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Cresce la richiesta di prestiti anche per le ristrutturazioni

Che gli incentivi per le ristrutturazioni e per le riqualificazioni energetiche sarebbero stati prorogati lo avevano ipotizzato in molti, e infatti questi importanti bonus stanno spingendo gli italiani a osare un po’ di più con i prestiti. Dall’ultimo Osservatorio semestrale di Prestiti.it e Facile.it è emerso che gli importi stanno continuando a salire. Negli ultimi sei mesi si è registrato un +14% che, sulla base di un anno, diventa +22%: la richiesta media odierna è di circa 13.000 euro. Se lievitano gli importi che gli italiani osano richiedere, dall’altro lato diminuiscono i loro stipendi, fondamentali per il rimborso del finanziamento. Ecco anche perché si sono allungati i tempi necessari alla restituzione del prestito che arrivano a 66 mesi, ossia cinque anni e mezzo.

 

 

Chi richiede un prestito in Italia continua a essere un uomo (74%), ha 42 anni, un anno in più rispetto a sei mesi fa, e guadagna 1.500 euro al mese, vale a dire 200 euro meno rispetto a ottobre 2013.

Le ristrutturazioni e l’acquisto di arredi, come abbiamo anticipato, rappresentano una fetta molto importante delle finalità che si dichiarano in fase di preventivo:  delle 40 mila richieste analizzate dai due comparatori, le prime rappresentano il 15,4% del totale, mentre i mobili arrivano al 9,8%, quasi il 2% in più rispetto all’ultima rilevazione. Sul podio c’è il bisogno di liquidità che è stato indicato dal 22,3% di chi ha chiesto un finanziamento esplicitandone la finalità.

A livello locale, Calabria e Sardegna sono le due regioni italiane che chiedono gli importi più alti (rispettivamente 14.400 e 14.300 euro); il Molise è la regione dove i tempi di rimborso sono più brevi (64 mesi) e, per concludere, l’Emilia Romagna è quella dove i richiedenti sono più giovani e hanno mediamente 40 anni.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/cresce-la-richiesta-di-prestiti-anche-per-le-ristrutturazioni-20672

Caldaia a condensazione, l’investimento si ripaga in quattro anni grazie a bonus e risparmi in bolletta

 

Il principio è semplice. Recuperare il calore dei gas di scarico e rimetterlo in circolazione, per sfruttare al meglio il potenziale energetico del combustibile e ottenere rendimenti più elevati, oltre che ridurre le emissioni inquinanti. La tecnologia della caldaia a condensazione è matura e consolidata, e in ottica di efficienza energetica e quindi di risparmio rappresenta un'ottima alternativa alla caldaia tradizionale.

Ma quali sono le soglie di convenienza? Quando e con quali vantaggi procedere alla sostituzione in un'abitazione con riscaldamento autonomo? «La vita media statistica di una caldaia a gas è di 14 anni», premette Alessandro Bonati, esperto di Domotecnica. «Ma 5-6 anni è già un'età di sostituzione conveniente, se puntiamo a una tecnologia a condensazione».

L'intervento complessivo si ripaga in tempi brevi, in media 4-5 anni; mentre la specifica differenza di prezzo rispetto a una “normale” caldaia ad alto rendimento viene ammortizzata in 1-2 anni. È vero infatti che l'apparecchio a condensazione costa di più (30-40%), ma offre rendimenti che sugli attuali modelli disponibili – secondo le stime dell'Energy Strategy Group del Politecnico di Milano – variano dal 105 al 109%, contro il 90-93% della tradizionale. All'accelerazione del pay-back contribuisce inoltre la possibilità di intercettare i bonus fiscali, quello sulle ristrutturazioni al 50% e quello sul risparmio energetico al 65%, che la legge di stabilità in discussione al Parlamento promette di prorogare alle attuali percentuali per tutto il 2015.

È chiaro che gli interventi più efficaci per ridurre i consumi sono quelli globali, che agiscono sull'insieme del sistema impianto-involucro dell'edificio. Già la sostituzione di una caldaia poco efficiente, sottolineano gli specialisti di Domotecnica, consente un importante taglio alla bolletta. «Il risparmio della condensazione è proporzionale al consumo. Bisogna dunque in ogni caso guardare alla situazione di partenza, che dipende dalle caratteristiche costruttive dell'edificio-impianto e dalle condizioni climatiche della specifica località», spiega Bonati. A mo' di esempio generale, prendiamo una famiglia che vive in un appartamento di 90 mq e spende 1.500 euro di gas, di cui 1.150 per riscaldamento e 300 per acqua calda sanitaria: che vantaggi si delineano? Installare una caldaia a condensazione al posto di una tradizionale porta in sé un risparmio di gas tra il 15 e il 30%: il 23% medio sulla bolletta, pari a circa 260 euro all'anno. «Se aggiungiamo l'effetto della detrazione al 50%, per questo intervento considerato di “manutenzione straordinaria” – prosegue Bonati –, la spesa totale di sostituzione (2.300 euro) rientra in meno di 4 anni e mezzo». Dal quinto anno, insomma, si comincia a guadagnare.

Per raggiungere il maxi sconto del 65% proposto dall'ecobonus fiscale, oltre al consueto bonifico “parlante” dedicato, vanno invece presi in esame ulteriori obblighi. «Il rendimento della caldaia deve rientrare in un valore tabellato, garantito dalla certificazione del produttore, e va inviata comunicazione all'Enea entro 90 giorni dalla fine dell'intervento, che deve includere l'installazione delle valvole termostatiche», spiega Bonati. Un lavoro del genere (con requisiti di rendimento della caldaia, lavoro sui terminali, sistema intelligente di gestione della temperatura di mandata, eccetera) è più completo e fa certo crescere i costi: nel nostro esempio, almeno a 3.500 euro. Si lega però a un aumento dei risparmi, che si attestano in media al 25%, pari a quasi 290 euro. Il risultato è un tipo di rientro simile, se non inferiore, al precedente (intorno ai 4 anni), ma con prospettive di guadagno più elevate, senza contare il maggior comfort e la possibile integrazione con le rinnovabili. «Ai fini dell'efficienza conta anche il tipo di impianto di distribuzione, perché il rendimento è tanto maggiore quanto minore la temperatura di funzionamento dei radiatori. Con impianti che funzionano a basse temperature dell'acqua, come nel caso dei pannelli radianti (tra i 30-40 gradi, contro i 60-80 dei “classici” termosifoni, ndr) il risparmio complessivo dell'installazione di una caldaia a condensazione può tendere al 30% e oltre e abbattere ulteriormente i tempi di rientro».

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/mercato-immobiliare/2014-12-10/caldaia-condensazione-linvestimento-ripaga-163512.php?uuid=AbFEdilK

Abitazione principale, guida alle tasse di fine anno

 

Il 16 dicembre quasi 23 milioni di soggetti proprietari della casa in cui risiedono saranno chiamati al pagamento della Tasi. In pochi eviteranno l’appuntamento con la tassa sul mattone: coloro che possiedono un immobile con un valore catastale che non genera imposta, in quanto completamente assorbita dall’eventuale detrazione riconosciuta dal Comune, quelli che hanno l’alloggio in uno dei rari Comuni che hanno escluso dalla tassa tutti gli immobili e, in molti casi, i proprietari delle abitazioni di lusso che scontano invece l’Imu.
L’abitazione principale
Ma procediamo con ordine partendo dalla definizione di abitazione principale che è la stessa dell’Imu. Si tratta dell’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Ne discende che in caso di utilizzo di più unità abitative, il contribuente dovrà scegliere quale di esse considerare abitazione principale con conseguente esclusione dall’Imu e assoggettamento, nella generalità delle situazioni, alla Tasi.

Tutte le altre unità saranno considerate immobili diversi dall’abitazione principale. È da ritenere che questa regola incontri una deroga quando l’accatastamento unitario sia precluso dalla diversa titolarità dei due beni, come si verifica nel caso in cui un appartamento risulti in proprietà alla moglie e l’altro al marito, fermo restando l’unitario utilizzo come abitazione principale di entrambi. In questa ipotesi, infatti, è possibile richiedere un accatastamento unitario delle due unità, in esito al quale le due unità vengono considerate come porzioni di un unico complesso immobiliare, pur conservando rendite catastali separate (Direzione centrale del catasto, nota n. 15232 del 2002). Affinché l’unità immobiliare possa essere considerata abitazione principale, è poi necessario che il proprietario vi dimori abitualmente e, inoltre, che lì abbia la residenza anagrafica. Vi è però un’eccezione, che riguarda gli appartenenti al comparto sicurezza, ai quali non sono richieste le condizioni della dimora e della residenza in relazione, però, a un solo fabbricato, purché non di lusso e non locato.
I coniugi
Va poi ricordato che in presenza di coniugi non separati ma con residenze diverse in due unità abitative possedute dagli stessi soggetti, occorre distinguere a seconda che i due immobili siano, o meno, nello stesso Comune. Nella prima ipotesi, solo uno dei due fabbricati sarà considerato abitazione principale sulla base della scelta operata dai contribuenti. Nella seconda eventualità, invece, entrambi sono abitazioni principali. Le stesse regole previste per il calcolo della Tasi dovuta per l’abitazione principale trovano applicazione anche alle pertinenze di cui all’articolo 817 del Codice civile, si ritiene però, con le stesse limitazioni previste per l’Imu: ossia si deve trattare di una sola unità immobiliare per ciascuna delle categorie catastali C2 (depositi), C6 (autorimessa) e C7 (tettoie, chiuse o aperte). In pratica, si potranno avere, al massimo, tre pertinenze: una accatastata in C2, l’altra in C6 e la terza in C7. Le pertinenze richiedono particolare attenzione anche con riguardo all’eventuale detrazione che il comune potrebbe aver collegato alle rendite catastali. Alcune delibere prevedono, invero, la quantificazione della detrazione in ragione della rendita del solo appartamento; altre, invece, con riguardo alla sommatoria delle rendite dell’abitazione e delle relative pertinenze. Rispetto al calcolo dell’imposta da versare entro il 16/12, occorrerà poi verificare quando il Comune ha inviato la delibera della Tasi al dipartimento delle Finanze per la pubblicazione sul sito internet del ministero. Se infatti la delibera è stata pubblicata entro il 31 maggio 2014, il contribuente dovrebbe aver già versato l’acconto entro il 16 giugno (termine differito al 16 ottobre se la delibera sia stata pubblicata entro il 18 settembre) e pertanto, il 16 dicembre, resterà da pagare il saldo. Diversamente, se la delibera è stata pubblicata dopo il 18 settembre, oppure non compare proprio sul sito ministeriale in quanto non adottata o non trasmessa, il tributo sarà dovuto in unica soluzione, sempre entro il 16 dicembre, con applicazione dell’aliquota di base dell’1 per mille.

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20141209&startpage=1&displaypages=2

Notai e classi energetiche: il loro ruolo è centrale

In sede di compravendita bisogna tenere gli occhi aperti su moltissime cose, una fra queste è la classificazione energetica dell’immobile che, come sappiamo, oggi acquista un aspetto centrale sia per il fabbricato che per le singole unità abitative.

Nel controllo e nella verifica della regolarità delle certificazioni, come ricorda in un post Monitorimmobiliare, il notaio acquista una funzione importantissima di supporto e sostegno a chi compra casa. Il semplice cittadino può essere informato della necessità di allegare all’atto anche il certificato energetico dell’immobile, ma non può certamente controllarne in autonomia i dettagli e l’effettiva validità: per questo al notaio è chiesta particolare attenzione, considerate anche le sanzioni in cui si potrebbe incappare.


I certificati APE (attestato prestazione energetica) che attestano la classe dell’immobile e dei suoi impianti di riscaldamento e di raffreddamento, possono essere integrati con norme regionali che quindi il notaio deve tenere ben presenti quando procede con i controlli. Già in fase di trattative il compratore ha diritto di accedere a questi documenti, in modo da avere un quadro quanto più chiaro possibile sull’oggetto della compravendita.

In fase di rogito i certificati energetici disponibili, relativi al palazzo o all’immobile, tranne per poche eccezioni, devono essere allegati all’atto, pena una multa che da 3.000 euro può arrivare a 18.000 euro. Il notaio, prima della firma, avrà quindi dovuto controllare innanzitutto l’esistenza dell’Ape, successivamente deve verificarne la validità e la conformità a tutte le norme. In ultima istanza, bisogna anche controllare se il certificato in oggetto sia stato correttamente depositato per quelle regioni che hanno un archivio.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/notai-e-classi-energetiche-il-loro-ruolo-e-centrale-20629

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