News dal franchising

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Entrate: le compravendite di abitazioni +3,8%; vola il mercato delle pertinenze

Il mercato immobiliare italiano continua a dare segnali positivi.


I dati del secondo trimestre pubblicati con le Statistiche trimestrali elaborate dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare delle Entrate mostrano infatti un incremento generalizzata. 

Le transazioni delle abitazioni sono aumentate del 3,8%, mentre le compravendite delle pertinenze (cantine e soffitte) crescono del 10,1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il settore terziario commerciale, che comprende uffici e negozi, sale del 6,2%, mentre il settore produttivo mostra una crescita del 4,9%. I tassi di crescita del mercato immobiliare hanno tuttavia registrato un rallentamento rispetto al primo trimestre dell'anno.


Il mercato delle abitazioni prosegue nel sentiero di risalita che ha caratterizzato gli ultimi 3 anni. Nel periodo tra aprile e giugno 2017 sono state scambiate 145.529 abitazioni, circa 5 mila in più rispetto al 2016, registrando però una crescita rallentata rispetto al trimestre precedente. Le compravendite di depositi pertinenziali sono state più accentuate nei comuni minori (+11,9%) rispetto ai comuni capoluogo (+6,9%), mentre gli scambi che hanno riguardato i box e i posti auto hanno avuto un andamento positivo (+2,7%) ma abbastanza eterogeneo, con performance molto diverse tra i capoluoghi, che hanno chiuso con segno meno, e i centri minori, in cui il mercato è stato positivo.


Il mercato residenziale, spiega l'Agenzia, cresce un po' di più nelle grandi città (+4,4%). Il risultato migliore è stato registrato a Napoli, dove gli acquisti di abitazioni sono aumentati del 13,6%. Seguono Palermo (+8,3%) e Torino (+5,7%). Roma e Milano si sono allineate alla media complessiva delle metropoli, facendo segnare valori di poco superiori al 4% (rispettivamente +4,5% e +4,1%). Più statico il mercato nelle città di Genova (+1,3%) e Firenze (+0,9%), mentre Bologna è l'unica tra le grandi città a mostrare un dato negativo (-4,3%), con poco più di 1.500 compravendite.


Per quanto riguarda il settore terziario commerciale, aumentano del 6,2% gli scambi, grazie al traino del nord ovest e delle isole, aree che segnano il recupero più elevato (rispettivamente +10,9% e +7,6%). Nelle grandi città spiccano i risultati delle compravendite di uffici, in crescita del 18%, e dei negozi, con +10,7% rispetto allo stesso trimestre del 2016.


Nel settore produttivo le compravendite di capannoni e industrie crescono del 4,9%: nonostante il tasso tendenziale sia ridimensionato, i dati del secondo trimestre 2017 si riavvicinano ai livelli che hanno preceduto il crollo del 2012. Il rialzo del settore è sostenuto soprattutto dalla crescita degli scambi nelle aree del centro e del nord ovest, (rispettivamente +18,7% e +11,3%), mentre sono più timidi i recuperi al nord est (+3,5%) e al sud (+0,3%); in netta controtendenza le isole, dove si è invece rilevato un pesante calo delle compravendite (-37,3%).


Fonte articolo: Milanofinanza.it

 

Termovalvole obbligatorie da luglio. Le sanzioni per chi non è in regola

Dal 1° luglio 2017 è definitivamente in vigore l’obbligo di dotare gli impianti di riscaldamento centralizzati dei sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore.


Non si ritiene condivisibile l’interpretazione secondo la quale sia sufficiente la sola delibera di dare incarico all’impresa.

CHI E' ESENTATO

Per quanto giuridicamente non vincolante, sul punto si è pronunciato anche il Mise nella Faq del mese di giugno 2017 al punto n. 7. Chi non si è adeguato per tempo, pertanto, potrà essere assoggettato alla sanzione amministrativa da 500 a 2500 euro per ciascuna unità immobiliare. Sono esentati dall’esecuzione di qualsiasi intervento, solo coloro che hanno ottenuto una relazione così detta “esimente” ai sensi dell’articolo 9 comma 5 lettera c) del Dlgs 102/2014.


Questa deve dimostrare che l’installazione di tali sistemi risulti essere non efficiente in termini di costi con riferimento esclusivamente alla metodologia indicata nella norma Uni En 15459. In questo caso la relazione deve essere firmata da un professionista abilitato. Non è richiesta l’asseverazione. Tale ultimo requisito è invece obbligatorio per la relazione necessaria ai fini della non applicazione della norma tecnica Uni 10200 per la ripartizione della spesa del riscaldamento.


CHI DEVE OTTEMPERARE ALL'OBBLIGO

L’obbligo di adozione dei sistemi di contabilizzazione e di termoregolazione riguarda i condominii e gli edifici polifunzionali. Questi ultimi dovrebbero essere intesi quali edifici appartenenti ad un solo proprietario le cui unità immobiliari sono occupate da soggetti diversi tra i quali deve essere ripartita la spesa del riscaldamento. Sul punto non vi è alcuna eccezione nemmeno nelle leggi regionali. Ne consegue che anche gli edifici di edilizia popolare devono essere adeguati. Si ricordi che ai sensi dell’articolo 26 comma 5 della legge 10/1991, gli interventi volti all’adozione dei sistemi di termoregolazione sono “innovazioni”. Ne consegue che di questi deve esserne data notizia presso il catasto degli impianti termici che le Regioni e le Province autonome, devono avere istituito ai sensi del Dpr 74/2013 articolo 10 comma 4. È quindi sufficiente che la Regione interroghi il sistema informatico per capire quali impianti centralizzati non siano stati adeguati alla normativa. Infatti, ai sensi dell’articolo 16 comma 14 Dlgs 102/2014, le sanzioni sono irrogate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano o enti da esse delegati.

Ciascuna Regione ha quindi regolamentato le modalità di inserimento di tali informazioni. In caso di mancata effettuazione degli interventi stante la relazione “esimente”, occorre verificare cosa prevede la piattaforma informatica. In Piemonte, ad esempio, non è previsto che la relazione venga inviata in forma ufficiale. Tuttavia, all’atto del caricamento del Rapporto di controllo, viene richiesto se l’impianto è di tipologia centralizzata e in questo caso se esiste o meno la termoregolazione/ contabilizzazione e, in caso negativo, viene data la possibilità di caricare una scansione della relazione.


Altra cosa è, invece, la sanzione da 500 a 2.500 euro per la ripartizione della spesa del riscaldamento non effettuata in base alla norma Uni 10200 o al criterio indicato nel Dlgs 102/2014 articolo 9 comma 5 lettera d). In tal caso la sanzione è riferita al condominio e non per ogni proprietario. L’amministratore deve conservare la relazione sottoscritta dal professionista o, in alternativa, la relazione asseverata.


Fonte articolo: IlSole24ore.com, vetrina web

Contratto d’affitto transitorio per universitari: vantaggi per locatore e studenti

Il mercato delle stanze in affitto è in forte espansione e i prezzi, nelle 14 città più ricercate dai fuori sede, sono in aumento anche quest’anno.

Per limitare il fenomeno degli affitti in nero è stato introdotto il contratto d’affitto transitorio per studenti universitari, che prevede benefici per locatore e conduttore.

 

Chi può richiedere questo tipo di contratto?

La richiesta può essere presentata se il locatario è iscritto a un corso di laurea, di perfezionamento o di specializzazione (master e dottorati), in una città diversa da quella di residenza. Il contratto può essere intestato allo studente stesso, a un gruppo di universitari o a un’azienda per il diritto allo studio.


Per poter stipulare questo tipo di locazione si dovrà utilizzare il modello previsto da eventuali accordi locali tra le associazioni di categoria dei proprietari e i sindacati degli inquilini, in assenza di tali linee guida si potrà fare riferimento al “modello base” contenuto nell’allegato E del Decreto Ministeriale del 30 dicembre 2002, reperibile sul sito del Ministero delle Infrastrutture.
All’interno del contratto, che dovrà essere registrato dal locatore, andranno indicati il corso di studi e l’università a cui è iscritto lo studente. Allo stesso modo devono essere presenti le informazioni sul canone mensile e sulle modalità di pagamento (bonifico, assegno, contanti…).


Uno dei vantaggi del contratto transitorio per studenti fuori sede è il poter accedere ad affitti calmierati. L’importo andrà individuato all’interno dei valori dei canoni convenzionati definiti dagli accordi locali tra Sindacati inquilini e Associazioni della proprietà. Il locatore può chiedere, anche se non è obbligatorio, un deposito cauzionale, da restituire al termine del contratto, potendone trattenere una parte, o l’intera somma, per danneggiamenti all’immobile.


La durata è un aspetto fondamentale di questa tipologia di contratti e si adatta alle esigenze tipiche degli studenti. Si va da un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni, con un rinnovo automatico, per un secondo periodo di pari durata. Se alla prima scadenza lo studente non intende rimanere dovrà comunicarlo al padrone di casa, con un preavviso di almeno tre mesi. Una prerogativa, quella della disdetta al primo rinnovo, che non è prevista per il locatore.
Per lo studente è prevista anche la possibilità di recesso anticipato, con lo stesso margine di preavviso previsto per la disdetta, solo per “gravi motivi” (ad esempio una malattia o il decesso di un parente, che lo costringa a lasciare l’Università).


Se il contratto è intestato a un gruppo di studenti e uno di loro lascia l’abitazione l’importo del canone complessivo non cambia, quindi gli inquilini che restano pagheranno un affitto maggiorato finché non troveranno un sostituto.


A meno che non sia espressamente previsto da un patto tra le parti, agli inquilini è vietata la sublocazione o la concessione in comodato (gratuita) della stanza o dell’appartamento. È invece consentita la breve e occasionale ospitalità a titolo gratuito (ad esempio per quando i genitori vanno a trovare i figli). Il conduttore deve osservare il regolamento condominiale e farsi carico delle spese per la manutenzione ordinaria.

Detrazioni fiscali

A rendere interessanti queste tipologie di contratti c’è anche la possibilità di agevolazioni fiscali. Gli studenti, o i loro genitori, possono richiedere una detrazione Irpef del 19% su una spesa massima di 2.633 euro. Il requisito è che l’università disti almeno 100 chilometri dalla città di residenza dello studente e che l’immobile in affitto si trovi nella città sede dell’ateneo o in un comune limitrofo.

I proprietari, invece, potranno chiedere:

  • - una deduzione extra del 30% per chi resta alla tassazione ordinaria o cedolare secca al 10%;
  • - uno sconto del 25% su Imu e Tasi.

  • Fonte articolo: Immobiliare.it

Quali sono le polizze a protezione del mutuo più convenienti?

Costano dal 2% fino a punte che superano il 10-12% dell’importo erogato e continuano ad assicurare alle banche lauti guadagni in provvigioni.


Ma i consumatori sono più informati e potrebbe presto aprirsi un mercato più competitivo, con conseguente discesa dei prezzi, grazie alle ultime novità contenute nella legge 4 agosto 2017 (Ddl Concorrenza). 

 

Parliamo delle polizze a protezione del mutuo, definite generalmente Cpi (Credit protection insurance), ossia contratti vita, danni, o molto spesso multirischi, volti a garantire la corretta restituzione del prestito in caso eventi come la morte del titolare del finanziamento, invalidità, perdita dell’impiego per i lavoratori dipendenti o infortuni che mettano a repentaglio il reddito degli autonomi.


Diffusione e provvigioni 

"La loro diffusione è rimasta stabile negli ultimi anni. Ma c’è più consapevolezza da parte dei clienti, alcuni dei quali addirittura considerano l’offerta assicurativa come criterio con cui scegliere la banca cui affidarsi", ragiona Ivano Cresto, responsabile dell’area mutui dei brand Mutui.it e Facile.it.
Per costi ed opacità nelle condizioni queste assicurazioni sono però più volte finite nel mirino dell’Ivass, che in passato ha anche condannato i premi eccessivi, spinti da provvigioni per la rete distributiva che potevano toccare l’80%. Provvigioni che oggi, comunque, restano sostanziose e si portano via tra il 25% e il 50% del premio.


Prezzo variabile 

Qual è il prezzo corretto di una polizza Cpi? Le offerte migliori partono da circa il 2% dell’importo erogato per una semplice protezione vita (la più diffusa, il 56,7% del totale secondo l’Ivass) salendo intorno al 6-7% per un pacchetto di protezione completo (benché sul mercato siano commercializzate offerte che costano quasi il doppio, con casi in cui a meno garanzie, almeno sulla carta, corrispondo prezzi più alti).


"Una forchetta compresa tra il 2,5% e il 6,5% dell'importo è ragionevole, considerando la formula più diffusa, cioè quella del premio unico anticipato" – conferma Luca Franzi, presidente nazionale di Aiba, associazione italiana broker assicurativi. "Oltre questa soglia, meglio cercare qualche preventivo in più".


Ma il premio non è il solo indicatore di cui tenere conto, anche perché le polizze non sono identiche ed è fuorviante raffrontarle guardando solo alla spesa. Intanto, occorre valutare le reali esigenze del soggetto. 
"Sembra scontato, ma una polizza sulla vita o contro l’inabilità interesserà di più chi ha eredi da tutelare. Un giovane single, invece, potrebbe privilegiare solo quella contro la perdita di impiego, facendo attenzione che il contratto includa i nuovi rapporti di lavoro introdotti con il Jobs act e che abbia la maggior durata possibile, per quanto difficilmente si trovano garanzie che coprono l’intero arco del finanziamento, specialmente nelle durate lunghe come 30 anni", dice Cresto di Facile.it.


Polizze collettive e individuali 

Poi occorre conoscere alcune definizioni. Oltre il 90% del mercato è fatto da polizze "collettive", opposte alle "individuali". Sono polizze standard, basate su ampi accordi fra istituto di credito e partner assicurativo, uguali per tutti i clienti. "Nel contratto, il contraente non è il mutuatario ma quasi sempre è il broker assicurativo cui si appoggia la banca. Il vantaggio è che in questo modo gli istituti spalmano il rischio su migliaia di beneficiari e riescono a offrire prodotti più vantaggiosi e accessibili. Nel caso morte, per esempio, la polizza collettiva ha lo stesso costo a prescindere dall’età dell’intestatario, mentre in un accordo individuale il premio sale sensibilmente con l’aumentare dell’età", spiega ancora Cresto.

 

Attenzione, poi, a esclusioni e casi specifici. Sempre nel “caso morte”, verificare che sia incluso non solo il decesso per infortunio, ma anche quello conseguente a malattia, benché questa protezione costerà un po’ di più. Per la perdita di impiego, cercare un prodotto che conceda la durata massima di sostegno, che di solito si ferma a 12 mensilità ma in alcuni casi può arrivare a 24 o 36 mesi. In generale, sia come costo sia come ottica assicurativa, è meglio mettere in conto ogni eventualità e optare per un pacchetto completo di garanzie.


Eccezioni da valutare 

Ma ci sono eccezioni in cui è meglio ragionare su singole garanzie. "Prendiamo un capofamiglia che abbia già una propria polizza vita in corso quando accende un mutuo. Può chiedere di inserire la banca fra i beneficiari invece che sottoscrivere un prodotto fotocopia", dice Franzi di Aiba. E non è raro il caso di due coniugi entrambi intestatari del mutuo. "Se questi hanno condizioni lavorative diverse, ad esempio il primo è dipendente privato, il secondo pubblico, si potrebbe “giocare” associando la perdita di impiego solo al primo e l’invalidità al secondo, valutando anche se assicurare per un importo maggiore colui che ha un reddito più consistente", aggiunge Cresto.


Modalità di pagamento 

Il premio unico anticipato è il più utilizzato: si paga tutto subito, inserendo il costo della polizza all’interno dell’importo finanziato. La banca ci guadagna perché calcola gli interessi su una somma più alta, il cliente diluisce il costo nelle rate lungo il piano di ammortamento. L’alternativa è il premio ricorrente, dove il cliente paga ogni anno. È sempre una soluzione più costosa (se prevista), ma potrebbe essere una scelta obbligata. "Spesso, infatti, quando il loan to value è già ai limiti, intorno all’80%, non c'è ulteriore spazio per inserire il costo della polizza. Allora si sceglie questo tipo di premio o il cliente decide di stipulare l'assicurazione vita più avanti con l'età", conclude Cresto di Facile.it.


La legge sulla concorrenza 

Il Ddl concorrenza approvato dal Parlamento prima delle vacanze estive (legge 4 agosto 2017, n. 124, comma 135 ) ha fissato alcuni punti che vanno nella direzione di rendere più trasparente il mercato delle polizze abbinate ai mutui. Ma restano alcune zone d’ombra. In primo luogo, viene sancito il principio che il consumatore sia libero di scegliersi sul mercato l’assicurazione, sia vita sia danni, e questa deve essere accettata dall’istituto di credito. Una condizione che dovrebbe aprire il mercato a prodotti meno cari e facilmente confrontabili tra loro. Infatti la legge obbliga la banca ad accettare la polizza del cliente, purché il contratto rispetti una serie di contenuti minimi.


Nei prossimi mesi, Abi, Ania e Ivass dovrebbero essere chiamate a definire un elenco di caratteristiche standard dei contratti. Naturalmente, però, può essere anche la banca a proporre una polizza, dietro sollecitazione propria o del consumatore. E in questo caso, il legislatore e l’autorità di vigilanza dovranno chiarire se resti ancora valida l'indicazione del Decreto Salva Italia del 2012, che si limitava peraltro alle polizze vita, e che imponeva alle banche di fornire due preventivi extra gruppo, insieme alla polizza "di casa".


Diritto di recesso 

In secondo luogo, il Ddl conferma quanto già indicato al mercato dall’Ivass e cioè che su queste polizze vale un diritto di recesso a favore del cliente di 60 giorni dal momento della stipula. Il testo aggiunge che la banca dovrà illustrare questa opzione al cliente con una comunicazione ad hoc, separata dal resto della documentazione contrattuale.
In terzo luogo, per rendere chiaro il costo dell’assicurazione, l’istituto è tenuto a "informare il richiedente della provvigione percepita e dell’ammontare della provvigione pagata dalla compagnia assicurativa all’intermediario, in termini sia assoluti che percentuali sull’ammontare complessivo".


Fonte articolo: IlSole24ore.com

Scenari Immobiliari: la crisi è finita. L'Italia cresce del 6%

La recessione è ormai alle nostre spalle, ma da Paese a Paese cambia l'intensità della crescita.


Questi alcuni dei dati che emergono dall’European Outlook 2018, presentato a Milano da Scenari Immobiliari, in seguito al quale si terrà il 25° Forum Scenari a S. Margherita Ligure il 15 e 16 settembre.

In tutti i comparti aumentano gli scambi e anche le quotazioni salgono più dell’inflazione. "Anche in Italia – ha detto Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari, illustrando i dati dell’European Outlook 2018 – la crisi è finita, ma la ripresa appare più delicata, a causa delle debolezze strutturali del nostro Paese".

Il fatturato delle cinque principali nazioni europee in rialzo del 6% nel 2017

A livello delle cinque principali nazioni europee il fatturato dei mercati nel 2017 crescerà del 6% per arrivare quasi al 9% il prossimo anno. Spagna e Francia nel 2018 si troveranno in vero boom con fatturati in crescita superiore al 10 per cento. Anche l’Inghilterra dovrebbe recuperare dopo un cattivo biennio. La Germania crescerà in linea con l’Italia, poco più del 6 per cento.


La Germania, però, a differenza del nostro Paese e delle altre nazioni UE, ha superato indenne la crisi immobiliare. Il fatturato europeo è sceso (in termini monetari) del 7,3%, ma di oltre il 10% in quattro Paesi. I prezzi medi delle case sono scesi di quasi il 9% in Eu5, ma del 35,6% in Spagna e del 15,6% in Italia.
Milano e Roma hanno resistito alla crisi e ora si trovano con quotazioni medie leggermente superiori a dieci anni fa. Solo le città del nord Europa hanno registrato incrementi elevati.

Prezzi in ripresa in quasi tutti i settori

Dall’European Outlook 2018 di Scenari Immobiliari emerge che i prezzi sono in ripresa in quasi tutti i settori (salvo l’industriale) con punte superiori al 4% in Germania e Spagna. Anche in Italia il dato medio nazionale è di un incremento dello 0,3 % nel residenziale a fine anno e un più netto 1,1 % di previsione per il 2018. 


"È una media tra dati ancora molto diversi da città a città – commenta Breglia. Mentre a Milano, Venezia e in altre città le quotazioni sono in netto rialzo, nella maggior parte dei capoluoghi i prezzi sono ancora fermi o in lieve calo".

Dal 2000 il mercato italiano è cresciuto del 50%

Tra il 2000 e oggi il mercato immobiliare italiano è cresciuto di quasi il 50%, crescendo più della media europea (quasi il 30 per cento). La ripresa imboccata si consoliderà nel corso del prossimo anno, con un più 6,5% nel residenziale (attese 630mila compravendite) e in settori in pieno boom come l’alberghiero.

Breglia: Gli spazi di crescita del nostro mercato sono notevoli, nella locazione residenziale, nel terziario innovativo (come il co-working) e nell’area dei servizi

E aggiunge: "Sono necessari investimenti per la messa in sicurezza delle case. Non va dimenticato che c’è quasi un milione di case in corso di costruzione, bloccate dai fallimenti o dai concordati delle imprese edili. La tassazione allontana investitori istituzionali e privati. Ci troviamo così marginali in un contesto dove l’immobiliare è uno strumento di cambiamento urbano e di allocazione di grandi risorse".

Fonte articolo: Corriere.it

Che fare quando durante la compravendita si scoprono difetti dell'immobile?

Quando si acquista una casa si firma il preliminare (o compromesso), un vero e proprio contratto che obbliga entrambe le parti alla stipula dell’atto definitivo, che determinerà il trasferimento della titolarità dell’immobile.


Solo un grave inadempimento permette di sciogliersi dall’impegno assunto con il contratto, come stabilito dal Codice civile.

Come spiegato da La legge per tutti, la gravità viene valutata sulla base della prestazione e del suo valore economico. In caso di piccoli difetti della casa che ci si è impegnati ad acquistare, non è possibile rifiutarsi di rogitare.


Con la sentenza n. 2471/16 del 10 ottobre 2016, il Tribunale di Treviso ha stabilito illegittimo il rifiuto dell’acquirente di presentarsi dal notaio per la firma del contratto definitivo solo per aver scoperto, dopo la firma del compromesso, modeste infiltrazioni di acqua, la necessità di sostituire la cassetta del w.c. e di adeguare i locali caldaia e cucina con realizzazione dei fori di areazione. Secondo il giudice, infatti, una simile condotta è "contraria a buona fede" e costituisce una "reazione del tutto sproporzionata a fronte di problematiche facilmente risolvibili".


La sentenza del tribunale di Treviso ricorda che, nei contratti con prestazioni corrispettive – come la compravendita – quando le parti si addebitino inadempimenti reciproci o una di esse giustifichi la propria inadempienza per autotutelarsi da quella dell’altro contraente, il giudice deve prima procedere a valutare in modo unitario e comparativo i rispettivi comportamenti inadempienti. Questo significa che il tribunale deve giudicare se l’inadempimento è talmente grave da giustificare lo scioglimento, per l’altro contraente, dall’impegno assunto.


Nel caso deciso dalla sentenza in commento, i testimoni del venditore avevano confermato che l’acquirente aveva eseguito, prima di firmare il compromesso, visite accurate, anche con un impresario di sua fiducia, ed era stato informato della "vetustà dell’immobile".


Le possibili soluzioni sono:

  • - in presenza di difetti dell’immobile non nascosti dal venditore e ben noti dall’acquirente prima della firma del contratto, quest’ultimo non può far nulla e dovrà rogitare, diversamente perderà la caparra;
  • - in presenza di difetti dell’immobile nascosti e non conoscibili con l’ordinaria diligenza, ma facilmente eliminabili e di scarso valore in rapporto al valore dell’immobile, l’acquirente può agire contro il venditore per chiedere solo una riduzione del prezzo di acquisto;
  • - in presenza di difetti dell’immobile nascosti e non conoscibili con l’ordinaria diligenza, ma di entità tale da rendere l’inadempimento del venditore "grave", l’acquirente può chiedere al giudice la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento e ottenere il doppio della caparra versata.

Fonte articolo: Idealista.it

Smart working: l'ufficio più richiesto è open space

Trend in crescita per lo smart working, modalità di lavoro innovativa e flessibile, che incentiva l’autonomia del lavoratore e gli permette di interagire e comunicare al meglio con i propri colleghi.


Requisito fondamentale, la scelta di spazi a uso ufficio moderni, nuovi e corredati da impianti tecnologici avanzati e da layout sempre più aperti e confortevoli. 

 

Dopo l’entrata in vigore della legge 81 del 22 maggio 2017, che ne regolamenta le diverse forme, lo smart working è diventata una delle tipologie più richieste dalle aziende.


Marco Clerici, managing director di World Capital: "Dalle richieste, che la divisone office di World Capital tratta ogni giorno, si evidenzia come l’85% dei richiedenti si orienta su soluzioni con layout open space. Tale tipologia di ufficio, infatti, favorisce al meglio l’interazione e la comunicazione, capisaldi dello smart working. Le richieste, inoltre, vertono su uffici, dagli ambienti confortevoli, capaci di favorire un lavoro più fluido e veloce, situati in location di grande business come Milano".


Dall’ultima analisi del dipartimento interno di ricerca di World Capital, emerge che è Milano la meta italiana più attrattiva nel comparto office, con un’ampia disponibilità di spazi moderni e all’avanguardia, rendimenti lordi che nel Centro si aggirano intorno al 5,5 % e tagli che, sempre nel Centro, oscillano da un minimo di circa 300 mq a un massimo di circa 6.000 mq, sposando così qualsivoglia esigenza.


Facendo un confronto con lo scenario europeo, anche in questo caso la città di Milano si conferma come destinazione vincente, classificandosi al 5° posto in Europa per canoni di locazione (500 euro/mq/anno).


Fonte articolo: Monitorimmobiliare.it

Bonus edilizia: confermati i livelli record del 2016

Nel 2018 uno degli incentivi fiscali più richiesti, quello per le ristrutturazioni e il recupero edilizio "semplice", compirà 20 anni e proprio in prossimità di questo importante compleanno registra il record storico di popolarità.


Le domande arrivate, dal 1998 a maggio 2017, sono 15 milioni e, in base alle stime, entro fine anno si potrebbero toccare i 15,6-15,7 milioni di richieste. 

 

A questa costante crescita di domande concorre anche il bonus per la riqualificazione energetica degli edifici, istituito nel 2007.
Secondo le elaborazioni del Servizio studi della Camera, realizzate in collaborazione con il Cresme su dati dell’Agenzia delle Entrate e del Mef, si confermano nei primi mesi di quest’anno i livelli record di spesa registrati nel 2016.


I valori delle ritenute d’acconto sono stati pari a 743 milioni tra gennaio e maggio 2017 contro i 751 milioni dello stesso periodo del 2016. Da questi dati il Cresme calcola il valore complessivo (Iva conclusa) dei lavori effettuati che risulta pari a 11,33 miliardi nei primi cinque mesi del 2017, con una proiezione per la fine dell’anno che dovrebbe attestarsi sui 28 miliardi di euro.


Visto il successo confermato del bonus, con l’avvicinarsi della legge di bilancio, in Parlamento e nel Governo ripartirà il dibattito fra chi propone di rendere permanente questo incentivo e chi chiederà una semplice proroga per un altro anno.


Tra chi chiede la stabilizzazione della misura c’è il Ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, impegnato anche in una campagna di sensibilizzazione per la messa in sicurezza delle case fuori norma, che rischiano maggiormente di incorrere in crolli in caso di terremoti.
Proprio per questo motivo il Ministro cercherà di ottenere almeno che il Sismabonus venga allargato anche agli edifici dell’edilizia residenziale pubblica, una norma che era stata proposta anche nella scorsa legge di bilancio ma non era entrata per una serie di intoppi nel percorso parlamentare della finanziaria. 

Secondo il Ministro questo “allargamento” rappresenta:

un volano importante di investimenti mettendo in attuazione uno strumento che altrimenti fa fatica a decollare.


Fonte articolo: Immobiliare.it

Nuova norma compravendite: arriva il deposito prezzo dal notaio

Denaro al sicuro se affidato al notaio: è questo il titolo che potrebbe essere dato alle nuove norme, contenute nei commi 63 e seguenti dell’articolo 1 della legge sulla concorrenza, le quali disciplinano la corresponsione di somme al notaio, vuoi con finalità di pagamento di tributi vuoi con finalità di deposito.


La nuova normativa sul "Deposito prezzo dal notaio" sancisce diversi fondamentali principi. Ecco quali.

- il notaio deve avere un conto corrente dedicato sul quale far confluire il denaro ricevuto dai clienti per il pagamento di imposte; il notaio non può lucrare interessi che quel conto corrente produca e non può utilizzare quel denaro per altro fine se non per il pagamento di imposte;

- sul predetto conto corrente devono affluire anche tutte le somme che il notaio sia incaricato di custodire;

- le giacenze di quel conto corrente sono impignorabili dai creditori personali del notaio, non fanno parte della successione del notaio che muoia, non entrano nel regime di comunione dei beni in cui il notaio si trovi;

- se ne sia "richiesto da almeno una delle parti", il notaio deve (e non può rifiutarsi di farlo) tenere in deposito il saldo del prezzo che l’acquirente deve corrispondere al venditore fino a quando non sia eseguita la formalità pubblicitaria con la quale si acquisisce la certezza che l’acquisto si è perfezionato senza subire gravami (ipoteche giudiziali, sequestri, pignoramenti, domande giudiziali, eccetera);

- al notaio può essere richiesto di tenere in deposito le somme che occorrono per estinguere eventuali passività gravanti sul venditore (si pensi al classico caso della vendita di una casa che venne acquistata con un mutuo ancora in corso di ammortamento).

LA REAZIONE DELLA FIAIP ALLA NUOVA LEGGE

La Fiaip (Federazione italiana agenti immobiliari professionali) tramite una nota ha commentato l’entrata in vigore del deposito del prezzo al notaio. Righi ha parlato di una legge che crea disparità tra le parti.


La Fiaip ha fatto sapere: "Entra in vigore il deposito del prezzo al notaio. Secondo quanto previsto dalla "Legge annuale per il mercato e la concorrenza" le parti o anche una di loro potrà richiedere al notaio di aderire al deposito del prezzo: in questo caso il pubblico ufficiale al momento del trasferimento immobiliare tratterrà la somma pattuita per la compravendita e la depositerà su un apposito conto corrente fino alla trascrizione del trasferimento dell’immobile.


Gli interessi maturati sul conto non saranno incassati dal proprietario, ma dallo Stato italiano, che li destinerà ad un fondo per le piccole e medie imprese. La norma varata nel 2013, fino ad oggi non aveva mai trovato esecuzione per la forte opposizione della Fiaip e di tutta la filiera dell’immobiliare. Il Governo è comunque riuscito a farla passare, introducendo la volontarietà delle parti.


Il Presidente nazionale Fiaip, Paolo Righi, ha poi sottolineato: "Il deposito del prezzo al notaio è da ascriversi alla già nutrita schiera delle leggi "inutili e dannose" varate per il nostro comparto. La legge crea una disparità fortissima tra le parti, che fino ad oggi erano bilanciate e tutelate, mentre ora il venditore diventa parte debole del contratto. Inoltre, la sua applicazione creerà notevoli problemi a quei venditori che intendono vendere la propria abitazione per comprarne subito un’altra: sarà quasi impossibile per chi vende casa impegnarsi all’acquisto di una nuova abitazione, non potendo contare sul denaro proveniente dalla vendita del proprio immobile. Quasi esilarante il fatto che gli interessi maturati sul conto corrente del notaio anziché essere restituiti al venditore vengano trattenuti dallo Stato, che di fatto ha varato una nuova tassa sulla proprietà immobiliare".

ALTRI POSSIBILI PROBLEMI ORIGINATI DALLA NUOVA NORMATIVA

Anzitutto, con riguardo ai contratti preliminari stipulati prima del 29 agosto (data di entrata in vigore della legge 124/2017), sorgeranno inevitabili conflitti tra gli acquirenti che chiederanno il deposito del prezzo al notaio e i venditori che sosterranno l’inapplicabilità retroattiva delle nuove norme alle contrattazioni nate prima della legge. Ma è abbastanza ovvio che quest’ultima tesi ha poco senso, perché tutte le volte che una legge impatta su un rapporto che dura nel tempo, inevitabilmente si applica anche a esso (se Tizio e Caia si sposano in assenza di una legge sul divorzio, che poi entra in vigore, devono evidentemente poter divorziare anch’essi; se il possesso dura da 13 anni e l’usucapione viene ridotta da 20 a 10 anni, essa è evidentemente compiuta).


Ancor più in generale, senz’altro sarà avanzata con forza (da quegli operatori immobiliari, notai compresi, che diano maggior rilievo al fastidio della inevitabile maggior complessità rispetto a un lungimirante favore per la massima trasparenza possibile del mercato) la tesi della derogabilità pattizia di questa normativa in sede di contrattazione preliminare.
Ma, anche in questo caso, è abbastanza prevedibile ritenere che essa sia qualificata come norma inderogabile perché appartenente al cosiddetto "ordine pubblico di protezione" finalizzata a tutelare il contraente reso debole dal sistema della pubblicità immobiliare il quale, per far funzionare la contrattazione nel suo complesso, giustamente sconta il rischio dell’incertezza in cui ci si trova nel periodo compreso dal momento dell’ultima ispezione dei Registri immobiliari fino al momento della trascrizione.


D’altronde, se l’acquirente potesse pattiziamente rinunciare a questa protezione, non solo la rinuncia al deposito del prezzo diventerebbe immediatamente una "clausola di stile" della contrattazione preliminare e, paradossalmente, impatterebbe solo sugli sfortunati che abbiano stipule "a cavallo" dell’entrata in vigore della legge 124/2017; ma anche, e soprattutto, perché la nuova legge non servirebbe a nulla. 


Fonti articolo: IlSole24ore.comIdealista.it

Affitti, prezzi cresciuti del 4% in un anno; perchè?

L'anno accademico è in arrivo. Con una sorpresa sgradita per i fuori sede italiani: i canoni di affitto delle 14 città più popolate da universitari sono cresciuti del 4% nell'arco di un anno e del 9% su scala triennale, con una media di 416 euro per la stanza singola e 302 euro per le doppie in condivisione.


A rivelarlo è l'ufficio studi di Immobiliare.it dopo un'analisi che ha coinvolto i Comuni che attraggono più studenti dall'esterno. 

CITTÀ E PREZZI

Il podio del "caro affitto" vede in cima Milano con singole a 528 euro (+4% rispetto al 2016) e doppie a 388 euro (+12%), seguita da Roma (singole stabili a 439 euro ma doppie in crescita dell'11%, a 333 euro) e Firenze (singola a 401 euro e doppia a 284 euro, con un incremento del 13 e del 14%). In quarta posizione si ripresenta Bologna, anche se il risultato non è da incorniciare: prezzi in aumento a +8,5%, con 355 euro al mese per una singola e 260 per una doppia.


Crescono del 2% i canoni richiesti a Siena, dove per la singola si spendono 336 euro e per la doppia 245 euro a posto letto. Chi sceglie Venezia per studiare o lavorare deve metter in conto una spesa più alta dell’anno scorso: +6% per le singole (333 euro) e +10% per un posto in doppia (252 euro).
Superano di poco i 300 euro i costi per le singole a Napoli, Pisa e Pavia; ma nel capoluogo partenopeo si è assistito a un maggiore aumento dei prezzi delle doppie, cresciuti del 14% in un anno (240 euro al mese).


Le due città più economiche si rilevano essere Palermo (199 euro la singola e 160 la doppia, anche se i costi sono cresciuti del 10%) e Catania: 196 euro e 147 euro, in questo caso però in discesa del 2% rispetto a un anno fa.


Perché i prezzi crescono (soprattutto per le doppie)

Il quadro è anche parziale, perché in città come Milano e Roma si raggiungono costi di oltre 600 e 500 euro per le stanza singole. Ma la crescita più significativa è, in proporzione, quelle delle doppie: nella stessa Milano il rincaro anno su anno (+12%) è pari a tre volte quello delle stanze singole (+4%), mentre a Roma il gap si fa più evidente con prezzi stabili per le stanze "private" e in aumento dell'11% nel caso delle camere in condivisione.


Ma da cosa dipende la crescita dei canoni, con la sua impennata negli ultimi tre anni? A quanto spiegano da Immobiliare.it, l'aumento di prezzo degli alloggi per studenti deriva dalla "concorrenza" di una categoria vicina a livello anagrafico: i giovani lavoratori. Contratti a tempo, rapporti di lavoro freelance e redditi poco sopra i mille euro mensili hanno reso più conveniente optare per abitazioni condivise, piuttosto che puntare direttamente su un immobile privato. 


Per farsene un'idea basta dare un occhio alle retribuzioni medie di un target che dovrebbe essere privilegiato, almeno sulla carta: i laureati. Secondo i dati del consorzio interuniversitario AlmaLaura, un neo-dottore guadagna una media di 1.138 euro netti a un anno dal titolo. Nella sola Milano, basta l'affitto di una singola (528 euro) ad erodere quasi metà dello stipendio. Con un monolocale, affittato anche per 800 euro mensili, si rischierebbe di versare in affitto oltre il 70% delle proprie entrate.


Da qui il ripiego sull'home sharing e il rialzo, conseguente, sulla media dei costi. Come spiega Carlo Giordano, Amministratore delegato di Immobiliare.it, "il tasso di coabitazione dei lavoratori cresce a ritmo superiore di quello degli studenti – dice – Ed essendo i lavoratori più esigenti, è normale che ci sia un aumento dei costi». La logica, prosegue Giordano, è quella di un compromesso: "Insomma – dice – va bene accettare per una casa condivisa, ma "almeno" in stanze singole e pagando di più per alcuni servizi".


Dalle detrazioni alle strategie di ricerca, come si ammortizzano i costi 

Il prezzo intero può essere comunque ammortizzato, se si tengono in considerazione alcuni accorgimenti. Il primo sconto è di natura fiscale, con la detrazione del 19% che scatta per tutti gli affitti pagati dai genitori di studenti iscritti in atenei di città ad almeno 100 chilometri di distanza dal Comune di origine. La misura si applica fino a un tetto di 2.633 euro di spesa, per un risparmio effettivo massimo di circa 500 euro.


In chiave più strategica vale il fattore del tempismo e di un bilancio tra costo e ubicazione dell'alloggio: "Prima di tutto bisogna iniziare a cercare con almeno due-tre mesi di anticipo, per non trovarsi ad accettare costi eccessivi- dice – E comunque, valutare bene aspetti come la mobilità: vale davvero la pena escludere un alloggio per evitarsi 10 minuti di metro, in città come Milano? Se si accetta questo, si può arrivare a risparmiare anche 100 euro al mese".


Fonti articolo: IlSole24ore.com, Helpconsumatori.it

Osservatorio immobiliare 2017: stimata crescita compravendite dell'8,6%

La ripresa del mercato immobiliare, iniziata alla fine del 2014, è una tendenza che sta caratterizzando anche il 2017, pur se con un aumento dei volumi ridimensionato rispetto al 2016.


Il settore ha infatti registrato durante gli scorsi 12 mesi un incremento record del 18,4%, un rialzo a doppia cifra che ha permesso alle vendite di superare ampiamente quota 500 mila. 

 

Il trend non si replica nei numeri stimati per quest’anno dall’Osservatorio di Nomisma, che prevede un tasso di crescita delle transazioni dell’8,6% e che secondo l’Istituto, non è segno di un rilancio definitivo del comparto.
A favorire la ripresa del mercato ci sarebbe il ridimensionamento dei prezzi; tuttavia solo questa variabile non è stata sufficiente a impartire al comparto la spinta necessaria.


Dunque l’immobiliare deve fare i conti con una fase di stagnazione dei prezzi causata anche dalla bassa capacità di acquisto delle famiglie. Uno dei fattori che frena ancora la domanda è proprio il basso reddito di buona parte degli italiani, con quasi il 40% di chi sottoscrive un mutuo che guadagna meno di 1800 euro al mese.
Il prestito per la casa è una variabile fondamentale dell'acquistointeressa circa l'80% delle compravendite, con una rata media mensile di quasi 570 euro.


Guardando il mercato delle 13 maggiori province analizzate, si riscontra che i mercati residenziali più attivi – a consuntivo del 2016 e del successivo primo trimestre dell’anno in corso – sono Genova e Milano, mentre Torino e Bologna fanno segnare un leggero rallentamento.


Per quanto riguarda i tempi di vendita delle abitazioni, il dato è in continuo miglioramento rispetto al 2014 e si consolida in misura più marcata a Bologna, Milano e Venezia. Si riduce anche lo sconto praticato in fase di trattativa.


Infine un accenno sul versante delle locazioni, con il totale dei contratti che hanno interessato 1,7 milioni di immobili. Di questi, 1,3 milioni hanno riguardato l’affitto di abitazioni, con Bologna che si conferma la città con la maggiore vivacità locativa – a seguire Firenze, Milano e Torino.


Ricordiamo che le compravendite a uso investimento sono cresciute del 2% rispetto al 2013. Rispetto al passato, quando i proprietari preferivano locare il bene a studenti fuori sede, si è sviluppato anche l’acquisto immobiliare legato all’interesse turistico della città. 


Fonte articolo: Mutuionline.it

Crescono i rendimenti in tutto il comparto immobiliare

Secondo uno studio realizzato da Idealista, l’investimento immobiliare in Italia è sempre più redditizio, doppiando – nel peggiore dei casi – il rendimento dei Titoli di Stato a 10 anni.


A parte i box, il cui rendimento annuo lordo è rimasto invariato al 4,9% rispetto a un anno fa, tutti gli altri segmenti property hanno segnato incrementi negli ultimi 12 mesi.

 

L’analisi, che mette in relazione i prezzi di vendita e affitto delle diverse tipologie immobiliari per calcolare il loro rendimento lordo, evidenzia il balzo maggiore nel residenziale, che passa da una redditività del 5% al 5,7%, determinata dal calo tendenziale del prezzo delle abitazioni e dal positivo andamento del mercato degli affitti. Il commerciale (negozi) resta l’investimento immobiliare più redditizio. Acquistare un locale commerciale per affittarlo offre una redditività pari all’8,1%, contro il 7,8% dell’anno scorso. In crescita anche gli uffici, dal 6,9% al 7,4%.

 
Rendimenti nel residenziale

Con un tasso pari al 7,9%, Biella e Belluno sono al top dei rendimenti delle abitazioni, seguite da Brindisi e Siracusa, entrambe al 7,1%. All’opposto, Siena (3,3%) è il fanalino di coda, precedendo Caserta e Pesaro con il 3,6%.
Tra i grandi mercati, Milano (5,7%) primeggia davanti a Torino (5,6%) e Bologna (5,4%). Roma si ferma al 4,8%, mentre Napoli chiude la graduatoria con un 3,8%.

 
Rendimenti dei locali commerciali (no capannoni)

Milano (16,3%) sale al primo posto del ranking dei rendimenti nel settore retail, che resta il prodotto con i maggiori tassi di rendimento. Alle spalle del capoluogo meneghino troviamo Genova (15,7%) e Bologna (12,9%). A Roma la redditività ammonta al 9,9%, mentre a Napoli scende al 9,3%. 

Dal lato opposto, i rendimenti meno attrattivi per gli investitori si registrano a Padova (5,5%), Bergamo (5,2%) e Piacenza (4,8%).

Rendimenti degli uffici

Registra un incremento il settore degli uffici, che vede Modena (8,3%) e Reggio Emilia (7,6%) in testa ai rendimenti. Con ritorni superiori al sette per cento si segnalano anche Catania (7,4%), Bergamo (7,2%), Milano (7,1%) e Prato (7,1%).

Genova (4,1%), Brescia (5,1%) e Piacenza (5,3%) presentano i rendimenti più bassi tra i centri rilevati. Il mercato non è così uniforme come gli altri prodotti immobiliari, per cui è impossibile rilevare i dati statistici di oltre la metà dei capoluoghi italiani.

Rendimento dei box

I box auto sono il prodotto meno profittevole per gli investitori in quasi tutti i mercati monitorati, con rendimenti lordi comunque nettamente superiori ai buoni a 10 anni, anche nel “caso limite” di Genova (3%), la città dove i box rendono meno. Delle 12 città monitorate è Monza (5,1%) la più profittevole, seguita da Bari (4,7%) e Bologna (4,6%). Stabili i valori rispetto a un anno fa a Milano (4,4%) e a Roma (4,3%), alle loro spalle sale Napoli al 3,9%.


Fonte articolo: Idealista.it

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