo: Il Quotidiano del Condominio-Il Sole24Ore, vetrina web.

Riforma del condominio: le nuove regole sulle delibere


La Riforma del condominio ha apportato modifiche anche allo svolgimento dell’assemblea. In prima convocazione il quorum costitutivo (ovvero il limite delle presenze al di sotto delle quali nemmeno è possibile iniziare a discutere) è stato ridotto. Occorrono sempre i due terzi dei millesimi, ma è sufficiente la maggioranza dei condomini.


Nulla è cambiato, invece, per quanto attiene al quorum deliberativo: sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi.

Tuttavia, se in prima convocazione non vi è il numero legale, in un giorno successivo e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla prima, si tiene la riunione in seconda convocazione. In merito a quest’ultima è stato introdotto il quorum costitutivo: l’assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo dei millesimi e un terzo dei condomini. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo dei millesimi.


Il codice non fa mai espresso riferimento ai 333 o ai 500 millesimi, in quanto esiste il cosiddetto “condominio parziale”, che si verifica tutte le volte in cui un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato. Solo il gruppo di condomini che ne trae utilità è proprietario di quei beni e, pertanto, solo questi possono deliberare. Così, per esempio, la pulizia o le spese per l’ascensore della scala A sono approvate e pagate solo dai condomini di questa scala.


Prima dell’assemblea ciascun interessato può, previo appuntamento, accedere all’ufficio dell’amministratore, prendere visione della documentazione e, se ritenuto, estrarne copia. Nessun compenso, a parte il costo delle copie, può essere chiesto dall’amministratore per questa attività. Il mancato esercizio di questo diritto può portare all’annullamento della delibera se impugnata entro i 30 giorni. Alla documentazione possono accedere non solo i condomini, ma chiunque nel condominio vi abbia interesse (per esempio, i conduttori).


Anche in seconda convocazione, ci sono materie che richiedono, per la validità della deliberazione, la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi:

a) nomina e revoca dell’amministratore;

b) liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore;

c) ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità;

d) tutela delle destinazioni d’uso dei beni comuni;

e) innovazioni cosiddette “virtuose” di cui all’articolo 1120 comma 2 del Codice Civile;

f) impianti di videosorveglianza sulle parti comuni.


Fonte articolo: quotidiano del condominio ilSole24Ore, vetrinaweb

L'amministrazione del condominio non va in vacanza


Il periodo estivo comporta alcuni problemi per la vita condominiale, che si trova solitamente “svuotata” da molti dei suoi usuali protagonisti, dai condòmini (salvo pochi superstiti) allo stesso amministratore. Ci si può pertanto trovare ad affrontare emergenze o situazioni che normalmente non si presentano nella restante parte dell'anno.


Va detto, anzitutto, che l’amministratore professionale, prima di lasciare lo studio, avrà l'accortezza (soprattutto se il condominio non usufruisce dei servizi di un portinaio) di tutelare i suoi amministrati anche nel periodo nel quale non sarà presente (e magari neppure reperibile) stilando (e lasciando in bella evidenza in condominio) una comunicazione con la lista e i riferimenti delle aziende e dei professionisti ai quali, di norma, ci si deve rivolgere per le riparazioni e la manutenzione dei vari impianti condominiali: pensiamo per esempio all'ascensore rotto o a una chiave che si spezza nel portone o ancora alla piscina condominiale con problemi di depurazione.

 

All'amministratore, ovviamente, non potrà essere richiesto di essere presente tutto l'anno senza interruzioni, ma di fare in modo che dalla sua assenza non derivino possibili danni per lo stabile certamente sì: quindi l'amministratore che venisse meno a tale avvertenza potrebbe certamente essere ritenuto (in forza del rapporto di mandato che lo lega ai suoi amministrati) responsabile e quindi chiamato a risarcire i danni occorsi allo stabile a causa di un suo comportamento omissivo.


Anche il condòmino
, ovviamente, prima di abbandonare temporaneamente la propria abitazione dovrà preoccuparsi (al pari dell'amministratore) di chi resta, e mettere in atto quei necessari accorgimenti volti ad evitare un possibile danno per i pochi che si trovino a trascorrere agosto in città. Anche perché di tali danni, al pari dell'amministratore, lo stesso condomino potrebbe poi essere chiamato a rispondere sia civilmente che, ricorrendone i presupposti, penalmente in base alla responsabilità delle “cose in custodia” regolata dal codice civile all''articolo 2051.
Come prima cosa, anzitutto, anche il condomino (al pari dell'amministratore) dovrà lasciare la propria reperibilità (al portinaio se presente, all'amministratore o piuttosto ad un condomino che resti sulla località), in modo che sia possibile avvisarlo in caso di emergenza.


Il condòmino, inoltre, potrebbe lasciare a persone di fiducia (amministratore, portinaio, vicini che non vadano in vacanza nel suo stesso periodo) il numero dell'azienda che ha installato l'allarme antifurto, dato che tutti conosciamo lo sgradevolissimo fenomeno di allarmi che suonano sino ad esaurimento o al ritorno dei diretti interessati. In questo modo, fatti ovviamente gli opportuni controlli, la ditta potrebbe intervenire a disinnescare la fonte di molestie sonore.
A questo proposito, va ricordata una recente decisione della Cassazione che ha stabilito che per considerare o meno illecita (e quindi vietata) una immissione sonora, occorre anche tenere presente il rumore “di fondo” presente sul posto: più tale rumore (come d'estate a città semi deserte) sarà attenuato, e più una singola fonte sonora potrà risultare molesta.


Altra avvertenza da seguire, per il condòmino che voglia allontanarsi dal proprio alloggio per un certo periodo, è quello di chiudere l'interruttore dell'acqua, assicurandosi così dal rischio di perdite indesiderate. Qualora avvenissero, infatti, è ovvio che l'amministratore (o persino altri condòmini) potrebbero intervenire per evitare che dall'acqua che fuoriesce derivino danni alle parti comuni o private dello stabile. Attenzione: a meno che ci si trovi in una fase tale di emergenza e pericolo assoluti, i condòmini dovranno evitare di agire di propria iniziativa e chiedere invece l'intervento della autorità pubblica (ad esempio vigili del fuoco) per segnalare quanto sta accadendo. Nonostante l'esistenza di una perdita d'acqua, infatti, nessun privato ha il diritto di introdursi in un altro appartamento e deve necessariamente richiedere l'intervento della forza pubblica.


L’amministratore, inoltre, inviterà i condòmini a staccare nei propri alloggi la corrente elettrica o almeno, se non è possibile, almeno tutte le spine di televisione computer e telefono dato che le prese elettriche sono conduttori di fulmini (tipici del periodo estivo) e per evitare il fenomeno ricorrente (d'estate) del blocco dell'elettricità.
Nel periodo estivo non viene, dunque, meno il legame (e le conseguenze che necessariamente ne derivano) che lega o in forza di un contratto di mandato (l'amministratore) o in forza di un diritto reale (il condomino) il singolo al bene immobile: per entrambi varrà quindi il principio di evitare o almeno circoscrivere le insidie che ne possono derivare.


Fonte articolo: ilsole24ore.com, edicola24web

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