L'erede non può cacciare il convivente dalla casa

Patrizia Maciocchi
Il nipote che eredita la casa non può cacciare la convivente del nonno. La Cassazione, con la sentenza 19423 depositata ieri, rafforza la tutela del convivente non proprietario mettendolo al riparo anche dalle azioni illegittime di chi è entrato in possesso della casa, consentendogli di esercitare un'azione di spoglio nel caso venga messo alla porta dall'oggi al domani.
Perché chi, per effetto della successione, acquisisce l'immobile nel suo patrimonio non può considerarsi al riparo dagli obblighi che incombevano sul proprietario prima della morte. Se il convivente non può mandare via la sua compagna con la quale ha instaurato un rapporto stabile e duraturo non può farlo neppure il suo erede.

Un limite che non era chiaro al ricorrente che si era sentito autorizzato ad introdursi clandestinamente nell'appartamento impedendo l'accesso alla donna. La Cassazione però chiarisce che il convivente non può essere considerato un ospite da allontanare senza complimenti quando diventa indesiderato.
I giudici della seconda sezione civile ricordano che la convivenza more uxorio, come formazione sociale, fa scattare sulla casa in cui la coppia abita e dove mette in atto il progetto di vita comune «un potere di fatto basato su un interesse proprio del convivente diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità e tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare».
In questo contesto è chiaro che non può essere giuridicamente tollerato il blitz dell'erede, come non sarebbe accettabile l'estromissione violenta da parte del compagno proprietario nei confronti del non proprietario, che acquista, come avvenuto nel caso esaminato, il diritto a tutelare il possesso del l'immobile attraverso l'azione di spoglio.
La Suprema corte, pur rimarcando le differenze tra il matrimonio e la convivenza, specifica che non si tratta di distinzioni tali da rendere giuridicamente irrilevanti i diritti sulla casa destinata ad abitazione comune. Quando un'unione, anche se libera e soggetta a sciogliersi in qualunque momento, ha assunto per durata ed esclusività un carattere familiare, non è consentito al convivente proprietario, né agli eredi, passare alle vie di fatto per mandare via l'ex dall'abitazione, dopo la dissoluzione del rapporto. Il canone della buona fede e della correttezza, «dettato a protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento», impone al legittimo titolare che intenda recuperare l'esclusiva disponibilità dell'immobile, il dovere di avvisare e di concedere un termine congruo per reperire un'altra sistemazione.
Non passa neppure il tentativo del ricorrente di appigliarsi a una diversa residenza della signora. Per la Cassazione la presenza nell'appartamento degli abiti della donna e degli oggetti di sua proprietà, ad iniziare da alcuni mobili, sono la prova della relazione di fatto di quest'ultima con la casa.

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20140916&startpage=1&displaypages=2



La invitiamo a lasciare il suo numero di telefono per essere ricontattato.

Cliccando invia dichiari di aver letto ed accettato l'informativa sulla privacy