Mutui, cosa cambia per tasso fisso e variabile dopo il «no» greco e in caso di Grexit

Con il successo del «no» al referendum in Grecia i mutuatari italiani possono stare tranquilli? È opportuno distinguere tra tasso fisso e variabile e scorporare gli elementi che concorrono alla determinazione del tasso finale, che si ottiene sommando lo spread (deciso dalla banca) a un indice interbancario o europeo (stabilito dal mercato).

Cominciamo dal tasso variabile. È agganciato all’andamento degli Euribor (oggi addirittura negativi per le scadenze a 1 e 3 mesi) o del tasso di riferimento della Bce (0,05%). Con la vittoria del “no” aumenterà certamente la tensione finanziaria. Lo abbiamo visto ieri quando Piazza Affari ha perso il 4% e lo spread sui titoli di Stato è risalito in area 160 punti.

Ma questo avrà un impatto sull’Euribor o sul tasso Bce? Probabilmente no, perché il tasso Bce e gli Euribor sono bassi in questo momento perché l’inflazione nell’Eurozona è bassa, vicina allo 0. Questi tassi saliranno solo quando l’inflazione tornerà a salire. E l’inflazione tornerà a salire solo quando l’economia sarà ripartita. Con le tensioni crescenti in Grecia l’economia dell’area rischia invece di rallentare il mini-slancio. Di conseguenza è difficile ipotizzare che Euribor e tassi Bce aumentino.

Potrebbe invece aumentare lo spread deciso dalla banca. Perché le banche italiane sono piene di titoli di Stato in portafoglio. È probabile che questi si deprezzeranno (nonostante l’intervento protettivo della Bce che da marzo ne ha comprati per un controvalore di 31 miliardi) impattando sul bilancio delle banche. Per questo gli istituti di credito potrebbero avere problemi in futuro (se le tensioni dovessero stabilizzarsi o accentuarsi con spread BTp-Bund oltre 200 punti) a mantenere sui livelli attuali (intorno all’1,5%-2%) gli spread praticati sui mutui. Riepilogando: il tasso Bce e gli Euribor non saliranno mentre gli spread (che pure concorrono alla formazione del tasso) potrebbere aumentare lievemente.

Passiamo ora ai tassi fissi. Questi sono agganciati all’andamento degli indici Eurirs, che a loro volta sono collegati al rendimento del Bund tedesco. È probabile, visto il “no” che nelle prossime sedute molti investitori si rifugeranno nel Bund, favorendone un ribasso dei tassi. Di conseguenza l’Eurirs potrebbe diminuire, a vantaggio dei nuovi mutuatari a tasso fisso. Cme per il tasso variabile, però, l’impatto positivo apportato dal tasso interbancario potrà essere neutralizzato o aggravato da un eventuale aumento degli spread delle banche italiane.

Ancora più complesso lo scenario in caso di Grexit. A quel punto le tensioni finanziarie potrebbero aumentare e lo spread BTp-Bund potrebbe posizionarsi intorno ai 250-300 punti spingendo le banche ad aumentare a loro volta lo spread praticato sui mutui che no nè direttamente collegato a quello dello mercato obbligazionario ma, vista l’esposizione delle banche italiani nei titoli di Stato, lo è indirettamente.

E in caso di Italexit? Qualche lettore ci ha posto anche questa domanda, ovviamente preoccupato di un eventuale contagio. Si tratta di uno scenario fantascientifico. Ma a livello scolastico possiamo dire che per chi ha già un mutuo la rata di 800 euro diventerebbe automaticamente di 800 nuove lire (perché è probabile che la conversione euro e nuova lire sarebbe 1:1). È però logico aspettarsi anche una svalutazione della nuova lira almeno del 10-15% che potrebbe tradursi in un’inflazione nei primi anni del 5%-7%. Di conseguenza, a parità di stipendio con l’Italexit chi ha stipulato un mutuo a tasso variabile sarebbe penalizzato dal rialzo dell’inflazione e dal rialzo dei tassi. Sarebbe penalizzato, a parità di stipendio, anche il mutuatario a tasso fisso che dovrebbe continuare a restituire 800 nuove lire al mese ma con una perdita del potere d’acquisto legata all’aumento dell’inflazione. In caso di adeguamento dello stipendio all’inflazione invece risulterebbe molto avvantaggiato, come accade normalmente per i mutui a tasso fissi quando l’inflazione sale. Ma ripeto, si tratta di esempi scolastici dato che al momento questo scenario non è neppure contemplato dai mercati e dagli analisti, a differenza del Grexit ritenuto più o meno probabile a seconda delle previsioni che spaziano da un 25% (strategist di Ig) di probabilità all’80% (gestore obbligazionario Bill Gross).

Fonte articolo: http://www.ilsole24ore.com - Finanza e mercati del 11 luglio 2015

 

Nuova definizione di superficie agricola, cosa cambia?

Vincoli meno stringenti per superfici destinate a servizi pubblici e spazi inedificati destinati a interventi di riuso e di rigenerazione. Questo quanto previsto dagli emendamenti presentati al ddl sul consumo del suolo dai relatori Chiara Braga e Massimo Fiorio alle commissioni Ambiente e Agricoltura alla Camera.


Contenimento del suolo: nuova definizione superficie agricola
Il nuovo disegno di legge cambia la definizione di ‘superficie agricola’ dandone la seguente: “terreni qualificati come agricoli dagli strumenti urbanistici, nonché le altre superfici, non impermeabilizzate alla data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per le superfici destinate a servizi pubblici di livello generale e locale previsti dagli strumenti urbanistici vigenti, nonché per i lotti e gli spazi inedificati interclusi già dotati di opere di urbanizzazione primaria e destinati prioritariamente a interventi di riuso e di rigenerazione”.

In precedenza con ‘superficie agricola’ s'intendevano anche “le superfici in area urbanizzata, allo stato di fatto non impermeabilizzate, dove lo strato superficiale del suolo non sia stato coperto artificialmente, scavato o rimosso”. Di conseguenza gli interventi di rigenerazione e gli spazi per servizi pubblici non dovranno rispettare i vincoli di tutela per le aree agricole che la nuova norma prevede.


Riuso e rigenerazione: beneficeranno degli oneri di urbanizzazione
Gli emendamenti proposti ampliano le categorie d’interventi che possono godere dei proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione. Tali proventi saranno destinati anche a  “interventi di riuso e di rigenerazione, ad interventi di demolizione di costruzioni abusive, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della messa in sicurezza delle aree esposte alla prevenzione e alla mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura in ambito urbano, attuati dai soggetti pubblici”.


Consumo di suolo e disposizioni transitorie
Le precedenti norme transitorie prevedevano che, dall'entrata in vigore della legge e per tre anni, non fosse consentito il consumo di suolo tranne che per i lavori e le opere inseriti negli strumenti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici e nella Legge Obiettivo. I nuovi emendamenti invece stabiliscono che tale deroga varrà non più per l’intera Legge Obiettivo ma solo per le opere strategiche inserite nell'allegato del Documento di economia e finanza del 2015, comprendente circa 25 opere.


Fonte articolo: http://www.edilportale.com/news/2015/06/ambiente/legge-sul-consumo-di-suolo-meno-vincoli-per-la-riqualificazione_46610_52.html

 

Mercato non residenziale in crescita; in negativo solo gli uffici

Il Rapporto immobiliare non residenziale 2015, realizzato dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate in collaborazione con l’Associazione nazionale delle società di leasing, Assilea, presentato nei giorni scorsi, ha certificato i primi segnali positivi per il mercato italiano dopo sette anni di cali.


Nel 2014, infatti, il settore commerciale cresce del 5,7%, quello produttivo del 3,6%, mentre resta in negativo il mercato del terziario (-4,6%), per una crescita complessiva del +3%.

Questi dati risentono però degli effetti del nuovo regime per le imposte di registro, ipotecaria e catastale in vigore dal 1° gennaio 2014, che ha reso più conveniente rogitare gli acquisti, compiuti a fine 2013, nei primi mesi del 2014. Al netto dell’effetto fiscale, infatti, i settori commerciale, terziario e produttivo, registrano una crescita pari al +1,3%, più moderata rispetto al tasso osservato del +3%.

 

Sul fronte del leasing immobiliare, si conferma la ripresa registrata a inizio 2014, con un andamento positivo sia per il numero di stipule (+21,4%) che per il valore dei finanziamenti (+38,3%). 


In ripresa il settore dei negozi. Nel 2014 il mercato dei negozi ha registrato 22.271 compravendite, facendo un balzo in avanti di 5,4 punti percentuali. La crescita è stata più accentuata nelle regioni del Nord Ovest (+10,2%), seguite dal Sud (+5,3%), dal Nord Est (+4,1%) e dal Centro (+3,6%). Tra le grandi città, exploit di compravendite a Bologna (+54,2%), Verona (+21,2%) e Torino (+20,9%); pressoché stabili Roma e Firenze, mentre perdono mercato Palermo (-11,7%), Venezia (-15%) ma soprattutto Catania (-38,8%). Sul fronte delle quotazioni, la media rilevata è stata di 1.686 €/mq, in discesa del 3,9% rispetto all’anno precedente, con un calo a doppia cifra registrato per i negozi del Lazio (2.549 €/mq, -12,7%).


Dati positivi anche per i capannoni. Con poco meno di 9.600 compravendite, il mercato dei capannoni mostra un rialzo del +3,6%. A fare da traino al settore è essenzialmente il Nord, che guadagna oltre 8 punti percentuali, mentre restano in negativo il Centro (-4,8%), il Sud (-3,9%) e le Isole (-19,6%). La Lombardia si conferma anche nel 2014 la regione con la più alta intensità di mercato nel produttivo. La quotazione media registrata è stata pari a 525 €/mq, in calo del -1,3% rispetto al 2013.


Calano le compravendite di uffici. In affanno il mercato degli uffici che, con 8.808 compravendite, perde il 5% rispetto al 2013. Il calo è stato più diffuso nelle aree del Centro (-14,4%) e del Nord Est (- 6,5%), più contenuto al Nord Ovest (-3,4%), mentre è in netta ripresa al Sud e nelle Isole (+4,5% e +4,9%). La quotazione media è stata di 1.485 €/mq, in diminuzione del 2,2% rispetto al 2013. 


Il leasing propellente per la ripresa. Nell’immobiliare non residenziale il leasing si conferma nella duplice veste di termometro della crescita degli investimenti produttivi e al contempo di propellente per la stessa ripresa.
Le classificazioni della Banca Dati Centrale Rischi Assilea evidenziano, per gli immobili finanziati nel 2014, che il portafoglio è composto prevalentemente da immobili industriali (49,9% in valore e 49,5% nel numero). Si registra una diminuzione della quota di immobili commerciali, -1,5% in valore nel 2014 rispetto al 2013, per un valore assoluto che si attesta al 28,4%. In aumento la percentuale di alberghi e centri ricreativi, che raggiunge il 5,4% in valore. 
Va segnalato il buon andamento del leasing di immobili a uso ufficio, in controtendenza con il dato delle compravendite, che rappresenta il primo effetto dell’introduzione anche per i professionisti della possibilità di dedurre i canoni introdotta nel 2014. La quota dello stipulato registrato nel 2014 sfiora il 12% in valore, crescendo di 1,3 punti rispetto all’anno precedente.

Motore delle PMI. Il maggior appeal fiscale ha trovato immediata risposta da parte delle PMI, dove proprio le aziende maggiormente colpite dalla crisi economica sono riuscite a trovare una risposta alle proprie necessità di finanziamento di nuovi capannoni, magazzini o uffici. Anche se confrontati con un inizio 2014 molto positivo, i dati del primo quadrimestre 2015 segnano un ulteriore + 3,2% in numero e + 2,5% in valore dello stipulato leasing.
L’aumento del numero di contratti è dovuto principalmente alla crescita inerente il “costruito”, l’incremento dei valori finanziati riguarda invece specialmente la dinamica del “da costruire”, che segna un lusinghiero +8,4%, con il buon andamento dei finanziamenti di valore superiore ai 0,5 milioni di euro che spingono verso l’alto il medio finanziato, salito da 1,9 a circa 2,2 milioni di euro.

Necessario l'intervento legislativo. Assilea ha evidenziato che per recuperare la contrazione dello stipulato immobiliare degli scorsi sei anni occorre un intervento legislativo a costo zero che vada a tipizzare il contratto di leasing, regolando il comportamento delle parti in caso di default, tutelando cliente e società di leasing, riducendo i costi dell’apparato giudiziario, ma soprattutto consentendo procedure più snelle per la rivendita dei beni, utili a smaltire le sofferenze accumulate nel recente passato.
Nell’ottica di individuare strumenti innovativi per dare corpo alla ripresa economica si è posto infine il disegno di legge presentato dalla sen. Camilla Fabbri, per estendere i contratti di leasing alla prima casa per i giovani di età inferiore ai 35 anni e con un reddito massimo di 55.000 euro.


Fonte articolo: http://www.casaeclima.com/ar_22958__immobiliare-non-residenziale-2014-rapporto.html

 

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