News dal franchising

News dal franchising (890)

Crescono le domande di prestiti per ristrutturare casa

Se le ultime notizie relative al Decreto Sblocca Italia hanno fatto sorridere il settore dell’edilizia nel suo complesso, grazie alle norme che rendono più semplice e veloce la ristrutturazione della propria casa, segnali positivi per il settore emergono sul fronte dei finanziamenti per effettuare i lavori di manutenzione: leggiamo nel dettaglio le analisi svolte da alcuni operatori finanziari.

I portali di prodotti finanziari Facile.it e Prestiti.it hanno preso in esame le richieste di prestiti personali finalizzati alla ristrutturazione arrivate nel periodo compreso tra il primo giugno al 31 agosto – periodo, questo, in cui si è fatta più serrata la discussione sul tema, grazie alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Piano Casa. Ebbene, rispetto al trimestre precedente, la percentuale dei prestiti per ristrutturazione è passata dal 14,5% al 16,1% del totale delle domande di finanziamento. Una prova, questa, che gli Italiani vogliono sfruttare incentivi ed agevolazioni progettando modifiche al proprio immobile.

Nel dettaglio della richiesta, parliamo di importi medi alquanto elevati: 13.100 euro, che seppur nettamente inferiori a quelli solitamente richiesti con un mutuo, restano elevati rispetto a quelli relativi ad altre finalità di prestito; va detto, ad ogni modo, che questa stessa cifra si è ridotta del 28% in due anni. La durata del finanziamento è di 75 mensilità, poco più di sei anni, con una rata media che oscilla attorno ai 220 euro al mese. Lo stipendio dichiarato in fase di preventivo è, in media, di 1700 euro; l’età del richiedente è, invece di 43 anni, mentre a prevalere sono le domande degli uomini (poco più del 70% del totale): di solito sono loro quelli che, in famiglia, guadagnano di più. Le donne che chiedono un prestito per la ristrutturazione, per canto loro, puntano ad un importo più basso di quello degli uomini (12.500 contro 13.500 euro) e, pur avendo la stessa età media, dichiarano di guadagnare meno di loro (1.350 contro 1.800 euro).

Fonte articolo:http://news.immobiliare.it/crescono-le-domande-di-prestiti-per-ristrutturare-casa-19917

Sos Tasi: le risposte dei nostri esperti ai dubbi avanzati dai lettori

In presenza di una pluralità di detentori l'importo della Tasi non cambia rispetto alla situazione di un unico detentore. Non rilevano le modalità con le quali i singoli utilizzatori decidono di ripartire il peso del tributo, poiché nei confronti del comune ciascuno è tenuto al pagamento per l'intero.

I dubbi dei contribuenti riguardano in larga parte la figura del detentore, che rappresenta la novità più rilevante dell'imposta sui servizi.
Occorre in primo luogo ricordare che per detentore si intende qualunque soggetto che utilizzi l'immobile a un titolo diverso dalla proprietà o altro diritto reale di godimento. È dunque una mera situazione di fatto che prescinde da qualsiasi formalizzazione contrattuale. A stretto rigore, quindi, è detentore la badante che convive con il soggetto assistito o il convivente in una coppia di fatto. Come pure è tenuto al pagamento l'inquilino che, pur in presenza di un contratto di locazione risolto, continui di fatto ad utilizzare l'immobile. Bisogna tuttavia ricordare che in caso di utilizzi temporanei di durata non superiore a 6 mesi, il detentore non è soggetto d'imposta, poiché l'intero peso della Tasi è addossato al proprietario.

La quota a carico dell'utilizzatore inoltre varia dal 10% al 30% dell'imposta, in funzione di quanto deciso nel regolamento comunale. In assenza di indicazioni locali, si assume il 10% (sempre che l'immobile risulti assoggettato alla Tasi). La Tasi del detentore è determinata facendo riferimento alle regole del possessore. Questo significa che l'aliquota da applicare deve essere individuata in funzione della posizione soggettiva del proprietario. Ne deriva pertanto che, salvo casi particolari, l'aliquota da applicare non sarà quella dell'abitazione principale, poiché per il proprietario l'immobile dato in uso a terzi non possiede di regola tale qualifica. Fanno eccezione i soci delle cooperative a proprietà indivisa e i locatari di alloggi sociali.

Va inoltre evidenziato che, in caso di una pluralità di locatari, nei confronti del Comune sussiste solidarietà nell'assolvimento dell'imposta. Ciò comporta che ciascuno di tali soggetti è teoricamente tenuto al pagamento dell'intero importo della Tasi. Pertanto, qualora l'ammontare complessivamente pagato risulti inferiore al dovuto, l'ente locale può richiedere la differenza, a discrezione, nei riguardi di alcuni o di tutti gli utilizzatori. Non rilevano nei confronti dell'ente impositore eventuali accordi volti a ripartire tra i soggetti passivi il carico della Tasi, trattandosi di pattuizioni aventi natura meramente privatistica. A tale scopo, potrebbe ad esempio ipotizzarsi una suddivisione del tributo sulla base della superficie occupata da ciascun locatario.

È senz'altro ammissibile il pagamento cumulativo della Tasi del detentore da parte di uno solo di essi, per conto di tutti, stante per l'appunto la coobbligazione solidale di legge: in questo caso il pagamento dell'intera cifra da parte di uno dei debitori solidali libera tutti gli altri.

La disciplina della Tasi, inoltre, qualifica come "unica" l'obbligazione dei detentori. A stretto rigore, questo dovrebbe comportare che, ai fini del superamento del limite minimo per il pagamento dell'imposta, occorra guardare all'importo complessivo dovuto dalla totalità dei detentori, a prescindere dalle modalità concrete del pagamento (un solo F24 o modelli separati).
Non è chiaro, infine, se la quota in esame sia dovuta anche in presenza dell'utilizzo da parte del proprietario del medesimo bene. Si pensi, ad esempio, alla locazione di alcune stanze dell'abitazione principale oppure all'immobile in proprietà di una società, nel quale la stessa svolga la propria attività, concedendone in locazione una parte. Nel silenzio della norma, ragioni di semplicità e di coerenza del prelievo condurrebbero ad una risposta negativa.

LE RISPOSTE DEGLI ESPERTI AI DUBBI DEI LETTORI

Nuda proprietà e usufrutto
Si tratta di un'abitazione in nuda proprietà della figlia, data in usufrutto alla madre che non vi abita né vi risiede. L'occupante è la nipote della madre che vi risiede ma non è contribuente, non avendo alcun reddito. Chi deve pagare la quota dell'occupante?
L'aliquota Tasi da utilizzare è quella relativa agli altri immobili. La ripartizione, dal 10 al 30 per cento, della Tasi tra il possessore (la madre usufruttuaria) e il detentore (la nipote) segue le regole stabilite dal Comune. La nipote, indipendentemente dalle sue condizioni reddituali, deve comunque pagare la Tasi, che non è un'imposta sui redditi. Si precisa che il possessore non è responsabile dei mancati versamenti imputabili al detentore.

Importo minimo e inquilino
L'importo minimo di versamento Tasi per un inquilino, che generalmente ammonta a 12 euro su base annua, deve essere riferita alla sola sua posizione di soggetto passivo, o l'importo minimo va confrontato con il totale dovuto dall'intero fabbricato, comprendendo quindi anche la parte di tassa a carico del proprietario?
L'importo minimo della Tasi previsto dalla Legge di stabilità del 2014 è pari a 12 euro. Le delibere dei singoli comuni possono eventualmente prevedere importi (minimi) inferiori. L'importo minimo deve essere verificato avendo riguardo singolarmente alla posizione di ognuno dei contribuenti così come previsto dall'articolo 1, comma 681, della legge 147/2013 secondo cui «nel caso in cui l'unità immobiliare è occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull'unità immobiliare, quest'ultimo e l'occupante sono titolari di un'autonoma obbligazione tributaria.

Vendita della casa nel corso dell'anno
Ho venduto un immobile il 25 giugno 2014, data in cui io e l'acquirente abbiamo firmato l'atto di vendita davanti al notaio. Da visura catastale la particella in questione risulta essere ancora di mia proprietà, e non ho ancora avuto una copia dell'atto di vendita. Entro il 16 ottobre devo pagare l'acconto Tasi 2014: quanti mesi di possesso devo indicare?
Premesso che le risultanze catastali non sono costitutive del diritto di proprietà (Cass. n.19052/2014), se l'immobile è stato ceduto con atto notarile il 25 giugno, la Tasi per il 2014 dovrà essere calcolata sui sei mesi di possesso.

Firenze, il locatario non paga
Possiedo una casa affittata con contratto registrato per studenti universitari a Firenze. Ho pagato a giugno 2014 la prima rata Imu con aliquota. La Tasi per gli inquilini è dovuta? Se sì, in che percentuale?
Per l'immobile in questione nulla è dovuto per la Tasi. Facendo riferimento alla deliberazione n. 2014/C/0 051 del 28 luglio 2014, del Consiglio comunale di Firenze, l'immobile di cui al quesito, rientrando nella lettera E di cui alla tabella compresa nella delibera, risulta essere soggetta ad aliquota Tasi pari a zero per mille.

Immobili affittati a Milano
Possiedo una seconda casa a Milano, che è regolarmente affittata. Vorrei sapere l'aliquota per calcolare la Tasi e come calcolare la quota che deve pagare l'inquilino. Ho inoltre un box non di pertinenza, sempre a Milano, che non è stato affittato: come pago?
Secondo la delibera di Consiglio comunale del 23 giugno 2014 gli immobili soggetti a Imu, cioè le seconde case e le abitazioni principali accatastate come A/1, A/8 ed A/9, sono soggette ad aliquota Tasi pari allo 0,8 per mille. Sempre in base alla delibera l'aliquota Tasi a carico del conduttore viene fissata al 10% di quanto complessivamente dovuto. Per quanto riguarda l'aliquota Tasi per l'unità immobiliare non pertinenziale, la delibera la fissa allo 0,8 per mille, rientrando tale fattispecie nella definizione «immobili soggetti ad imposta municipale propria».

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/casa-e-fisco/2014-09-25/tasi-210311.php?uuid=AbBI4EQK

Bonus ristrutturazioni, pronta la nuova guida delle Entrate (aggiornata dopo lo «sblocca Italia»)

Il decreto n. 133 del 12 settembre 2014, in vigore dal 13 settembre 2014 e attualmente in
fase di conversione in legge, ha modificato la definizione di manutenzione straordinaria». Lo ricorda l'agenzia delle Entrata nell'ultima "release" di settembre 2014 della storica guida all'applicazione del bonus fiscale sulle ristrutturazioni edilizie.

In particolare l'agenzia, ricorda che il decreto sblocca Italia, ha introdotto novità importanti in materia di manutenzione straordinaria, una delle tipologie di intervento coperte dallo sgravio.
Il decreto - si legge nella guida - «ha sostituito il riferimento a "volumi e superfici delle singole unità immobiliari " con quello alla "volumetria complessiva degli edifici"».

Inoltre, aggiunge la guida delle Entrate, sempre il decreto sblocca Italia, «fa rientrare nella categoria "manutenzione straordinaria" anche gli interventi di frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, a condizione che non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso».
Fin qui le novità, che tuttavia la guida, non declina nel dettaglio dal punto di vista applicativo, limitandosi a ricordare che alla fine dell'anno - a meno di interventi legislativi in occasione della legge di stabilità - lo sgravio scenderà dal 50% al 40% (fino a un massimo di 96mila euro), per scivolare poi al 36% a partire dal 2016 (fino a un massimo di 48mila euro di beneficio fiscale).

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/edilizia-privata/2014-09-24/bonus-ristrutturazioni-pronta-nuova-133548.php?uuid=Abnw0vPK

Il «rent to buy» non è affitto

La formula del «rent to buy» si configura come una fattispecie contrattuale nuova. È infatti facile osservare come nel Dl 133/2014 (cosiddetto «Sblocca Italia») il legislatore abbia prestato particolare attenzione a conferire al contratto di rent to buy (Rtb) un assetto assai autonomo rispetto al contratto di locazione «ordinario». In altri termini, dal Dl 133/2014 emerge un contratto che non è qualificabile come uno «speciale» contratto di locazione, caratterizzato dalla sussistenza di una speciale clausola in base alla quale il conduttore ha il diritto di acquistare la proprietà del bene imputando a prezzo, in tutto o in parte i canoni pagati; ma uno schema contrattuale a sé stante rispetto alla «normale» locazione, e quindi caratterizzato da norme assai specifiche (e non da quelle che il Codice civile e la legislazione speciale rivolgono al «normale» contratto di locazione).
 

Per il fatto che è un contratto che si distacca dal «normale» contratto di locazione, si tratta anzitutto di definire il perimetro entro il quale l'Rtb si configura: al riguardo, può osservarsi che, nello schema del Rtb di cui al Dl 133/2014 rientrano tutti quei contratti dai quali sorga, per il conduttore, un diritto di godimento dell'immobile unitamente a un suo diritto d'acquisto del bene oggetto del contratto; e quindi può trattarsi, ad esempio, di un contratto in base al quale il conduttore beneficia di un'opzione di acquisto (e, pertanto, un diritto che il conduttore può esercitare o meno) oppure di un contratto che prevede un automatismo d'acquisto (e cioè viene pattuito che, con il pagamento dell'ultima rata il conduttore diviene ipso iure proprietario del bene, senza dover o poter esercitare alcuna opzione in tal senso).
L'osservazione che l'Rtb non sia una locazione «qualificata» (ma un contratto diverso dalla locazione) è assai importante perché all'Rtb non dovrebbero rendersi applicabili, in particolare, le norme vincolistiche dettate dalla legge 392/1978 in tema di locazione di immobili urbani e dalla legge 431/1998 in tema di locazione di immobili ad uso abitativo. Ne consegue, ad esempio, che il contratto di rent to buy è completamente svincolato dalla disciplina della durata minima dei contratti, del loro automatico rinnovo, della disdetta per impedirne il rinnovo, eccetera.
Anche i rapporti tra concedente e conduttore non trovano fonte nella legislazione, ordinaria e speciale, in tema di locazione, ma direttamente dall'articolo 23 del Dl 133/2014 (e cioè la norma che ha introdotto il rent to buy), il quale li disciplina facendo richiamo alle norme dell'usufrutto (è evidente che il legislatore stesso, andando a «pescare» la disciplina dell'Rtb nell'usufrutto e non nel contratto di locazione, vuole espressamente scavare un ampio fossato tra quest'ultimo e l'Rtb). In particolare, viene dunque disposto che:
a) il conduttore, prima di prendere possesso del bene oggetto dell'Rtb, debba fare l'inventario e dare una cauzione al concedente (a meno che da questi obblighi il concedente non lo dispensi);
b) le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria del bene concesso in godimento sono a carico del conduttore;
c) sono pure a carico del conduttore le riparazioni straordinarie rese necessarie dall'inadempimento dei suoi obblighi di ordinaria manutenzione;
d) le riparazioni straordinarie (e cioè quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, muri di sostegno o di cinta) sono a carico del proprietario; peraltro, il conduttore deve corrispondere al proprietario l'interesse delle somme spese per le riparazioni straordinarie;
e) se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l'esecuzione senza giusto motivo, è in facoltà del conduttore di farle eseguire a proprie spese, che gli devono poi essere rimborsate (a garanzia del rimborso il conduttore ha diritto di ritenere l'immobile riparato).
Resta poi il tema se, non trattandosi di una locazione in senso proprio, il concedente debba o meno ricorrere al procedimento di sfratto (ai sensi dell'articolo 658 Cpc) in caso di inadempimento del conduttore; oppure se egli debba procedere con un'azione esecutiva di rilascio, ai sensi dell'articolo 2930 del Codice civile. Al riguardo, l'articolo 23, comma 5, del Dl 133/2014, dispone che il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile e che, se non è stato diversamente convenuto nel contratto, egli acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità per la concessione del bene in godimento.
Tra l'altro il rent to buy, al fine della sua trascrizione nei Registri immobiliari, deve necessariamente essere stipulato per atto notarile; e che, se l'obbligo di rilascio sia contenuto in un atto pubblico, tale atto potrebbe valere come titolo esecutivo (articolo 474, ultimo comma, del Codice di procedura civile) e quindi consentire di passare direttamente all'esecuzione in forma specifica, senza dover transitare attraverso un processo di cognizione per formare appunto il titolo esecutivo.

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20140924&startpage=1&displaypages=2

Tasi e imprese, aumenti in 4mila Comuni

Il dibattito sulla Tasi si è scaldato intorno alla sorte delle abitazioni principali, ma le rassegne delle scelte locali dopo che sono scaduti i termini per pubblicare le aliquote mostra che anche capannoni, uffici, alberghi e centri commerciali sentiranno nei prossimi mesi gli effetti del nuovo tributo.
In breve, l'arrivo della Tasi aumenta il conto per gli immobili strumentali in 4.278 Comuni, cioè il 53% del totale. A livello nazionale, il nuovo quadro delle aliquote fa crescere la pressione sul mattone delle imprese di circa il 9%, ma quando si parla di imposte locali i valori medi non dicono tutto e l'esperienza reale dei singoli contribuenti andrà incontro anche ad aumenti assai più decisi. Anche nelle tante città – come Milano o Roma – dove l'Imu aveva già raggiunto i massimi nel 2013 e quindi non sembrava lasciar spazio ad altre tasse, il carico è cresce ancora "grazie" all'aliquota aggiuntiva dello 0,8 per mille, consentita per quest'anno allo scopo di finanziare gli sconti sull'abitazione principale. In qualche Comune, l'ingresso della Tasi può essere stato compensato da una riduzione dell'Imu, ma si tratta di casi minoritari.

Viste alla luce della situazione di oggi, le promesse di abbattere il carico fiscale sugli immobili d'impresa che erano fiorite intorno alla scorsa legge di stabilità appaiono lontanissime: la Tasi, introdotta proprio dalla legge di stabilità per quest'anno, gonfia ancora una volta il peso del fisco immobiliare sulle imprese, e annulla gli effetti della "mini-deducibilità" Imu scritta nella stessa legge. Gli incrementi di quest'anno, nei Comuni in cui la Tasi si applica anche agli immobili strumentali, oscillano tra il 9 e l'11,5 per cento, ma rispetto ai tempi dell'Ici le imposte si sono impennate, dall'80% registrato in tante città fino al 170% di Milano, dove la vecchia imposta comunale sugli immobili era più bassa della media.
A spingere le tasse "locali" (ma bisogna ricordare che su questi immobili l'Imu ad aliquota standard del 7,6 per mille finisce allo Stato), secondo la rassegna delle aliquote realizzata dal Caf Acli sono 3.649 Comuni. L'elenco, però, cresce ancora, a causa dei 652 Comuni, soprattutto medio-piccoli, che non hanno pubblicato delibere entro il 18 settembre. In questi casi, scatta per tutti l'aliquota all'1 per mille, che si aggiunge alle normali richieste avanzate dall'Imu; le uniche eccezioni arrivano quando il Comune ha già stabilito il massimo per l'imposta municipale, togliendo quindi ogni spazio alla Tasi, ma dal momento che gli enti senza delibera sono medio-piccoli questa eventualità non dovrebbe essere frequente.
Nelle città, l'evoluzione del carico fiscale sulle imprese dipende ovviamente dall'evoluzione delle singole aliquote, ma le dinamiche complessive sono simili fra loro. Nel grafico qui a fianco si fanno i conti per un capannone da 700mila euro di valore catastale: per esempio a Milano e Roma, dove l'Imu era già al massimo e la «super-Tasi» è stata introdotta per finanziare gli sconti sulle abitazioni principali, si arriva a 7.232 euro di imposta da pagare, contro i 6.638 dello scorso anno, mentre a Cagliari, dove l'aliquota dell'1 per mille si aggiunge ad un'aliquota Imu del 9,6 per mille, la richiesta è di 6.858 euro invece dei 6.157 dell'anno scorso. Sul peso complessivo delle imposte sul mattone incide anche la deducibilità, cioè la possibilità di sottrarre al reddito d'impresa le somme pagate come tributi locali. Nell'Imu la deducibilità è parziale (20% da quest'anno, 30% nel 2013), mentre nella Tasi è totale, nel senso che l'intero tributo pagato viene "tolto" dall'imponibile dell'Ires. A conti fatti, però, si tratta di dettagli, come mostra per esempio il caso di Verona: la città ha abbassato l'Imu all'8,9 per mille e fissato la Tasi al 2,5 per mille, con il risultato di arrivare a un'aliquota massima uguale a quella di Milano e Roma (dove al 10,6 per mille di Imu si aggiunge lo 0,8 per mille di Tasi), ma di produrre un carico fiscale leggermente inferiore grazie al fatto che tutto il tributo sui servizi indivisibili è deducibile. Naturalmente, però, la deducibilità non scatta per le imprese in perdita, che per questa via maturano solo un "credito" spendibile quando ritorneranno utili da tassare.
Un altro effetto collaterale della Tasi riguarda i "fabbricati-merce", cioè gli immobili che le imprese costruttrici non riescono a vendere. Dal 1° luglio scorso sono stati esentati dall'Imu, ma paradossalmente proprio questa mossa ha aperto le porte alla Tasi: quest'anno, come accade per l'abitazione principale, può arrivare al 2,5 per mille (e non mancano i Comuni che l'hanno applicata), ma senza correttivi nel 2015 la richiesta può volare fino a quota 10,6 per mille. Proprio come l'Imu da cui questi immobili erano stati appena esentati

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20140923&startpage=1&displaypages=2

 

Cambio d'uso più facile, debutta il permesso convenzionato - Tutte le novità in edilizia privata - La Guida allo Sblocca Italia

L'art. 17 del decreto Sblocca Italia ha previsto l'introduzione di due nuovi articoli del Testo unico dell'edilizia aventi ad oggetto la disciplina di due istituti: la disciplina generale del permesso di costruire convenzionato ed il mutamento d'uso urbanisticamente rilevante.
Si tratta di una novità di non poco conto in quanto vengono affrontati due temi molto rilevanti nella materia urbanistico – edilizia.

Il permesso di costruire convenzionato
Finalmente il legislatore statale si occupa di definire le caratteristiche principali dell'istituto generale del permesso di costruire convenzionato al di là delle specifiche ipotesi previste dall'ordinamento quali, ad esempio, quella prevista dall'art. 18 del testo unico relativa all'edilizia convenzionata concernente la previsione di uno sconto sul contributo di costruzione a favore della realizzazione di alloggi per le categorie socialmente deboli.
Nonostante da molti anni sia stata intrapresa la strada degli accordi pubblico privato in materia urbanistica ed edilizia, è sempre mancata la disciplina puntuale di un provvedimento tipo utilizzabile in alternativa agli strumenti urbanistici attuativi e dotato di una maggiore facilità di utilizzo.

Si è tentato di "costruire" la fattispecie sulla base della disciplina dell'art. 11 della legge n. 241 del 1990 relativa agli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento ma senza sancire in modo chiaro quale fosse il procedimento da seguire o l'oggetto specifico dell'accordo pubblico privato.
Il semplice rinvio da parte degli strumenti urbanistici generali al permesso di costruire convenzionato in alternativa al piano attuativo non poteva di per sé essere sufficiente a dare certezza del corretto utilizzo di tale strumento.
Affermare l'alternatività dello strumento attuativo e del permesso di costruire convenzionato (soprattutto nelle zone di recupero) senza avere un chiaro riferimento alla disciplina concretamente applicabile ha creato, infatti, non pochi problemi applicativi.
Ecco che deve essere salutato con estremo favore il nuovo art. 28 bis del testo unico dell'edilizia, recentemente introdotto dal decreto legge Sblocca Italia.

La norma prevede che qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte, sotto il controllo del Comune, con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato anziché ricorrere al piano attuativo.

La convenzione deve specificare gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di regolamento degli interessi pubblici e privati in campo.
Pur non essendo previsto un elenco tassativo (è possibile, infatti, utilizzare il permesso di costruire convenzionato anche in altre fattispecie), la norma stabilisce che il ricorso a tale strumento è comunque consentito qualora si intendano regolare:
a) la cessione di aree anche al fine dell'utilizzo di diritti edificatori;
b) la realizzazione di opere di urbanizzazione fermo restando quanto previsto dall'articolo 32, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163;
c) le caratteristiche morfologiche degli interventi;
d) la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.

Per quanto riguarda i suoi contenuti, la convenzione può prevedere, sul modello di quanto previsto proprio dal decreto legge Sblocca Italia per i piani attuativi convenzionati, modalità di attuazione per stralci funzionali, cui si collegano gli oneri e le opere di urbanizzazione da eseguire e le relative garanzie.
La norma prevede inoltre che il termine di validità del permesso di costruire convenzionato possa essere "modulato" in relazione agli stralci funzionali previsti dalla convenzione.
Tale previsione non brilla per chiarezza ma l'interpretazione più plausibile è quella secondo cui la durata massima del permesso rimanga quella ordinaria (un anno per l'avvio dei lavori, tre anni dal loro avvio per la conclusione, salvo proroghe o termini più ampi concessi contestualmente al rilascio del titolo), con la possibilità di definire una tempistica intermedia in caso di stralci funzionali.
Per quanto concerne il procedimento amministrativo per giungere la permesso convenzionato è lo stesso previsto in via ordinaria per il permesso di costruire con l'aggiunta che ala convenzione si applica altresì la disciplina dell'art. 11 della legge n. 241 del 1990 relativa agli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento.

Il mutamento d'uso
Non può che essere salutato con favore anche il nuovo articolo 23-ter del Testo unico dell'edilizia introdotto dal decreto legge Sblocca Italia, secondo il quale «salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito».

Si tratta di una norma volta a disciplinare il mutamento d'uso urbanisticamente rilevante al fine di fornire un quadro di maggiore certezza agli operatori che hanno visto proliferare le destinazioni d'uso previste dagli strumenti urbanistici generali senza più criteri identificativi delle stesse sul piano urbanistico.
I piani regolatori prevedono sovente indicazioni puntuali delle singole destinazioni o degli utilizzi ammissibili senza aver compiuto un vero sforzo di sintesi attraverso la previsione di categorie funzionali.
La definizione del mutamento d'uso urbanisticamente rilevante contenuto nel nuovo art. 23 ter svolge, invece, una funzione molto importante in quanto funzionale all'applicazione di diverse norme.

In primo luogo, il mutamento d'uso è uno degli elementi caratteristici e distintivi della ristrutturazione urbanistica rispetto agli altri interventi sull'esistente posto che non è previsto per la manutenzione straordinaria e nel restauro e risanamento conservativo è ammesso soltanto se compatibile con le caratteristiche dell'edificio.

In secondo luogo, il mutamento d'uso assume rilievo anche nella ipotesi in cui intervenga, entro dieci anni dalla fine dei lavori, su immobili o impianti destinati ad attività industriali o artigianali, ad attività turistiche, commerciali, e direzionali o allo svolgimento dei servizi: l'art. 19 del Testo unico dell'edilizia prevede che, in tale fattispecie, il contributo di costruzione sia dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione determinata con riferimento al momento dell'intervenuta variazione.

Infine, il mutamento d'uso rileva ai fini della compatibilità con la disciplina urbanistica vigente soprattutto nelle ipotesi di interventi di ristrutturazione urbanistica ed edilizia.

La norma introdotta dal decreto legge prevede che, fatta salva ogni diversa previsione da parte delle leggi regionali, il mutamento della destinazione d'uso può ritenersi rilevante quando si sostanzia in qualsiasi forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, alla condizione che sia tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale.
Le categorie funzionali vengono dalla norma ridotte a quattro:
a) residenziale e turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale.

L'obiettivo di semplificazione è davvero notevole in quanto molti degli strumenti urbanistici vigenti (ma anche delle leggi regionali) prevedono ora molteplici destinazioni senza lo sforzo di unificarle in categorie generali onde evitare che si configuri il cambio d'uso rilevante tra destinazioni tra loro del tutto assimilabili.
Per quanto concerne il merito della scelta, risalta l'inserimento nella medesima categoria della destinazione residenziale e di quella turistico recettiva nonché l'accorpamento in un'altra categoria di quella produttiva e direzionale.
La scelta contenuta nel decreto legge appare condivisibile in quanto per individuare le diverse categorie è stato dato rilievo alla incidenza che sul territorio è generato dalle diverse destinazioni, accorpando così quelle che producono effetti simili in termini di peso insediativo rispetto alla necessità di urbanizzazione del territorio medesimo.
I risvolti di tale accorpamento sono notevoli in quanto è possibile trasformare edifici residenziali in RTA o alberghi (e viceversa) senza incorrere nella modifica d'uso (e, quindi, senza corrispondere il contributo di costruzione aggiuntivo) così come è del tutto ammissibile il passaggio da uffici a produttivo e viceversa in quanto appartenenti alla medesima categoria funzionale.

Desta qualche dubbio sulla reale portata innovativa della norma la previsione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 23 ter secondo la quale è comunque ammissibile una diversa previsione da parte degli strumenti urbanistici comunali o da parte delle leggi regionali.
La disposizione finale appare oggettivamente eccessiva rispetto alle finalità ambiziose della norma di riscrittura della disciplina del mutamento d'uso rilevante.
Non si può evitare di considerare che il mutamento d'uso rientri nella materia Governo del territorio che, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, è soggetta alla potestà legislativa concorrente di Stato e regioni per cui non è possibile impedire che le regioni stesse legiferino in merito ma è altrettanto vero che ciò debba avvenire nell'ambito dei principi fissati dal legislatore statale.
Prevedere, invece, che non solo le leggi regionali ma anche gli strumenti urbanistici generali possano andare in contrario avviso rispetto al principio fissato dalla norma nazionale costituisce un eccessivo depotenziamento della portata precettiva della norma stressa.
Meglio sarebbe mantenere la norma come disciplina di principio lasciando alle regioni di intervenire con la disciplina operativa ma pur sempre nel rispetto dell'orientamento stabilito dal legislatore nazionale.
Occorre infine segnalare che in presenza di una pluralità di destinazioni d'uso nell'ambito di un fabbricato o di una unità immobiliare, la norma si occupa di definire come prevalente quella destinazione che risulti tale in termini di quantità di slp.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/edilizia-privata/2014-09-18/cambio-facile-debutta-permesso-104538.php?uuid=Abt2KLOK

Benefici per la prima casa: ecco come le sentenze cambiano i requisiti d'accesso

Il percorso che conduce alle agevolazioni «prima casa» è ben visibile e delineato dai paletti – requisiti oggettivi e soggettivi – fissati dalla legge. Eppure a volte per raggiungere e conservare i benefici fiscali si è costretti a uno slalom che chiama in causa la giurisprudenza. Perché di fronte a quegli stessi paletti generali (si veda l'articolo in basso) le situazioni specifiche possono far sorgere il bisogno di un'interpretazione: un chiarimento sui tassi di "tolleranza", sulle deroghe ammesse e legate a motivi straordinari. Così le maglie dell'accesso ai benefici possono a volte allargarsi in base ai responsi dei giudici, non sempre univoci.



 

Tra i temi più dibattuti c'è il trasferimento della residenza, il cui obbligo può essere derogato solo nell'ipotesi in cui ci siano ostacoli di forza maggiore, capitati dopo la stipula dell'atto. Secondo la norma, chi compra deve infatti essere residente nel comune dove si trova l'immobile, o stabilirsi lì entro 18 mesi dall'acquisto. Una recente sentenza della Cassazione (19247/2014), depositata la scorsa settimana, ha affermato che non si decade dall'agevolazione se la ragione del ritardo sono stati i lunghi lavori di messa in sicurezza dell'edificio, per gli smottamenti provocati da abbondanti piogge. Valide cause di forza maggiore, ad esempio, sono state ritenute negli anni anche il ritrovamento di reperti archeologici, la necessità di riparare vizi della costruzione, il mancato rilascio del certificato di residenza, la morte dell'acquirente e la malattia del figlio. Mentre altri temi, come il mancato rilascio del certificato di abitabilità o le infiltrazioni d'acqua dall'appartamento di sopra, esaminati sui singoli casi, hanno invece avuto risposte contrastanti.
Quanto al mancato trasferimento dovuto a una separazione coniugale, a luglio l'ordinanza 16082/2014 della Cassazione ha affermato che la cessione di un immobile in favore del coniuge per effetto di accordi consensuali è comunque riconducibile alla volontà del cedente: dunque, niente causa di forza maggiore. Ma anche qui l'orientamento della Corte non è univoco; e ad esempio con l'ordinanza 3752/2014 si era arrivati a conclusioni opposte: attribuire la proprietà della casa al coniuge per un accordo inserito nell'atto di separazione non è rilevante ai fini della decadenza dei benefici prima casa.

I benefici si perdono anche quando l'immobile viene rivenduto o trasferito entro cinque anni dall'acquisto, senza ricomprare nel giro di dodici mesi un'altra abitazione principale. È sufficiente il contratto preliminare? Risposta negativa. Quando la legge parla di "acquisto" – ha spiegato la Suprema corte (ordinanza 17151/2014) – richiama un effetto traslativo già verificato e non in attesa d'esserlo, come avviene invece con la firma del "compromesso". Insomma, per rispettare i tempi di riacquisto entro l'anno, serve il contratto definitivo: principio già affermato dall'agenzia delle Entrate. Né si possono addurre come giustificazioni i ritardi dovuti al fatto che la casa fosse in costruzione e quindi difettasse del regolare certificato di agibilità (Ctr Lombardia 556/49/2014).

Il Fisco ha tre anni di tempo per contestare l'irregolarità, a partire dal giorno in cui l'attività di accertamento è concretamente espletabile: in quest'ultimo caso, dalla scadenza del termine annuale che decorre dalla vendita infra-quinquennale.

Le agevolazioni sono estese anche ai cittadini italiani che risiedono all'estero e che acquistano l'immobile come prima casa sul territorio italiano. Si richiedono allora tutti i requisiti, tranne ovviamente quello della residenza nel comune dove si trova l'abitazione. Per la stessa ragione, se questi contribuenti vendono prima di cinque anni per riacquistare entro l'anno successivo e non perdere i benefici, non hanno l'obbligo – come ha sottolineato la Cassazione (sentenza 15617/2014) – di destinare la nuova casa ad abitazione principale.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/mercato-immobiliare/2014-09-17/benifici-prima-casa-ecco-160214.php?uuid=AbvS3AOK

Rent to buy trascritto per 10 anni

Angelo Busani
Emanuele Lucchini Guastalla
Il rent to buy lascia il campo della totale atipicità ed entra con l'articolo 23 del decreto sblocca Italia (Dl 133/2014) fra i contratti espressamente regolati nel nostro ordinamento. Anche se, con scelta improvvida, il legislatore non ha pensato di collocarlo nel Codice civile.
Per rent to buy (d'ora innanzi, Rtb) si intende qualsiasi contratto inquadrabile nel seguente schema: Tizio concede in godimento a Caio un immobile col diritto di quest'ultimo di acquistarlo entro un termine determinato, imputando a prezzo, in tutto o in parte, i canoni versati, a seconda di quanto in tal senso convenuto nel contratto, ove si può appunto stabilire quale sia la parte di canone che va a remunerare l'utilizzo del bene dato in godimento e quale sia invece quella porzione (che può coincidere anche con l'intero canone) che vale come rata del prezzo dovuto per l'acquisto.

È, in sostanza, uno schema contrattuale che cerca di rimediare alla carenza di liquidità dei potenziali acquirenti e quindi permette al venditore di "finanziare" egli stesso l'acquisto, accettando di percepire il prezzo a rate e garantendosi col mantenimento della proprietà nel periodo in cui il conduttore ha il godimento dell'immobile (e, di regola, fino a quando tutti i canoni non saranno pagati).
In altri termini, dalla stipula di questo contratto deriva che Caio può utilizzare l'immobile di Tizio per il periodo concordato e divenirne proprietario con modalità e tempi convenuti (ad esempio, automaticamente, col pagamento di una certa serie di canoni o esercitando un'opzione di acquisto che il contratto gli conceda). Tizio e Caio possono essere un soggetto "qualsiasi": un privato, un professionista, un imprenditore individuale, una società o un qualunque altro ente. L'immobile può essere di qualunque tipo.
L'avvenuta regolamentazione dell'Rtb serve anzitutto per permetterne la trascrivibilità nei Registri immobiliari, sempre che la stipula del contratto avvenga nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Da questa trascrivibilità deriva una pluralità di importanti effetti:
se nel periodo di durata del godimento – nel quale il concedente resta proprietario del bene concesso in Rtb – il bene subisce degli accadimenti pregiudizievoli per il concedente (ad esempio, l'iscrizione di una ipoteca oppure la trascrizione di un pignoramento, di un sequestro o di una domanda giudiziale), l'intervenuta trascrizione dell'Rtb fa da scudo al conduttore, il quale resta insensibile a questi eventi, in quanto le sue ragioni di acquisto del bene libero da gravami prevalgono su coloro che hanno impresso tali gravami;
se nel periodo di durata del godimento il bene viene venduto dal concedente a terzi, costoro "subiscono" l'esistenza dell'Rtb, sia che tale contratto abbia una durata inferiore ai nove anni sia che esso abbia una durata maggiore;
se il soggetto concedente si rende inadempiente e sorge un diritto del conduttore alla restituzione – in tutto o in parte – delle somme versate, questo credito beneficia di un privilegio speciale, nel senso che il ricavato dall'esecuzione forzata che abbia ad oggetto il bene oggetto dell'Rtb deve essere prioritariamente destinato a soddisfare le ragioni del conduttore.
Occorre anche notare che, a differenza di quanto accade per la trascrizione del contratto preliminare di compravendita immobiliare (la quale "protegge" il promissario acquirente al massimo per tre anni), l'efficacia della trascrizione dell'Rtb può durare – secondo quanto previsto nel contratto stesso – anche per un periodo maggiore, non eccedente però il decennio.
Tra l'altro, se l'Rtb ha ad oggetto un'abitazione in corso di costruzione da parte di un soggetto imprenditore, vi è il divieto di stipula dell'Rtb qualora l'immobile sia gravato da un'ipoteca. A meno che essa non sia frazionata e al conduttore sia accollata una quota del mutuo originariamente stipulato dall'impresa costruttrice; in tal caso, evidentemente, i canoni dovuti dal conduttore andranno versati ad ammortamento di detto mutuo.
Cosicché il conduttore viene protetto, oltre che nel caso di disavventure del concedente durante la vigenza dell'Rtb, anche nel momento della stipula del contratto, essendo appunto vietato un Rtb in presenza di un'ipoteca. Quindi con ciò si evita che il conduttore, una volta pagati i canoni dovuti e acquisito il diritto di divenire proprietario dell'immobile, debba fronteggiare la situazione di liberare l'immobile dalla pregressa ipoteca, concessa o subita dal soggetto concedente.

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20140917&startpage=1&displaypages=2

L'erede non può cacciare il convivente dalla casa

Patrizia Maciocchi
Il nipote che eredita la casa non può cacciare la convivente del nonno. La Cassazione, con la sentenza 19423 depositata ieri, rafforza la tutela del convivente non proprietario mettendolo al riparo anche dalle azioni illegittime di chi è entrato in possesso della casa, consentendogli di esercitare un'azione di spoglio nel caso venga messo alla porta dall'oggi al domani.
Perché chi, per effetto della successione, acquisisce l'immobile nel suo patrimonio non può considerarsi al riparo dagli obblighi che incombevano sul proprietario prima della morte. Se il convivente non può mandare via la sua compagna con la quale ha instaurato un rapporto stabile e duraturo non può farlo neppure il suo erede.

Un limite che non era chiaro al ricorrente che si era sentito autorizzato ad introdursi clandestinamente nell'appartamento impedendo l'accesso alla donna. La Cassazione però chiarisce che il convivente non può essere considerato un ospite da allontanare senza complimenti quando diventa indesiderato.
I giudici della seconda sezione civile ricordano che la convivenza more uxorio, come formazione sociale, fa scattare sulla casa in cui la coppia abita e dove mette in atto il progetto di vita comune «un potere di fatto basato su un interesse proprio del convivente diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità e tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare».
In questo contesto è chiaro che non può essere giuridicamente tollerato il blitz dell'erede, come non sarebbe accettabile l'estromissione violenta da parte del compagno proprietario nei confronti del non proprietario, che acquista, come avvenuto nel caso esaminato, il diritto a tutelare il possesso del l'immobile attraverso l'azione di spoglio.
La Suprema corte, pur rimarcando le differenze tra il matrimonio e la convivenza, specifica che non si tratta di distinzioni tali da rendere giuridicamente irrilevanti i diritti sulla casa destinata ad abitazione comune. Quando un'unione, anche se libera e soggetta a sciogliersi in qualunque momento, ha assunto per durata ed esclusività un carattere familiare, non è consentito al convivente proprietario, né agli eredi, passare alle vie di fatto per mandare via l'ex dall'abitazione, dopo la dissoluzione del rapporto. Il canone della buona fede e della correttezza, «dettato a protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento», impone al legittimo titolare che intenda recuperare l'esclusiva disponibilità dell'immobile, il dovere di avvisare e di concedere un termine congruo per reperire un'altra sistemazione.
Non passa neppure il tentativo del ricorrente di appigliarsi a una diversa residenza della signora. Per la Cassazione la presenza nell'appartamento degli abiti della donna e degli oggetti di sua proprietà, ad iniziare da alcuni mobili, sono la prova della relazione di fatto di quest'ultima con la casa.

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20140916&startpage=1&displaypages=2

Condhotel: una forma alternativa di seconda casa

In questi anni di crisi, anche nel settore immobiliare, se ne sono sentite davvero delle belle in quanto a storie sull’arte dell’arrangiarsi e dell’ingegnarsi: dal cohousing, alla multiproprietà, al proliferare degli affitti condivisi. Dagli Stati Uniti arriva adesso una nuova tendenza che è quella dei condhotel, fenomeno talmente in espansione che la legge italiana ha perfino sentito l’esigenza di dover legiferare per disciplinare questa tendenza.

Il principio è molto semplice e parte dal presupposto che sempre più persone scelgono, tutti gli anni, lo stesso albergo nello stesso luogo per trascorrere le loro vacanze. E allora perché non comprare la stanza? Nel periodo di ferie, così, si può sempre alloggiare in quella che diventerebbe una seconda casa, ma con tutti i servizi di un albergo. Durante il resto dell’anno, si possono guadagnare delle percentuali sulle vendite dell’albergo. Molti hotel americani hanno intrapreso questa strada proprio come forma di finanziamento interno. La convenienza, chiaramente, non può essere garantita, essendo strettamente legata ai successi dell’hotel e alla sua capacità di riempire le stanze in maniera costante. Chi può permetterselo, farebbe forse meglio a valutare l’idea di un piccolo appartamento in località turistiche che può affittare nei periodi in cui non ne usufruisce. Il mercato effettivamente aiuta visto che, come vi avevamo detto qualche tempo fa, i prezzi sono in calo anche per le seconde case.

Nonostante ciò la legge italiana ha sentito l’esigenza di esprimersi per regolare il fenomeno dei condhotel e aveva previsto una norma nel decreto della Competitività, promossa in Senato ma bocciata alla Camera. Si dice, però, che sarà reintrodotta in forma diversa nel decreto Sblocca Italia e che lascerà ampio margine d’azione agli accordi tra le Autonomie locali, le Regioni e lo Stato stesso.

 Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/condhotel-una-forma-alternativa-di-seconda-casa-19800

Casa, bonus 50% anche nel 2015 Lupi: la misura sarà nella stabilità - Lo sblocca-Italia in Gazzetta, in vigore da oggi

Lupi: la misura sarà nella stabilità - Lo sblocca-Italia in Gazzetta, in vigore da oggi

Giorgio Santilli
ROMA
Il decreto legge Sblocca-Italia è stato firmato ieri dal Capo dello Stato e pubblicato in Gazzetta ufficiale con il numero 133. Entra in vigore oggi, a 15 giorni dall'approvazione del Consiglio dei ministri. Per il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, il provvedimento è «un ponte fondamentale per coprire i mesi da qui alla piena operatività della Legge di stabilità 2015 cui spetta di definire le risorse disponibili nel triennio». E nella Legge di stabilità Lupi è certo che sarà contenuta la proroga del bonus fiscale del 50% per i lavori di manutenzione straordinaria e ristrutturazione in casa. «Il bonus 50% – ha detto il ministro nel corso della conferenza stampa tenuta ieri – resterà in vigore anche nel 2015, come il bonus 65% per il risparmio energetico».
Già durante la discussione dello Sblocca-Italia in Consiglio dei ministri si era posta la questione di inserire nel decreto legge intanto la proroga del 65% per poi discutere il 50%. A frenare sull'uno e sull'altro era stato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che aveva rinviato la partita alla legge di stabilità. Ora Lupi rilancia – dopo aver precisato che «con Padoan non c'è stato nessun litigio» – forte del sostegno del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che i bonus vuole riconfermarli tutti e due. Sarebbe un paradosso, d'altra parte, pensare di rilanciare l'edilizia per rilanciare la crescita e poi eliminare o ridimensionare i due incentivi che hanno funzionato meglio di ogni altro.

Lupi ha dato chiarimenti su numerosi aspetti del decreto legge. Anzitutto ha distribuito la ripartizione dettagliata dei 3,89 miliardi fra i 31 interventi inseriti nel decreto legge (si vedano la tabella e l'articolo a fianco). La ripartizione formale delle risorse andrà fatta con un decreto interministeriale Infrastrutture-Economia ma nella relazione tecnica del decreto legge c'è già «la stima indicativa dei fabbisogni per ciascuna opera» che assomma complessivamente proprio 3,89 miliardi. Una mossa, quella di Lupi, fatta per trasparenza e anche per mettere un paletto robusto alla discussione parlamentare evitando che le Camere intervengano pesantemente a modificare le poste concordate nel governo.
Dalla relazione tecnica arriva un altro dato interessante: ammonterebbero a 1.055 milioni - secondo la stima del Mef - gli investimenti agevolati sostenuti da famiglie, cittadini e cooperative edilizie per l'acquisto da costruttori di case nuove o ristrutturate destinate poi all'affitto a canone concordato per almeno 8 anni. Nel decreto si conferma la deduzione Irpef del 20% (spalmata in otto anni) fino a un massimo di investimento agevolabile di 300mila euro.
Lupi ha battuto su un altro dato che finora non era stato reso noto: i Comuni avranno 550 milioni per investimenti in infrastrutture in deroga al patto di stabilità interno. Inoltre avranno una fetta da 400 milioni della torta complessiva di 3,89 miliardi di finanziamenti. Andranno alle opere rimaste fuori dal finanziamento del «decreto del fare» del giugno 2013 e alla lista delle opere segnalate dai sindaci direttamente al premier Matteo Renzi per email.
L'altro capitolo sottolineato da Lupi è quello delle liberalizzazioni per l'edilizia. Qui la novità davvero importante è quella che riguarda il frazionamento o l'accorpamento di unità immobiliari. «Oggi – ha spiegato Lupi – queste tipologie di intervento, estremamente utile per le famiglie, sono considerate ristrutturazioni edilizie e hanno bisogno di un permesso per costruire con il pagamento di oneri di costruzione. Con la modifica che abbiamo introdotto con il decreto legge – ha continuato il ministro – saranno considerate manutenzioni straordinarie, sarà possibile farle con una semplice dichiarazione e si dovranno pagare soltanto oneri di urbanizzazione».
Più dubbio l'effetto dell'altra rilevante novità delle semplificazioni edilizie che va a modificare la lettera b) dell'articolo 3 del testo unico per l'edilizia (Dpr 380/2001): quella che fa rientrare fra le opere di manutenzione straordinaria anche quelle che «alterano» le superfici delle singole unità immobiliari. Finora erano ricomprese infatti in questa categoria solo opere «che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari». Lo Sblocca-Italia modifica questa parte della norma limitando l'esclusione a opere che non alterino «la volumetria complessiva degli edifici».
Se ne dedurrebbe che sono ora ammesse tra i lavori di manutenzione straordinaria le opere che ampliano le superfici: un classico esempio può essere quello del soppalco che amplia le superfici senza ampliare le volumetrie. Libertà di soppalco, quindi? La novità sarebbe molto rilevante considerando che in alcune grandi città, in zone centrali, la realizzazione di soppalchi di questo tipo non viene praticamente più autorizzata. Tuttavia, la risposta sembra negativa. Nella definizione della manutenzione straordinaria che dà lo stesso testo unico (e la stessa norma) nella categoria sono ricomprese «le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali dell'edificio». La manutenzione, per definizione, rinnova o sostituisce, ma non realizza ciò che non c'era. Unica eccezione: «Realizzare e integrare i servizi igienico-sanitario e tecnologici».
Lupi infine ha detto di voler recuperare la norma sul regolamento edilizio unico standard che non poteva andare in un decreto legge: la metterà nel Ddl delega sugli appalti.

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20140913&startpage=1&displaypages=2

Espropriazione: dall’UE divieto di ipoteca sulla casa anche per banche e finanziarie

Il giudice può bloccare, in via provvisoria, la finanziaria che mette all’asta la casa familiare del consumatore se si accorge che nel contratto di credito al consumo, fatto firmare a quest’ultimo, sono presenti una o più clausole abusive (quelle clausole, cioè, che pongono oneri particolarmente vincolanti a carico del consumatore e a vantaggio dell’azienda, vietate dalle direttive dell’UE). La vendita forzata può essere immediatamente stoppata perché il diritto all’abitazione è intangibile in base alle norme europee.

 È questa la sintesi di una interessantissima sentenza emessa qualche minuto fa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che autorizza i giudici nazionali a stoppare la vendita forzata degli immobili per debiti contratti con banche e finanziarie. Queste ultime, invero, la fanno “da padroni” quando si tratta di contratti e modelli prestampati, imponendo ai cittadini clausole che, invece, sono spesso vietate dalla normativa europea (cosiddette “clausole abusive”). Risultato: l’ipoteca è nulla e il pignoramento immobiliare deve essere arrestato.

 I giudici comunitari chiariscono la portata della tutela dei consumatori in caso di diritto reale di garanzia (ipoteca) sulla casa d’abitazione. Il diritto all’abitazione è fondamentale e deve essere preso in considerazione dal giudice nazionale nell’attuazione della direttiva sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Gli Stati membri sono tenuti ad adottare meccanismi di tutela tali da far cessare l’utilizzazione delle clausole qualificate come illegittime.

 Prosegue la Corte di giustizia: gli Stati Ue devono cioè applicare meccanismi efficaci per scoraggiare le pratiche abusive. In caso di rilevata sussistenza di tali clausole abusive deve dunque ritenersi che il giudice nazionale competente abbia la facoltà di adottare qualsiasi provvedimento provvisorio che vieti la prosecuzione dell’esecuzione forzata e della relativa vendita della casa nel corso di un procedimento di esecuzione stragiudiziale su un bene dato in garanzia.

 Non solo. La Corte di Giustizia mostra grande interesse per la “prima casa” o, comunque, qualsiasi abitazione dei cittadini. Si legge infatti nella sentenza: bisogna prestare particolare attenzione qualora il bene gravato dall’ipoteca sia l’immobile che costituisce l’abitazione della famiglia del consumatore.

Fonte articolo: http://www.laleggepertutti.it/55766_espropriazione-dallue-divieto-di-ipoteca-sulla-casa-anche-per-banche-e-finanziarie#sthash.qBUBADDy.dpuf

Subscribe to this RSS feed

La invitiamo a lasciare il suo numero di telefono per essere ricontattato.

Cliccando invia dichiari di aver letto ed accettato l'informativa sulla privacy