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730 precompilato con le spese di ristrutturazione


Al suo secondo anno di applicazione – nel triennio di “rodaggio” previsto – il 730 precompilato dall'Agenzia delle Entrate si prepara ad accogliere in maniera più completa i dati dei bonus fiscali sui lavori in casa. 

 

Nella scorsa dichiarazione dei redditi, all'esordio del modello inviato a 20,4 milioni di contribuenti, le informazioni sulle spettanti detrazioni per interventi di ristrutturazione edilizia e riqualificazione energetica erano state desunte dalla dichiarazione precedente: quindi risultavano di fatto “precompilate” solo per i contribuenti che scontavano almeno la seconda delle dieci quote (annualità) in cui si ripartisce l'agevolazione. In altri termini, chi aveva sostenuto le spese nel 2014 non aveva potuto fruire della relativa semplificazione del modello sperimentale 2015, e aveva dovuto inserire i dati. 


Una delle novità del 730-2016 è dunque la precompilazione dei bonus che si riferiscono alle spese sostenute nell'anno precedente. D'ora in poi, entro il 28 febbraio (quest'anno il 29, perché il termine è capitato di domenica) le banche e le Poste devono infatti comunicare alle Entrate i dati dei bonifici parlanti emessi dai contribuenti, con gli identificativi del beneficiario e del destinatario della somma.


In verità, quest'anno, le spese del 2015 non verranno indicate propriamente in dichiarazione ma nel foglio informativo allegato, sul quale il contribuente o l'intermediario dovrà intervenire per convalidare o eliminare dati o spese raccolti dall'Agenzia (immaginiamo il caso in cui si siano pagate con bonifico parlante anche spese in tutto o in parte non detraibili).


Restando in tema di agevolazioni per la casa, i dati relativi ai bonifici effettuati nel 2015 per interventi di recupero del patrimonio edilizio, per l'arredo delle abitazioni ristrutturate (bonus mobili) e per interventi finalizzati al risparmio energetico si aggiungono agli altri già presenti completamente “in automatico” dallo scorso anno (730-2015) e relativi agli interessi passivi sui mutui ipotecari. Anche questi dati sono comunicati dalle banche. Ma se gli interessi risultano di ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione precedente, vengono inseriti nel prospetto e non direttamente nella precompilata. In tal caso, sono infatti giudicati incongruenti (gli interessi pagati sui mutui di solito diminuiscono nel corso degli anni) e richiedono una verifica da parte del contribuente. 


A partire dal 15 aprile, la dichiarazione precompilata sarà online a disposizione dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, in un'apposita sezione del sito delle Entrate, e vi si potrà accedere con il Pin (Fisconline) e le credenziali dispositive Inps. Oppure conferendo delega al Caf/professionista abilitato o al sostituto d'imposta (solo se questo ha comunicato entro il 15 gennaio la volontà di prestare assistenza fiscale). Da quest'anno, una volta entrato nell'applicazione, il contribuente sarà guidato dal sistema a scegliere, in base ai propri requisiti, tra modello 730 e Unico precompilato.


La scelta non sarà indifferente. Ad esempio, soltanto il 730 consente (tranne i casi in cui sono previsti controlli preventivi) di ricevere l'eventuale rimborso Irpef in busta paga già dalla prossima estate. O di essere esonerato dai controlli formali su oneri detraibili e deducibili comunicati dalle Entrate, se si accetta la dichiarazione senza modifiche che incidano sul calcolo del reddito complessivo o dell'imposta. Su questo punto, si deve però considerare che anche l'accettazione dei dati contenuti nell'area informativa, come quelli sui citati bonus casa, equivale a modificare la dichiarazione, facendo dunque perdere i vantaggi dell'esonero dai controlli documentali.


Il 730 precompilato dovrà esser inviato alle Entrate entro il 7 luglio. Ma resta inteso che la via della precompilata non è obbligatoria, e anche chi riceve il modello può continuare a preferire la modalità tradizionale. Qualsiasi strada si scelga, la dichiarazione potrà poi esser integrata fino al 30 settembre, con il modello Unico Pf/2016, se la modifica comporta un minor credito o un maggior debito.


Fonte articolo: Casa24.ilsole24ore.com

Come detrarre le ristrutturazioni dei condomini

L'Agenzia delle Entrate mette online anche il documento aggiornato a marzo 2016 sugli interventi di ristrutturazioni edilizie. Rispetto alla versione precedente, contiene novità anche sugli sgravi fiscali di cui possono usufruire i cosiddetti condomini minimi, ossia composti da soli due proprietari. Tuttavia, nella prassi, il concetto si estende anche a quegli immobili detenuti da un numero di proprietari inferiore a cinque.


Oltre quattro proprietari, infatti, il codice civile prevede l'obbligo di nomina di un amministratore. Sotto tale limite, invece, non vi è alcun obbligo di avere un amministratore, ma semplicemente una facoltà.

 

Bonus ristrutturazioni Agenzia Entrate

È possibile detrarre dall’Irpef una parte degli oneri sostenuti per ristrutturare le abitazioni e le parti comuni degli edifici residenziali situati nel territorio dello Stato. In particolare, i contribuenti possono usufruire delle seguenti detrazioni:

- 50% delle spese sostenute (bonifici effettuati) dal 26 giugno 2012 al 31dicembre 2016, con un limite massimo di 96.000 euro per ciascuna unità immobiliare;

- 36%, con il limite massimo di 48.000 euro per unità immobiliare, delle somme che saranno spese dal 1° gennaio 2017.

L’agevolazione può essere richiesta per le spese sostenute nell’anno, secondo il criterio di cassa, e va suddivisa fra tutti i soggetti che hanno sostenuto la spesa e che hanno diritto alla detrazione.


Condominio minimo detrazione fiscale

La guida aggiornata ricorda che con la circolare n. 3/E del 2 marzo 2016, per quanto riguarda i condomini minimi (senza amministratore, né codice fiscale):

- il pagamento deve essere sempre effettuato mediante l’apposito bonifico bancario/postale; 

- in assenza del codice fiscale del condominio, i contribuenti possono inserire nei modelli di dichiarazione le spese sostenute riportando il codice fiscale del condomino che ha effettuato il bonifico.

Il contribuente dovrà dimostrare, in sede di controllo, che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell’edificio. Se per la presentazione della dichiarazione si rivolge a un Caf o a un intermediario abilitato, è tenuto ad esibire, oltre alla documentazione generalmente richiesta, un’autocertificazione che attesti i lavori effettuati e che indichi i dati catastali degli immobili del condominio.

 


Fonti articolo: Idealista.it, Professionisti.it

Crescita del mercato immobiliare anche nei piccoli centri

Si consolida la ripresa del mercato, seppur con ritmi blandi e con uno sfasamento della componente prezzi che, ancora in discesa, non si adeguano all’aumento della domanda. Un trend iniziato nei grandi centri urbani e che sembra consoldarsi ora anche in provincia, dove tutti gli indicatori svoltano nettamente verso il segno più, seppur con profonde differenze a livello territoriale 


Sono i trend che emergono dal primo Osservatorio Immobiliare Nomisma del 2016, presentato oggi 23 marzo, che ha monitorato le consuete 13 “città intermedie” (Ancona, Bergamo, Brescia, Livorno, Messina, Modena, Novara, Parma, Perugia, Salerno, Taranto, Trieste e Verona).

COMPRAVENDITE

"Nei primi mesi dell'anno hanno trovato conferma i segnali di lenta ripresa del mercato immobiliare italiano con i quali si era chiuso il consuntivo dell'anno 2015. La fase negativa – si legge nel report – dell'attuale ciclo immobiliare si è esaurita e ha preso avvio il “recupero” anche se, come racconta la storia immobiliare italiana, i tempi della svolta tendono continuamente a dilatarsi".


Le tendenze dei mercati cosiddetti intermedi mostrano segnali addirittura migliori rispetto a quelli delle grandi città (ad esclusione di Milano e Roma che sembrano anticipare tali inclinazioni). Si assiste all'aumento degli scambi, alla riduzione degli sconti praticati sui prezzi richiesti e allo stabilizzarsi dei tempi necessari alla vendita.
"L'esiguità dell'offerta di qualità disponibile nei mercati maggiori (si consideri che il 52,8% delle abitazioni italiane ha più di 40 anni) ha contribuito – comunicano da Nomisma – al parziale spostamento degli investitori verso i mercati di secondo livello".


Ritorna l'interesse per la proprietà dell'abitazione, che continua ad essere favorito da una minore selettività da parte del settore bancario riscontrabile nella quota di mercato assistita da mutuo. I mercati intermedi detengono il primato in termini di incidenza delle compravendite intermediate sostenute da credito che si attestano intorno al 70% rispetto al 60% dei mercati metropolitani.


La tendenziale ripresa del mercato è stata sostenuta dall'ulteriore calo dei prezzi, seppure in progressiva riduzione rispetto al passato. A questo proposito – come si legge dal rapporto – "i valori dei mercati intermedi presentano una minore resistenza all'innesco della ripresa. L'ultima variazione annuale dei prezzi (2016/2015) è risultata compresa tra il -3,5% dei capannoni e il -1,5% delle abitazioni nuove. Le abitazioni usate, gli uffici e i negozi hanno fatto registrare flessioni del 2%, 2,1% e 2,3%".


LOCAZIONE

L'altra componente del mercato immobiliare è rappresentata dal segmento della locazione che, a consuntivo della fase recessiva, offre "rendimenti piuttosto bassi e compressi in termini di variabilità tra i diversi mercati, nell'arco di un paio di punti percentuali in tutti i principali segmenti". La locazione dell'abitazione risponde ad una domanda legata soprattutto alle nuove generazioni che, oltre a ricercare nuove soluzioni abitative per emancipazione dal nucleo di origine, nell'ultimo anno si sono spostate per motivi di studio o lavoro lungo la direttrice Mezzogiorno/Centro Nord (di 41.000 unità, il 70% è rappresentato da giovani). La componente di domanda che si rivolge all'opzione dell'affitto continua quindi ad essere consistente e pari a circa il 50%. 

Tra le tipologie di contratti stipulati si segnala la maggiore diffusione nell'ultimo biennio delle locazioni a canone concordato (che rappresentano oggi il 44,1% del totale).


"Negli ultimi dieci anni i prezzi di mercato e i canoni degli immobili locati hanno fatto segnare andamenti simili: in entrambi i casi la crescita si è interrotta attorno al 2007 e da lì è iniziata una fase di declino non ancora conclusa. L'adeguamento al ribasso dei canoni è stata la risposta di mercato alla debolezza economica della maggior parte della domanda che si rivolge a tale segmento. La variazione annuale dei canoni per gli immobili dei mercati intermedi si è attestata nell'ordine del -1,4% per le abitazioni usate, -1,7% per gli uffici e -1,9% per i negozi".


In ultima analisi, seppure la ripresa in atto mostri evidenze di consolidamento, non mancano i fattori potenzialmente critici. L'ulteriore indebolimento del quadro macro-economico, l'ampliamento dell'eccesso di offerta derivante da un'accelerazione nel processo di cessione delle garanzie immobiliari alla base dei non performing loans e un'attenuazione di interesse degli investitori corporate stranieri per il nostro Paese, sono i fronti da cui potrebbe scaturire un rallentamento – anche significativo – del processo di graduale risalita.


Fonte articolo: Casa24.IlSole24Ore

Quando può risolversi il contratto di comodato?

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che in materia di comodato di immobile destinato a casa familiare solo la necessità dell'uso diretto da parte del comodante ed il deterioramento delle sue condizioni economiche rappresentano le uniche condizioni che consentono al comodante di porre fine al comodato.


La sentenza a Sezioni Unite della Cassazione risolve un conflitto giurisprudenziale sorto nell'ultimo decennio in tema di contratto di comodato avente ad oggetto un immobile al quale è stato imposto, per accordo fra le parti, un vincolo di destinazione d'uso familiare.

 

In pratica, un padre, proprietario di un appartamento, lo concede in comodato al figlio dopo il suo matrimonio affinché utilizzi lo stesso come casa familiare. Dopo qualche anno il padre cita in giudizio il figlio e la nuora. Resiste in giudizio solo la nuora alla quale, dopo la separazione, era stata assegnata la casa familiare. La Corte di Cassazione, attraverso la sentenza del 2014, risolve un contrasto giurisprudenziale in materia di immobile concesso in comodato da destinare a casa familiare sorto nel lontano 2004.


Il comodante impugna la sentenza della Corte d'Appello che aveva erroneamente condiviso il principio espresso dalla Cassazione nel 2004 (Cass. sez. Unite, 21.7.2004 n. 13603), puntualizzando che, secondo lui, il contratto di comodato aveva natura provvisoria dato che, appena possibile, il figlio avrebbe dovuto cercare una nuova soluzione abitativa.


Tuttavia la Cassazione ha respinto il ricorso del comodante, condivide in parte il principio sancito nella sentenza del 2004, individuando una nuova soluzione interpretativa che riesca a contemperare, ove possibile, due opposte esigenze: quello dell'assegnatario della casa familiare a mantenere la stessa abitazione anche nell'interesse della prole minore o non autosufficiente, e quello del comodante di rientrare in possesso dell'immobile concesso in comodato ove ricorrano particolari circostanze (uso diretto e deterioramento delle proprie condizioni economiche). Ma, data la complessità della vicenda, è bene procedere per gradi.


La Cassazione (n. 13603/2004) richiamata dalla Corte d'Appello nella sentenza impugnata dal comodante e conclusasi con la sentenza in commento (Cass. Sez.Un. n.20448/2014) evidenziava che: nel momento in cui il contratto di comodato sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, formato o in via di formazione, si è al cospetto di un contratto a tempo indeterminato caratterizzato dal fatto che è stato impresso un vincolo di destinazione al bene strettamente connesso alle esigenze abitative familiari rilevando che, oltrepassando anche eventuali crisi coniugali, la cessazione del vincolo non può farsi dipendere solo dal recesso ad nutum del comodante.


La sentenza del 2004 delle Sezioni Unite è stata seguita da altre isolate pronunce, ma la Cassazione si ritrova a tal punto; nel 2013 però la Cassazione ha ritenuto maturi i tempi per capire fino a quando possa durare tale vincolo, e soprattutto come possano essere contemperate le due opposte esigenze: quella dell'assegnatario della casa familiare a conservare la sua abitazione, e quella del comodante a rientrare in possesso del bene concesso in comodato magari per nuove e sopravvenute esigenze personali giustificate anche da un improvviso deterioramento delle sue condizioni economiche.


Per questo la Cassazione con ordinanza 15113 del 2013 ha rimesso il ricorso al Primo Presidente che ha sottoposto finalmente la questione alle Sezioni Unite.
Il percorso seguito dalla Cassazione per fornire una risposta a tale quesito non è stato semplice né lineare soprattutto tenendo conto del fatto che nel comodato con vincolo di destinazione a casa familiare entrano in gioco interessi costituzionalmente protetti: come quello dell'assegnatario della casa di vedere tutelato l'habitat familiare, e quello del comodante che ha subito una illimitata compressione del suo diritto reale.

LA SENTENZA DEFINITIVA

Solo l'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione (20448/2014) ha chiarito, almeno per ora, che il diritto del comodante, ove all'immobile concesso in locazione sia stato imposto un vincolo di destinazione a casa familiare, soccombe al cospetto della necessità di tutelare le supreme esigenze del nucleo familiare di tutelare l'habitat domestico.


Tuttavia, precisa la Cassazione, solo l'imprevisto ed urgente bisogno del comodante, giustificato dalla necessità di riservare l'immobile ad uso diretto anche a fronte del deterioramento delle sue condizioni economiche, rappresentano le uniche condizioni in grado di giustificare la richiesta di restituzione del bene da parte del comodante.


Fonte articolo: Condominioweb.com 

Criteri di classamento immobili motivati, altrimenti l'atto è nullo


Accertamenti catastali a rischio di nullità se non adeguatamente motivati: è il principio ormai costante che emerge dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, chiamata spesso, negli ultimi tempi, ad affrontare cause legate alle rettifiche operate dalla ex agenzia del Territorio. 


Il classamento di un immobile è necessario per l’attribuzione della rendita catastale, che di fatto, esprime il valore di ogni unità.

 

A questo fine, occorre considerare sia le singole caratteristiche dell’immobile (come ad esempio la dimensione, l’epoca di costruzione, la struttura e la dotazione impiantistica, la qualità e lo stato edilizio, la presenza di pertinenze comuni o esclusive, il livello di piano), sia il contesto in cui è ubicato (riscontrando il grado di urbanizzazione dell’area circostante, la presenza di infrastrutture o la vicinanza alle principali vie di comunicazione). In sintesi dunque, ogni unità immobiliare è qualificata con una determinata categoria e, in relazione alla “qualità” dell’immobile, con una specifica classe. 


Per ogni Comune è stabilita una tariffa per ogni classe che, moltiplicata per la dimensione del fabbricato (vano, metro quadrato o metro cubo) dà la rendita catastale. Gli uffici, per “aggiornare” questo valore possono rettificare la rendita sia di un singolo immobile, sia di tutte le unità presenti in un determinato quartiere o zona. Le cause che rendono necessario un riclassamento sono riconducibili a due categorie:

- la variazione subita dalla microzona comunale in cui è ubicato l’immobile, come ad esempio il miglioramento della viabilità, la realizzazione di scuole, ospedali; 
- l’esecuzione di opere a cura del possessore, volte alla ristrutturazione del fabbricato. 


Per la Cassazione (sentenza 6593/2015), a prescindere dall’impulso che ha dato avvio alla procedura di classamento, questa attività è (e resta) una procedura "individuale", che va effettuata considerando i fattori posizionali ed edilizi pertinenti a ciascuna unità immobiliare. Si tratta così di un unico criterio che consente di identificare il "parametro globale di apprezzamento" del fabbricato stesso.
Gli atti di accertamento catastali, sebbene possano dipendere da vari fattori, spesso riportano una motivazione sintetica e schematica che difficilmente risponde ai requisiti minimi per la validità dell’atto. 


La Suprema corte ha da tempo dichiarato la nullità degli atti privi di motivazione poiché questa ha carattere sostanziale e non solo formale: non si tratta infatti di un elemento utile solo a provocare la difesa del contribuente, ma circoscrive l’eventuale successivo giudizio (sentenza 20251/2015). La Ctr di Milano, sezione staccata di Brescia (sentenza 1043/67/2016), in virtù di questo principio, ha affermato che la motivazione “integrata” nella costituzione dell’ufficio, quindi dopo l’emissione dell’avviso di accertamento, non consente al contribuente di difendersi e pertanto l’atto è nullo (in questo senso anche Ctp Milano, sentenza 1419/12/2016).


Per la Ctr di Roma (sentenza 1075/21/16), non può ritenersi congruamente motivato il provvedimento che faccia riferimento a un generico scostamento del valore dell’immobile ovvero a non precisate opere edilizie eseguite. 
Occorre così che il provvedimento, per garantire il diritto di difesa, contenga:

- la menzione dei rapporti tra valore di mercato e catastale nella microzona di riferimento, qualora la modifica sia stata avviata su richiesta del Comune; 
- l’indicazione delle trasformazioni edilizie; 
- l’indicazione dei fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li rendono simili all’unità oggetto di riclassamento, quando l’atto sia conseguente a un aggiornamento o a un’incongruità rispetto ad altri immobili (sentenza 23247/2014). 


Il contribuente quindi, dovrà comprendere i motivi della variazione eseguita dall’ufficio, per riscontrarne la correttezza ed eventualmente decidere di ricorrere al giudice tributario.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web.

Donazione nulla se il bene è indiviso fra coeredi

La donazione di un bene altrui, anche se non sia espressamente vietata, deve ritenersi nulla per difetto di causa. A meno che, nell’atto di donazione, si affermi espressamente che il donante sia consapevole dell’attuale non appartenenza del bene al suo patrimonio.


Ne consegue che la donazione, da parte del coerede, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla: non si può, prima della divisione, ritenere che quel singolo bene entri a far parte del patrimonio del coerede donante.

 

È il principio di diritto sancito nella sentenza delle Sezioni unite n. 5068, depositata ieri. La Seconda Sezione della Cassazione, in ragione di una non univoca giurisprudenza di legittimità, aveva rimesso alle Sezioni unite la questione se la donazione di un bene altrui dovesse ritenersi valida, anche se inefficace (Cassazione n. 1596/2001), o nulla per il principio di divieto di donazione di beni futuri (articolo 771 del Codice civile). In quest’ultimo caso, nei beni futuri andrebbero ricompresi tutti quelli non facenti parte nel patrimonio del donante, quindi anche i beni altrui; questa è la prevalente giurisprudenza di Cassazione (sentenze n. 3315/1979, 6544/1985, 11311/1996, 10356/2009, 12782/2013). 


Tutto questo ragionamento trascina con sé la questione se la norma sul divieto di donazione di beni futuri trovi applicazione, o meno, nel caso di donazione di un bene oggetto di comunione prima che sia effettuata la divisione. Secondo le Sezioni unite nella sentenza in commento, l’appartenenza al donante del bene oggetto di donazione è elemento essenziale del contratto di donazione; pertanto, quella di cosa altrui non può essere ricondotta nello schema negoziale della donazione.


In altri termini, prima ancora che per la possibile riconducibilità del bene altrui nella categoria dei beni futuri (articolo 771, comma 1, del Codice civile), la altruità del bene incide sulla possibilità stessa di comprendere il trasferimento di un bene non appartenente al donante nello schema della donazione e, quindi, sulla possibilità stessa di realizzare la causa del contratto di donazione (e, cioè, l’incremento del patrimonio del donatario con correlativo impoverimento del patrimonio del donante).


Deve quindi affermarsi, secondo la Corte nella sua composizione più autorevole, che se il bene si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto, la donazione è valida ed efficace. Se, invece, la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto dal terzo al donatario. La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria, purché l’altruità sia conosciuta dal donante e tale consapevolezza risulti da un’apposita, espressa affermazione nell’atto pubblico.


Se, invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, non potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui. Nella stessa situazione del donante che disponga di un bene non facente parte del suo patrimonio si trova il coerede che dona uno dei beni compresi nella comunione ereditaria prima della divisione, con conseguente nullità della donazione che abbia a oggetto detto bene.


Fonte articolo: Associazionenazionaleavvocatiitaliani.it

Canoni affitti più alti, si torna a comprare casa

Il mercato degli affitti ha tenuto anche in questi ultimi anni di crisi. Complice la difficoltà nell’acquistare casa, anche per via della difficoltà di accendere un mutuo, la domanda di affitto si è mantenuta infatti molto vivace. E nonostante la molta offerta di case, i canoni hanno retto, seppur con cali di qualche punto percentuale ogni anno.


Ma ora la situazione nel mercato immobiliare sta mutando e i canoni stanno tornando a salire, seppur lievemente. 

La tendenza al rialzo emerge dall’ultimo report del portale Immobiliare.it, che, nonostante un calo sia della domanda (-1,8%) sia dell’offerta (-2,2%) ha registrato a febbraio un aumento dei canoni dell’1,7% rispetto a un anno fa.


"La locazione è un mercato in forte mutamento – dichiara Carlo Giordano di Immobiliare.it – perché il suo maggiore dinamismo lo lega alle evoluzioni tanto del mercato immobiliare nel suo complesso, quanto del sistema economico internazionale, segnato in queste ore dagli annunci della Bce e da nuove politiche di gestione della liquidità. La rinnovata offerta di finanziamenti per l'acquisto della casa, in particolare, ha ridato speranza ai proprietari che, fino a poco tempo fa, avevano optato per la messa in locazione dei loro immobili come opportunità di guadagno in attesa di un compratore. Ora che è tornato il momento giusto per vendere, quegli immobili vengono tolti dal mercato degli affitti, per rendersi disponibili alle compravendite".


È soprattutto nel Nord Italia che la domanda di locazione scende (-3,7%, segno che è qui che si preferisce maggiormente puntare all'acquisto), mentre al Centro (-1,9%) e soprattutto al Sud (-0,2%) sembra ancora mancare, perlomeno nella percezione degli italiani, la giusta spinta (o le opportunità economiche) per comprare casa.


"Interessante è l'emergere di un maggiore interesse nei confronti della locazione nelle grandi città: tra le località con oltre 250mila abitanti la domanda di affitto cresce, seppur di poco (+0,38%). Il dato è dimostrazione di una maggiore mobilità degli abitanti dei grandi centri, che sembrano assimilare almeno in parte le dinamiche abitative delle altre città europee (solitamente più propense all'affitto che alla vendita)". Nelle città più piccole, invece, la domanda di locazione è calata, rispetto ad un anno fa, dell'1,6%. 


A febbraio si registra un incremento dell'1,7%. Non tutta l'Italia registra, però, lo stesso andamento: in molte regioni si rilevano variazioni minime, mentre i numeri crescono maggiormente in regioni con canoni medi più bassi della media nazionale e, quindi, più sensibili alle oscillazioni. Tra queste si segnala il +5,9% in Molise, il +5,1% in Sicilia e il +4,4% di Calabria e Marche. Le uniche regioni con prezzi in calo sono la Campania (-2,9%), la Valle d'Aosta (-2,3%) e l'Umbria (-1,7%).


Il canone d'affitto mensile medio per un bilocale di 65 metri quadri è pari, in Italia a circa 560 euro. Ma quali sono le città più care d'Italia per i canoni di locazione? A Milano servono circa 620 euro al mese per affittare un monolocale, e fino a 1.200 euro per un trilocale. Firenze e Roma occupano gli altri due posti del podio con prezzi simili tra loro: mediamente, 550 euro per un monolocale e tra 900 e 1.040 euro per un trilocale. Molto distanti Torino e Genova dove affittare un monolocale costa, rispettivamente, 330 e 315 euro. Nella top ten troviamo, a seguire, Bolzano – che stacca di molto i prezzi di città ben più grandi, con 520 euro richiesti al mese per un monolocale – e poi, con prezzi allineati, Siena, Venezia, Napoli, Bologna, Pisa e Como.


Fonti articolo: Casa24.ilsole24ore.com

Tassi mutui ai minimi, -0,9% da gennaio

A febbraio i tassi dei mutui è in calo al 2,40% dal 2,49% di gennaio. Tra i nuovi contratti prevale largamente il tasso fisso. In ripresa i prestiti delle banche a famiglie e imprese.


I mutui aggiornano muovi minimi storici sul versante dei tassi e crescono lievemente i prestiti delle banche a famiglie e imprese. E’ ciò che evidenzia, in sintesi, l’ultimo rapporto mensile dell’Abi, l’associazione che riunisce gli istituti di credito italiani.

A gennaio 2016 l'ammontare complessivo dei mutui in essere delle famiglie ha registrato una variazione positiva dello 0,8% "confermando la ripresa del mercato", commenta l’Abi. Sul totale delle nuove erogazioni di mutui, quasi i due terzi sono rappresentati da contratti a tasso fisso. Nell'ultimo mese la quota del flusso di finanziamenti a tasso fisso è risultata pari al 63,66% (66,1% il mese precedente; era 60,9% a dicembre 2015).


Sul versante dei prestiti a famiglie e imprese, l’Abi ha rilevato, sempre a febbraio, una leggera risalita dello 0,04% contro il -0,58% registrato a gennaio che aveva annullato il rialzo iniziato a novembre. Il totale dei prestiti a residenti in Italia (settore privato più amministrazioni pubbliche) si colloca a 1.826,8 miliardi di euro, segnando una variazione annua di +0,6% (-0,2% il mese precedente).


In crescita la dinamica tendenziale del totale prestiti alle famiglie (+0,8% a gennaio 2016, +0,8% anche il mese precedente). Dal lato delle imprese, la dinamica dei prestiti alle società non finanziarie è risultata a gennaio pari a -0,9% (-0,7% il mese precedente).


Fonte articolo: Lamiafinanza.it

Imposte ed esenzioni con la nuova disciplina sugli affitti

Non sono sempre lineari le modifiche introdotte dal 1° gennaio 2016 nell’ambito della disciplina sanzionatoria prevista dal Testo unico dell’imposta di registro (Dpr 131/1986) per le violazioni relative all’imposta di registro applicabile ai contratti di locazione. La normativa risultante dall’entrata in vigore del Dlgs 158/2015 impone così una certa attenzione agli addetti ai lavori. 


La registrazione

Variazioni significative riguardano la riduzione delle sanzioni nei casi di occultamento del canone (cioè di registrazione per un importo inferiore a quello effettivamente pattuito) e di registrazione tardiva. Se viene occultato anche in parte il corrispettivo previsto dal contratto, la sanzione applicabile, originariamente prevista nella misura dal 200% al 400%, da quest’anno è stata di fatto equiparata a quella per l’omessa registrazione che va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta. 

 

 

Inoltre, se la richiesta di registrazione è effettuata con un ritardo non superiore a 30 giorni, in luogo della sanzione ordinaria dal 120% al 240%, si applica la sanzione ridotta da un minimo del 60% a un massimo del 120%. In quest’ultima ipotesi, però, la norma prevede in ogni caso il pagamento di una sanzione minima di 200 euro. 


E’ di tutta evidenza che, in alcune situazioni, la sanzione minima prevista per i ritardi contenuti nei 30 giorni possa risultare superiore a quella ordinaria non ridotta, considerata addirittura nella misura massima del 240%. Si pensi ad esempio a un contratto di locazione con un canone annuo di 4.000 euro che viene registrato nei 15 giorni successivi alla scadenza. La sanzione ordinaria massima applicabile sarebbe di 192 euro (pari al 240% dell’imposta di registro di 80 euro), evidentemente inferiore al minimo di 200 euro previsto in caso di applicazione della sanzione “ridotta” in caso di registrazione nei 30 giorni. 
Questa anomalia, in relazione alla quale è auspicabile un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, ha anche degli effetti “distorsivi” sul ravvedimento operoso. Si ricorda che attraverso tale istituto il contribuente può rimediare alle violazioni commesse a seguito di errori e/o omissioni, purché versi spontaneamente entro il termine indicato dalla norma, contenuta nell’articolo 13 del Dlgs 472/1997, l’imposta dovuta, la sanzione calcolata in misura ridotta e gli interessi legali, quest’ultimi ridotti allo 0,2% annuo a decorrere dal 1° gennaio 2016.


Il ravvedimento 

Con la riforma del ravvedimento operoso, iniziata già nel 2015 e resa ancora più vantaggiosa con l’entrata in vigore del decreto di riforma delle sanzioni tributarie, è possibile sanare le violazioni commesse anche in materia di registro usufruendo di uno “sconto” che aumenta al diminuire del ritardo con cui si versa l’imposta. I limiti temporali sono stati ampliati, cosicché i contribuenti potranno avvalersi del ravvedimento fino allo scadere dei termini per l’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, sempre che la violazione non sia stata già accertata. 
Tuttavia, applicando la normativa alla lettera, in alcuni casi potrebbe essere più conveniente aspettare e ravvedersi dopo 30 giorni, considerato che la riduzione a 1/10 prevista per la registrazione tardiva contenuta nei 30 giorni (e quindi la sanzione del 6%) comporta comunque il versamento di un importo minimo di 20 euro, pari a 1/10 di 200 euro. 
Tornando all’esempio precedente, il contribuente titolare di un contratto di locazione non registrato nei termini con un canone annuo di 4.000 euro, se si ravvedesse nei 15 giorni successivi alla scadenza si troverebbe a pagare la sanzione minima di 20 euro, addirittura superiore a quella di 16 euro (pari a 1/6 della sanzione minima del 120%) applicabile in caso di ravvedimento oltre i due anni. E’ evidente che in questa ipotesi il contribuente attenderà il trentunesimo giorno per registrare il contratto, pagando la sanzione di 9,60 euro per la quale non è previsto alcun importo minimo. 


I versamenti 

Per quanto attiene all’omesso o ritardato pagamento dell’imposta in presenza di un contratto registrato nei termini - e quindi nei casi di annualità successive alla prima, risoluzioni, proroghe e cessioni dei contratti di locazione - si rende applicabile la sanzione del 30% prevista dall’articolo 13 del Dlgs 471/1997. In questo caso la modifica consiste nella riduzione alla metà della sanzione per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni e a un 1/15 per ciascun giorno per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni. 


Sconto sul canone con imposta a zero

Se il locatore e il conduttore si accordano per ridurre il canone di locazione contrattualmente previsto, possono registrare una scrittura privata in tal senso senza pagare le imposte di registro e di bollo, come stabilito dall’articolo 9, comma 1, del Dl n. 133/2014 (sblocca Italia). L’adempimento non è obbligatorio, ma serve per rendere certa di fronte ai terzi la data della modifica contrattuale. La relativa registrazione è quindi facoltativa, a meno che l’accordo non venga formalizzato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. 
Prima dell’entrata in vigore dello Sblocca Italia, la scrittura privata con cui inquilino e proprietario rivedevano al ribasso il canone di locazione di un immobile scontava l’imposta di registro nella misura fissa di 67 euro, come precisato dalle Entrate nella risoluzione 60/E del 28 giugno 2010. 


L’accordo, infatti, non essendo riconducibile alle ipotesi di cessione, risoluzione e proroga anche tacita del contratto, non rientra tra gli eventi che devono obbligatoriamente essere portati a conoscenza dell’amministrazione finanziaria secondo le modalità dell’articolo 17 del Tur , bensì tra gli atti per i quali è possibile la registrazione volontaria, in base all’articolo 8 dello stesso decreto. Tantomeno può ravvisarsi nell’accordo di riduzione una ipotesi di risoluzione o di novazione dell’originario rapporto contrattuale, trattandosi invece di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione e non dell’oggetto o del titolo della prestazione, come stabilito anche dalla Cassazione nella sentenza 5576/2013. 


Nel corso di Telefisco 2016, le Entrate hanno precisato che l’esenzione prevista dal legislatore vale in tutti i casi di riduzione del canone, e quindi se l’accordo è stato stipulato per l’intera durata del contratto in essere o anche per un solo periodo, ad esempio un anno. 
Ma la stessa esenzione non vale anche quando si intende revocare la riduzione e riportare quindi il canone al valore originariamente previsto nel contratto. Resta da chiarire come tassare il nuovo accordo. Seguendo l’impostazione fornita dalle Entrate nel 2010, tenuto conto che la scrittura privata con cui si revoca una precedente riduzione del canone non concretizza un’ipotesi contrattuale autonoma, ma accede a un contratto di locazione in essere già regolarmente registrato, si ritiene che possa trovare applicazione l’imposta di registro in misura fissa pari a 67 euro.


Fonte articolo: IlSole24Ore.com, vetrina web

Le agevolazioni sociali per chi stipula il mutuo casa

Mutui, si cambia. Ma non per tutti. Per coloro che stanno rimborsando in questo momento un prestito ipotecario non valgono le nuove regole previste dalla “versione italiana” della direttiva direttiva europea 214/17 che in questi giorni ha fatto tanto discutere. In sintesi, le nuove regole – che si applicano solo sui nuovi mutui e solo se il mutuatario firmerà un’apposita clausola – prevedono che la banca potrà difatti mettere in vendita l’immobile del debitore insolvente senza passare dall’intervento del giudice. Lo potrà fare nel momento in cui il debitore non avrà onorato il pagamento di 18 rate.


Sui mutui in essere invece nulla cambia: in caso di mancato pagamento di 7 rate, la banca può chiedere il rimborso del debito ma deve passare dal giudice che valuterà caso per caso. 

Il debitore quindi, prima di “perdere” l’immobile, potrà far affidamento sull’eventuale posizione conciliante del giudice. C’è un’altra differenza, non da poco. Se l’immobile viene venduto (o dalla banca con la nuova norma o in asta con la vecchia) la nuova norma prevede che in caso di ricavo inferiore rispetto al debito residuo la posizione debitoria resta aperta. Mentre per i nuovi mutui verrà comunque chiusa una volta che l’immobile passa alla banca. 


LE AGEVOLAZIONI SOCIALI PREVISTE PER TUTTI I MUTUATARI

Al di là delle differenze, “vecchi mutuatari” e “nuovi mutuatari” saranno accomunati dalle agevolazioni sociali attualmente previste per i pagamenti in difficoltà. Il Ministero delle Finanze e l’Associazione bancaria italiana negli ultimi anni hanno messo in campo una serie di misure per venire incontro a chi è in difficoltà con il rimborso del mutuo prevedendo agevolazioni su tre livelli, grazie anche alla collaborazione delle principali associazioni dei consumatori.


1. Il primo è il “Fondo di solidarietà per l’acquisto della prima casa”. Possono accedervi i mutuatari con un reddito Isee non superiore a 30mila euro, un mutuo non superiore a 250mila euro e relativo all’acquisto della prima casa, in caso di: perdita del posto di lavoro (sia a tempo determinato che indeterminato), morte o sopraggiunto handicap grave o condizione di non autosufficienza. In questi casi è possibile sospendere il pagamento dell’intera rata. Il fondo verserà la quota interessi alla banca nel periodo coperto dall’agevolazione. A scadenza il debitore dovrà ritornare a rimborsare il debito residuo, spalmato però su una durata più corta.


2. Da maggio 2013 a gennaio 2016 hanno potuto sospendere per 18 mesi il pagamento delle rate 26.619 le famiglie per un controvalore di 2,5 miliardi di debito residuo. In questo fondo non è stata inclusa la categoria dei cassaintegrati. Ed è per questo motivo che da marzo 2015 l’Abi e le principali associazioni dei consumatori hanno concluso un accordo che estende la possibilità di sospendere il pagamento anche a questa categoria. In questo caso però il mutuatario potrà sospendere il pagamento solo della quota capitale della rata mentre dovrà continuare a pagare gli interessi. È attivo da un anno e finora ha all’attivo quasi mille sospensioni. "Non è possibile cumulare i due fondi, quindi sommare i 18 ai 12 mesi – spiega Angelo Peppetti, della direzione strategie e mercati finanziari dell’Abi –. In ogni caso il limite massimo delle agevolazioni complessive è 18 mesi. Se però si surroga il mutuo, gli eventuali 18 mesi già usufruiti si azzerano". 


3. Non va poi dimenticato il “Fondo di garanzia prima casa”. Opera a monte della concessione del mutuo offrendo alle banche una garanzia del 50% sul rimborso. Questo per favorire l’accesso al credito a giovani che dispongono di un reddito in grado di sostenere il pagamento delle rate, ma non della liquidità iniziale (almeno il 20% del valore dell’immobile visto che normalmente le banche non concedono mutui superiori all’80%) per chiedere un mutuo. Il fondo prevede uno stanziamento statale di circa 650 milioni di euro di cui una buona parte – assicura Consap, l’ente del Ministero delle Finanze che lo gestisce – è stata già utilizzata. È rivolto a giovani coppie con uno dei componenti di età inferiore ai 35 anni; single, separati, divorziati o vedove con almeno un figlio convivente minore, giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico e conduttori di alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari.


Fonti articolo: IlSole24Ore, vetrina web

Bankitalia ammonisce le banche sui tassi negativi

Sui mutui un richiamo forte di Bankitalia alle banche: se i tassi di riferimento sono negativi, lo spread concordato con il cliente deve partire dal valore negativo e non da zero e le banche devono restituire quanto finora pagato in più dai mutuatari.


A meno che il “floor” non fosse stato previsto nel contratto iniziale. 

 

In una lettera inviata qualche settimana fa agli istituti di credito, Via Nazionale ha ammonito gli intermediari e li ha invitati ad "attenersi a uno scrupoloso rispetto della normativa di trasparenza e correttezza delle condizioni pattuite con la clientela". E precisa: "In particolare gli intermediari dovranno astenersi dall’applicare di fatto clausole di “tasso minimo” (“floor clause”) non pubblicizzate e non incluse nella pertinente documentazione di trasparenza e nella modulistica contrattuale". 


Se si guardano i tassi Euribor a uno, tre e sei mesi, ovvero quelli più comunemente utilizzati per i mutui a tasso variabile, attualmente sono negativi. Cosa succede per chi ha il mutuo a tasso variabile? Una parte dello spread va “annullata” per portare a zero il valore del tasso. Piuttosto semplice no? E invece Bankitalia dichiara che le sono giunte lamentele in questo senso: quando il tasso va sotto zero, lo spread “riparte” invece da zero.  


Un problema che dunque si pone per chi ha acquistato casa e non è solo teorico. Ora che c’è una lettera della Banca d’Italia, e ora che i lettori ne conoscono l’esistenza sarà più difficile perciò far finta di nulla. La lettera di Via Nazionale chiude ogni “via di fuga”. Al cittadino che chiedesse informazioni sul perché la rata parte dal un valore zero e non da uno negativo non si potrà neanche rispondere che "lo prevede il sistema in automatico". Anzi proprio per evitare che comportamenti del genere si verifichino, la Banca d’Italia invita gli intermediari a verificare i loro sistemi informatici: "Nel caso in cui i parametri di indicizzazione assumano valore negativo, (gli intermediari, ndr) determinino correttamente il tasso di interesse applicabile a ciascun rapporto e all’ammontare degli interessi tempo per tempo dovuti".


Questa precisazione segue immediatamente quella sulla necessità di evitare dei floor inesistenti. Dunque il valore dovuto "tempo per tempo" è quello che parte dal valore del parametro di indicizzazione (anche negativo) più lo spread, a meno che la soglia minima per il tasso non fosse stata inserita nel contratto e illustrata ai clienti.
Le banche sono chiamate anche a fare una verifica delle "condotte finora seguite nella determinazione degli interessi finora dovuti e provvedere alle conseguenti restituzioni" nel caso non si siano rispettate le regole sul valore negativo dei valori di indicizzazione. 


Per riassumere quindi: gli intermediari non possono tirare fuori dal cilindro la soglia “zero” se non era stata sottoscritta dal cliente adeguatamente informato, e sono tenuti a restituire quanto pagato in più per pratiche non conformi alle indicazioni di Banca d’Italia. Dovrebbero farlo le banche di loro iniziativa, ma il mutuatario in ogni caso farebbe bene a controllare la propria situazione ed attivarsi per ottenere la restituzione nel caso se ne abbia diritto. Se non fossero soddisfatti della risposta, potranno rivolgersi alla Banca d’Italia per un esposto (che però non può, in linea di principio risolvere il caso concreto) e fare un ricorso all’Arbitro bancario finanziario. 


Fonte articolo: IlSole24ore.com, vetrina web

Per il condominio minimo abolito CF su interventi edilizi

Con circolare 21 maggio 2014, n. 11/E (paragrafo 4.3), l'Agenzia delle Entrate haprecisato che in presenza di un “condominio minimo”, e cioè di un edificio composto da un numero non superiore a otto condomini (prima delle modifiche apportate dalla legge n. 220 del 2012 all'articolo 1129 c.c. il riferimento era a quattro condòmini), rimangono applicabili le norme civilistiche sul condominio, ad eccezione degli articoli 1129 e 1138 c.c., che disciplinano, rispettivamente, la nomina dell'amministratore (nonché l'obbligo da parte di quest'ultimo di apertura di un apposito conto corrente intestato al condominio) e il regolamento di condominio (necessario in caso di più di dieci condomini).

Allo stesso modo, il predetto Agente ha ricordato che per gli interventi realizzati sulle parti comuni di tali edifici residenziali, la fruizione dell'agevolazione rimaneva subordinata – e ciò, bene inteso, fin dall'entrata in vigore della legge n. 449 del 1997 (che ha introdotto la detrazione in esame) - alla circostanza che il condominio sia intestatario delle fatture ed esegua, nella persona dell'amministratore o di uno dei condòmini, tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa, compreso quello propedeutico della richiesta del codice fiscale.


Ci si è chiesti allora se la fruizione della detrazione nei condomini minimi rimanga subordinata, anche per il nuovo periodo di riferimento, alla cura di questo ultimo adempimento. L'Agenzia delle Entrate con la risoluzione n 74/E del 02 febbraio 2016 ha dato risposta al quesito, cambiando la prassi che si è seguita sino ad oggi. L'esigenza di semplificare gli adempimenti dei contribuenti ha, in particolare, condotto a riconsiderare le istruzioni precedentemente fornite, enfatizzandosi la peculiarità strutturale dei condomini minimi e le modalità con cui essi vengono in genere autogestiti dai singoli partecipanti.


Ed invero, nel presupposto che il pagamento sia stato effettuato mediante l'apposito bonifico bancario/postale e che, quindi, non vi sia stato pregiudizio al rispetto da parte delle banche e di Poste Italiane Spa dell'obbligo di operare la ritenuta disposta dall'art. 25 del D.L. n. 78 del 2010 all'atto dell'accredito del pagamento, l'Agenzia delle Entrate ritiene, a questo punto e per tali fattispecie, che non sia più necessario acquisire il codice fiscale del condominio.


Nel qual caso, per beneficiare della detrazione per gli interventi edilizi e per gli interventi di riqualificazione energetica realizzati su parti comuni di un condominio minimo, i condòmini, per la quota di spettanza, possono inserire nei modelli di dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condòmino che ha effettuato il relativo bonifico.
In sede di eventuale controllo – ricorda sempre la risoluzione -il condòmino/contribuente sarà poi tenuto a dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell'edificio, e, laddove si avvalga dell'assistenza fiscale, è tenuto ad esibire, a monte, ai CAF o agli intermediari abilitati, oltre alla documentazione ordinariamente richiesta per comprovare il diritto alla agevolazione, una autocertificazione che attesti la natura dei lavori effettuati e indichi i dati catastali delle unità immobiliari facenti parte del condominio.


Fonte articolo: condominioweb.com

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