Per il condominio minimo abolito CF su interventi edilizi

Con circolare 21 maggio 2014, n. 11/E (paragrafo 4.3), l'Agenzia delle Entrate haprecisato che in presenza di un “condominio minimo”, e cioè di un edificio composto da un numero non superiore a otto condomini (prima delle modifiche apportate dalla legge n. 220 del 2012 all'articolo 1129 c.c. il riferimento era a quattro condòmini), rimangono applicabili le norme civilistiche sul condominio, ad eccezione degli articoli 1129 e 1138 c.c., che disciplinano, rispettivamente, la nomina dell'amministratore (nonché l'obbligo da parte di quest'ultimo di apertura di un apposito conto corrente intestato al condominio) e il regolamento di condominio (necessario in caso di più di dieci condomini).

Allo stesso modo, il predetto Agente ha ricordato che per gli interventi realizzati sulle parti comuni di tali edifici residenziali, la fruizione dell'agevolazione rimaneva subordinata – e ciò, bene inteso, fin dall'entrata in vigore della legge n. 449 del 1997 (che ha introdotto la detrazione in esame) - alla circostanza che il condominio sia intestatario delle fatture ed esegua, nella persona dell'amministratore o di uno dei condòmini, tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa, compreso quello propedeutico della richiesta del codice fiscale.


Ci si è chiesti allora se la fruizione della detrazione nei condomini minimi rimanga subordinata, anche per il nuovo periodo di riferimento, alla cura di questo ultimo adempimento. L'Agenzia delle Entrate con la risoluzione n 74/E del 02 febbraio 2016 ha dato risposta al quesito, cambiando la prassi che si è seguita sino ad oggi. L'esigenza di semplificare gli adempimenti dei contribuenti ha, in particolare, condotto a riconsiderare le istruzioni precedentemente fornite, enfatizzandosi la peculiarità strutturale dei condomini minimi e le modalità con cui essi vengono in genere autogestiti dai singoli partecipanti.


Ed invero, nel presupposto che il pagamento sia stato effettuato mediante l'apposito bonifico bancario/postale e che, quindi, non vi sia stato pregiudizio al rispetto da parte delle banche e di Poste Italiane Spa dell'obbligo di operare la ritenuta disposta dall'art. 25 del D.L. n. 78 del 2010 all'atto dell'accredito del pagamento, l'Agenzia delle Entrate ritiene, a questo punto e per tali fattispecie, che non sia più necessario acquisire il codice fiscale del condominio.


Nel qual caso, per beneficiare della detrazione per gli interventi edilizi e per gli interventi di riqualificazione energetica realizzati su parti comuni di un condominio minimo, i condòmini, per la quota di spettanza, possono inserire nei modelli di dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condòmino che ha effettuato il relativo bonifico.
In sede di eventuale controllo – ricorda sempre la risoluzione -il condòmino/contribuente sarà poi tenuto a dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell'edificio, e, laddove si avvalga dell'assistenza fiscale, è tenuto ad esibire, a monte, ai CAF o agli intermediari abilitati, oltre alla documentazione ordinariamente richiesta per comprovare il diritto alla agevolazione, una autocertificazione che attesti la natura dei lavori effettuati e indichi i dati catastali delle unità immobiliari facenti parte del condominio.


Fonte articolo: condominioweb.com

Le insidie che rimandano il distacco dal centralizzato


Il "distacco" piace ancora molto. Nonostante l’approssimarsi della scadenza dell’obbligo di installare i contabilizzatori di calore, che renderanno più individuale il consumo, la Cassazione e la legge (da ultimo la riforma del 2012) si sono assiduamente dedicate al problema.


Anzitutto va richiamata l’attenzione sull’articolo 4 del Dpr 59/09 che afferma "in tutti gli edifici esistenti con più di quattro unità abitative e in ogni caso per potenze nominali del generatore di calore dell’impianto centralizzato maggiore o uguale a 100 kW è preferibile il mantenimento di impianti centralizzati laddove esistenti".

 

La norma precisa anche che le cause tecniche o di forza maggiore per ricorrere a eventuali interventi finalizzati alla trasformazione dei centralizzati in impianti con generatore di calore separata per singola unità abitativa devono essere dichiarate nella relazione di cui al successivo comma 25 dello stesso Dpr 59/09, cioè nella relazione attestante la rispondenza delle prescrizioni per il contenimento del consumo di energia degli edifici e relativi impianti termici che, come prescritto dall’articolo 28, comma 1, della legge 10/91, il proprietario dell’edificio deve depositare presso le amministrazioni competenti insieme alla denuncia dell’inizio dei lavori relativi alle opere di cui agli articoli 25 e 26 della stessa legge n.10/91.


Nonostante tale esplicita dichiarazione legislativa di preferenza per il centralizzato, una successiva pronuncia della Cassazione (5331/2012) riaffermava il principio secondo cui "il condomino può legittimamente rinunciare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le proprie diramazioni della sua unità abitativa senza necessità di autorizzazione e approvazione degli altri condomini. Fermo restando il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, è tenuto a partecipare a quelle di gestione se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini".
Veniva così affermato con questa pronuncia anche un altro principio: quello della possibilità del rinunciante a distaccarsi, anche in presenza di aggravi di spesa per gli altri utenti, previo accollo di tale maggior onere derivante dal distacco. 


Tali principi, ispirati come già detto a un evidente favore per il “distaccante”, sembrano poi, sostanzialmente anche se non completamente, recepiti dalla legge 220/2012 che, modificando l’articolo 1118 del Codice civile, quarto comma, statuisce che : "il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunciante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma".


Molti punti della norma sono tuttavia parsi subito poco chiari dando luogo a sostanziali contrasti interpretativi.
In primo luogo ci si è chiesti e ci si chiede se l’aggettivo "notevoli" si riferisca solo agli squilibri o anche agli aggravi di spesa: se l’aggettivo si riferisce solo agli squilibri, interpretazione che sarebbe preferibile alla luce dell’uso del disgiuntivo “o” anzichè della congiunzione “e”, si arriverebbe a un’interpretazione che rende di fatto il distacco irrealizzabile o difficilmente realizzabile, poiché un aggravio qualsivoglia deriva sempre e comunque dal distacco del singolo.


Resta anche un altro dubbio sostanziale: se possa trovare applicazione anche oggi l’orientamento della Cassazione, formatosi quando non esisteva alcuna norma sul distacco, sul fatto che, in presenza di aggravi di spesa per gli altri condòmini, il distacco stesso possa ritenersi legittimo qualora l’aspirante ”distaccante” si accolli l’aggravio, di qualunque entità esso sia, notevole o minimo. 


Va infine aggiunto che nel frattempo molte legislazioni regionali (per esempio la legge della Regione Piemonte 13/2007), accogliendo il suggerimento del legislatore del 2009 e mostrando di aderire in modo netto e incondizionato all’orientamento contrario all’installazione di impianti autonomi individuali (in quanto contrari alla finalità del risparmio energetico e del contenimento dei consumi), hanno emanato normative che vietano tale installazione quando le unità immobiliari nel condominio siano superiori a un certo numero, di volta in volta diverso, a seconda della legislazione regionale. 


Fonte articolo: IlSole24Ore.vetrina web.

Nullità delibera condominiale nelle spese di ripartizione

È nulla la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condòmini, si modificano i criteri legali di ripartizione delle spese comuni stabiliti dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento di condominio contrattuale.


Lo ha ribadito il Tribunale di Perugia con la sentenza n. 602 del 24 marzo 2015. 

Il giudice umbro ricorda che eventuali deroghe alle regole di ripartizione delle spese per beni e servizi comuni, venendo ad incidere sui diritti individuali dei singoli condòmini, possono essere ammesse solo con l'unanimità dei consensi. Ne consegue la radicale nullità della delibera, anche se approvata a maggioranza qualificata. La stessa potrà essere dunque impugnata senza limiti di tempo e da chiunque, anche dai condòmini che abbiano espresso voto favorevole alla deroga.


La sentenza in commento riguarda l'impugnazione della delibera condominiale con la quale l'assemblea aveva approvato, a maggioranza, il bilancio consultivo e il relativo riparto, entrambi predisposti utilizzando criteri difformi da quelli contenuti nel regolamento condominiale. L'attore, in particolare, contestava il comportamento dell'amministratore, che aveva ripartito le spese con criteri diversi da quelli previsti nel regolamento, senza la preventiva convocazione sullo specifico punto dell'assemblea e senza, dunque, l'unanimità dei consensi di tutti i condòmini.


Il Tribunale, in accoglimento della domanda, ha stabilito che l'introduzione di un nuovo e diverso criterio di ripartizione delle spese, diverso da quello previsto dal regolamento condominiale e di tabelle ad esso allegate, comporta la nullità della delibera, ai sensi dell'art. 1123 c.c. e 68 disp. att. c.c.
Esula dalle attribuzioni dell'assemblea l'adozione di criteri di ripartizione delle spese diversi da quelli legali ex art. 1123 o da quelli previsti nel regolamento di condominio.


Tale modifica può avvenire infatti solo con il consenso unanime dei condòmini, cioè attraverso un vero e proprio accordo contrattuale, con il quale tutti i partecipanti al condominio esprimono la volontà di procedere alla ripartizione delle spese comune con criteri differenti. In mancanza di tale accordo, la delibera, anche se adottata a maggioranza qualificata, è nulla. Ciò significa che, ai sensi dell'art. 1421 c.c., l'invalidità della delibera “può essere fatta valere dal condòmino che vi abbia interesse, presente o assente, consenziente o dissenziente che sia stato all'approvazione della delibera impugnata, e non è soggetta a termine di impugnazione”.


La sentenza in commento non rappresenta certo una novità nel panorama giurisprudenziale, ponendosi in linea con l'orientamento seguito dalla Corte di Cassazione.
I giudici di legittimità, infatti, hanno più volte affermato che: “deve ritenersi affetta da nullità, che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché nella stessa abbia espresso parere favorevole e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall'art. 1137 c. c., la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese, per la prestazione di servizi nell'interesse comune. Ciò in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca. Ne consegue che la modifica a maggioranza, sia pure qualificata, del criterio di ripartizione delle spese, e non all'unanimità, si deve considerare nulla e l'azione può essere proposta in ogni tempo anche da chi abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera nulla (Cass. civ. n. 15042 del 14.6.2013).


Fonte articolo: Condominioweb.com

Senza aggiornamento l'amministratore può essere revocato

Il legislatore del 1942, nell'emanare la disciplina del condominio all'interno del codice civile, ha considerato l'amministratore quale mero contabile capace, soprattutto, di tenere la contabilità inerente alle spese che il condominio deve arffrontare per la corretta gestione e per l'essenziale manutenzione delle parti e dei servizi comuni, in relazione alla tipologia di immobili e alla realtà sociale di quell'epoca.


Entrambe le situazioni sono notevolmente mutate, tanto da cosigliare il legislatore, dal 1989 in avanti, di individuare, in particolare, nell'amministratore il responsabile della sicurezza statica e impiantistica dell'edificio condominiale.


Si è riconosciuta, pertanto, legislativamente all'amministratore una particolare competenza giuridica e tecnica, oltre a quella contabile, computate sia le materie di diritto fiscale e di diritto amministrativo sia le tecniche di comportamento con i condomini in assemblea e non solo.


Con le leggi n. 220 del dicembre 2012 e n. 4 del gennaio 2013 il legislatore ha riconosciuto la professionalità morale, intellettuale e tecnica dell'amministratore, prescrivendo che per esercitare la professione necessitano alcuni requisiti soggettivi e oggettivi, senza alcuni dei quali, previsti nelle lettere da a) a e) dell'art. 71 bis disp. Att. c.c., ciascun condomino può convocare l'assemblea per la nomina di un nuovo amministratore in sostituzione di quello cessato per legge; nel caso di mancata frequentazione di un corso di formazione e di uno di aggiornamento può essere richiesta la sua revoca, anche giudiziale.


È affidato, quindi, al cittadino consumatore, il condomino, il potere di vigilare che il proprio amministratore abbia i requisiti necessari per essere tale; tra questi in principalità, come sopra indicato, l'avere frequentato un corso di formazione iniziale e, ogni anno, un corso di aggiornamento.
Come è noto, le ore di corso, per quello iniziale, devono essere almeno 72 e, per quello di aggiornamento, almeno 15.


Il d. m. n. 140/2014, entrato in vigore il 9 ottobre 2014, ha stabilito quale sia il percorso formativo che chiunque voglia esercitare questa professione deve effettuare, specificandone le materie e prescrivendo per i formatori qualità morali e professionali,in particolare di conoscenza in materia condominiale.
Il mancato riferimento del decreto ministeriale alla legge n. 4/2013 lascia chiaramente intendere che tutti coloro, iscritti o no a Ordini e Collegi, che vogliano praticarla, devono adempiere a questo incombente.


Il giorno 8 ottobre 2015 è scaduto il primo anno di vigenza della nuova normativa e ciascun condomino, conseguentemente, può pretendere di ottenere copia dell'attestato con il quale il responsabile scientifico dell'ente formatore, dopo la prescritta segnalazione al Ministero, riconosce il superamento dell'esame obbligatorio di fine corso.


A questo scopo l'ANACI ha organizzato, in tutta Italia, numerosi corsi sia di formazione sia di aggiornamento, tra l'altro con un numero di ore superiori al minimo di legge, che, unitamente ai numerosi convegni tenuti, hanno consentito un miglioramento qualitativo dei propri associati.


Fonte articolo: Il Quotidiano del Condominio-Il Sole24Ore, vetrina web.

A cosa fare attenzione nella compravendita dell'immobile

Prima di procedere con l’acquisto di un immobile è bene verificare il suo “stato di salute”, così da evitare brutte sorprese a compravendita conclusa. 


Alcuni degli elementi oggetto d’indagine come intonaci, pavimento e serramenti, sono immediatamente visibili e quindi più facili da valutare. Eventuali tracce di umidità e muffe, ad esempio, in molti casi celano problemi più grossi, che comportano spese aggiuntive. Lo stesso vale per gli avvallamenti del pavimento, che potrebbero derivare da infiltrazioni d’acqua. 


Sono però gli elementi nascosti a richiedere maggiore attenzione e una serie di domande alle quali il venditore, sia esso proprietario o agenzia immobiliare, dovrà rispondere in modo esaustivo.

Innanzitutto, è bene controllare lo stato degli impianti (elettrico, gas, riscaldamento, idrico, ecc.) e verificare se sono stati realizzati rispettando le normative vigenti. La legge prevede che tutti quelli installati dopo il 27 marzo 2008 siano accompagnati da un documento di progetto e da una dichiarazione di conformità rilasciata dall’installatore. Quelli realizzati tra il 13 marzo 1990 e il 27 marzo 2008 devono essere sottoposti a verifica tecnica, a cui segue il rilascio della cosiddetta "dichiarazione di rispondenza", che sostituisce quella di conformità. Un impianto realizzato prima del 13 marzo 1990, invece, per essere considerato a norma è necessario sia dotato all’origine di sezionamento e protezione contro le sovraccorrenti, oltre a un interruttore differenziale, il cosiddetto "salvavita". Infine, è bene accertarsi che cavi e prese siano protetti contro eventuali contatti diretti. 


Altrettanto importante è verificare la certificazione energetica dell’immobile, che chi cede l’immobile è tenuto a manifestare già in fase di annuncio della vendita e consegnare per l’inserimento nell’atto notarile: una casa energivora, a lungo andare, può risultare dispendiosa.


Un ulteriore passaggio, fondamentale, è capire dall’amministratore di condominio se ci sono in programma eventuali lavori di manutenzione straordinaria o, qualora ne fosse sprovvisto, l’installazione di un ascensore. In entrambi i casi, le spese possono essere significative, e vanno oltre il prezzo della compravendita.


Esaurita questa prima parte di verifiche, l’acquirente deve concentrarsi su una serie di aspetti burocratici, che vanno approfonditi. A partire dalla provenienza dell’appartamento e la prova che il venditore sia davvero il legittimo proprietario. Per ottenere una risposta certa, non è sufficiente conoscere gli estremi catastali, ma occorre una visura ipotecaria alla Conservatoria dei registri immobiliari o una visura catastale al Servizio di pubblicità immobiliare dell’Agenzia delle entrate, quest’ultima disponibile anche attraverso una procedura online. 


Una volta accertato che non vi siano state donazioni negli ultimi vent’anni, ci sono altri due importanti accertamenti da compiere: il primo riguarda l’eventuale presenza di ipoteche sull’immobile. Quella della banca che ha concesso il mutuo è la più diffusa, ma non ostacola il processo di compravendita. L’acquirente può, infatti, presentare la proposta d’acquisto e firmare il contratto preliminare, ricordandosi però che entro il rogito l’ipoteca va estinta a spese del proprietario.
La situazione diviene più complessa se si tratta di un’ipoteca giudiziale o legale. In casi come questi è utile il parere di un notaio. Che deve essere contattato anche per verificare l’eventuale presenza di un pignoramento: all’acquirente non basta saldare i debiti del proprietario, perché in futuro i creditori di quest’ultimo, qualora ad esempio dovesse fallire, potrebbero ancora rivalersi sull’immobile.


Anche le spese condominiali arretrate, infatti, rappresentano uno spauracchio ricorrente per i neo proprietari, che in molti casi si ritrovano a pagare i debiti del predecessore. La legge sostiene che eventuali morosità nei confronti del condominio debbano essere pagate dal nuovo proprietario, a patto che queste si riferiscano all’anno (di esercizio condominiale) in corso e a quello precedente la data di acquisto.
I giudici della Cassazione hanno altresì precisato che in caso di vendita di un immobile condominiale nel quale siano stati deliberati lavori di manutenzione straordinaria o innovazioni sulle parti comuni, a sostenere le spese è colui che risulta proprietario al momento dell'approvazione della delibera assembleare. 
Il nuovo proprietario potrà comunque rivalersi sul vecchio e ottenere quanto gli spetta.
Proprio per evitare situazioni di questo tipo, la riforma del condominio ha obbligato l’amministratore a compilare periodicamente un documento che tiene conto dello stato dei pagamenti e delle pendenze dei condomini.


Fonti articolo: il Sole 24 Ore, vetrina web

Detrazioni per ristrutturazione in piccolo condominio col Codice Fiscale

Anche i piccoli condomìni, per usufruire del bonus ristrutturazioni sulle parti comuni, hanno bisogno del codice fiscale.
Quindi se i pagamenti fatti dai singoli proprietari, per ristrutturazioni su parti comuni dell’edificio, vengono effettuati tramite bonifici bancari, con ritenuta d'acconto dell’8%, allora le detrazioni per le spese sostenute nel 2014 si possono “recuperare” se il piccolo condominio richiede il codice fiscale, versando una sanzione di 103,29 euro e inviando apposita comunicazione all'Agenzia.


Questo quanto stabilito dalla Risoluzione 74/E in cui l’Agenzia delle Entrate risponde ad un'istanza di interpello inviata da tre fratelli.

Detrazioni piccoli condomini: il caso.
In un edificio con tre appartamenti, ognuno di proprietà esclusiva di tre fratelli, vengono effettuati nel 2014 interventi di recupero su parti comuni, pagati dai proprietari pro-quota con bonifico bancario.

Secondo la Legge 449/1997 la fruizione dell’agevolazione è subordinata alla circostanza che sia il condominio l’intestatario delle fatture e l’esecutore, tramite l’amministratore o uno dei condòmini, degli adempimenti richiesti dalla normativa.


Nella Risoluzione 74/E però l’Agenzia osserva che, avendo i contribuenti in questione eseguito i pagamenti con la procedura giusta per la fruizione del bonus ristrutturazioni, cioè con apposito bonifico “parlante”, è stato regolarmente rispettato l’obbligo, in capo all’istituto bancario o a Poste, di operare la prescritta ritenuta dell’8% sulle somme accreditate (articolo 25 del Dl 78/2010).


Quindi si può usufruire delle detrazione per il 2014, a patto che si chieda l’attribuzione del codice fiscale. Infatti le Entrate, in una precedente circolare (11/2014) avevano ribadito che, per fruire della detrazione relativa a spese su parti comuni, anche i condomini minimi (quelli con non più di otto condòmini e che non hanno l’obbligo di nominare un amministratore), devono richiedere l’attribuzione del codice fiscale. 


Bonus ristrutturazioni parti comuni: quale procedura seguire.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che entro il termine della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2014, in cui sono state sostenute le spese, è necessario:


- presentare a un ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate la domanda di attribuzione del codice fiscale al condominio, tramite modello AA5/6;
- versare mediante F24 (codice tributo 8912), a nome del condominio, con indicazione del cf attribuito, la sanzione minima di 103,29 euro, per omessa richiesta del codice fiscale;
- inviare una comunicazione in carta libera all’ufficio delle Entrate competente in relazione all’ubicazione del condominio.


Nella comunicazione, unica per tutti i condòmini, devono essere specificati, distintamente per ciascuno di essi, le generalità e il codice fiscale; i dati catastali delle rispettive unità immobiliari; i dati dei bonifici dei pagamenti effettuati per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio; la richiesta di considerare il condominio quale soggetto che ha effettuato gli interventi; le fatture emesse dalle ditte nei confronti dei singoli condòmini, da intendersi riferite al condominio.


Ogni condomino potrà inserire le spese sostenute nel periodo d’imposta 2014 nel modello Unico Pf 2015 da presentare entro il prossimo 30 settembre o, se ha utilizzato il 730, nel modello 730 integrativo da presentare entro il 26 ottobre 2015.
Infine la risoluzione ricorda che, non essendo necessario nel caso in esame nominare un amministratore, i contribuenti non sono tenuti a compilare l’apposito quadro AC del modello Unico Pf, in cui è prevista l’indicazione, tra l’altro, dei dati catastali degli immobili condominiali: andranno specificati nella comunicazione unica per tutti i condòmini.


Fonte articolo: http://www.edilportale.com/news/2015/08/normativa/ristrutturazioni-piccoli-condomini-sgravi-solo-con-codice-fiscale_47436_15.html

APE elettronico: a Genova è già realtà

Libretto d’impianto e Attestazione di prestazione energetica già coordinati, online e sempre disponibili per controlli degli enti pubblici e dei notai in caso di vendita. Risparmiando sulla realizzazione della documentazione.


La proposta viene da Genova (dove già è stata concretizzata) e si ispira al principio di molte applicazioni della sharing economy, dell’economia della condivisione: è possibile realizzare tutto questo coi servizi nelle case in condominio, nel rispetto della privacy di ciascun edificio, per il bene comune più importante, la sicurezza, di chi nell’edificio vive.

L’uso della nuova applicazione è realizzato da un contratto normativo, il Catasto sinergico, implementato nel portale www.catastoenergetico.org. Il manutentore dell’impianto di riscaldamento vi compila in formato elettronico, in modo guidato e controllato, il libretto d’impianto. Il condominio verifica il servizio reso, le manutenzioni operate, la corrispondenza alle norme della gestione, i consumi realizzati; ha una possibilità in più per evitare che siano applicate le eventuali sanzioni successive alle visite ispettive delle varie Arpa regionali. E realizza così la compilazione di quella parte del registro di anagrafica condominiale relativa alla sicurezza delle parti comuni dell’edificio.
Il progettista che deve realizzare l’Ape dell’appartamento da vendere o affittare ha i dati già per lui disponibili e vi immette i dati dell’Ape realizzato, già conforme ai nuovi decreti interministeriali che prevendono che Ape e libretto d’impianto siano accoppiati. E quando si realizzano riqualificazioni energetiche le nuove informazioni sono coordinate, disponibili a tutti gli attori, seppur nel rispetto della privacy di ciascuno.


L’ente pubblico che deve realizzare la raccolta dei dati nei suoi archivi, sempre “vivi”, basta che renda disponibile un’interfaccia aperta di scambio, in formato XML, come le regole sugli open data della Pa impongono e la sincronizzazione è pressoché automatica. La georeferenziazione delle prestazioni energetiche degli edifici diventa una mappa che individua dove e come le sovvenzioni pubbliche sarebbero meglio investite a vantaggio dell’ambiente.


Ma in ogni applicazione in cui i dati sono centralizzati il rischio è che il soggetto che li detiene diventi prevalente nel rapporto contrattuale proprio in forza del numero rilevante dei suoi contatti. L’alternativa in genere è configurare la rete in modo “peer to peer”. Quando questo non è possibile si può costruire un’autority, che possa vincolare il soggetto che detiene i dati a realizzare modifiche, nuovi servizi, nell’interesse degli utenti e dell’ente pubblico. Per questo al portale web è stato affiancato un contratto normativo, richiamato dai contratti individuali che i manutentori degli impianti stipulano con i condomini. Può essere sottoscritto da qualsiasi associazione, senza barriera alcuna all’ingresso, che condivida gli scopi di tutela ambientale e di efficientamento del sistema.


L’authority è la Consulta interassociativa così costituita e decide cosa implementare nel servizio, a chi destinare per scopi di promozione culturale di tutela dell’ambiente e di promozione sociale una quota dei proventi realizzati sino a poter recedere dal contratto nel caso la software house che ha realizzato il portale non vi adempia, con obbligo, in tal caso, di restituire i dati ai contraenti per un nuovo rapporto contrattuale verso un altro soggetto. 
E tutto questo si sostiene con quanto già si spende per la compilazione del libretto d’impianto in ragione dell’applicazione della nuove normative in vigore dal 1° ottobre 2014. Nessun costo in più ma vantaggi per tutti. Economia della condivisione appunto.


Il contratto normativo è stato sottoscritto a Genova: primi firmatari Anaci Genova, Fondazione Muvita controllata dalla Città Metropolitana di Genova, le associazioni locali dei manutentori degli impianti di riscaldamento. La Regione Liguria sta realizzando il proprio catasto degli impianti di riscaldamento con interfaccia Aperta in modo da permettere lo scambio integrato. I servizi del portale saranno gratuiti per tutti gli edifici pubblici. Parte degli introiti sarà destinata alla promozione della cultura ambientale sul territorio secondo le indicazioni che le associazioni aderenti democraticamente adotteranno.  


Fonte articolo: ilsole24ore, quotidiano web

Riforma del condominio: le nuove regole sulle delibere


La Riforma del condominio ha apportato modifiche anche allo svolgimento dell’assemblea. In prima convocazione il quorum costitutivo (ovvero il limite delle presenze al di sotto delle quali nemmeno è possibile iniziare a discutere) è stato ridotto. Occorrono sempre i due terzi dei millesimi, ma è sufficiente la maggioranza dei condomini.


Nulla è cambiato, invece, per quanto attiene al quorum deliberativo: sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi.

Tuttavia, se in prima convocazione non vi è il numero legale, in un giorno successivo e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla prima, si tiene la riunione in seconda convocazione. In merito a quest’ultima è stato introdotto il quorum costitutivo: l’assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo dei millesimi e un terzo dei condomini. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo dei millesimi.


Il codice non fa mai espresso riferimento ai 333 o ai 500 millesimi, in quanto esiste il cosiddetto “condominio parziale”, che si verifica tutte le volte in cui un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato. Solo il gruppo di condomini che ne trae utilità è proprietario di quei beni e, pertanto, solo questi possono deliberare. Così, per esempio, la pulizia o le spese per l’ascensore della scala A sono approvate e pagate solo dai condomini di questa scala.


Prima dell’assemblea ciascun interessato può, previo appuntamento, accedere all’ufficio dell’amministratore, prendere visione della documentazione e, se ritenuto, estrarne copia. Nessun compenso, a parte il costo delle copie, può essere chiesto dall’amministratore per questa attività. Il mancato esercizio di questo diritto può portare all’annullamento della delibera se impugnata entro i 30 giorni. Alla documentazione possono accedere non solo i condomini, ma chiunque nel condominio vi abbia interesse (per esempio, i conduttori).


Anche in seconda convocazione, ci sono materie che richiedono, per la validità della deliberazione, la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi:

a) nomina e revoca dell’amministratore;

b) liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore;

c) ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità;

d) tutela delle destinazioni d’uso dei beni comuni;

e) innovazioni cosiddette “virtuose” di cui all’articolo 1120 comma 2 del Codice Civile;

f) impianti di videosorveglianza sulle parti comuni.


Fonte articolo: quotidiano del condominio ilSole24Ore, vetrinaweb

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