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Cedolare secca affitti brevi: l'aliquota passa dal 21 al 10%

 

Sono circa 120mila i contratti d’affitto transitori che adesso hanno la certezza di poter applicare la cedolare secca al 10 per cento.


La conferma delle Entrate – arrivata a Telefisco 2017 – riguarda le locazioni che durano da 1 a 18 mesi stipulate nei capoluoghi di provincia e nelle aree metropolitane. 

 

In pratica, in tutti i centri in cui il proprietario non può applicare liberamente il canone di mercato, ma deve rispettare i prezzi minimi e massimi fissati dagli accordi locali.


I risparmi possibili 

Analizziamo ora le cifre in gioco. Secondo l’ultimo Rapporto dell’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) delle Entrate, il canone medio per i contratti brevi nei Comuni ad alta tensione abitativa è 507 euro al mese. Ad esempio, su una locazione transitoria di nove mesi, la possibilità di applicare l’aliquota al 10% – anziché quella al 21% – riduce il carico fiscale sull’affitto da 958 a 456 euro, con un risparmio di 502 euro.


Siccome il chiarimento delle Entrate ha natura interpretativa, si applica anche per il passato. Perciò, chi ha pagato con il 21%, potrà presentare una dichiarazione integrativa a favore per recuperare la differenza. Peraltro, alcuni proprietari potrebbero aver sempre pagato con il 10%, visto che Confedilizia – che ha salutato con favore la conferma – ha portato avanti questa interpretazione fin dall’introduzione della cedolare, nel 2011. 
D’altro canto, il principale sindacato degli inquilini, il Sunia, critica l’Agenzia, paventando l’aumento eccessivo di contratti di questo tipo. 


Interessati i grandi Comuni 

Vediamo ora quante sono le abitazioni interessate dalla nuova aliquota al 10 per cento. Anche se l’analisi dell’Omi si concentra sui contratti più lunghi, sappiamo che nel 2015 sono stati registrati 101.058 nuovi contratti di locazione abitativa di durata inferiore a un anno per immobili interi. Ma si tratta solo di un dato di base. Bisogna aggiungere gli affitti di singole stanze (259mila, di tutte le durate), i contratti oltre un anno ma inferiori a 18 mesi (243mila quelli da uno a tre anni) e gli immobili che non è stato possibile analizzare nel rapporto, per lo più per errori di compilazione del modello di registrazione (il 22% del totale).


Si arriva così a una stima di 207mila contratti con durata da 1 a 18 mesi stipulati in tutta Italia in un anno, e giustificati da esigenze temporanee del proprietario o dell’inquilino. Ma non è finita, perché – tra questi – quelli che hanno la cedolare al 10% sono solo i contratti per i quali il proprietario non è libero di applicare il canone di mercato. 
Di fatto, parliamo delle locazioni nei Comuni compresi nelle aree metropolitane di Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Torino, Bari, Palermo e Catania, oltre che nei Comuni confinanti con tali aree e negli altri Comuni capoluogo di provincia. Da qui, conteggiando sia il fattore popolazione che la maggiore vitalità del mercato nel grandi centri, si arriva alla stima di circa 120mila contratti.


Il livello del canone 

Lo scarto tra il canone di mercato e quello “imposto” ai contratti transitori dipende dai singoli accordi territoriali. 
I dati medi rilevati dal Rapporto Omi misurano uno scarto contenuto rispetto agli affitti liberi, anche nei tre centri maggiori di Roma, Milano e Napoli, ma va detto che nella categoria delle locazioni “temporanee” mappata dall’Agenzia sono compresi i contratti da uno a tre anni, quindi i due insiemi sono solo parzialmente sovrapponibili. In questo senso è forse più affidabile il parametro offerto dai contratti a canone concordato, ai quali spesso i transitori sono agganciati, e qui il canone medio è di 485 euro contro i 516 del “libero”.


Lo sconto Imu-Tasi del 25% 

Alla cedolare secca agevolata si aggiunge anche la riduzione, sempre per i contratti a canone concordato, del 25% di Imu e Tasi, prevista dalla legge di Stabilità del 2016 a partire dal 1° gennaio dell’anno scorso (si veda anche l’articolo in basso). Misura che si applica anche ai transitori, perché la norma istitutiva richiama tutti i contratti concordati stipulati in base alla legge 431/1998. 


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web

Terremoto e sicurezza: serve piano antisismico nazionale

La frequenza del terremoto che si ripete nel Centro Italia, facendosi sentire sempre di più anche nella Capitale, impone alle istituzioni un ripensamento generale del rapporto con il territorio”, dichiara il Presidente della Confederazione sindacale delle professioni tecniche, Calogero Lo Castro.


“La priorità deve essere data alle infrastrutture delle zone maggiormente colpite, ma da subito bisogna mettere mano ad un piano di intervento nazionale per la manutenzione edile, pubblica e privata. Vanno ricostruiti interi centri, ma più in generale – sottolinea il presidente di Confedertecnica - va messa in sicurezza una parte enorme del Paese, Roma inclusa”.

“L’Italia deve ripensare alla propria edilizia in chiave antisismica, perché è evidente a tutti che lo spostamento delle faglie non è un fatto isolato, ma un fenomeno purtroppo destinato a durare a lungo”. “Confedertecnica c’è ed è pronta a fare la sua parte”, conclude Lo Castro.


Per la geologa abruzzese, Tania Campea, Guida Ambientale Escursionistica dell’AIGAE "In Italia ben 24 milioni di persone vivono in aree potenzialmente ad elevato rischio sismico e le scuole e gli ospedali sono “fortemente esposti”, anche perché il patrimonio edilizio scolastico è decisamente vetusto, con un 60% costruito prima delle norme sismiche, che porta a quasi 29.000 le scuole a rischio.
Sarebbe necessario rimettere al centro del discorso pubblico l’attivazione del “Fascicolo del Fabbricato”, spiega la geologa, che aggiunge: “I geologi devono essere coinvolti anche nelle scuole per la divulgazione della prevenzione. L’unica possibilità che abbiamo è la prevenzione”.


Ricordiamo che da quest'anno è possibile usufruire del Sisma Bonus fino al 2021 per le zone a rischio (1, 2 e 3).


Fonti articolo: Casaeclima.comGreenews.info

Cambio destinazione d'uso dell'immobile, come funziona?

Trasformare un loft industriale in un’abitazione privata significa non solo procedere ad un’importante ristrutturazione ma in primo luogo dover effettuare un cambio di destinazione d’uso.


Come si procede? Quali sono i costi da tenere in considerazione prima di iniziare cambio di destinazione d’uso?

Quando si parla di destinazione d’uso si definisce in edilizia l’insieme delle modalità e  finalità di utilizzo di un certo edificio. La prima verifica da compiere preventivamente è quella di recuperare il cosiddetto Piano Regolatore, un insieme di norme approvate dal proprio Comune di residenza che possono vietare o meno il cambio di destinazione d’uso in particolari zone. Se il Piano Regolatore non pone particolari limiti, è il momento di capire quali autorizzazioni vanno richieste al Comune.


Occorre in tal caso distinguere a seconda che il cambio di destinazione d’uso comporti o meno l’esecuzione di opere edilizie. Se non vi sono allora per ottenere il cambio basterà presentare una DIA, la Denuncia di Inizio attività oppure la SCIA, la Segnalazione certificata di Inizio attività, a seconda delle decisioni del Comune. Se il cambio di destinazione d’uso prevede invece delle modifiche strutturali o distributive, allora andrà chiesto un Permesso di Costruire vista l’importanza dell’intervento da realizzare.


Se l’immobile oggetto del cambio di destinazione d’uso si trova in un condominio occorre verificare che nel regolamento condominiale non vi siano restrizioni in tal senso. Se così fosse occorre prima di procedere al cambio chiedere l’autorizzazione alla stessa assemblea. Dopo aver ottenuto le autorizzazioni necessarie si potrà procedere all’intervento che comporta inevitabilmente anche il cambio di categoria catastale dell’immobile.
Si definisce cambio d’uso urbanisticamente rilevante quello che comporta il passaggio ad una categoria diversa, anche senza opere edilizie. Cambiando la categoria cambia anche la rendita su cui andranno calcolate le tasse, come Imu e Tasi.


Il Decreto Sblocca Italia ha modificato l’articolo  23-ter del Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. 380/2001) secondo cui costituisce cambio rilevante della destinazione d’uso “ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale” inserita in un catalogo ben definito. Sono quattro le categorie funzionali oggi possibili: residenziale e turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale. In base al Testo Unico dell’Edilizia è sempre possibile il cambio della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale, salvo diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali.


Ma quanto costa il cambio di destinazione d’uso? Le spese da tenere in conto sono quelle necessarie per i lavori materiali all’interno dell’immobile, a cui si aggiungono le parcelle dei professionisti coinvolti – diverse a seconda se il cambio di destinazione d’uso prevede o meno opere edilizie – e gli oneri di urbanizzazione.


Fonte articolo: Cosedicasa.com

Il distacco dall’impianto termico esonera dai contabilizzatori?


Il decreto milleproroghe (244/2016) ha prorogato al 30 giugno 2017 l’installazione nel condominio di sistemi di contabilizzazione del calore in ossequio alla normativa europea, la direttiva 2012/27/Ue, alla norma tecnica Uni 10200 ed alle leggi regionali.


Tuttavia il quesito che spesso ricorre nelle assemblee è se un condòmino possa non aderire a tale obbligo mediante il distacco dall’impianto termico comune, a prescindere dalle sanzioni amministrative previste in caso di mancata adozione dei sistemi. 

In tale materia è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza 23756/2016,. La Cassazione ha affermato che per costante sua giurisprudenza il condòmino è sempre obbligato a pagare le spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento anche quando sia stato autorizzato a rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune.


Allo stesso modo il condòmino è tenuto a concorrere alla spesa anche quando abbia offerto la prova che dal distacco non derivino né un aggravio di gestione o un suo squilibrio termico: in tali casi è esonerato soltanto dall’obbligo delle spese occorrenti per il suo uso , se il contrario non risulta dal regolamento condominiale.


È quindi lecita la delibera condominiale che ponga a carico anche dei condòmini che sia siano distaccati dall’impianto di riscaldamento le spese occorrenti per la sostituzione della caldaia in quanto "l’impianto centralizzato costituisce un accessorio di proprietà comune, al quale i predetti potranno comunque allacciare la propria unità immobiliare".


La Corte afferma che al fine di consentire il distacco "occorre verificare se, con gli stessi periodi di accensione tutti gli altri restanti appartamenti fruissero della stessa quantità di calore goduta prima del distacco, e dei medesimi tempi di erogazione del servizio di acqua calda". Quindi la Corte sostiene che il diritto all’esonero dalle spese di gestione per il condòmino che si è munito di impianto termico autonomo non può basarsi unicamente su un’attestazione rilasciata da un tecnico specializzato, priva di adeguata prova dell’inesistenza dello squilibrio termico con i restanti appartamenti.


Pertanto i condòmini “dissenzienti ed autonomi” devono provare l’assenza di squilibrio termico conseguente al distacco dei loro impianti, e comunque non sono esonerati dal concorso alle spese per consentire l’adeguamento dell’impianto centrale condominiale, entro il 30 giugno 2017, al sistema di contabilizzazione del calore secondo la direttiva 2012/27/Ue e norma tecnica Uni 10200.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web

Cedolare secca: nessuna decadenza anche se ci si dimentica la proroga

Una chance per gli smemorati della cedolare secca sugli affitti. Vale a dire per quei contribuenti che si dimenticano di comunicare al fisco la proroga della locazione.


Una svista che, con le norme in vigore fino al 2 dicembre scorso, implicava la decadenza dal regime della tassa piatta. Con conseguenze a dir poco spiacevoli.

È una scena che si è ripetuta spesso negli ultimi anni: il proprietario è convinto di essere ancora nel regime della cedolare, e invece si vede recapitare un avviso delle Entrate che gli contesta il mancato pagamento dell’imposta di registro sulla proroga (tributo che è per l’appunto sostituito dalla tassa piatta); dopodiché, si accorge di avere anche un altro problema, perché ha pagato la flat tax al posto dell’Irpef e delle sue addizionali – comunale e regionale – mediamente ben più cari dell’aliquota al 21% (contratti liberi) o al 10% (canoni concordati fino a fine 2017, poi 15% a regime).


Non si può dire con esattezza quanti siano gli interessati, ma ci si muove nell’ordine delle migliaia o decine di migliaia all’anno. In base agli ultimi dati disponibili, i proprietari che hanno scelto la cedolare sono oltre 1,4 milioni (1,1 milioni per contratti a canone libero e 300mila a canone concordato) e si può stimare che ogni anno almeno 350mila di loro siano tenuti ad avvisare il fisco della proroga.
Le statistiche sulle nuove registrazioni, infatti, permettono di ricostruire l’incidenza delle diverse tipologie contrattuali: "4+4", "3+2", transitorio e per studenti.


D’altra parte, la probabilità di dimenticarsi – per gli operatori non professionali – è tutt’altro che remota. Il contratto prorogato è pur sempre lo stesso contratto, in termini di canone e inquilino, e si dice comunemente che la scelta per la tassa piatta è valida finché non viene revocata.

LA SALVAGUARDIA

A rimediare alle sviste incolpevoli è intervenuta la norma introdotta con la conversione del decreto fiscale (cioè con la legge 225/2016, che ha inserito il pacchetto semplificazioni nel Dl 193) in vigore dallo scorso 3 dicembre. In pratica, viene ora previsto che la mancata presentazione del modello Rli per comunicare la proroga del contratto "non comporta la revoca dell’opzione" per la cedolare, a patto che il proprietario abbia versato la tassa piatta e abbia indicato i redditi da locazione nella dichiarazione dei redditi (comma 24 dell’articolo 7-quater inserito nel Dl 193). 
Evitata la decadenza, il proprietario dovrà pagare al fisco una multa di 100 euro (ridotti a 50 se si attiva entro i primi 30 giorni dalla scadenza del termine).

ISTRUZIONI PER L'USO

La novità è sicuramente favorevole ai contribuenti, ma pone vari problemi di interpretazione.
Prima di tutto, bisogna intendersi su cosa sia la "proroga" menzionata dal decreto fiscale. Ad esempio, in un contratto a canone libero "4+4", ci si riferisce al secondo quadriennio, oppure alla prosecuzione dopo l’ottavo anno per altri quattro anni (rinnovabili ancora di quattro) o a entrambe le formule di “prolungamento”? Nella legge sulle locazioni (la 431/1998) in questi casi si parla di "rinnovo", mentre il termine "proroga" è usato per la prosecuzione biennale del contratto a canone concordato (generalmente con la formula "3+2"). Al contrario, la normativa sull’imposta di registro (il Dpr 131/1986) parla sempre di "proroga".


Ci sono casi in cui il fisco ha contestato il venir meno della cedolare già in seguito alla mancata conferma dopo il primo quadriennio, anche se in dottrina c’è chi sostiene che in questo caso l’opzione non avrebbe bisogno di conferma. Ad ogni modo, anche questa situazione dovrebbe essere coperta dalla salvaguardia ora prevista dal decreto fiscale.


La seconda questione riguarda ancora il perimetro applicativo. Il decreto fiscale, letteralmente, fa salva solamente l’opzione per la cedolare "esercitata in sede di registrazione del contratto". Ma non sembra ragionevole escludere chi ha optato per la tassa piatta in una delle annualità successive alla registrazione e poi si scorda di comunicare la proroga.


Un altro aspetto delicato riguarda la necessità che il contribuente tenga un comportamento in linea con la volontà di restare nella tassa piatta. Il decreto fiscale richiede il pagamento della cedolare e l’indicazione in dichiarazione dei redditi mentre dimentica l’obbligo di non aggiornare il canone: questione più teorica che pratica in tempi di deflazione, ma resta una formulazione ambigua.
La nuova norma non menziona neppure l’obbligo di inviare la raccomandata all’inquilino. Quindi la permanenza nella tassa piatta è salva senza necessità di spedire alcuna lettera al conduttore.

LA DECORRENZA

L’ultimo aspetto è la decorrenza della norma. Che è nuova e non menziona effetti retroattivi. Eppure, invocando i princìpi dello Statuto del contribuente, ci sono validi argomenti per sostenerne l’applicabilità anche alle dimenticanze avvenute prima del 3 dicembre scorso. Chi avesse contestazioni in corso potrebbe senz’altro tentare di far valere le proprie ragioni.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web

Prospettive 2017: residenziale oltre 550.000 compravendite, prezzi in rialzo nelle grandi città

Per l’immobiliare il 2016 si è chiuso con un bilancio positivo. I dati evidenziano che nei primi nove mesi c’è stato un incremento medio delle transazioni del 20,3%.


Nomisma stima che l’anno passato si sia chiuso con 517.164 transazioni. Se lo scenario resterà positivo il 2017 registrerà 552.602 compravendite, in rialzo del 6.9% sul 2016.

Milano resta la città con le maggiori prospettive di recupero; qui i prezzi starebbero già registrando alcuni lievi incrementi. Insieme al capoluogo lombardo anche Roma guida il mercato con trend concreti. Altre città come Torino, Bologna, Genova e Firenze vivono tendenze positive per le vendite ma registrano prezzi fermi.


La domanda dinamica e l’offerta che inizia a diminuire, soprattutto sugli immobili di qualità, potrà determinare un’ulteriore contrazione delle tempistiche di vendita e un minore margine di trattativa soprattutto su queste tipologie immobiliari. "Sia il segmento della prima casa sia quello a uso investimento e casa vacanza saranno vivaci - dice Megliola -. Ma se l’immobile è da ristrutturare o presenta degli elementi negativi si venderà solo dopo ulteriori ribassi di prezzo" - dice Fabiana Megliola, responsabile ufficio studi Tecnocasa.


Sempre più marginale è l’acquisto della seconda casa per la prima volta. "È un bisogno scomparso rispetto a dieci anni fa - dice ancora Giordano -. Ed è qui che la crisi di prezzo è molto più sentita. Per i giovani anche l’acquisto della prima casa non è un bisogno pressante, vista la mobilità che ormai li contraddistingue". Anche nel caso delle separazioni la domanda diventa locativa. La domanda abitativa diventa principalmente urbana.
Il mercato della locazione sta migliorando perché i proprietari hanno trovato metodi più sicuri. Formule nuove come la locazione per tempi brevi o per studenti cambiano il panorama.

Uffici: chiuso l’anno con scambi a 3,5 miliardi 

Il comparto non residenziale (commercial) dovrebbe chiudere il 2016, secondo i dati preliminari di Cbre, con volumi pari a 8,9 miliardi di euro, superiori del 9% al totale 2015. Il volume del quarto trimestre è invece superiore del 107% rispetto al trimestre precedente e superiore del 18% rispetto agli ultimi tre mesi dello scorso anno.


Nel 2017, secondo i maggiori esperti, si potrebbe replicare il risultato del 2016, inaspettato perché non influenzato dalle attese e dall’esito del Referendum. Buone le prospettive per gli uffici che nel 2016 ha totalizzato scambi per 3,52 miliardi di euro (1,527 miliardi nell’ultimo trimestre dell’anno).
Gli esperti sono concordi nel dire che per il settore office si conferma l’importanza degli aspetti qualitativi. 


"Per gli immobili “prime” in centro i prezzi sono aumentati molto, anche del 30% - dice Gabriele Bonfiglioli managing director di Coima Sgr -. Il mercato resta asimmetrico, con altre tipologie di immobili da valorizzare, per i quali gli yield sono più elevati. Ma valorizzarli diventa una strategia interessante".


"A consuntivo del 2016 i due mercati di Milano e Roma chiuderanno in positivo in termini di assorbimento - dicono da Gabetti -. Porta Nuova si conferma uno dei quartieri emergenti nella realtà milanese. A Roma la zona più attiva rimane l’Eur".
È sempre nel segmento office che si è conclusa la maggiore vendita del 2016: il portafoglio da 500 milioni di euro che Intesa Sanpaolo ha ceduto a Poste Vita, Generali e Banca Imi.


Retail: prevista una crescita del 20% 

Il segmento retail, nonostante la crisi economica e la situazione critica dei consumi, si è rivelato nel 2016 una asset class di riferimento. I grandi investitori internazionali sono tornati a investire in centri commerciali e nelle High street italiane, una nicchia quest’ultima di successo perché ritenuta non correlata a variabili che potrebbero mettere in pericolo la tenuta del real estate.


Nelle città come Milano, Firenze e Venezia, i flussi turistici garantiscono lo shopping.
"Il retail nel 2016 pesa intorno ai 2,2 miliardi di euro - dice Davide Dalmiglio, head of Capital Markets di JLL in Italia -. Nell’ultimo trimestre c’è stata una buona accelerazione, che pensiamo continui anche nel 2017, con velocità differenti. Il segmento High street continuerà a dominare la scena, i centri commerciali saranno sempre un’asset class interessante ma riteniamo che non avranno una crescita di valori come le vie dello shopping. I volumi potrebbero crescere l’anno prossimo del 20%".


Quali i trend? "L’interesse verso asset di qualità nel Sud - dice Dalmiglio -, ma anche verso retail park e l’attenzione per centri commerciali dominanti e di grandi dimensioni".
Secondo il Cncc, consiglio nazionale dei centri commerciali, la sfida adesso è riportare lo shopping center in città, come avviene in alcune capitali europee. Un progetto al quale Cncc sta lavorando con il Demanio per fare incontrare investitori e Stato, il quale potrebbe mettere a disposizione immobili dimessi ma in posizioni appetibili.


Fonti articolo: 1. Ilsole24ore.com, 2. Ilsole24ore.com

 

 

Donazione senza notaio possibile? In due modi


La donazione è un contratto che prevede sempre l'accettazione del beneficiario e la firma dell'atto in presenza di due testimoni davanti a un notaio.


Notaio che si dovrà occupare anche di alcune verifiche preliminari e della successiva trascrizione e registrazione del contratto.


Ci sono due casi, pero', in cui la donazione dell'immobile puo' avvenire anche senza presenza del notaio.Vediamo quali sono.



Donazione indiretta immobile 

La donazione di un immobile può avvenire anche la cosiddetta intestazione della casa in nome altrui. Si tratta della cosiddetta donazione indiretta. Il caso più frequente è quello di un genitore che acquista un immobile pagando il prezzo e intestandolo al figlio o di chi acquista una casa in un contratto preliminare però al momento del rogito sostituisce a sé il proprio figlio fornendo lui il denaro.

In questo caso oggetto della donazione è il denaro con cui si acquista l'immobile. La presenza del notaio non è necessario e questi interviene solo per la redazione dell'atto di vendita.

Però, come appunto insegna la sentenza n. 24400/2016, la decadenza dall’agevolazione "prima casa" può verificarsi anche per ragioni non imputabili alla parte acquirente. Cosicché anche la parte venditrice deve mettere in conto una sua possibile responsabilità in caso di mancata concessione dell’agevolazione al contratto con il quale il venditore ha alienato un’abitazione a un acquirente che ha domandato l’agevolazione "prima casa" e che ha poi visto revocarsi l’agevolazione per causa al medesimo non imputabile. 

Usucapione + donazione indiretta

L'alternativa è seguire la strada dell'usucapione a favore del donatario.  Questa può essere fatta dichiarare dal tribunale o attraverso un processo di mediazione. Nel primo caso, i due soggetti, donante e donatario, possono dare inizio a una causa che, considerando l'accordo esistente, non dovrebbe avere tempi lunghi. Compito del giudice sarà accertare che il donatario ha posseduto l'immobile per oltre 20 anni. La sentenza avrà effetto retroattivo e sarà trascritta nei pubblici registri immobiliari.

Nel caso in cui si scelga la mediazione il processo sarà più corto e meno costoso. Un mediatore si occuperà di redigere un verbale in cui si dichiarerà l'effettiva usucapione del donatario. Solo successivamente il notaio dovrà autenticare le firme e si dovrà procedere alla trascrizione del verbale davanti al conservatore dei pubblici registri.


Fonte articolo: Idealista.it

 

Un anno di leasing: chi usufruisce di più dell'incentivo

Ad un anno dall’introduzione del leasing abitativo emerge la fotografia dei richiedenti: il 50% è al di sotto dei 35 anni e 4 su 10 sono donne.


A svelarlo la prima indagine sulla domanda di leasing abitativo svolta dall’Associazione italiana del leasing (Assilea).

Leasing immobiliare: l’identikit dei richiedenti

L’indagine Assilea spiega che 50% dei richiedenti del leasing abitativo per l’acquisto della prima casa rientra nella fascia che ha il massimo delle detrazioni fiscali, cioè è al di sotto dei 35 anni e con reddito complessivo non superiore a 55mila euro.
L’altro 50% ha un’età al di sopra dei 35 anni, comunque attratto dalle detrazioni che, seppur dimezzate, sono comunque più convenienti del mutuo.


Dall’indagine Assilea risulta anche che 4 richiedenti su 10 sono donne mentre il taglio medio delle operazioni si attesta sui 200 mila euro.
Oltre il 55% delle domande proviene dal Nord, con il Nord Est a primeggiare grazie all’Emilia Romagna (14,7% e prima ex-aequo tra le regioni con la Lombardia) e al Veneto (11,9%). Lazio al quarto posto con l’11,3%.


Prima Regione del Sud è la Sicilia (sesta assoluta) con il 7%. L’Abruzzo precede, nell’ordine, Puglia, Toscana, Campania e Friuli Venezia Giulia. Pochissime richieste arrivano dalla Basilicata, Molise, Sardegna e Valle d’Aosta tutte e tre ampiamente al di sotto dell’1%.

Leasing abitativo: vantaggi fino al 2020

Da gennaio 2016 (e fino al 31 dicembre 2020) chi desidera comprare la prima casa può farlo attraverso il leasing abitativo che prevede sgravi fiscali per i soggetti con un reddito complessivo non superiore a 55 mila euro.
I giovani di età inferiore a 35 anni potranno detrarre dalle tasse il 19% dei canoni di locazione finanziaria fino a un massimo di 8.000 euro annui ed il 19% del prezzo di riscatto finale fino a un massimo di 20.000 euro. Per gli over 35 le agevolazioni Irpef si applicheranno in misura ridotta del 50%.


Per entrambe le fasce d’età l’imposta di registro è ridotta all’1,5% sull’acquisto dell’abitazione principale da concedere in locazione finanziaria.
Inoltre si può usufruire della cumulabilità del Leasing abitativo con altre agevolazioni (IVA al 4%, 50% dell’IVA dovuta sull’acquisto di abitazioni di nuova costruzione ad alto standard energetico, interventi di riqualificazione energetica degli edifici, bonus ristrutturazioni ecc).


Infine l'utilizzatore non è tenuto al pagamento nè l’IMU nè la TASI, nel caso in cui fissi la residenza anagrafica e la propria dimora abituale nell'immobile oggetto del contratto di leasing abitativo (sono escluse le abitazioni censite nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9).


Fonte articolo: Edilportale.com

Prezzi case in lieve ripresa; un +0,1 da verificare nel lungo periodo

In un mercato residenziale che è tornato stabilmente a crescere dal punto di vista delle compravendite (+17,4% secondo gli ultimi dati dell’agenzia delle Entrate relativi al terzo trimestre 2016) rimane il nodo dei prezzi, che dopo aver perso in media il 20-25% durante la lunga crisi immobiliare, continuano ad assestarsi, seppur lentamente.


Un primo segnale positivo arriva però dai dati diffusi dall’Istat, secondo cui, pur rimanendo in terreno negativo la variazione su base annua, da giugno a settembre 2016 si è tornati a un flebile segno più (+0,1%) rispetto al periodo precedente.

 

Secondo una nota dell’Istituto di statistica, infatti, "nel terzo trimestre 2016, sulla base delle stime preliminari, l’indice dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle famiglie, sia per fini abitativi sia per investimento, aumenta dello 0,1% rispetto al trimestre precedente.


La flessione tendenziale è dovuta principalmente ai prezzi delle abitazioni nuove, mentre si ridimensiona lievemente il calo dei prezzi delle abitazioni esistenti (-0,6%, da -0,7% del periodo precedente). Su base congiunturale, invece, "il lievissimo aumento dell’Ipab è dovuto alla stabilità dei prezzi delle abitazioni nuove e al contestuale incremento dello 0,1% di quelli delle abitazioni esistenti".


Cosa aspettarsi per il futuro? Se il trend delle compravendite sarà confermato dovrebbero cominciare a muoversi finalmente anche i prezzi, ma il percorso sarà lento e non privo di ostacoli: la molta offerta da smaltire, la debolezza della domanda, la sostanziale fragilità dell’economia e il contesto deflattivo fanno prevedere ancora piccoli ribassi che dovrebbero lasciar spazio - in assenza di altri shock - a una sostanziale stabilità con una lieve ripresa delle quotazioni solo nel medio e lungo periodo, a eccezione dei centri che hanno anticipato la ripresa e che si mostrano più dinamici: Milano in testa, ma anche, secondo Nomisma, Firenze, Bologna e Venezia.

Fonte articolo: Ilsole24ore.com

Perchè l'immobiliare è in ripresa nelle grandi città?

Parte da Prato la ripresa delle compravendite di abitazioni. 


Seguono Livorno, Venezia e Firenze, dove si concentrano gli aumenti più consistenti rispetto al 2013, anno in cui il mercato residenziale ha toccato il fondo. 

 

È quanto emerge dalle statistiche provinciali dell’Agenzia delle Entrate sulle transazioni immobiliari dell’ultimo triennio.
Secondo l’ufficio studi Nomisma il 2016 dovrebbe chiudersi toccando le 517mila compravendite, in risalita del 28% rispetto al massimo ribasso del 2013, anno in cui si realizzarono solo 403mila transazioni (la metà rispetto al 2008). Ma la ripresa del mattone non viaggia alla stessa velocità sul territorio nazionale. Si torna a comprare casa soprattutto in Toscana e in Veneto. Sia a Padova che a Treviso, ad esempio, gli incrementi sono tutti superiori al 40 per cento. A Vibo Valentia, Isernia, Cosenza e Reggio Calabria, invece, il trend registra ancora il segno negativo.


Le città della ripresa 

"La ripresa - afferma Luca Dondi di Nomisma - si è concentrata in corrispondenza di grandi aree urbane, come Firenze e Bologna (rispettivamente +46,3 e +40,6%, ndr)". Le performance di alcune città, come Prato o Livorno, risultano sorprendenti, probabilmente "da legare all’entità del ridimensionamento subito in precedenza", sottolinea Dondi. Prima della ripresa c’è stato un forte calo dei prezzi e un tracollo delle compravendite: questi “aggiustamenti” hanno permesso al territorio di presentarsi meglio al momento della ripresa. "Dove il mercato è stato meno rigido - spiega il responsabile di Nomisma - si sono create le condizioni migliori per la ripartenza".


Può influire, inoltre, il fatto che nelle province più dinamiche la crisi bancaria sia stata molto forte: da Mps alla Banca popolare di Vicenza, per finire con Banca Etruria, le vicende legate ad alcuni istituti storici presenti sul territorio hanno accentuato la crisi. "È venuto meno un rapporto significativo, che dava fiducia ai potenziali acquirenti, e ciò ha innescato - gioco forza - una maggiore reattività del mercato", aggiunge Dondi.


Il ritardo dei prezzi

Nel frattempo, però, i prezzi delle case continuano a calare quasi ovunque, anche nelle città in cui le compravendite sono tornate a galoppare. L’esigenza di assorbire gradualmente gli eccessi passati e il meccanismo di resistenza e di difesa di prezzi, a volte insostenibili, ha generato un ritardo sul fronte delle quotazioni che, per la prima volta, non sono allineate alla ripresa della domanda.


Il risveglio dei mutui

Dietro al risveglio c’è naturalmente anche l’allentamento della stretta creditizia. Un elemento che accomuna, seppure con diversa intensità, tutta Italia. Non solo a livello nazionale il numero dei nuovi mutui concessi per l’acquisto di abitazioni è raddoppiato negli ultimi tre anni, ma quel che conta è che in tutte le province - comprese quelle dove ancora il mercato delle compravendite è in sofferenza, i mutui (escluse le surroghe) compaiono con un deciso segno «più».


Il boom delle stipule, ad esempio, supera il 100% a Grosseto e persino nella più tranquilla Ragusa, dove si registra un aumento “solo” del 23% dei passaggi di proprietà. Nella ripresa degli ultimi due anni è notevolmente cresciuta la quota di abitazioni acquistate tramite mutuo (dal 40% a oltre il 50%): "Gli investitori tradizionali sono più attendisti, sperano in prospettive reddituali più certe e in una fiscalità più mite", conclude Dondi.


Il fisco per la casa

E in effetti una spintarella al mattone arriva anche dal fisco. I provvedimenti per dare fiato al mercato immobiliare negli ultimi anni si sono susseguiti in modo un po’ disordinato. Alcuni sono stati sfruttati davvero, altri meno. L’abolizione di Imu e Tasi sulla prima casa non di lusso, ad esempio, può avere inciso poco nelle scelte di acquisto (guidate più da parametri di necessità che di convenienza), ma sicuramente ha dato sollievo a numerose famiglie. Molte delle quali hanno potuto giovarsi - per l’acquisto dell’usato - anche del super sconto sui lavori di ristrutturazione, confermato per il 2017 e ampliato (nella portata e nella durata) per gli interventi antisismici.


Non è un caso, infine, che l’inversione di rotta delle compravendite, dopo il picco negativo del 2013, risalga al primo trimestre 2014: a gennaio di quell’anno entrava in vigore il nuovo regime per la tassazione sulle prime case (imposta di registro dal 3 al 2%, ipotecaria e catastale da 168 a 50 euro).
La legge di Stabilità per il 2016, inoltre, ha ampliato l’agevolazione “prima casa”, consentendo al contribuente che ne ha già beneficiato di non dover più dismettere prima l’immobile agevolato, dandogli un anno di tempo per farlo a partire dalla data del nuovo acquisto.


Fonte articolo: IlSole24Ore.com

 

Anno record immobiliare 2016: cosa aspettarsi dal 2017?

Il 2016 del mercato immobiliare potrebbe essere ricordato da esperti e analisti come l’anno di svolta per la ripresa delle compravendite.


Al momento i dati certi sono più che positivi, con la performance dei primi nove mesi che parla di un incremento medio delle transazioni del 20,4%. I risultati, resi pubblici dall’Agenzia delle Entrate, evidenziano un trend al rialzo trainato sia dalla diminuzione dei prezzi degli immobili, che dal 2007 hanno perso il 39,7% del loro valore, che dalla maggiore accessibilità degli acquirenti al mercato dei mutui.

Crescono gli acquisti per qualsiasi tipo di finalità – prima casa, seconda casa o investimento – con aumenti a doppia cifra che hanno riguardato soprattutto le grandi città, quali Torino (+26,9%), Genova (+26,8%) e Milano (+26,7%)
"Questi dati", spiega Fabiana Megliola, Responsabile Ufficio Studi Tecnocasa, “sembrano confortare la previsione che, per tutto il 2016, le transazioni chiuderanno intorno a 500 mila. I prezzi invece continuano nel loro trend al ribasso, anche se meno rispetto al passato. Per la fine dell’anno prevediamo un ribasso dei prezzi compreso tra -2% e 0%”. Voltare pagina, lasciarsi alle spalle oltre otto lunghi anni di crisi immobiliare, nella media di un classico ciclo del settore, e guardare avanti.


Se nel 2017 si confermerà la tendenza positiva delle compravendite residenziali, che costituiscono la parte preponderante del mercato real estate, sarà il quarto anno consecutivo (da inizio 2014) di trend in crescita. 
La tendenza generale rimane positiva - spiega Luca Dondi, direttore generale di Nomisma - e nel residenziale, all’aumento del 2016, si sommerà un ulteriore aumento nel 2017 con un volume di oltre 550mila compravendite, in crescita del 7% sull'anno precedente. Le nostre stime di chiusura per il 2016 si sono attestate, riviste al rialzo, a quota 57mila transazioni (+16,3% sul 2015)".


Ma in un panorama più sereno rimane il neo dei prezzi, sostanzialmente stabili ma ancora con il segno negativo su base annua. Su questo scenario incombono una serie di fattori geopolitici ed economici che potrebbero avere un forte impatto negativo qualora si inasprissero conflitti e tensioni oppure la crisi economica.


È vero però che in questi oltre otto anni di crisi immobiliare gli italiani hanno perso buona parte del valore delle proprie proprietà immobiliari. Nell'arco degli ultimi due anni si è registrato un ritorno di interesse verso l'acquisto immobiliare, che si è tradotto nell'aumento delle compravendite e della domanda di mutui. "Oggi siamo in una nuova fase, ma la crescita resta fragile per una serie di fattori esogeni" dice ancora Dondi. Anche se l'attesa delle ricadute negative post referendum è stata disillusa. Il referendum ha rallentato in minima parte solo le transazioni immobiliari dei grandi investitori internazionali.
I prossimi mesi a livello europeo saranno segnati dalle elezioni in Germania e Francia e forse in Italia. Eventi in grado di influenzare la tenuta della stabilità.


Molti gli investitori che rimangono comunque positivi sul nostro Paese. Dopo che oltre tre anni fa il colosso americano Blackstone ha fatto da apripista per un ritorno al nostro real estate dei grandi capitali internazionali abbiamo assistito a numerosi deal con controparte estera.


"Abbiamo un fondo che investe in Italia, che resta un Paese potenzialmente attraente per la nostra strategia, ma dipende dagli asset singoli - commenta Tony Smedley, head of Continental European investment di Schroders -. Investiamo in città, con prospettive di crescita. Per questo guardiamo con attenzione a cambiamenti demografici e a novità nelle infrastrutture. E ci concentriamo al momento su Milano e Roma". Schroders, che ha asset under management per sei miliardi nell'Europa continentale, guarda a tutti i settori, dal retail agli uffici e alla logistica, dipende dalle opportunità. "Riteniamo il retail più difensivo nel medio termine» dice Smedley. E molti investitori puntano anche agli hotel.


"Il 2016 è stato un anno record - dice Roberto Galano, vicepresident di Jll Italy e massimo esperto nel segmento alberghiero di lusso - che si è chiuso con 1,1 miliardi di euro di investimenti". Il settore però chiede più attenzione da parte del governo. "Bisogna ridurre la burocrazia e aumentare la trasparenza" conclude Smedley. Gli fa eco Mario Breglia, Presidente di Scenari Immobiliari: "In Italia la crisi immobiliare si sta esaurendo senza aiuti - dice -. Nell'agenda del nuovo Governo per l'immobiliare ci dovrebbero essere quindi la “visione” di un settore immobiliare/edilizio che rappresenta il 20% dell'economia nazionale e che non ha un interlocutore politico".


Fonti articolo: IlSole24Ore.comMutuionline.it

Il Ministero decreta il credito d'imposta per la videorveglianza

Il credito di imposta per gli impianti di videosorveglianza andrà prenotato a inizio 2017 e poi inserito nelle dichiarazioni dei redditi dell'anno appena iniziato.


È la novità più importante del decreto del ministero dell'Economia, datato 6 dicembre 2016, che con circa nove mesi di ritardo dà finalmente attuazione a una norma inserita nell'ultima legge di Stabilità, molto attesa da imprese artigiane e condomini. 


Anche se, per completare il quadro del bonus, manca ancora un provvedimento dell'Agenzia delle Entrate, che fisserà il livello di sconto fiscale che sarà possibile richiedere.

 

Il decreto prende le mosse dal comma 982 dell'articolo unico della legge di Stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015). Con quella norma veniva introdotto un nuovo bonus per gli impianti di videosorveglianza. In particolare, si leggeva nella manovra, "per le spese sostenute da persone fisiche non nell'esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa ai fini dell'installazione di sistemi di videosorveglianza digitale, nonché per quelle connesse ai contratti stipulati con istituti di vigilanza, dirette alla prevenzione di attività criminali, è riconosciuto un credito d'imposta ai fini dell'imposta sul reddito, nel limite massimo complessivo di 15 milioni di euro per l'anno 2016".


L'implementazione pratica di questo bonus veniva affidata a un decreto del Ministero dell'Economia, da approvare entro tre mesi, per fissare i criteri e le procedure per l'accesso al bonus e per il suo recupero in caso di utilizzo illegittimo. Con circa nove mesi di ritardo il decreto, datato 6 dicembre 2016, è stato finalmente pubblicato.


L'agevolazione sarà ammessa con un limite fondamentale. Spetterà, infatti, "a condizione che le spese siano sostenute in relazione a immobili non utilizzati nell'esercizio dell'attività d'impresa o di lavoro autonomo". Per le spese sostenute per immobili adibiti in parte ad attività di lavoro autonomo, il credito di imposta sarà ridotto nella misura del 50 per cento.


La richiesta andrà effettuata secondo i criteri fissati dall'Agenzia delle Entrate e dovrà, comunque, indicare l'importo delle spese agevolabili. L'amministrazione fiscale dovrà definire il livello massimo di credito di imposta spettante a ciascun soggetto. Il termine massimo per licenziare questo ulteriore provvedimento è il 31 marzo del 2017. «Il credito d'imposta di cui al presente decreto – spiega il Mef - non è cumulabile con altre agevolazioni di natura fiscale aventi ad oggetto le medesime spese».


All'orizzonte, comunque, c'è un meccanismo dai tempi piuttosto lunghi. Il credito d'imposta, infatti, andrà indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta 2016. Quindi, per completare tutti gli adempimenti ci sarà tempo fino alle dichiarazioni dei redditi del 2017. Quindi il bonus andrà prenotato a inizio 2017 e poi inserito nelle dichiarazioni dei redditi dell'anno appena iniziato. 


L'Agenzia delle Entrate avrà, poi, il potere di effettuare verifiche. Nel caso in cui accerti che una parte dello sconto non è dovuto, potrà ordinare il recupero delle somme indebitamente scontate.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web

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