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L'identikit di chi compra casa

 

 

Il 63,8% di chi compra un’abitazione ha tra 18 e 44 anni, lo rileva l’analisi delle compravendite dell’Agenzia del Gruppo Tecnocasa riferita al secondo semestre del 2014. Più nello specifico, il 30,4% di chi acquista la casa ha tra i 18 e i 34 anni, il 33,4% ha tra i 35 e i 44 anni, il 19,3% ha tra i 45 e i 54 anni, il 10,9% tra i 55 e i 64 anni e il 5,9% ha oltre 65 anni.

Dall’analisi emerge inoltre che nel periodo in esame oltre tre quarti degli acquirenti ha comprato l’abitazione principale, il 16,2% una casa come investimento e il 6,6% la casa per le vacanze; dati stabili rispetto allo stesso periodo del 2013. 
Si rileva inoltre che chi compra la casa principale diminuisce con il crescere dell’età, tranne che nella fascia oltre i 65 anni dove il dato torna a risalire leggermente.

 

 

 

Come nel 2013, ad avvalersi di un mutuo bancario per l’acquisto è stato il 54,4% del totale (era il 54,7% nello stesso periodo dell’anno precedente). Per quanto riguarda invece i dati relativi a chi ha scelto di vendere, la motivazione è stata nel 44,5% dei casi il miglioramento della qualità abitativa (55,1% nello stesso periodo del 2013), il 39,9% lo ha fatto per reperire liquidità (contro il 26,6% del secondo semestre dell’anno precedente) e il 15,6% per un trasferimento in altra zona o città. Aumenta con il crescere dell’età la percentuale di chi vende per reperire liquidità, mentre decresce con l’aumentare dell’età il numero di coloro che lo fanno per migliorare la qualità della vita. Passando infine ai contratti di locazione stipulati da Tecnocasa, il 58% utilizza l’affitto come scelta abitativa (in crescita del 3,1% sullo stesso periodo del 2013), il 35,5% per motivi di lavoro e il 6,5% per motivi di studio.

Fonte articolo: http://www.e-duesse.it/News/Cucine-Built-in/Mercato-immobiliare-il-63-8-di-chi-compra-ha-tra-18-e-44-anni-187664



L'Euribor negativo non incide sui mutui

Con l’Euribor a 3 mesi negativo si infrange un altro tabù nell’epoca del quantitative easing della Banca Centrale Europea. Non ci vuol molto infatti a capire che la discesa sotto zero del tasso interbancario più utilizzato in Italia per calcolare le rate dei mutui è l’ennesimo paradosso creato da quel mare di liquidità iniettato attraverso la siringa del piano Draghi. Lo stesso effetto che ha permesso ieri alla Spagna di essere «pagata» dagli investitori per emettere debito a tre mesi, cosa che in un futuro non troppo lontano potrebbe avvenire anche al Tesoro italiano.
L’impatto sui tassi delle manovre Bce è insomma talmente dirompente che una banca è addirittura disposta a pagare un millesimo per prestare denaro a un altro istituto europeo, perché è sempre più vantaggioso che lasciare lo stesso denaro presso i forzieri Bce versando ben 20 centesimi per il parcheggio oppure acquistare un titolo tedesco a 3 mesi rimettendoci lo 0,35 per cento.

 

Di questo genere di paradossi i mutuatari vedono soltanto una parte, perché a chi ha scelto un prestito immobiliare variabile resta in fondo lo spread da versare e in molti casi non è roba da poco: non si corre quindi il «pericolo» di essere pagati per prendere un mutuo come è accaduto di recente in Danimarca. Quel millesimo sotto lo zero è in più davvero difficile da avvertire sulla rata, visto che gli arrotondamenti del tasso avvengono al centesimo se non al decimo di punto percentuale. Sarà addirittura impossibile da percepire per quanti si apprestano a stipulare un mutuo adesso, dato che le stesse banche, colte di sorpresa, sono corse a inserire sui nuovi prodotti apposite clausole attraverso le quali si impedisce di sottrarre dal tasso finale il valore dell’Euribor quando questo è negativo.

Ciò che conta per le famiglie italiane, al di là dell’aspetto puramente simbolico del centesimo in più o in meno, è la piega che la vicenda potrebbe prendere nei prossimi mesi. In fondo gli acquisti Bce sono soltanto all’inizio e con questi anche l’inondazione di liquidità sul mercato interbancario: Giuseppe Maraffino di Barclays Research sostiene che l’Euribor 3 mesi potrebbe scendere fino a -0,05% entro settembre o addirittura spingersi potenzialmente fino a -0,15%, a patto che la politica monetaria di Draghi resti estremamente accomodante e la crisi greca non metta i bastoni fra le ruote. Atene rappresenta infatti l’insidia maggiore per la discesa degli Euribor, dato che le eventuali tensioni farebbero presumibilmente riaffiorare il premio al rischio che le banche considerano quando si prestano il denaro e che al momento è quasi inesistente.

Ma è guardando oltre il 2015 che la vicenda si fa ancora più interessante, perché l’eccesso di liquidità per oltre mille miliardi di euro che verrà creato dalla Bce con il suo «qe» è destinato ad assorbirsi con molta gradualità. Ancora secondo Barclays gli Euribor rimarranno su questi livelli o più in basso per tutto il 2017. E anche di questo dovranno tenere conto quei mutuatari che proprio in queste settimane sono tempestati dalle telefonate delle filiali bancarie con proposte allettanti per passare dal tasso variabile al fisso.

Fonte articolo: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2015-04-22/il-tasso-va-sotto-zero-ma-mutui-l-effetto-e-nullo-085727.shtml?uuid=ABZdMQTD

Patrimonio immobiliare e prelievo fiscale: Italia ed Europa a confronto

Si parla spesso della pressione fiscale che grava sulle spalle degli italiani proprietari di immobili, ma molto meno di quello che accade al di fuori dei confini nazionali. Qual è la situazione negli altri Paesi europei? In Germania, in Spagna, in Grecia, per esempio.

Una risposta arriva dalla recente pubblicazione Gli immobili in Italia 2015 realizzata dagli esperti dell’Agenzia delle Entrate in collaborazione con Sogei, la società ITC del Ministero delle finanze.
Il primo dato che spicca emerge dal confronto tra l’andamento del prelievo sul patrimonio finanziario e immobiliare tra Germania, Italia, Spagna, Francia e Regno Unito negli anni 2000, 2010 e 2012.

 

Se è vero che l’Italia è stata quella che nel biennio 2010-2012 ha subito il maggiore incremento, passando dal 4,8% al 6,2%, occorre dire che, tranne in Germania, il prelievo fiscale era già molto alto nel 2010 in tutti i Paesi considerati: 6,4% in Spagna (ridotto a 6,2% nel 2012), 8,5% in Francia (praticamente immutato nel 2012 con l’8,6%) e nel Regno Unito 12% (ridotto all’11,8% nel 2012).
In tutti i Paesi esaminati l’abitazione principale è esente dall’imposta sui redditi delle persone fisiche e gode di un trattamento preferenziale per l’acquisto che include forme dirette di sussidio, deduzioni/detrazioni fiscali per gli interessi sui mutui e riduzioni di prelievo sui redditi della prima casa.
Questo trattamento fiscale di favore per la proprietà immobiliare (e per la abitazione principale in particolare) è spesso giustificato dalla natura specifica del bene «abitazione» e dalle esternalità positive che possono essere associate alla scelta di dimorare nella casa di residenza da parte del proprietario.

Discorso interessante anche per quanto riguarda la deducibilità fiscale dal valore imponibile degli interessi sui mutui ipotecari contratti per l’acquisto della casa.
Per esempio, Germania, Grecia, Francia e Regno Unito non prevedono, oggi, alcun sistema di agevolazione fiscale sui mutui contratti. In Belgio, interesse e spese possono essere dedotti fino a un tetto massimo di 2.770 euro per i primi 10 anni e di poco più di 2.000 euro in seguito. In Olanda gli interessi sui mutui ipotecari possono essere interamente deducibili in regime di tassazione personale del reddito, mentre l’Estonia, pur consentendo un limite generale per la deducibilità fissato a 1.920 euro, si è verificata una stretta considerando che fino al 2013 l’importo deducibile era molto superiore (circa 3.200 euro).


Fonte articolo: http://www.geometri.cc/il-prelievo-fiscale-sulla-casa-tra-italia-ed-europa-cosa-cambia.html



L’efficienza energetica dell’immobile per rivalutare il mattone

Quando abbiamo, negli scorsi giorni, tracciato l’identikit della casa ideale, abbiamo sottolineato l’attenzione che, per gli italiani, riveste l’efficienza energetica dell’immobile a cui puntare: il 67% delle domande relative al comparto residenziale punta all’acquisto di immobili almeno in classe C. Un elemento che ci spinge a credere come sia ormai passato il messaggio che una classe energetica migliore comporta anche un risparmio notevole, considerando il lungo periodo. Eppure, molto si deve fare per far sì che a una domanda così consapevole corrisponda un’offerta adeguata.

Secondo gli ultimi calcoli di Nomisma l’83,6% degli immobili presenti sul territorio italiano è contraddistinto da una classe energetica bassa, mentre solo poco più del 15% vanta una classe compresa tra C e A+. L’ennesima prova che il patrimonio immobiliare del nostro Paese, in cui risiede larga parte della nostra ricchezza, si sta giorno dopo giorno deteriorando, e che bisogna correre ai ripari prima che sia troppo tardi. Anche perché, e questo è bene ribadirlo, se prima della grande crisi del comparto immobiliare era l’offerta a guidare la domanda, ora il settore si reggerà sui bisogni, sulla domanda stessa, che arriva da soggetti non più disposti a spendere per immobili vecchi e poco efficienti.

Riqualificazione” sembra essere, evidentemente, la parola chiave: sia come volano per dare respiro al settore edile, sia per evitare di svalutare ancora il mattone italiano. Federcostruzioni, intervenuta a commento dell’analisi, ha ribadito il concetto: più che puntare su nuove costruzioni ed infrastrutture, è meglio riqualificare il patrimonio urbano, senza dimenticare di renderlo sicuro dal punto di vista sismico e idrogeologico.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/nomisma-l%E2%80%9986-delle-case-italiane-non-e-in-classe-energetica-efficiente-21161

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