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Beni comuni e privati, per distinguerli viene in soccorso l'anagrafe condominiale

 Spesso non è del tutto agevole stabilire a priori quali siano, all'interno del condominio, i beni comuni e quali quelli di proprietà esclusiva dei condomini. La prova è data da due recenti interventi dalla Cassazione che, a distanza di pochi giorni, hanno affrontato il tema dei beni comuni ex art. 1117 cod. civ. A quanto pare non è possibile né fare affidamento sui dati progettuali né sui titoli di proprietà ma occorre verificare lo stato dei luoghi e decidere caso per caso. Il fabbricato, in ipotesi, potrebbe essere stato realizzato anche in difformità da quanto progettato e i titoli di proprietà originari, con cui il costruttore ha trasferito le proprietà ai singoli condomini, potrebbero non contenere la giusta rappresentazione della realtà. Ma dove progetti e titoli di proprietà potrebbero fallire, il registro dell'anagrafe condominiale, recentemente introdotto dalla riforma del condominio, potrebbe rappresentare una valida soluzione per evitare la trappola delle liti inutili.

La lite per l'utilizzo dei parcheggi
Il caso nasce quando alcuni condomini contestano ai vicini di aver annesso (abusivamente) ai propri box auto, una parte del corridoio (condominiale) di accesso e di manovra. Ma come si è giunti a questa considerazione? Secondo i denuncianti, lo stato dei luoghi sarebbe difforme dal progetto originario in cui i box auto erano di dimensioni più ridotte rispetto allo stato dei luoghi per cui sarebbe evidente l'illegittimo accorpamento, da parte dei vicini, della proprietà condominiale in quella privata. Di contro, i convenuti proclamavano la propria innocenza. I box auto e le relative pertinenze erano stati acquistati nello stato di fatto in cui si trovavano direttamente dal costruttore e, nel tempo, non avevano subito alcun ampliamento, men che meno ai danni della proprietà comune. Ovvio che, non riuscendo a dirimere la controversia in ambito condominiale, si ricorra alla carta bollata.
Il Tribunale, in primo grado, ritiene possibile che il costruttore, quale unico proprietario del complesso, abbia apportato delle varianti ai progetti assentiti e che le differenze tra questi ultimi e lo stato dei luoghi siano preesistenti alla costituzione del condominio e al trasferimento della proprietà ai singoli condomini. La responsabilità del fattaccio, quindi, non sarebbe imputabile ai singoli proprietari ma dovrebbe essere addebitata al costruttore del complesso. La Corte d'Appello cambia rotta: lo stato dei luoghi è un elemento irrilevante e ciò che conta è il progetto assentito. Se quest'ultimo prevede che uno spazio sia condominiale, tale rimane! Ma come si è giunti a tale conclusione? Il punto di partenza è rappresentato dagli atti di acquisto degli immobili che riportavano gli estremi della concessione edilizia in base alla quale gli immobili erano stati realizzati, ciò rendeva possibile risalire ai progetti del manufatto. I grafici progettuali prevedevano otto box auto, a fronte dei cinque esistenti, mentre la corsia condominiale era misteriosamente scomparsa. Di qui la logica conseguenza: il proprietario del box occupava abusivamente uno spazio comune originariamente destinato a corsia di accesso ai garage! Questa, almeno, la conclusione della Corte d'Appello a cui, evidentemente non si è disposti ad arrendersi per cui la questione finisce in Cassazione.

Il progetto non conta
Sbaglia la Corte di Appello nel fare affidamento sui titoli concessori! E' questo il parere della sesta Sezione della Corte di Cassazione che, con l'ordinanza n. 3908, depositata in cancelleria lo scorso 19 febbraio 2014, rimette la questione ad un ulteriore esame della Corte di Appello. Secondo i giudici romani, mettere i paletti al diritto di proprietà stabilendo se un bene ha natura condominiale rientrando nel dettato dell'art. 1117 cod. civ. ovvero per fissare l'estensione del diritto di proprietà del singolo condomino, non è possibile fare affidamento sul progetto originario. Bisogna aver riguardo, invece, allo stato dei luoghi, tenendo conto dell'effettiva e concreta destinazione funzionale ad uso collettivo delle aree.

I titoli di acquisto non sono convincenti
Ai fini della individuazione degli spazi condominiali, anche i titoli di acquisto potrebbero essere irrilevanti. La circostanza che il titolo di acquisto del box auto non coincida perfettamente con il realizzato è un elemento ininfluente ai fini della determinazione dell'estensione dei diritti condominiali. Come giustamente sottolineato dalla Cassazione, la menzione nei titoli di acquisto, degli estremi del titolo edificatorio, assolve ad un'esigenza formale imposta dalla legge 47/1985 ma non esplica alcun effetto ai fini della individuazione dei beni comuni. Il principio è certamente condivisibile! La legge del 1985 (la prima legge sul condono edilizio), al fine di ostacolare il trasferimento degli immobili abusivi, introdusse l'obbligo di indicare negli atti di trasferimento immobiliare gli estremi del titolo abilitativo dei lavori che ne aveva autorizzato la realizzazione (con la conseguenza che gli immobili abusivi diventavano, di fatto, invendibili) ma tale circostanza non esplica alcun effetto in ambito condominiale. La pratica, inoltre, dimostra che spesso il costruttore non esegue pedissequamente il progetto assentito e, nel corso dei lavori, spesso vengono apportate delle piccole varianti in corso d'opera che, anche se non del tutto lineari, non alterano sostanzialmente la regolarità urbanistica ed edilizia del manufatto.

Anche la situazione catastale non è decisiva
La circostanza che possano verificarsi delle differenze tra il progettato e l'edificato è un malvezzo tutto italiano a cui solo recentemente si sta cercando di porre rimedio non tanto per scongiurare le beghe condominiali quanto per rimpinguare le casse erariali. L'art. 19, comma 16 ("Aggiornamento del catasto") del D.L. 78 del 31 maggio 2010 "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica", convertito con modifiche dalla legge 122 del 30 luglio 2010, modificando l'art. 29 della legge 52 del 27 febbraio 1985 "Modifiche al libro sesto del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento alla introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservatorie dei registri immobiliari" ha aggiunto il comma 1-bis. La norma ha introdotto un ulteriore balzello negli atti di compravendita immobiliare imponendo di verificare, a pena di nullità, l'allineamento tra lo stato dei luoghi e le planimetrie depositate in catasto.
La stessa Cassazione (questa volta la Sez. II) è intervenuta sul tema delle proprietà comuni ex art. 1117 cod. civ. con la sent. n. 147 dell'8 gennaio 2014. Questa volta la lite ha a oggetto l'individuazione dei beni comuni e, in particolare, l'impianto elettrico di illuminazione delle scale, il quadro di alloggio dei misuratori di energia elettrica e il portone di ingresso dello stabile condominiale.
Secondo il Tribunale, «il portone era indubitabilmente comune, un utilizzo del medesimo non poteva avvenire che con un unico impianto elettrico, che pertanto doveva considerarsi comune».
La Corte d'Appello, però, ribalta il giudizio ed esclude la natura condominiale dei beni in questione in quanto essi non erano menzionati nell'atto costitutivo del Condominio. Secondo la Corte di Appello «la presunzione di cui all′art. 1117 cod. civ. non opera quando come nella specie il bene, dotato di propria autonomia e indipendenza, non sia destinato al servizio comune: l'impianto elettrico di illuminazione delle scale, il collegamento del campanello e dell'apriporta del portone di ingresso erano di proprietà esclusiva del convenuto». E invero, nel caso in esame, era stata fornita la prova che gli impianti erano sin dall'origine due, con due distinti contatori, uno al servizio dell'appartamento dell'appellante e, l'altro, degli appellati.

I fatti contano più delle carte
La Cassazione, partendo dal presupposto di fatto che le unità immobiliari erano dotate di impianti distinti ed autonomi, ha ritenuto corretta la sentenza del giudice di appello che aveva escluso l'applicabilità della presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 cod. civ. In parole povere, affinché il bene possa rientrare tra quelli condominiali, è necessario che «il comune godimento sia posto contemporaneamente al servizio delle proprietà esclusive e la cui installazione sia di reciproco vantaggio per i singoli condomini». D'altra parte, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, nell'atto costitutivo del condominio, al quale occorre fare riferimento per stabilire la natura comune dei beni, mancava una specifica menzione dell'impianto de quo. L'insegnamento della Cassazione, quindi, è semplice: per stabilire se un bene è di natura condominiale o rientra nella proprietà privata, bisogna partire dall'esame dei luoghi non essendo possibile fare affidamento su concetti generali o, detto in termini diversi, i principi contenuti nel codice civile hanno portata generale ma devono essere adeguati al caso concreto.

Non è facile decidere tra beni comuni e privati
La casistica della Cassazione dimostra, senza ombra di dubbio, come non è assolutamente agevole tracciare un netto spartiacque tra beni comuni e privati e anche la recente riforma del condominio non sembra aver colmato questa lacuna. A questo punto, ci si chiede, esiste un mezzo per evitare le liti? L'occasione potrebbe essere rappresentata dal registro dell'anagrafe condominiale.

La riforma del condominio
Il registro di anagrafe condominiale è uno dei frutti più recenti introdotti dalla legge 220 dell'11 dicembre 2012 "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici" che ha posto a carico dell'Amministratore una serie di nuovi oneri. Stiamo parlando, in particolare, dell'art. 1130 cod. civ. "riformato" intitolato "Attribuzioni dell'amministratore". Tra i nuovi compiti affidati all'organo amministrativo, spicca quello relativo alla tenuta del registro di anagrafe condominiale. Ma... di cosa si tratta?

Nuovi oneri per l'amministratore
L'art. 1130 cod. civ., prevede testualmente che «L'amministratore, oltre a quanto previsto dall'art. 1129 e dalle vigenti disposizioni di legge, deve: … 6) curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza [delle parti comuni dell'edificio]. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all'amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L'amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore incarica un tecnico per l'acquisizione di ogni informazione necessaria, addebitandone il costo ai responsabili;».

Il registro di anagrafe condominiale
Secondo una prima lettura della norma, il registro di anagrafe condominiale dovrebbe limitarsi a raccogliere tre tipologie di dati: una prima serie di dati, di tipo soggettivo, relativa all'identificativo dei condomini; una seconda serie di dati oggettivi, relativi all'identificativo immobile; una terza serie di dati, di natura oggettiva, relativi alle condizioni di sicurezza del fabbricato. Sotto tale ultimo profilo, l'art. 1, comma 9, lett. c) del D.L. 145 del 23 dicembre 2013, convertito con modificazioni dalla legge 9 del 21 febbraio 2014, "Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia"", modificando l'art. 1130, comma 1, n. 6, cod. civ., come modificato dalla legge 220/2012 (riforma del condominio), ha chiarito che il riferimento alle "condizioni di sicurezza" deve essere interpretato in relazione alle "parti comuni dell'edificio" e non alle singole unità immobiliari. Messo da parte il problema della sicurezza, l'amministratore si troverebbe a gestire un duplicato del catasto che, per l'appunto, è l'Ente istituzionalmente preposto alla gestione dei dati relativi agli identificativi catastali dei singoli immobili e dei relativi proprietari.
Lo scopo della riforma, peraltro, non è quello di duplicare gli adempimenti burocratici, bensì quello di gestire in sicurezza il condominio attraverso la figura dell'amministratore, il cui compito, non è certamente quello di gestire i dati e gli adempimenti catastali, essendo peraltro sprovvisto dei relativi poteri che competono all'Erario e vengono esercitati attraverso l'Agenzia del territorio.
In definitiva, l'amministratore di condominio avrebbe due funzioni istituzionali. Sotto un primo profilo, avrebbe la gestione immediata dei beni comuni; secondo una diversa prospettiva, e in via mediata, l'amministratore verrebbe chiamato a assolvere una funzione di pubblico interesse dovendo garantire la sicurezza del fabbricato e, in tal modo, dell'intera collettività. In tale ottica, l'amministratore, sotto il primo profilo, avrebbe il compito di individuare, con precisione, i condomini e l'estensione dei loro diritti per avere un quadro generale dell'immobile. Parallelamente, dovrebbe avere contezza dei servizi comuni anche al fine di garantire la sicurezza non solo dei condomini residente, ma dell'intera collettività.
Tramite il registro di anagrafe condominiale, l'amministratore dovrebbe avere contezza dello stato dei luoghi in modo da poter intervenire in caso di necessità. Poniamo che il condominio esegua dei lavori di straordinaria manutenzione. L'amministratore dovrà essere in grado di intervenire per sorvegliare che non vengano danneggiati i servizi comuni e la stessa struttura del corpo di fabbrica. Quante volte, specie le piccole imprese, provvedono all'apertura di nuove porte, spostamento di muri, interventi sulle strutture portanti? Il registro dell'anagrafe permetterebbe all'amministratore di avere contezza dello stati dei luoghi per poter effettuare un controllo in corso d'opera. Ma, per poter esercitare un'azione di controllo, non è sufficiente avere i dati catastali degli immobili essendo necessarie delle planimetrie progettuali che diano una rappresentazione chiara e precisa dell'intero fabbricato e dei singoli immobili che lo compongono. E non finisce qui!
Il famoso registro non dovrebbe limitarsi a raccogliere i dati catastali dell'immobile ma, in primo luogo, dovrebbe individuare i soggetti che, vuoi come proprietari, vuoi come titolari di diritti reali, accampano dei diritti sulla res condominiale. Scopo della norma, sotto questo profilo, quindi, sarebbe in primo luogo l'individuazione dei singoli condomini ovvero dei soggetti abilitati a partecipare all'assemblea e, parallelamente, obbligati a contribuire economicamente alla gestione del condominio. Sotto il profilo oggettivo, il "registro" dovrebbe indicare l'estensione dei diritti vantati dai singoli condomini. Se un condomino ha un diritto specifico su un singolo bene (si pensi al diritto di affaccio o di transito nel cortile condominiale, ovvero il diritto di prendere area a luce dall'androne del portone) tale diritto dovrebbe essere annotato nel "registro" con un duplice obiettivo. Da un lato si tratterebbe di chiarire quali sono i diritti dei singoli condomini, dall'altro di individuare gli oneri a loro carico. Diritti e oneri, infatti, vanno a braccetto: rifacendoci all'esempio, se ho il diritto di affaccio o transito nel cortile condominiale, ovvero il diritto di area e luce dall'androne del portone, vorrà dire che dovrò farmi carico di una maggiore quota millesimale contribuendo parallelamente alle relative spese.
L'amministratore di condominio, quindi, dovrebbe farsi carico di acquisire i titoli di proprietà dei singoli condomini e annotare nel registro i diritti, gli obblighi e le servitù posti a carico di ciascun partecipante al condominio in modo tale da avere sempre un quadro preciso e dettagliato della situazione.
In tale ottica il "registro" non dovrebbe limitarsi a duplicare il catasto ma servirebbe per mappare la consistenza dei diritti (e correlati obblighi) dei singoli condomini. In tale contesto, il registro costituirebbe un ausilio insostituibile per la formazione e/o la revisione delle tabelle millesimali. Una volta ottenuta la mappatura dei diritti, si tratterebbe solo di trasformarli in millesimi di proprietà.

Come si forma il registro?
In linea di principio occorre partire dal presupposto che ogni condominio dovrebbe collaborare per la corretta gestione del condominio e, in tale ottica, dovrebbe fornire spontaneamente all'amministratore i dati necessari per la formazione e l'aggiornamento del registro dell'anagrafe. Eventualmente, il condomino potrebbe trasmettere all'amministratore anche un estratto dell'atto di acquisto del proprio immobile con indicazione dei diritti vantati. E' anche logico supporre che chi non ha dichiarato il possesso del diritto non potrà esercitarlo. Quanto ai dati tecnico-progettuali, essi potranno essere reperiti presso l'impresa che ha realizzato il fabbricato o presso gli uffici tecnici comunali. Nel caso di immobili storici, bisognerà armarsi di pazienza e affidare a un tecnico il compito di una mappatura completa del fabbricato. Non bisogna comunque dimenticare che sarebbe oltremodo riduttivo considerare l'amministratore di condomino come un semplice ragioniere che tiene la cassa riscuotendo le quote condominiali e pagando le fatture. La riforma del condominio ha posto l'accento sulla professionalità di questa figura che dovrà farsi carico di acquisire al necessaria capacità tecnica per gestire anche e soprattutto gli aspetti tecnico-progettuali del fabbricato.
Necessario trasmettere copia del titolo di proprietà?
A seguito dell'entrata in vigore della riforma del condomino, si è discusso sulla necessità che il singolo condomino trasmetta all'amministratore copia del titolo di proprietà. Come di consueto, si sono formati due schieramenti diametralmente opposti. Personalmente propenderei per l'obbligo, posto a carico di ciascun condomino, di fornire copia del titolo di proprietà. Tale tesi troverebbe il proprio fondamento nell'art. 18 della legge 220/2012 che ha riscritto l'art. 63 delle disposizioni di attuazione del cod. civ. La norma, all'ultimo comma, prevede: «chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'Amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto». Se il condomino ha l'obbligo di fornire all'amministratore copia autentica del titolo di acquisto in occasione del trasferimento delle proprietà, non si vede per quale ragione non debba farlo in fase iniziale, al momento della costituzione del registro anagrafico.

In conclusione
Per concludere potremmo affermare che la riforma del condominio ha portato maggiore trasparenza nei rapporti condominiali riconoscendo e promuovendo la qualificazione professionale degli amministratori di condominio. Proprio in funzione della professionalità richiesta, all'amministratore vengono devoluti nuovi compiti, ivi compresa la tenuta del registro anagrafico. Tale registro non dovrebbe limitarsi ad uno sterile duplicato del catasto ma dovrebbe servire ad assicurare una chiara visione dell'intero condomino fotografando lo stato dei luoghi sia dal punto di vista soggettivo, con l'individuazione dei singoli condomini e dei relativi diritti vantati da ciascun partecipante, che dal punto di vista oggettivo, con la precisa individuazione della consistenza patrimoniale dell'immobile condominiale.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/condominio/2014-11-24/beni-comuni-privati-distinguerli-183412.php?uuid=AbikZngK

Sblocca Italia/1: sanzioni rafforzate per chi non comunica l'inizio lavori (Cil)

Avviare ristrutturazioni di immobili o nuove costruzioni senza essere in regola con i titoli edilizi necessari costa sempre di più. Con la legge di conversione del Dl 133/2014 sblocca-Italia (legge 164/2014) sono state introdotte sanzioni maggiorate a carico di chi trasgredisce le regole che autorizzano nuove costruzioni e le ristrutturazioni.

Piccoli lavori
La sanzione per il mancato rispetto delle norme relative alla comunicazione di inizio lavori (Cil) per gli interventi minori, che possono essere eseguiti senza titolo abilitativo è stata di fatto quadruplicata: con le modifiche apportate dallo Sblocca Italia al settimo comma dell’articolo 6 del Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), questa sanzione è stata innalzata da 258 a mille euro. La multa non colpisce tutte le attività di edilizia libera, ma solo quelle che possono essere eseguite senza Scia e senza permesso di costruire ma a condizione che l’interessato comunichi l’inizio dei lavori all’amministrazione comunale, anche per via telematica.

Circoscrivere l’elenco è difficile: occorre comunque consultare il Comune dove ha sede l’immobile interessato dai lavori, visto che, sulle attività di edilizia libera, il Dpr fa salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali. Ma vi rientrano di sicuro:
• la pavimentazione e finitura di spazi esterni;
• la realizzazione di vasche di raccolta delle acque e di locali tombati;
• l’installazione di pannelli solari fotovoltaici al servizio degli edifici ubicati fuori dai centri storici;
• la realizzazione di aree ludiche senza fini di lucro e la realizzazione di opere per l’arredo delle aree pertinenziali degli edifici.

Colpiti dall’aumento anche gli interventi di manutenzione straordinaria sui servizi igienico-sanitari e tecnologici, l’apertura di porte interne, lo spostamento di pareti interne, oppure modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa. Per questi ultimi la comunicazione di inizio lavori deve essere asseverata da un tecnico abilitato, che attesti la loro conformità agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi e certifichi che i lavori non intaccano le parti strutturali.

La sanzione si paga per l’importo intero se l’infrazione viene rilevata dal Comune in corso d’opera o a lavori conclusi, ma se l’interessato effettua spontaneamente la comunicazione mentre l’intervento è ancora in corso, si riduce a un terzo.

La mancata demolizione
Le modifiche all’articolo 31 del Dpr 380/2001 introducono una sanzione pecuniaria anche per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al progetto approvato dal Comune.

Finora, quando il dirigente comunale accertava che un’opera era stata eseguita senza il necessario permesso o se ne discostava sostanzialmente, intimava al suo proprietario e a chi era responsabile dell’abuso, di demolirla e riportare l’area a come era prima dell’intervento, altrimenti l’immobile passava nel patrimonio del Comune. Ora, con la conversione in legge del Dl 133/2014 chi non ottempera all’ordine di demolizione del Comune, dovrà pagare anche una multa di importo compreso tra i 2mila e i 20mila euro. Queste cifre possono essere aumentate dalle Regioni a statuto ordinario, che hanno anche la possibilità di comminarle periodicamente, fino a quando non viene eseguita la demolizione. Saranno, verosimilmente, le singole amministrazioni comunali a stabilire la cifra esatta da pagare in base alla gravità dell’abuso.

La nuova norma non lascia, però, alcuno spazio di manovra se le opere sono eseguite senza titolo, o in difformità, su aree sulle quali le leggi statali e regionali o le norme urbanistiche hanno posto un vincolo di inedificabilità, o le hanno destinate ad opere e spazi pubblici oppure alla costruzione di alloggi di edilizia residenziale pubblica: in questi casi i Comuni devono applicare la sanzione massima di 20mila euro. Per i tecnici comunali è rischioso indugiare nell’emanazione della sanzione, e tanto più non farlo. Possono farne le spese al momento della propria valutazione per l’attribuzione di gratifiche salariali o di avanzamenti di carriera; ma possono incorrere anche in responsabilità penali, disciplinari e amministrativo-contabili.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/edilizia-privata/2014-11-20/sanzioni-rafforzate-miniabusi-180353.php?uuid=AbYJgdfK

Nuova entrata dall'androne anche se c'è l'accesso dal viale

La proprietaria di un locale a pianterreno, al quale si accede dal viale condominiale, può aprire una nuova entrata nell'androne della scala. Il secondo ingresso non costituisce, infatti, una servitù di passaggio, non altera irreversibilmente la destinazione dell'androne né priva gli altri condomini della possibilità di usare la parte comune.

La suprema Corte (sentenza 24295/2014) accoglie così il ricorso della proprietaria di due locali e fa cadere una ad una tutte le eccezioni sollevate dall'assemblea dei condomini che, con una delibera, avevano fatto scattare il semaforo rosso ai lavori per l'apertura della nuova entrata.

La Cassazione chiarisce che la servitù di passaggio si configura solo quando si crea un collegamento diretto tra diversi immobili di proprietà di un privato, mentre nel caso esaminato con la seconda "via" la proprietaria determinava solo un utilizzo più intenso del bene comune facilitando il transito dei condomini e dei terzi verso le singole unità abitative della scala.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/condominio/2014-11-20/nuova-entrata-androne-anche-174917.php?uuid=AbEdqdfK

Nuovo fondo per abbattere gli abusi edilizi

Potrebbe sembrare un caso, ma di sicuro dovrebbe far riflettere la notizia che, dopo un anno, il Collegato Ambientale alla legge di Stabilità del 2014 è stato approvato alla Camera e passa ora al Senato. Proprio nei giorni peggiori del nostro Paese, allagato da fiumi e torrenti che esondano, complice una cementificazione selvaggia di cui sono vittime le nostre città, apprendiamo che è stato istituito un fondo in cui confluiranno per quest’anno ben 10 milioni di euro destinati ad abbattere immobili totalmente o parzialmente abusivi.

Nell’occhio del ciclone sono finite le costruzioni che non hanno rispettato o, addirittura, non hanno neppure richiesto una concessione edilizia, soprattutto se presenti in zone ad alto o potenziale rischio idrogeologico. Ai Comuni vengono richieste delle liste da compilare con gli interventi più urgenti che riguardino immobili che hanno già ricevuto un’ordinanza di demolizione. Il Ministero dell’Ambiente, destinatario di questi elenchi, stabilirà poi a chi dare priorità in base alla rischiosità idrogeologica che verrà monitorata ogni trimestre su tutto il territorio italiano.

 

Una volta ricevuto il finanziamento, i Comuni devono provvedere entro 120 giorni alla demolizione, pena la restituzione dell’importo. Alla fine dei lavori le Amministrazioni potranno rivalersi su chi è responsabile dell’intervento abusivo, chiedendo anche gli interessi, in modo da restituire al fondo la somma impiegata. Alla luce della volontà di porre fine alle tragedie del maltempo di cui troppo spesso veniamo messi a conoscenza, è stato stabilito che anche per i piccoli interventi, come l’installazione di prefabbricati, roulotte, camper, depositi e magazzini, dovranno essere richiesti alle amministrazioni locali degli appositi permessi.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/nuovo-fondo-per-abbattere-gli-abusi-edilizi-20488

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