News dal franchising

News dal franchising (890)

Quanto risparmieremmo se la Tasi venisse abolita?

L’annunciato taglio delle tasse sull’abitazione principale potrebbe far risparmiare in media 204 euro all’anno. È questo, a conti fatti, l’impatto che la misura annunciata dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, potrebbe avere su ognuno dei circa 19 milioni di proprietari di prime case. 
Quello che il pacchetto taglia-tasse conterrà non è ancora chiaro: di sicuro c’è solo l’abolizione della Tasi, la tassa sui servizi indivisibili la cui aliquota è stabilita dai singoli Comuni. Comuni che, quindi, potrebbero perdere una nuova entrata, dopo aver già dovuto rinunciare all’Imu sulla prima casa.
Il condizionale è d’obbligo perché in realtà il Governo dovrà garantire una compensazione a beneficio dei Comuni, sui quali non dovrebbe quindi pesare il taglio della Tasi. Da un lato, quindi, i Comuni potrebbero ottenere una compensazione per il gettito Tasi perso; dall’altro le famiglie potrebbero avere un consistente risparmio in termini di minori tasse.

Facendo qualche esempio, a Milano una famiglia composta da due adulti e un figlio di 10 anni, con reddito di 35mila euro, un Isee (indicatore della situazione economica equivalente) di 28mila euro e una prima casa la cui rendita è pari a quella media del Comune, risparmierà all’anno 308 euro.
Il vantaggio maggiore lo avranno gli abitanti di Bari, che - secondo i parametri sopra descritti - non pagherebbero i 440 euro di Tasi sborsati nel 2014. Anche a Roma i conti delle famiglie troverebbero giovamento: la Tasi nella Capitale vale 411 euro. 


L’impatto nelle città in cui la tassa sui servizi indivisibili era più bassa sarà - ovviamente - minore: a Potenza, per esempio, la famiglia-tipo presa in esame ha pagato nel 2014 solo 15 euro di Tasi, e quindi tale sarebbe il suo risparmio se davvero dovesse andare in porto la «rivoluzione copernicana» annunciata da Renzi. Attenzione, però: il risultato finale dipende dalle modalità con cui sarà effettuata l’abolizione, e soprattutto se questa sarà totale. All’indomani dell’annuncio di Renzi, infatti, sono cominciate a circolare ipotesi di un intervento più parziale, per escludere dall’area no-tax le case di alto valore anche se non considerate «di lusso» dal Catasto: fra le ipotesi ci potrebbe essere un intervento selettivo sulle abitazioni di categoria A/2, oppure l’introduzione di una maxi-detrazione in grado di cancellare il pagamento per molti ma non per tutti. La macchina, comunque, è appena partita, e solo in autunno produrrà proposte più “fondate”.


La rivoluzione fiscale in programma, in verità, non riguarda solo la casa: nel triennio 2016-2018 il presidente del Consiglio vuole anche abolire l’Imu agricola e la tassa sui macchinari fissi delle imprese (i cosiddetti «imbullonati»). 
Non è previsto alcun taglio, invece per la Tari, il tributo sui rifiuti che dal 2014 ha sostituito la Tares: lo scorso anno la Tari è costata in media 290 euro a ogni famiglia italiana. A spendere di più per i rifiuti sono stati i cittadini dei Comuni della Campania, che piazza ben tre capoluogi di provincia nella top ten dei Comuni con la Tari più alta: a Salerno una famiglia-tipo composta da tre persone, con un reddito lordo complessivo di 44.200 euro e una casa di proprietà di 100 metri quadri ha sborsato 473; a Napoli la stessa famiglia-tipo ha pagato 463 euro e a Benevento ne ha pagati 409. Il record, però, spetta a Cagliari dove la tassa sui rifiuti costa alla famiglia-tipo 533 euro. Tra i Comuni meno cari, invece ci sono Cremona (137 euro), Isernia (152 euro) e Udine (161 euro). 


L’abolizione della Tasi vale in totale 3,4 miliardi. Il precedente taglio delle imposte sull’abitazione principale - l’Imu - era valso 3,9 miliardi. E a proposito di Imu, proprio ieri il Comune di Torino ha approvato la delibera con cui si è stabilito di lasciare invariata l’aliquota dell’imposta municipale unica per il 2015. L’aliquota massima, pari al 10,60 per mille, viene adottata come regime ordinario dell’imposta e sarà applicata alle unità abitative non adibite ad abitazione principale. 


Fonte articolo: ilsole24ore, quotidiano web

Il piano fiscale del Governo sull'immobiliare

Il menù della rivoluzione fiscale che prospetta Matteo Renzi è certamente molto allettante e particolarmente ricco e per questo, però, anche alquanto oneroso. Ecco seguendo il cronoprogramma del premier le possibili novità che il governo intende mettere in cantiere di qui al 2018 prospettando un piano da almeno 35 miliardi di euro, che si aggiungo ai 15 di tagli già effettuati nel 2014 col bonus da 80 euro e l’anno scorso col taglio dell’Irap. 

Tassa sulla prima casa  
È la prima imposta che il governo intende abolire già a partire dal 2016. Più che azzerare l’Imu sulla prima casa, che dopo le riforme degli anni passati, interessa solamente i 76mila immobili accatastati A1, A8 e A9, ovvero case di lusso, ville e castelli, si tratta di cancellare la Tasi, la tassa sui servizi indivisibili che nelle entrate dei comuni ha sostituito l’Imu/Ici.  

 

Terreni agricoli  
Il governo l’anno prossimo intende fare dietro front anche su questo intervento dopo che nei mesi passati era stato prima congelato il versamento della prima rata e poi, sull’onda delle proteste delle associazioni di settore, erano stati ridefiniti i criteri per individuare le nuove aree soggette a tassazione. Costo 270 milioni di euro. 

 

Impianti imbullonati  
Anche gli impianti industriali che per funzionare devono essere fissati a terra, di qui la definizione di “imbullonati”, e che fino ad ora il Fisco aveva assimilato agli edifici contigui sottoponendoli a tassazione, verranno esentati dal pagamento dell’Imu. Si tratta di una tassa su cui viene applicata una aliquota del 7,6 per mille che in alcuni casi ha prodotto una esplosione del prelievo con un aumento dell’imposta sugli immobili superiore al 900% che ha indispettito non poco il mondo delle imprese, sia piccole che grandi. Sui “danni” prodotti da questa imposta esistono varie stime che arrivano anche a quantificare il gettito in un miliardo di euro. 

 

Incognita coperture  
Il nuovo piano Renzi, come detto, costa 35 miliardi. Che il governo conta di reperire da un lato contrattando con l’Unione Europea maggiori margini di flessibilità sul deficit e una riduzione più lenta del previsto, del calo del debito pubblico, che comunque verrebbe confermato; e dall’altro con un ulteriore aumento della spending review. Ma già ora tutti i futuri risparmi sulle spese hanno una destinazione ineludibile: disinnescare le clausole di salvaguardia che in assenza di interventi farebbero aumentare Iva e accise per 16 miliardi l’anno prossimo, oltre 26 nel 2017 e per 28,5 miliardi nel 2018. Tanto per capirci solo per il prossimo anno, senza mettere in conto il nuovo taglio delle tasse, il governo con la prossima legge di stabilità dovrebbe reperire all’incirca 20 miliardi (e a fatica la spending review arriverebbe a quota 10). 


Fonte articolo: http://www.lastampa.it/2015/07/19/economia/tasse-sulla-prima-casa-irap-irpef-e-pensioni-cosa-prevede-e-quanto-costa-il-piano-di-renzi-bh7CHvC3YMmQoxxLo4LobM/pagina.html

Immobiliare italiano: il ruolo delle banche e del governo

Verso i primi deboli segnali positivi del mercato immobiliare italiano sta incidendo, certamente, il diverso atteggiamento delle banche che, nel 2014, sembrano aver ridotto la diffidenza verso il settore immobiliare residenziale. La correlazione tra allentamento della restrizione del credito verso le famiglie e aumento delle compravendite sembra robusta e diffusa a livello geografico: sulle otto province delle maggiori città analizzate, sei città (Milano, Roma, Torino, Firenze, Napoli, Genova) presentano un significativo aumento delle compravendite associato ad un deciso aumento dei mutui erogati. Uniche eccezioni: Napoli, interessata da un vasto programma di dismissione del patrimonio pubblico, e Palermo, in cui si assiste ad una diminuzione delle compravendite associata, però, ad un aumento dei mutui.

La possibilità che questi segnali possano consolidarsi dipende, quindi, dal proseguimento della rinnovata attenzione del sistema bancario verso il comparto immobiliare, dopo il fortissimo razionamento avvenuto a partire dal 2007. I mutui per l’acquisto delle abitazioni da parte delle famiglie sono diminuiti, tra il 2007 e il 2013, di oltre il 65%, tornando a crescere solo nel 2014 (+13,4% rispetto al 2013). Anche nel primo trimestre del 2015 si è registrato un dato positivo nelle erogazioni di mutui per l’acquisto di case, +35% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.


Nonostante questi primi segnali di “disgelo” da parte delle banche, il mercato immobiliare sembra essersi segmentato. La quota di famiglie che acquistano l’abitazione in contanti oscilla tra il 40%, secondo le stime di Banca d’Italia-Tecnoborsa, e il 60%, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate. Un’altra parte degli acquirenti, quelli più vulnerabili, dallo scorso mese di marzo 2015, può usufruire del Fondo di Garanzia per la prima Casa, il nuovo strumento gestito dal MEF attraverso la Consap, la cui dotazione di 600 milioni di euro potrebbe attivare mutui per 20 miliardi di euro, secondo le stime del MEF.
I primi dati relativi alle erogazioni effettuate evidenziano l’efficacia del Fondo: in tre mesi di attività (da marzo a maggio 2015) sono state garantite 273 operazioni per un importo finanziato di oltre 30,2 milioni di euro. La restante parte di popolazione più agiata si sta rivolgendo alle banche con minore difficoltà rispetto al passato e contrarre finanziamenti a condizioni decisamente favorevoli: grazie anche al Quantitative Easing introdotto dalla BCE, un livello così basso dei tassi d’interesse, in Italia, non si è mai raggiunto.


Sulla crisi del mercato immobiliare residenziale un ruolo non secondario è stato giocato dalla tassazione sugli immobili, che ha determinato un fortissimo inasprimento del prelievo fiscale legato all’abitazione e un’estrema incertezza derivante da un regime fiscale non chiaro e soggetto a continue modifiche. Secondo gli ultimi dati del Dipartimento delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, il gettito fiscale sugli immobili (per uso abitativo e produttivo) derivante dalle principali imposte sul possesso, sulla locazione e sulle compravendite è stimato, nel 2014, in circa 42,1 miliardi di euro in aumento del 9,8% rispetto al 2013, ovvero 3,8 miliardi di euro in più. Tale incremento è da attribuirsi principalmente al maggior gettito derivante dall’introduzione della nuova imposta sui servizi “TASI” che va ad aggiungersi all’IMU già prevista nel biennio precedente 2012- 2013. In particolare, si passa da 20,4 miliardi di euro del 2013 (IMU) ai 23,9 miliardi del 2014 (IMU +TASI), pari ad un incremento del 17,1%. Il confronto con il 2011, ultimo anno dell’ICI, vede un aumento della tassazione sul possesso degli immobili che passa da 9,8 miliardi di euro del 2011 (ICI) a 23,89 miliardi di euro del 2014 (IMU+TASI), determinando un incremento della pressione fiscale sul possesso del 143,5% in soli tre anni. In questa situazione, l’“emergenza fisco” non è quindi più trascurabile. 

 

Da una politica fiscale impostata unicamente sull’obiettivo del massimo prelievo, occorre pervenire ad una vera e propria strategia fiscale che incentivi il mercato, indirizzando la domanda verso l’acquisto di abitazioni ad elevato standard energetico, anche in un’ottica di riqualificazione di ampie parti di città. In quest’ottica, le priorità d’intervento riguardano:

 

  • - l’introduzione di incentivi al mercato residenziale che consentano la ripresa delle attività ed il ritorno degli investitori nel comparto, attraverso forme di parziale detassazione degli acquisti di nuove abitazioni ad elevato standard energetico ed un sistema di misure che agevolino, sia le imprese che i privati, nella permuta tra abitazioni vecchie e abitazioni riqualificate dal punto di vista energetico e strutturale,
  • - la razionalizzazione degli incentivi BONUS fiscali per recupero e riqualificazione energetica degli immobili), da portare a termine entro il 2015, che non può tradursi in un taglio lineare delle agevolazioni oggi esistenti, ma deve fondarsi su una selezione accurata dei regimi agevolativi, tutelando quelli connessi a “beni a valenza sociale”, quali indiscutibilmente la casa. In questo senso, basterebbe stabilizzare il potenziamento delle agevolazioni per il recupero delle abitazioni e confermare a regime quelle per la riqualificazione energetica degli edifici, eventualmente “rimodulandone” gli effetti, così da premiare soprattutto quelle forme d’intervento incisivo,
  • - la futura “local tax” che, a parere dell’Ance, dovrebbe essere strutturata come un’imposta unica sugli immobili, stabile per almeno 3 anni ed integralmente destinata ai Comuni per il FINANZIAMENTO dei servizi, con l’ovvia esclusione dell’ “invenduto” delle imprese edili (aree e fabbricati costruiti, o ristrutturati, per la successiva vendita).

  • Fonte articolo: http://www.infobuild.it/2015/07/il-diverso-atteggiamento-delle-banche-verso-limmobiliare/

Affitti, il potere degli inquilini referenziati

L'emergenza sfratti non è il solo motivo di preoccupazione del mercato degli affitti in Italia. A fronte di una fascia debole che viene estromessa dall'abitazione per una vasta serie di ragioni, emerge negli ultimi tempi un fenomeno altrettanto vasto: quello delle disdette unilaterali da parte degli inquilini. Fenomeno che il network Solo Affitti ha monitorato e misurato, con una serie di risultati interessanti. Primo fra tutti, la conferma di un nuovo grande potere degli inquilini referenziati, in grado di condurre il gioco degli affitti anziché limitarsi ad accettare le condizioni dei proprietari. Ma andiamo con ordine.


Il perché delle disdette
Solo Affitti, franchising immobiliare specializzato nella locazione, ha analizzato fra le sue 300 agenzie affiliate le motivazioni che stanno alla base della disdetta dei canoni di affitto. A livello nazionale, più di quattro volte su dieci (43,7%) le motivazioni sono di carattere strettamente abitativo: gli inquilini disdicono il contratto per la necessità di trovare una soluzione abitativa in affitto più economica, oppure per la ricerca di un immobile più spazioso o ancora – seppur meno frequentemente rispetto al passato – perché optano per l’acquisto di una casa. 


Il caro-canoni 
La principale motivazione di disdetta è comunque il caro-canone, che spinge l'inquilino a cercare soluzioni più economiche rese disponibili dalla contrazione del mercato oppure addirittura a passare alla convivenza con amici e familiari. Secondo Solo Affitti, sono Napoli, Venezia, Roma e Firenze le città in cui la difficoltà a sostenere i canoni di affitto troppo elevati risulta essere la prima causa di disdetta da parte dell'inquilino. Fra le grandi città italiane con i canoni più elevati, solo a Milano gli inquilini riescono meglio che altrove a far fronte ai canoni di locazione nonostante la crisi economica.


La qualità conta 
Il contratto viene talvolta interrotto anche per situazioni di degrado dell'immobile (6,2%). Muffa, umidità e cattivo stato di manutenzione hanno, ad esempio nella zona universitaria di Bologna, un peso non indifferente. Ed ecco che l'inquilino inizia a prendere il coltello dalla parte del manico e cerca soluzioni più decenti. Anche a Genova e nelle città del centro-sud in generale lo stato degli immobili lascia spesso a desiderare ed è causa di disdetta più che altrove. Nel 6,5% dei casi le disdette sono invece riconducibili a conflittualità tra l'inquilino e altri soggetti, dal proprietario al vicinato. La classifica delle città dove i litigi condominiali o con vicini portano più spesso alla chiusura dei contratti di affitto vede in testa Catanzaro, Cagliari e Genova. Il dato è abbastanza alto anche su Bologna: probabilmente, anche in questo caso il fenomeno va messo in correlazione alla diffusione dell'affitto a studenti universitari.


E dopo? 
Cosa succede dopo la disdetta del contratto d'affitto? Secondo Solo Affitti, nella maggior parte dei casi (69%) l'inquilino continua a rivolgersi al mercato delle locazioni, vista l’assenza di valide alternative. Sono pochi quelli che hanno lasciato l’affitto per acquistare una nuova casa: 18% a livello nazionale. Milano (24%) è la città in cui l'inquilino è riuscito più frequentemente a comprare casa nonostante le difficoltà ad ottenere un mutuo dalle banche. Non distanti da quelle di Milano le percentuali registrate a Firenze. Più bassi, invece, i dati di Roma, Bologna, Torino e Venezia, dove i prezzi delle case sono ancora alti e non permettono a un numero adeguato di inquilini di potersi “affrancare” dall'affitto per passare a un'immobile di proprietà. C'è infine chi lascia l'affitto per essere ospitato da amici o parenti oppure è andato ad abitare in una casa sfruttando un comodato (13%).


Fonte articolo: quotidianocondominio, ilsole24ore.com

Mutui, cosa cambia per tasso fisso e variabile dopo il «no» greco e in caso di Grexit

Con il successo del «no» al referendum in Grecia i mutuatari italiani possono stare tranquilli? È opportuno distinguere tra tasso fisso e variabile e scorporare gli elementi che concorrono alla determinazione del tasso finale, che si ottiene sommando lo spread (deciso dalla banca) a un indice interbancario o europeo (stabilito dal mercato).

Cominciamo dal tasso variabile. È agganciato all’andamento degli Euribor (oggi addirittura negativi per le scadenze a 1 e 3 mesi) o del tasso di riferimento della Bce (0,05%). Con la vittoria del “no” aumenterà certamente la tensione finanziaria. Lo abbiamo visto ieri quando Piazza Affari ha perso il 4% e lo spread sui titoli di Stato è risalito in area 160 punti.

Ma questo avrà un impatto sull’Euribor o sul tasso Bce? Probabilmente no, perché il tasso Bce e gli Euribor sono bassi in questo momento perché l’inflazione nell’Eurozona è bassa, vicina allo 0. Questi tassi saliranno solo quando l’inflazione tornerà a salire. E l’inflazione tornerà a salire solo quando l’economia sarà ripartita. Con le tensioni crescenti in Grecia l’economia dell’area rischia invece di rallentare il mini-slancio. Di conseguenza è difficile ipotizzare che Euribor e tassi Bce aumentino.

Potrebbe invece aumentare lo spread deciso dalla banca. Perché le banche italiane sono piene di titoli di Stato in portafoglio. È probabile che questi si deprezzeranno (nonostante l’intervento protettivo della Bce che da marzo ne ha comprati per un controvalore di 31 miliardi) impattando sul bilancio delle banche. Per questo gli istituti di credito potrebbero avere problemi in futuro (se le tensioni dovessero stabilizzarsi o accentuarsi con spread BTp-Bund oltre 200 punti) a mantenere sui livelli attuali (intorno all’1,5%-2%) gli spread praticati sui mutui. Riepilogando: il tasso Bce e gli Euribor non saliranno mentre gli spread (che pure concorrono alla formazione del tasso) potrebbere aumentare lievemente.

Passiamo ora ai tassi fissi. Questi sono agganciati all’andamento degli indici Eurirs, che a loro volta sono collegati al rendimento del Bund tedesco. È probabile, visto il “no” che nelle prossime sedute molti investitori si rifugeranno nel Bund, favorendone un ribasso dei tassi. Di conseguenza l’Eurirs potrebbe diminuire, a vantaggio dei nuovi mutuatari a tasso fisso. Cme per il tasso variabile, però, l’impatto positivo apportato dal tasso interbancario potrà essere neutralizzato o aggravato da un eventuale aumento degli spread delle banche italiane.

Ancora più complesso lo scenario in caso di Grexit. A quel punto le tensioni finanziarie potrebbero aumentare e lo spread BTp-Bund potrebbe posizionarsi intorno ai 250-300 punti spingendo le banche ad aumentare a loro volta lo spread praticato sui mutui che no nè direttamente collegato a quello dello mercato obbligazionario ma, vista l’esposizione delle banche italiani nei titoli di Stato, lo è indirettamente.

E in caso di Italexit? Qualche lettore ci ha posto anche questa domanda, ovviamente preoccupato di un eventuale contagio. Si tratta di uno scenario fantascientifico. Ma a livello scolastico possiamo dire che per chi ha già un mutuo la rata di 800 euro diventerebbe automaticamente di 800 nuove lire (perché è probabile che la conversione euro e nuova lire sarebbe 1:1). È però logico aspettarsi anche una svalutazione della nuova lira almeno del 10-15% che potrebbe tradursi in un’inflazione nei primi anni del 5%-7%. Di conseguenza, a parità di stipendio con l’Italexit chi ha stipulato un mutuo a tasso variabile sarebbe penalizzato dal rialzo dell’inflazione e dal rialzo dei tassi. Sarebbe penalizzato, a parità di stipendio, anche il mutuatario a tasso fisso che dovrebbe continuare a restituire 800 nuove lire al mese ma con una perdita del potere d’acquisto legata all’aumento dell’inflazione. In caso di adeguamento dello stipendio all’inflazione invece risulterebbe molto avvantaggiato, come accade normalmente per i mutui a tasso fissi quando l’inflazione sale. Ma ripeto, si tratta di esempi scolastici dato che al momento questo scenario non è neppure contemplato dai mercati e dagli analisti, a differenza del Grexit ritenuto più o meno probabile a seconda delle previsioni che spaziano da un 25% (strategist di Ig) di probabilità all’80% (gestore obbligazionario Bill Gross).

Fonte articolo: http://www.ilsole24ore.com - Finanza e mercati del 11 luglio 2015

 

Nuova definizione di superficie agricola, cosa cambia?

Vincoli meno stringenti per superfici destinate a servizi pubblici e spazi inedificati destinati a interventi di riuso e di rigenerazione. Questo quanto previsto dagli emendamenti presentati al ddl sul consumo del suolo dai relatori Chiara Braga e Massimo Fiorio alle commissioni Ambiente e Agricoltura alla Camera.


Contenimento del suolo: nuova definizione superficie agricola
Il nuovo disegno di legge cambia la definizione di ‘superficie agricola’ dandone la seguente: “terreni qualificati come agricoli dagli strumenti urbanistici, nonché le altre superfici, non impermeabilizzate alla data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per le superfici destinate a servizi pubblici di livello generale e locale previsti dagli strumenti urbanistici vigenti, nonché per i lotti e gli spazi inedificati interclusi già dotati di opere di urbanizzazione primaria e destinati prioritariamente a interventi di riuso e di rigenerazione”.

In precedenza con ‘superficie agricola’ s'intendevano anche “le superfici in area urbanizzata, allo stato di fatto non impermeabilizzate, dove lo strato superficiale del suolo non sia stato coperto artificialmente, scavato o rimosso”. Di conseguenza gli interventi di rigenerazione e gli spazi per servizi pubblici non dovranno rispettare i vincoli di tutela per le aree agricole che la nuova norma prevede.


Riuso e rigenerazione: beneficeranno degli oneri di urbanizzazione
Gli emendamenti proposti ampliano le categorie d’interventi che possono godere dei proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione. Tali proventi saranno destinati anche a  “interventi di riuso e di rigenerazione, ad interventi di demolizione di costruzioni abusive, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della messa in sicurezza delle aree esposte alla prevenzione e alla mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura in ambito urbano, attuati dai soggetti pubblici”.


Consumo di suolo e disposizioni transitorie
Le precedenti norme transitorie prevedevano che, dall'entrata in vigore della legge e per tre anni, non fosse consentito il consumo di suolo tranne che per i lavori e le opere inseriti negli strumenti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici e nella Legge Obiettivo. I nuovi emendamenti invece stabiliscono che tale deroga varrà non più per l’intera Legge Obiettivo ma solo per le opere strategiche inserite nell'allegato del Documento di economia e finanza del 2015, comprendente circa 25 opere.


Fonte articolo: http://www.edilportale.com/news/2015/06/ambiente/legge-sul-consumo-di-suolo-meno-vincoli-per-la-riqualificazione_46610_52.html

 

Condòmino insolvente: l'amministratore deve fornire i dati


In caso di crediti imprevisti, l’amministratore deve fornire al creditore tutti i nominativi dei condomini con l’indicazione delle quote millesimali. Lo ha stabilito il Tribunale di Monza con l’ordinanza del 3 giugno 2015.


Il diritto di accesso nel Codice 
La legge impone all’amministratore di comunicare ai creditori non soddisfatti che lo interpellano i dati dei condomini morosi e consente di agire nei confronti degli adempienti solo dopo avere infruttuosamente escusso i morosi.

Si tratta per l’amministratore di un dovere legale di salvaguardia dell’aspettativa di soddisfazione dei titolari di crediti derivanti dalla gestione condominiale, che delinea un obbligo per lui di cooperazione con costoro a prescindere dal contenuto del programma interno del suo rapporto di mandato con i condomini.


Il tenore letterale del primo comma dell’articolo 63 delle disposizioni attuative del Codice civile limita però tale obbligo alla comunicazione dei dati dei soli condomini morosi e non legittima affatto l’amministratore a fornire al creditore i nomi e le quote dei condomini in regola con i pagamenti.


L’ordinanza del Tribunale
 
Il Tribunale di Monza è stato di diverso avviso e ha condannato l’amministratore a fornire al creditore l’anagrafe completa di tutti i nominativi con l’indicazione delle quote millesimali di ciascuno.


La decisione del giudice monzese opera una netta distinzione tra il credito già deliberato dall’assemblea da quello invece imprevisto che, come tale, non è stato ancora sottoposto ad approvazione. Per il primo trova perfetta applicazione il principio secondo cui il creditore non soddisfatto deve preventivamente escutere il condomino moroso e dunque è imposto all’amministratore solo l’obbligo di consegnargli il nominativo (e millesimi) di questi. Per i crediti invece non deliberati, tutti i condomini sono di fatto tenuti a pagare il credito pro quota millesimale, non sussistendo in tal caso la sussidiarietà di cui all’articolo 63, comma 2 delle disposizioni attuative del Codice civile: da qui il diritto del creditore di pretendere la consegna dell’intera anagrafica dei condomini.


L’ordinanza si spinge però oltre e ritiene che, non essendo dato di conoscere al creditore se rispetto al suo credito ci siano morosi ovvero se neppure si sia deliberato in merito, l’obbligo di comunicazione in capo all’amministratore si estende comunque anche alla intera anagrafica condominiale, ben potendo il creditore cercare tutela in via preventiva: "Sarà poi l’amministratore a dovergli comunicare se qualche condomino non sia moroso, avendo pagato la sua quota". Ed ancora: "L’espressione “dati” dei condomini morosi dell’articolo 63, comma 1 delle disposizioni attuative deve intendersi comprensiva anche delle quote millesimali", essendo esclusa la solidarietà tra i condomini (Cassazione, Sezione unite, 9148/2008) e dovendo il creditore agire pro quota.


I dubbi per la privacy 
Il ragionamento non convince del tutto, vuoi perché la ratio del comma 1 dell’articolo 63 è certamente quella di proteggere i condomini solventi e vuoi perché in contrasto con la normativa di tutela della privacy. Infatti, la superfluità del consenso dei condomini morosi al trattamento dei loro dati personali discende dall’articolo 24, primo comma, lettere a) del Dl 196/2003, non essendo richiesto ogni qualvolta il trattamento sia necessario per adempiere a un obbligo previsto dalla legge (appunto dall’articolo 63, comma 1 delle disposizioni attuative).


La riforma non autorizza invece l’amministratore a fornire al creditore il nominativo e le quote dei condomini in regola con i pagamenti, quindi il comunicarlo esula dagli obblighi legali e contrattuali dell’amministratore e impone pertanto il preventivo consenso dell’interessato in base all’articolo 23 del Dlgs 196/2003.


Fonte articolo: il quotidiano del condominio, il Sole24Ore web. 

Efficienza energetica dei condomini per far ripartire l'edilizia


"In Italia ci sono circa 1,1 milioni di condomini e si stima che per ogni intervento strutturato di efficientamento energetico serva un investimento di almeno un milione di euro. Ecco dove sta l’economia. Se poi consideriamo che ogni dieci anni saranno necessari interventi di manutenzione, abbiamo creato un’industria". Alessandro Ponti, A.D. di Harley&Dikkinson (H&D) e presidente di REbuilding Network, sottolinea le criticità del mercato italiano legate ad un gap culturale e al frazionamento della proprietà, ma si fa promotore di una squadra che ha già aggregato sei aziende che singolarmente sono impegnate sui temi dell’efficienza energetica.

 

Nella rete oggi si contano oltre a H&D Finance anche il distretto tecnologico Habitech, iGuzzini, Riello, Saint-Gobain Italia e Schneider Electric. "Il nostro obiettivo è mettere a fattor comune un sistema di tecnologie per efficientare gli edifici esistenti. Abbiamo fatto un primo test a Roma in via Ermete Novelli non lontano da Piazza delle Muse – racconta Ponti – e il cantiere partirà a breve. È un piano rigenerazione energetica per un edificio di proprietà dell’Inpgi (l’istituto previdenzialie dei giornalisti, ndr), una palazzina degli anni ’50 di sette piani, circa 4.500 mq di superficie, con 22 alloggi che passerà dalla classe energetica G alla A+". Il progetto è dello studio Freyrieflores Architettura e il business-plan prevede una spesa di circa 21 euro/mq per la manutenzione e di 100 euro/mq per la rigenerazione energetica. Se oggi ciascuna famiglia in quel palazzo consuma 2.700 euro all’anno, dopo l'intervento ne risparmierà 1500.


Il progetto romano dovrà passare i test del cantiere e della gestione ma la direzione è quella auspicata per le migliaia di edifici delle grandi e piccole città italiane e incentivata dal mondo Rebuild. "Bisogna lavorare al fianco degli amministratori di condominio – spiega Ponti – e nella nostra rete ne raccogliamo 18mila dei 25mila italiani. Speriamo di riuscire a trasmettere il messaggio che tramite loro dovrà arrivare ad ogni singolo condomino".


Sull’efficienza energetica e la valorizzazione del patrimonio costruito ci sono già alcuni prodotti finanziari studiati ad esempio da Ubi o dalla Popolare di Milano, con finanziamenti a tasso zero e senza garanzie, "prodotti che le banche ci rilasciano direttamente per conto dei nostri clienti – dice Ponti – proprio perché investono su una filiera efficientata". In molti sostengono che le risorse non siano un problema, ma il mercato non parte. Perché? "Banche e Fondi di investimento mettono i soldi – dice Ponti – ma manca la cultura sia da parte del progettista sistemico che dell’amministratore di condominio, due soggetti che oggi difficilmente dialogano tra loro".


L’edilizia italiana ha bisogno di cambiare marcia, superare le resistenze e darsi una prospettiva di esponenzialità sia nei numeri che nelle prestazioni da raggiungere. La creazione di nuovo valore passa dalla deep renovation dei condomini energivori e a Riva del Garda si dimostra che il mercato offre tutte le tecnologie, i materiali e le soluzioni per raggiungere gli obiettivi europei di ridurre dell'80% le emissioni di CO2 entro il 2050. Oltre confine a Parigi, è la società ferroviaria francese Sncf a fare scuola con un condominio di 87 appartamenti, occupato, degli anni 50, che è stato riqualificato abbattendo dell’80% i consumi. Il costo di intervento è stato dell'ordine dei 500 euro/mq. "Il punto di forza di questo progetto è la proprio sua replicabilità – sottolinea Alberto Ballardini, responsabile dei servizi per edifici esistenti di Habitech – e uno degli obiettivi di Rebuild è proprio quello di testare sul campo soluzioni che possano essere proposte su larga scala misurando il raggiungimento dei risultati".


Fonte articolo: http://www.casa24.ilsole24ore.com/art/condominio/2015-06-24/condomini-crescita-sinergie-i-settori-182802.php?uuid=AC6yOWF

Al via REbuild per rilanciare l'immobiliare italiano

Oggi e domani si svolgerà al Palazzo Congressi di Riva del Garda REbuild, convention nazionale sull’innovazione della riqualificazione e gestione immobiliare.


Giunta alla IV edizione e organizzata da Habitech - Distretto Tecnologico Trentino – e Riva del Garda Fierecongressi, REbuild porrà all'attenzione degli addetti ai lavori tematiche fondamentali come la deep renovation, la rigenerazione urbana o la digitalizzazione dell'edilizia, per spiegare quali importanti possibilità si nascondono dietro la riqualificazione degli edifici.

"Con oltre 18 milioni di abitazioni che necessitano una riqualificazione, il nostro Paese ha il secondo patrimonio immobiliare più vecchio al mondo, inadeguato dal punto di vista energetico, estetico, funzionale, ambientale e della sicurezza" sottolinea Thomas Miorindirettore di Habitech e ideatore dell’evento.
La riqualificazione è la strada per far recuperare valore all'immobile, per rilanciare l'economia e l'occupazione del settore e per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni che ci pone l'Europa entro il 2050. Farlo ad un tasso di un'abitazione al minuto, per i 18 milioni di minuti che ci dividono dal 2050, richiede un ripensamento delle tecnologie e della filiera ma soprattutto dei processi finanziari ed amministrativi”.


Le risorse per far partire il mercato? Sono già tutte su tavolo, basta saperle sfruttare. La vetustà del patrimonio italiano costa ogni anno alle famiglie 42 miliardi di Euro per una media di 1.650 Euro ad abitazione, dovuti alla sola spesa corrente dei consumi energetici e a cui si aggiungo le necessità di manutenzione straordinaria delle strutture.


Si parlerà di
- riqualificazione radicale, meglio nota come deep renovation, attraverso casi eclatanti come quello condotto in Olanda, dove in soli 10 giorni è stato possibile trasformare un'abitazione usurata e poco efficiente dal punto di vista energetico in una casa con bollette azzerate e garantite per trent'anni;
- rinnovamento delle infrastrutture in grado di agevolare la rigenerazione urbana a partire dalle vie di comunicazioni, fondamentali per avviare nuove fasi di sviluppo, alle nuove tecniche di riqualificazione ad edificio occupato, evitando agli abitanti di dover lasciare la propria casa per agevolare gli interventi, alla riqualificazione modulare e ad esempi di realizzazione di hotel diffusi passando attraverso il coinvolgimento della popolazione.


Ma REbuild 2015 sarà anche occasione per raccontare come le nuove tecnologie stanno radicalmente modificando gli approcci nei processi di realizzazione degli edifici grazie all'utilizzo di droni e realtà aumentata, nella gestione dei consumi attraverso la connessione degli oggetti, e nell'interazione tra l'utente e gli spazi urbani.


Fonte articolo: http://www.edilportale.com/news/2015/06/aziende/rebuild-2015-al-via-la-convention-nazionale-sull-innovazione-della-riqualificazione-e-gestione-immobiliare_46554_5.html



Il nuovo APE slitta al 1° Ottobre

L'obbligo di compilare l'Attestato di prestazione energetica degli edifici secondo le nuove linee guida predisposte a livello nazionale scatterà il 1° ottobre prossimo. Così ha deciso dalla Conferenza Unificata che ha dato il via libera definitivo, dopo un lungo lavoro di confronto e limatura, al decreto che detta le modalità per la certificazione in edilizia in attuazione alla Direttiva 2010/31/UE e agli schemi di relazione tecnica di progetto.

 

L'ultima data proposta dal Mise era quella del 1 agosto: alla fine, però, si è preferito accogliere almeno in parte la richiesta avanzata dalle Regioni, dietro la motivazione di consentire ai tecnici abilitati al rilascio dell'Ape di prendere confidenza con i nuovi software. Il decreto Ape dovrà comunque essere pubblicato in Gazzetta entro il 28 giugno, pena la mancata chiusura da parte dell'Europa della procedura di infrazione aperta a carico dell'Italia e l'impossibilità per il nostro Paese di utilizzare i fondi strutturali della programmazione 2014-2020.


Stessa situazione vale anche per il Decreto (parallelo) sui requisiti minimi di efficienza energetica per gli immobili, che ha avuto l'ok il 25 marzo dalla Conferenza Unificata, ma non è ancora uscito stato pubblicato in via ufficiale. Anche per questo, la data di entrata in vigore (fissata al 1° luglio) potrebbe slittare a inizio ottobre.


Sotto l'aspetto pratico, la grande novità in arrivo con le linee guida varate la scorsa settimana, è che da ottobre tutte le Regioni (con l'eccezione delle Province Autonome) utilizzeranno uno stesso sistema per classificare la performance energetica dell'edificio. E questo nonostante, sulla carta, la clausola di cedevolezza lasci comunque liberi i territori di agire con propri sistemi locali a patto di aver recepito con atti propri la direttiva comunitaria. «Alla fine, ha prevalso una scelta di omogeneità – commentano dal Mise – che va nella direzione di offrire ai proprietari di casa e agli acquirenti un'unica scala di confronto, comparabile, in tutta Italia».


L'Ape, rispetto ad oggi, prenderà in esame le prestazioni dell'immobile anche per il raffrescamento estivo, oltre che per il riscaldamento invernale e la produzione di acqua calda sanitaria. Le classi saranno dieci (dalla migliore o A4 alla peggiore o G) e verranno determinate non più secondo il parametro dell'Epi limite, bensì in funzione del rapporto fra la prestazione di un edificio e quello di un fabbricato di riferimento. Se per gli edifici nuovi i parametri di riferimento (l'indice di prestazione media) sono già disponibili, per quelli esistenti l'Enea avrà 18 mesi di tempo dall'entrata in vigore del decreto per predisporli. 


Il nuovo attestato conterrà infine consigli e raccomandazioni su quali interventi mettere in atto per migliorare l'efficienza del fabbricato nel modo più economico possibile. Dopo l'entrata in vigore, sarà anche creata una banca dati a livello nazionale degli attestati (Siape), che consentirà di tracciare nel tempo uno quadro chiaro del costruito in Italia.


Fonte articolo: quotidiano condominio, ilSole24Ore

 

Perchè è saltata la Riforma del Catasto?


Tanto tuonò che non piovve. La Riforma del Catasto rischia di saltare, o come minimo di ritardare ancora. In teoria previsto per oggi, il secondo e determinante decreto attuativo della delega fiscale in tema di immobili non arriverà invece in Cdm.

bloccarlo, a pochi giorni dalla scadenza della delega (il 27 giugno), il putiferio creato dalle simulazioni approntate dall’Agenzia delle Entrate. Pare che le rendite si impennino arrivando a cifre folli, con conseguenti tasse supplettive e maggiorative.

 

In realtà, se le rendite aumentano, le aliquote di Imu e Tasi dovrebbero scendere: come tradurre il tutto nella nuova Local Tax non è dato sapersi, ma nel frattempo meglio temporeggiare.


I calcoli delle Entrate che hanno fatto saltare il banco. Secondo i primi calcoli – elaborati dalla Uil-Servizio politiche territoriali in base proprio al possibile algoritmo messo a punto dall’Agenzia delle entrate – i valori degli immobili ottenuti applicando la nuova formula decollano ovunque, sia in centro che in periferia, nonostante lo sconto del 30%, inserito nel decreto per attutire i rialzi.
Le più tartassate – guarda un po’ – sarebbero proprio le abitazioni oggi classificate come economiche e popolari (A3 e A4), soprattutto se ubicate nei centri storici. Esempi: a Napoli il valore di una casa popolare in centro sale di sei volte. A Roma di quattro. A Venezia di cinque.


La Riforma del Catasto sulla carta. Il dlgs sulla riforma del catasto fabbricati, attuativo dalla legge n. 23/2014 e all’esame del consiglio dei ministri di oggi, prevede che il valore patrimoniale degli immobili sarà determinato dall’Agenzia delle entrate (divisione ex Territorio) mediante stima diretta, con processi uniformi a livello nazionale e con parametri specifici per ciascuna categoria catastale, elaborati da Sose.
Le funzioni statistiche (cioè il rapporto tra valori di mercato e le caratteristiche dei fabbricati) e i relativi ambiti di applicazione, validati dalle commissioni censuarie, saranno adottati con decreti del Mef. Alla procedura collaboreranno i comuni.


Fonte articolo: http://www.comuni.it/2015/06/fisco-choc-salta-riforma-catasto-oggi-cdm-chiarificatore/



Nuovo Albo Geometri idonei alla valutazione immobiliare

Valutazione immobiliare e due diligence ad appannaggio dei Geometri qualificati. Parte infatti l’albo nazionale dei Geometri libero professionisti qualificati nella valutazione e nella due diligence nel settore degli immobili con la pubblicazione del nuovo sito dedicato.

L’Associazione Notarile delle Procedure Esecutive (ANPE) e il Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri laureati (CNGeGL) hanno infatti firmato un protocollo d’intesa per riorganizzare la presenza dei geometri sull’intero territorio nazionale, con “un elenco di geometri liberi professionisti qualificati nella valutazione immobiliare, che sarà disponibile a richiesta degli interessati o dei roganti”.

Obiettivo dichiarato di questa importante iniziativa per la professione di Geometra è di garantire “certezza, legalità, trasparenza, professionalità ed affidabilità in tutte le relative fasi nell’ambito della circolazione degli immobili”.

Ma chi sono tali geometri qualificati e libero professionisti a cui il protocollo si riferisce? Innanzitutto, tutti i geometri iscritti all’Albo e che abbiano conseguito in maniera continuativa alla loro formazione professionale. Sarà lo stesso CNGeGL a verificare il possesso di una “speciale qualifica” in grado di “assicurare l’idoneità nella valutazione immobiliare” da parte dei geometri stessi (qualifica Rev del TEGoVa o ISO 17024).


Tale processo passerà preliminarmente per una fase iniziale e transitoria, nella quale, invece, tali verifiche saranno messe in atto direttamente dal Collegio di appartenenza del professionista, attraverso l’utilizzo del sito web dedicato a questa iniziativa (www.anpe.cng.it), un portale di informazioni, che testimonia la direzione del Consiglio Nazionale di rendere sempre più incisiva e semplificata la comunicazione, compresa quella tra gli addetti ai lavori.
Nel sito saranno reperibili tutte le informazioni utili: la procedura di invio delle domande per l’ottenimento dell’iscrizione e del relativo rinnovo, nonché l’anagrafe dei professionisti qualificati, ecc.


“È un ulteriore contributo che la categoria dei Geometri Italiani", spiega il presidente nazionale CNGeGL Maurizio Savoncelli, "utile a migliorare e a qualificare un settore molto delicato, quale quello delle procedure di esecuzione immobiliare. Una attività che rafforza la stretta collaborazione e sinergia con il mondo del notariato e l’ambito della giustizia civile, dove i geometri storicamente svolgono un ruolo strategico”.


Fonte articolo: http://www.geometri.cc/valutazione-immobiliare-albo-nazionale-dei-geometri-qualificati-anpe-cngegl.html

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