Ecco perchè il Rent to buy non decolla

Sui portali immobiliari specializzati, le proposte di affitto con riscatto riservate alle abitazioni continuano a registrare numeri in crescita.


Sollevando la cortina degli annunci, si scopre però che il fenomeno non si accompagna a un’altrettanto evidente crescita delle stipule, frenate da una serie di ostacoli pratici: dai nodi fiscali (tasse su locazione e successiva compravendita) a quelli normativi (obbligo o facoltà di acquisto?), passando per gli equilibri economici (definizione del canone maggiorato) e finanziari (confronto con il mutuo).

 

Così, in assenza di cifre ufficiali, il giudizio degli operatori è univoco: offerta e domanda faticano a incontrarsi. E ciò pare ancor più vero in riferimento allo schema disegnato nel 2014 dallo Sblocca Italia (Dl 133/14), che ha formalizzato la disciplina del rent to buy all’interno del nostro ordinamento.


Rispetto a quattro anni fa, gli annunci di “Rtb” sul sito di Idealista.it sono progrediti del 7,5% (2014), del 173% (2015) e poi del 3,3% (2016).
"Il trend di crescita rilevato nei primo trimestre 2017, ci porta a pensare che entro la fine dell'anno l'aumento potrà essere di nuovo superiore del 100%. Ma parliamo per lo più di annunci che riportano la dicitura “possibilità di rent to buy”, e che si affiancano a quelli esclusivamente dedicati a questa formula, proposti da alcune società di costruzione", spiega Vincenzo de Tommaso, responsabile dell’ufficio studi.


In ogni caso, i numeri assoluti sono piccoli: "Su una base dati di un milione di annunci, tra affitto e vendita, il Rtb è stato citato nel 2016 poco più di 400 volte. Resta quindi un fenomeno di nicchia – continua – per il quale l’interesse si concentra soprattutto nel Centro-Nord anche se sta espandendosi nelle zone di Roma e Napoli".
Dalle grandi città del Nord, le “citazioni” di Rtb si sono allargate verso l’hinterland, in prima cintura (dove c’è nuovo sviluppo immobiliare, a prezzi più contenuti rispettoa lla città) e in provincia (dove si cerca di smuovere il mercato un po’ spento delle seconde case.)


È molto probabile che anche altre soluzioni stiano in un certo senso “premendo” ai lati: ad esempio il leasing abitativo, ora fiscalmente favorito, o il diffondersi dell’affitto concordato. Se il proprietario guarda infatti all’affitto con riscatto come uno strumento alternativo alla vendita classica, l’inquilino – non essendo in grado di affrontare subito l’acquisto – vi legge invece un’alternativa alla locazione, che lascia la porta aperta a future evoluzioni.
Sul portale Immobiliare.it, il 65% degli annunci di Rtb si riferisce al nuovo o a immobili in pronta consegna, il 30% ad abitazioni ristrutturate di recente.


"L’offerta di Rtb – commenta l’ad di Idealista. it Carlo Giordano – rappresenta circa l’1% del mercato complessivo, ma continua ad aumentare in confronto a un paio d’anni fa. E la sua incidenza cresce proprio nel nuovo, dove la formula viene spesso usata per la cessione di più appartamenti dello stesso complesso, affidati alla gestione di professionisti della materia". Sotto questo profilo, è anche vero che "molti costruttori – prosegue Giordano – mantengono la formula nel portafoglio di offerte soltanto come “civetta”, per vivacizzare le visite e cercar poi di convergere sulla strada dell’acquisto tradizionale. Lo si legge anche dai banner pubblicitari, spinti da costruttori che hanno il 50% di invenduto e non possono permettersi di svendere: il rent to buy serve a dare una “sveglia” al cantiere".


Sul fronte acquirente,
considerate le richieste di affitto che risultano maggiorate del 30% circa (per accantonare il “premio” all’acquisto), "meglio percorrere la via tradizionale ed esser certi di poter ottener un mutuo, la cui rata può avere costi inferiori. D'altra parte – sottolinea il manager di Immobiliare.it – l’equity raccolta con i canoni di Rtb potrebbe rivelarsi alla fine comunque troppo bassa per far salire il rating della banca". Lo strumento si era sviluppato infatti anche per venire incontro a chi non riesce ad accendere un mutuo, ma negli ultimi anni l’accesso al credito, seppur più selettivo di un tempo, è meno difficoltoso che negli anni peggiori della crisi immobiliare. 


Il discorso si lega anche all'equilibrio tra le due componenti del canone mensile, che non è semplice calibrare. Se la quota locazione è troppo alta, non c’è margine per accantonare il fondo all’acquisto; se invece è troppo bassa, il proprietario non ha convenienza a portare avanti l’affare. "Le difficoltà – chiosa Giordano – si notano soprattutto tra privati, che sono intrigati dalla generica possibilità di comprar casa “aggirando” le banche, ma che rivelano una sorta di ingenua ignoranza verso la vera natura dello strumento".


Fonte articolo: IlSole24Ore.com, vetrina web

Ultime disposizioni sulla validità delle compravendite immobiliari

Oggi ci occupiamo di alcune recenti disposizioni e sentenze che aggiornano il settore delle compravendite immobiliari.


In particolare vedremo se la stipula del contratto preliminare è valido nei casi in cui:

- mancano i titoli edilizi;
- l'immobile grava di ipoteca o è stato pignorato;
- l'immobile grava di ipoteca o è stato pignorato e si voglia procedere al "rent to buy".



PRELIMINARE DI COMPRAVENDITA PRIVO DEI TITOLI EDILIZI

Non è nullo, ed è comunque eseguibile in forma specifica, il contratto preliminare di compravendita immobiliare che non rechi le cosiddette "menzioni urbanistiche", vale a dire quei contenuti, in ordine ai titoli edilizi in forza dei quali l’edificio promesso in vendita è stato costruito o ristrutturato, che è prescritto a pena di nullità per la stipula del contratto definitivo dalla legge 47/1985 e dal Dpr 380/2001.
È quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza 9318 del 9 maggio 2016, in riforma della sentenza 195/2011 della Corte d’Appello di Lecce, andata in segno contrario.


Come noto, gli atti traslativi della proprietà di edifici devono contenere, a pena di nullità, talune menzioni o dichiarazioni: ad esempio, la attestazione che l’edificio è stato costruito prima del settembre 1967, la menzione dei titoli edilizi che hanno abilitato le costruzioni post 1967, la menzione delle domande di condono edilizio e dei relativi versamenti di oblazioni e oneri, eccetera. 

Quanto poi ai contratti di compravendita di terreni, occorre allegare ad essi il certificato di destinazione urbanistica e attestare, nel corpo del contratto, che le prescrizioni degli strumenti urbanistici non sono variate dalla data di rilascio di detto certificato.


Si pone dunque il tema se tutto questo apparato di dichiarazioni debba essere contenuto anche nel contratto preliminare, e ciò anche in vista del fatto che, in caso di inadempimento all’obbligo di stipula del contratto definitivo assunto con il contratto preliminare, il contraente non inadempiente può domandare al giudice (ai sensi dell’articolo 2932 del Codice civile) l’emanazione di una sentenza la quale tenga luogo del contratto definitivo che non è stato spontaneamente stipulato a causa dell’inadempimento di uno dei contraenti del contratto preliminare.


La risposta è negativa: la mancanza nel preliminare dei contenuti che sono prescritti per la validità del contratto definitivo non inficia la validità del contratto preliminare e la sua eseguibilità in forma specifica, in quanto ben può il contraente non inadempiente integrare, nel corso del giudizio, i dati utili al trasferimento immobiliare e che manchino nel contratto preliminare. 
In sede di giurisprudenza di legittimità è stato infatti più volte affermato che, per ottenere la sentenza di esecuzione in forma specifica di cui all’articolo 2932 del Codice civile, non è necessario che nel contratto preliminare siano inserite le dichiarazioni urbanistiche richieste, a pena di nullità del contratto definitivo di compravendita: in tal senso si sono espresse non solo le Sezioni Unite nella sentenza 11 novembre 2009, n. 23825, ma anche diverse sentenze delle sezioni semplici (a cominciare dalla 628/2003 per giungere alla 15947/2015, passando attraverso la 17028/2012 e la 28456/2013). La ragione è che (per utilizzare le parole delle Sezioni Unite) tali dichiarazioni non costituiscono un "presupposto della domanda, bensì una condizione dell’azione, che può intervenire anche in corso di causa e sino al momento della decisione della lite". 


Questo significa, in sostanza, che la sentenza di esecuzione in forma specifica può essere pronunciata anche nel caso in cui le dichiarazioni in questione non siano state inserite fin dall’origine nel testo del contratto preliminare, purché esse siano rese nel corso del giudizio, e comunque prima dell’emissione della sentenza che giudica sulla domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare. 


COMPRAVENDITA immobile PIGNORATO O SU CUI GRAVA ipoteca  

È vietato stipulare una compravendita immobiliare che ha per oggetto un immobile comprato in corso di costruzione, senza che sussista un titolo irrevocabilmente idoneo alla cancellazione dell’ipoteca o del pignoramento che gravino sull’immobile in questione (lo impone l’articolo 8 del Dlgs 122/2005): non si può quindi procedere al rogito per il solo fatto dell’avvenuta estinzione del debito a cui garanzia è stata iscritta l’ipoteca, in quanto il procedimento di cancellazione “automatica” dell’ipoteca, previsto dall’articolo 40-bis del Testo unico bancario (Tub), consente alla banca, nonostante l’avvenuta estinzione del debito, di domandare (nei 30 giorni successivi alla data di estinzione del predetto debito) la "permanenza" dell’ipoteca.
È senz’altro questo il principale chiarimento che deriva dai nuovi “orientamenti” in tema di diritto civile elaborati dalla Commissione di diritto civile del Comitato notarile del Triveneto e presentati a un recente convegno.

L’orientamento in questione fa dunque riferimento al Dlgs. 20 giugno 2005, n. 122, il quale contiene una serie di prescrizioni a tutela della persona fisica che acquisti da un costruttore un edificio (o sua porzione) da costruire o in corso di costruzione (ad esempio: la fideiussione a garanzia degli acconti e l’assicurazione postuma decennale): è una normativa che, dunque, non riguarda né i fabbricati già costruiti (pur se a venderli sia l’impresa costruttrice) né i terreni.


La predetta norma comprende, nel suo perimetro applicativo, anche la compravendita che abbia per oggetto un immobile già finito ed agibile, se però si tratti di un contratto che costituisce esecuzione di un precedente contratto preliminare (stipulato quando l’immobile era ancora da costruire o in corso di costruzione). A tal fine, l’esistenza di pagamenti eseguiti dall’acquirente quando ancora l’immobile si trovava in fase di costruzione (pagamenti che ora debbono risultare, per dichiarazione espressa delle parti, dall’atto di compravendita) costituisce – secondo i notai triveneti – un indizio rilevante circa l’esistenza di un accordo preliminare intervenuto tra il costruttore e l’acquirente.


Inoltre, la norma in questione comprende sia l’ordinario atto di compravendita ad "effetti traslativi immediati" (e cioè la compravendita per effetto della quale si ha l’istantaneo trasferimento della proprietà del bene compravenduto dal venditore al compratore) sia il meno frequente caso della cosiddetta vendita con "effetti traslativi differiti", e cioè nella quale il trasferimento della proprietà non si ha nel momento di stipula della compravendita, ma posteriormente: è il caso, ad esempio, della vendita del bene “futuro” o della vendita "con riserva della proprietà".


Ebbene, secondo l’orientamento del notariato triveneto, quando l’articolo 8, Dlgs 122/2005, vieta la stipula dell’atto di compravendita degli immobili in questione "se anteriormente o contestualmente alla stipula, non si sia proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell’ipoteca a garanzia o del pignoramento gravante sull’immobile": la norma in questione deve ritenersi applicabile non solo alle ipoteche volontarie (e cioè quelle concesse a fronte di un finanziamento) ma, in via estensiva, anche alle ipoteche giudiziali (pure se iscritte in relazione per debiti non discendenti da un contratto di finanziamento).  Il divieto di stipula cessa se si abbia il perfezionamento di un titolo per la cancellazione o la restrizione dell’ipoteca oppure la suddivisione del finanziamento in quote di mutuo con frazionamento dell’ipoteca a garanzia di dette quote e con accollo da parte dell’acquirente della quota del mutuo così frazionato. 
Dato che quindi il procedimento di cancellazione dell’ipoteca disciplinato dall’articolo 40-bis Tub non avviene sulla base di un titolo irrevocabilmente idoneo alla cancellazione dell’ipoteca, in quanto la banca può comunque pretendere – come detto – la "permanenza" dell’ipoteca nonostante l’estinzione del debito, ogni qualvolta vi sia l’esigenza di stipulare una compravendita di un immobile di cui al Dlgs 122/2005, occorre ricorrere al procedimento ordinario di cancellazione senza potersi far luogo al procedimento abbreviato di cui all’articolo 40-bis Tub.

 

COMPRAVENDITA IMMOBILE PIGNORATO O IPOTECATO IN CASO DI RENT TO BUY 

Il divieto di stipula di un contratto di compravendita che ha ad oggetto un immobile ipotecato o oggetto di pignoramento, venduto dal costruttore e acquistato da una persona fisica quando non era ancora costruito o era in corso di costruzione (di cui all'articolo 8, Dlgs 122/2005), trova una particolare declinazione nel caso di contratto di rent to buy, vale a dire il contratto con il quale un soggetto ottiene il godimento di un immobile con l’opzione di acquisirlo in proprietà imputando a prezzo i canoni versati durante il periodo di godimento.


L’articolo 23, comma 4, Dl 133/2014, disciplina i contratti di rent to buy, e stabilisce che anche al contratto di rent to buy - nonostante non si tratti di un contratto traslativo della proprietà dell’immobile - si applica, in presenza di un’ipoteca (o anche di un pignoramento) sull’edificio che ne è oggetto, il divieto di stipula discendente dall’articolo 8 del Dlgs. 122/2005, qualora sussistano i presupposti applicativi di detto Dlgs 122, vale a dire che:

- il contratto abbia a oggetto un’abitazione in corso di costruzione nel momento in cui il contratto venne stipulato (evidentemente, nella forma di contratto preliminare, dato che appunto il rent to buy ha per oggetto immediato il godimento di un immobile); 
- il locatore sia l’impresa costruttrice; 
- il conduttore sia una persona fisica. 

In altre parole, ricorrendo questi presupposti vi è il divieto di stipula del contratto di rent to buy anche se esso attribuisce il solo godimento dell’immobile caso per caso considerato.
Come già accennato, nella maggior parte dei casi, l’immobile oggetto del contratto in questione è un edificio già completato nella costruzione e dichiarato agibile, per cui la norma che vieta la stipula del contratto di rent to buy trova applicazione nei casi in cui il rent to buy sia stato preceduto da un contratto preliminare perfezionato quando l’immobile era ancora in corso di costruzione e le parti si siano poi accordate di dare attuazione agli impegni assunti con detto preliminare appunto stipulando, in luogo del previsto atto traslativo definitivo, un contratto di rent to buy.
La disposizione in commento, inoltre, si presta a trovare applicazione anche nel caso di un contratto preliminare (perfezionato quando l’immobile che ne è oggetto era ancora in corso di costruzione) con il quale le parti si siano impegnate proprio alla stipula di un rent to buy ovvero nel caso di un rent to buy avente per oggetto un edificio ancora in corso di costruzione, e non ancora dichiarato agibile e, come tale, rientrante a pieno titolo nell’ambito di applicazione del Dlgs 122/2005.


Fonti articolo: IlSole24Ore, vetrina web

Ripartizione spese nel rent to buy

Prendere in “affitto” un immobile, con la possibilità di diventarne proprietari entro una certa data, imputando a prezzo di acquisto una parte del canone indicata nel contratto.


Se questa è in sintesi la definizione del cosiddetto rent to buy, il decreto Sblocca Italia (Dl 133/14, art.23, che ha introdotto la formula nel nostro ordinamento) disegna in realtà uno schema nuovo, che non è la semplice somma di locazione e compravendita. 

Con un assetto autonomo rispetto al contratto di affitto “ordinario”, e slegato ad esempio dalle norme vincolistiche imposte su durata minima, rinnovo automatico, disdetta, eccetera. Uno schema nel quale i rapporti tra concedente e conduttore sono regolati con il richiamo alla disciplina dell’usufrutto.


Quali sono allora gli obblighi e i diritti delle parti? Il tema è tra quelli affrontati all’interno della Guida pratica per il cittadino presentata ieri a Roma dal Consiglio nazionale del Notariato insieme alle principali associazioni dei consumatori.
Il contratto di rent to buy (rtb) contiene una precisa descrizione dell’immobile. Se questo è arredato, il conduttore deve fare l’inventario: ma non si tratta di un compito inderogabile, così come si può anche evitare di fornire un’idonea garanzia. Che di solito, è la stessa prevista per la locazione, cioè un deposito cauzionale non superiore a tre mensilità: questa cauzione si calcola sulla sola parte di canone relativa all’uso dell’immobile, e alla fine va restituita con gli interessi legali, o eventualmente imputata al prezzo di cessione. 


Delle due fasi in cui si articola il rtb – concessione del “godimento” della casa e trasferimento della proprietà – la seconda è infatti solo eventuale; e l’inquilino, al termine del periodo stabilito (“garantito” dalla trascrizione, vedi schede in alto), è libero di scegliere se acquistare o meno. Nel frattempo a carico del conduttore sono le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria dell’immobile, comprese le parti comuni in condominio. Nell’ordinaria manutenzione sono incluse le riparazioni di elementi accessori degli immobili, che si deteriorano per il loro normale uso, e quindi le spese relative per esempio a interruttori, rivestimenti, sanitari, rubinetterie, eccetera.


Di regola, invece, le riparazioni straordinarie dell’immobile e delle eventuali parti condominiali sono a cura del proprietario. Tranne quelle "rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione" da parte del conduttore (art. 1004 c.c.). Per riparazioni straordinarie si intendono quelle per assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, per la sostituzione delle travi, il rinnovamento anche solo di una parte dei tetti, solai, scale, acquedotti, muri di sostengo o di cinta; e anche tutti gli interventi su parti strutturali degli edifici, e per la sostituzione degli impianti (elettrico, idraulico, di riscaldamento, e così via). 


Sulle somme spese, tuttavia, il conduttore deve corrispondere al proprietario gli interessi, come previsto dall’articolo 1005 c.c., per tutta la durata del rapporto (in mancanza di diverso accordo, il saggio di interesse è fissato dalla legge e attualmente pari allo 0,5%).
Ma se il proprietario si rifiuta di eseguirle o le ritarda senza giusto motivo? Dopo averlo comunicato, il conduttore può farle eseguire di tasca sua, con diritto a vedersele rimborsate alla fine del rapporto. Le parti rispondono in solido degli oneri condominiali: se una delle due non paga la propria quota, insomma, l’amministratore può rivolgersi all’altra e pretendere il pagamento complessivo. Le legge non disciplina invece la ripartizione del compenso dovuto all'amministratore stesso; ma il servizio può farsi rientrare tra le spese ordinarie e quindi a carico del conduttore.


Il proprietario deve assicurare (e non pregiudicare) al conduttore il godimento dell’immobile. E procedere alla vendita nel caso questi intenda acquistare entro i termini convenuti. Se non lo fa, l’inquilino può portare a termine l’affare chiedendo una sentenza sostitutiva del rogito. O domandare la risoluzione del contratto e ricevere la parte dei canoni pagati quale corrispettivo del prezzo di vendita, più gli interessi legali (oltre a una penale aggiuntiva, se prevista). 


Da parte sua, il conduttore ha il principale obbligo di pagare il canone stabilito. Se ci ripensa, o interrompe il versamento per un numero minimo di rate pattuito (non inferiore a un ventesimo del loro ammontare complessivo), il proprietario ha diritto alla restituzione dell’immobile e – se non previsto diversamente – acquisisce per intero i canoni versati, a titolo di indennità. Mentre può chiedere l’adempimento in forma specifica (art.2931 c.c., cioè un’esecuzione forzata) nel caso l’inosservanza dell’inquilino riguardi un “obbligo di fare”, come quello di curare la manutenzione ordinaria.


Quando l’affare non si conclude, l’immobile va infine restituito nello stato in cui lo si è trovato. Se alla riconsegna si riscontrano dei guasti, può esser trattenuto l’eventuale deposito cauzionale, con diritto del proprietario a pretendere il maggior danno. La descrizione puntuale di cauzioni, diritti di recesso, penali, e altre clausole “cautelative”, che la legge lascia liberi di inserire, si intreccia con il problema di definire la parte di canone “imputabile a corrispettivo”. È quello, sottolineano i notai, l’aspetto più delicato da affrontare in fase di trattativa contrattuale, visti i contrapposti interessi in gioco.

Sito di riferimento: www.notariato.it


Fonte articolo: http://www.casa24.ilsole24ore.com/art/mercato-immobiliare/2015-12-03/ecco-come-si-dividono-spese-rent-to-buy-113911.php?uuid=ACqKbMmB&refresh_ce=1

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