Condòmino insolvente: l'amministratore deve fornire i dati


In caso di crediti imprevisti, l’amministratore deve fornire al creditore tutti i nominativi dei condomini con l’indicazione delle quote millesimali. Lo ha stabilito il Tribunale di Monza con l’ordinanza del 3 giugno 2015.


Il diritto di accesso nel Codice 
La legge impone all’amministratore di comunicare ai creditori non soddisfatti che lo interpellano i dati dei condomini morosi e consente di agire nei confronti degli adempienti solo dopo avere infruttuosamente escusso i morosi.

Si tratta per l’amministratore di un dovere legale di salvaguardia dell’aspettativa di soddisfazione dei titolari di crediti derivanti dalla gestione condominiale, che delinea un obbligo per lui di cooperazione con costoro a prescindere dal contenuto del programma interno del suo rapporto di mandato con i condomini.


Il tenore letterale del primo comma dell’articolo 63 delle disposizioni attuative del Codice civile limita però tale obbligo alla comunicazione dei dati dei soli condomini morosi e non legittima affatto l’amministratore a fornire al creditore i nomi e le quote dei condomini in regola con i pagamenti.


L’ordinanza del Tribunale
 
Il Tribunale di Monza è stato di diverso avviso e ha condannato l’amministratore a fornire al creditore l’anagrafe completa di tutti i nominativi con l’indicazione delle quote millesimali di ciascuno.


La decisione del giudice monzese opera una netta distinzione tra il credito già deliberato dall’assemblea da quello invece imprevisto che, come tale, non è stato ancora sottoposto ad approvazione. Per il primo trova perfetta applicazione il principio secondo cui il creditore non soddisfatto deve preventivamente escutere il condomino moroso e dunque è imposto all’amministratore solo l’obbligo di consegnargli il nominativo (e millesimi) di questi. Per i crediti invece non deliberati, tutti i condomini sono di fatto tenuti a pagare il credito pro quota millesimale, non sussistendo in tal caso la sussidiarietà di cui all’articolo 63, comma 2 delle disposizioni attuative del Codice civile: da qui il diritto del creditore di pretendere la consegna dell’intera anagrafica dei condomini.


L’ordinanza si spinge però oltre e ritiene che, non essendo dato di conoscere al creditore se rispetto al suo credito ci siano morosi ovvero se neppure si sia deliberato in merito, l’obbligo di comunicazione in capo all’amministratore si estende comunque anche alla intera anagrafica condominiale, ben potendo il creditore cercare tutela in via preventiva: "Sarà poi l’amministratore a dovergli comunicare se qualche condomino non sia moroso, avendo pagato la sua quota". Ed ancora: "L’espressione “dati” dei condomini morosi dell’articolo 63, comma 1 delle disposizioni attuative deve intendersi comprensiva anche delle quote millesimali", essendo esclusa la solidarietà tra i condomini (Cassazione, Sezione unite, 9148/2008) e dovendo il creditore agire pro quota.


I dubbi per la privacy 
Il ragionamento non convince del tutto, vuoi perché la ratio del comma 1 dell’articolo 63 è certamente quella di proteggere i condomini solventi e vuoi perché in contrasto con la normativa di tutela della privacy. Infatti, la superfluità del consenso dei condomini morosi al trattamento dei loro dati personali discende dall’articolo 24, primo comma, lettere a) del Dl 196/2003, non essendo richiesto ogni qualvolta il trattamento sia necessario per adempiere a un obbligo previsto dalla legge (appunto dall’articolo 63, comma 1 delle disposizioni attuative).


La riforma non autorizza invece l’amministratore a fornire al creditore il nominativo e le quote dei condomini in regola con i pagamenti, quindi il comunicarlo esula dagli obblighi legali e contrattuali dell’amministratore e impone pertanto il preventivo consenso dell’interessato in base all’articolo 23 del Dlgs 196/2003.


Fonte articolo: il quotidiano del condominio, il Sole24Ore web. 

Bilancio della riforma del condominio che compie due anni

La riforma ha superato il tirocinio. Giovedì – 18 giugno – saranno due anni esatti dall’entrata in vigore della legge 220/2012, che ha profondamente modificato le norme sul condominio vecchie di 70 anni.


Nonostante la lunghissima gestazione, la legge conteneva parecchie disposizioni di difficile attuazione, tanto da richiedere una correzione quasi immediata con il decreto Destinazione Italia (Dl 145/2013). Valga per tutti l’esempio dell’obbligo di raccogliere i fondi tra i proprietari prima di avviare lavori straordinari: una disposizione che avrebbe potuto bloccare molti cantieri e che proprio con quel decreto è stata corretta consentendo agli amministratori di costituire la riserva finanziaria “per gradi”, in base ai diversi stati avanzamento lavori.

 

Ma insomma, bene o male, le novità sono state metabolizzate e – sotto molti aspetti – apprezzate: i nuovi doveri e responsabilità dell’amministratore, la sua formazione obbligatoria e il recepimento di molti indirizzi giurisprudenziali di semplificazione hanno fatto sì che la riforma fosse accolta positivamente dai proprietari. 
Restano, però, diverse incertezze nella lettura dei nuovi articoli del Codice civile, insieme a norme che suonano ridondanti e potrebbero dar vita a lunghi contenziosi, in attesa che la Cassazione arrivi a a mettere l’ultima parola. Cosa che – con i tempi della giustizia italiana – potrebbe richiedere anche un decennio di attesa. 


La prassi sembra dimostrare che le norme sul supercondominio vengono spesso disapplicate o adattate ai casi concreti: ci sono palazzi che non nominano il rappresentante all’assemblea del supercondominio, altri che si affidano all’amministratore in una veste impropria di “facente funzioni”. Per non parlare dei dubbi operativi: il rappresentante di un singolo condominio può esprimere un voto disgiunto? E se non lo fa i dissenzienti possono impugnare la decisione del supercondominio? E se un condominio non paga a chi va notificato il decreto ingiuntivo: ai singoli proprietari o all’amministratore? 

Altro fronte delicato è quello delle morosità. La riforma dice che i creditori del condominio devono rivolgersi prima ai morosi e solo dopo ai proprietari in regola. Ma molti giudici – anche se non tutti – consentono ai creditori di pignorare il conto condominiale, su cui si trovano le somme versate da chi paga con puntualità. Senza dimenticare che i fornitori più forti spesso riescono a farsi pagare a discapito degli altri semplicemente minacciando di staccare il gas o l’acqua, o magari di non riparare l’ascensore. In questi casi, i princìpi del Codice soccombono di fronte alla prassi.

Altre norme, come quelle sui limiti alle deleghe, sembrano aver creato più che altro un incentivo all’aggiramento dei vincoli con l’accaparramento di deleghe in bianco, difficilmente controllabile. Mentre altre, come la possibilità per gli interessati di accedere ai dati condominiali, addossano agli amministratori il compito di consentire agli "interessati" (così recita la norma) di accedere ai dati. Ma chi sono gli "interessati"? Il rischio è che creditori, agenzie di informazioni commerciali, banche cui è stato richiesto un finanziamento, siano a tutti gli effetti "interessati" ma il buon senso dell’amministratore a tutela della privacy dovrebbe arginare certe richieste, anche se una norma più precisa sarebbe opportuna.

Resta, nel complesso, come ha rilevato Confedilizia, la sensazione di una riforma generalmente positiva, che però avrebbe potuto essere più coraggiosa e innovativa. Lo dimostra, ad esempio, la norma che consente il cambio d’uso a maggioranza delle parti comuni: nessuno la usa, ma le cose sarebbero andate diversamente se la legge avesse previsto, come si era ipotizzato, la vendita a maggioranza. In altri casi, invece, come per il riscaldamento, è l’evoluzione della normativa – che imporrà la contabilizzazione – ad azzerare, o quasi, l’interesse per il distacco. Anche se il testo del Codice post-riforma non azzera, neppure in questo caso, tutti i rischi di contenzioso. 

Fonte articolo: ilsole24ore.com, edicola24web

Condominio: vige la Privacy sul rogito

Il garante si pronuncia sulla legittimità della richiesta al condòmino di copia del titolo di proprietà ai fini della compilazione dei registri previsti dall’dell'articolo 1130 n. 6 del Codice civile, ritenendo che l’amministratore non abbia il potere di pretendere tale documento e che pertanto la richiesta sia non fondata e il relativo trattamento di dati eccessivo rispetto alle finalità perseguite.

La pronuncia appare condivisibile, poiché la norma richiede che l’amministratore conosca i dati relativi al titolare di diritti reali e non autorizza affatto a richiedere più di tali elementi, rispetto ai quali la copia dell’atto di acquisto è sicuramente qualcosa di più, che contiene dati estranei alle finalità di compilazione dei registri. Anche ove il condòmino non adempia alla richiesta di comunicazione di tali dati, l’amministratore potrà ricavarli dai pubblici registri con una semplice visura e addebitandone i relativi costi, ma non potrà procurarsi copia del titolo se non eccedendo i limiti del Codice della privacy e, plausibilmente, anche quelli previsti dallo stesso codice civile.

L’indicazione di ragionevolezza e adeguatezza, con invito all’amministratore di attenersi a quanto strettamente indicato dalla legge, può essere spunto di riflessione interessante anche per ciò che attiene alla questione dei dati relativi alle condizioni di sicurezza.

Diversa è l’ipotesi prevista dall’articolo 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile che, all’ultimo comma, pone in capo al soggetto che vende l’unità immobiliare l’obbligo di trasmettere copia autentica dell’atto ove voglia liberarsi dal vincolo di solidarietà con l’acquirente. In tal caso l’obbligo è espressamente previsto dalla legge ed ha tutt’altra ragione, prima fra tutte quella di dare data certa al venir meno della responsabilità patrimoniale del cedente nei confronti del condominio.

Fonte articolo: quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web

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