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Riscaldamento e condizionatori, debutta oggi la «carta d’identità» degli impianti

 

Dal 15 ottobre diventa obbligatoria la “carta d'identità” per gli impianti presenti nelle abitazioni degli italiani. Non solo caldaie e sistemi di riscaldamento, ma anche sistemi di climatizzazione, impianti solari, pompe di calore o di teleriscaldamento. Le novità arrivano insieme all'entrata in vigore del Dm 10 febbraio 2014 (già previsto per giugno, ma la cui operatività è stata prorogata all'autunno, per consentire a tutti di aggiornarsi sulla norma), che attua il Dpr 74/2013.

I dati di identità dell'impianto saranno contenuti nel cosiddetto “libretto”, che fino a ieri era in uso per le caldaie, ma che da oggi cambia pelle e viene esteso a tutte le tipologie di sistemi. Sempre dal 15 ottobre, cambiano le modalità di controllo a carico dei manutentori sull'efficienza energetica dell'impianto: il sistema diventa più puntuale e stringente. Nell'auspicio che – insieme alle verifiche sul rendimento – aumenti anche l'attenzione degli installatori per i checkup sulla salubrità e sicurezza degli apparati, che sono diffusi nelle case e negli uffici del Paese.

Per le famiglie italiane, tuttavia, non parte la corsa per mettersi in regola. «Anche se il responsabile della compilazione del libretto è formalmente il cittadino – spiega infatti Lorenzo Epis, consulente di Domotecnica, rete nazionale indipendente in franchising per le aziende di installazione che operano nel campo dell'efficienza energetica e delle rinnovabili – ci si metterà in regola in occasione della prima verifica. La normativa prevede che, a partire da oggi, e secondo le scadenze di manutenzione degli impianti regolamentate dalle Regioni, via via vengano compilati i nuovi libretti. Che si affiancheranno, quando il documento è già presente, ai vecchi modelli, da conservare e da non buttare».

Il modello tipo di libretto può essere scaricato sul sito del Comitato Termotecnico Italiano (www.cti2000.it), anche nella versione a pagine singole. In alcune regioni, come Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna, sono stati predisposti modelli locali del precompilato, obbligatori per chi vive su questi territori. Tocca al proprietario dell’abitazione o all’inquilino accertarsi che venga predisposto il libretto: nel caso dei condomini con impianto centralizzato, l'onere spetta all'amministratore.

I controlli di efficienza delle caldaie scattano, con periodicità differenti (in genere due o quattro anni), a seconda di quanto stabilito dalla normativa regionale. Si aggiungono a quelli sulla sicurezza e salubrità dell'impianto, definiti in genere dal manutentore.
«Per scegliere a chi affidare le verifiche – prosegue Epis – un consiglio utile per gli utenti può essere chiedere in visione il modulo della Camera di Commercio, che riporta i requisiti e la professionalità del tecnico. Per ciò che riguarda le spese, se fino ad oggi un intervento di controllo su un impianto domestico variava in media tra i 100 e i 120 euro, ora con l'aggiunta dei controlli e della sanificazione, prevista dal nuovo libretto, una famiglia con una caldaia collegata a 4 o 5 caloriferi e un impianto di climatizzazione con 2 o 3 split verrà a spendere mediamente 200 euro».

Al termine della diagnosi, il manutentore dovrà trasmettere agli enti preposti il cosiddetto rapporto di controllo. Le verifiche non verranno più effettuate a campione, ma si partirà da coloro che non hanno svolto gli interventi e del cui impianto non è arrivata alcuna notifica al catasto. Per chi non sarà in regola, è prevista una sanzione che parte dai 500 ai 3mila euro. Anche per l'installatore che comunica in maniera errata o incompleta l'esito del controllo scatta una multa che va dai mille ai 6mila euro.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/mercato-immobiliare/2014-10-14/debutta-carta-didentita-impianti-192559.php?uuid=Ab9oZ5UK

Jobs act, il Governo apre ai tagli della contribuzione per l'edilizia

Il Jobs act, anche nella riformulazione del Governo, apre al taglio dei premi Inail, alla riduzione del versamento per la cassa integrazione ordinaria, alla rimodulazione dell'attuale sistema di sostegno alla disoccupazione. Il testo del Ddl delega approvato nella nottata di mercoledì, dopo una maratona al Senato durata fino all'una, conferma la volontà di approvare un decreto attuativo che riveda un tema strategico per l'edilizia, quello della contribuzione. Da anni, infatti, le imprese del settore versano più delle altre per ottenere garanzie e ammortizzatori sociali identici. Il disegno di legge, almeno nelle intenzioni, punta a rimediare a questa situazione, uniformando il trattamento di edilizia e industria.
La novità è stata inserita dal Governo all'articolo 1 del testo, in materia di ammortizzatori sociali. Il suo obiettivo è assicurare «tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori». Per centrarlo l'esecutivo è delegato ad adottare, entro sei mesi, una serie di decreti legislativi. In uno di questi andrà avviata un'operazione di "riduzione degli oneri contributivi ordinari e rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell'utilizzo effettivo". Dietro questa formulazione oscura, almeno in teoria, si potrebbe nascondere un cambiamento storico per l'edilizia. Attualmente, infatti, il settore paga un carico superiore di dieci punti rispetto agli altri comparti.

La parte più odiata di questo fardello è, senza dubbio, quello che viene versata per la Cassa integrazione ordinaria: le costruzioni, infatti, contribuiscono con un'aliquota del 5,2%, superiore di tre punti rispetto al 2,2% degli altri settori. Un aggravio che non è giustificato da nessuna differenza di prestazioni. Questo, peraltro, ha comportato un avanzo di gestione presso l'Inps nel fondo per l'edilizia pari, in media, a circa 200 milioni di euro all'anno: attualmente siamo arrivati a circa 4 miliardi totali. Gli spazi per un taglio, insomma, ci sarebbero e sarebbero particolarmente ampi. Non a caso, in sede di audizione presso la commissione Lavoro del Senato, a giugno l'Ance ha chiesto che, nel quadro di questo articolo, si favorisca «il graduale allineamento delle aliquote contributive tra i diversi settori industriali, al fine di addivenire ad una equiparazione tra gli stessi». Anche se, questa ristrutturazione dei contributi potrebbe preludere a cattive notizie. Il Ddl, infatti, parla anche di «revisione dell'ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria», eventualmente anche in termini peggiorativi.

Ma non è tutto. A questo problema, si aggiunge il tema dei premi Inail, più alti di circa sei punti percentuali rispetto agli altri settori: un dato chiaramente ancorato all'incidenza degli infortuni sul lavoro, storicamente più alta in edilizia. Anche in questo caso l'Ance ha chiesto la parificazione del premio a prescindere dalla qualificazione giuridica dell'impresa». Il motivo sarebbe da ricercare nell'effettiva incidenza degli infortuni, in calo costante negli ultimi anni. L'equiparazione contributiva, allora, potrebbe toccare anche i premi Inail.
Il Ddl, comunque, non risolve il problema ma avvia un processo. Per l'approvazione definitiva dovrà ancora passare alla Camera, dove però è atteso da un lavoro molto più rapido, grazie ai numeri robusti del Pd. Poi, sarà il turno del decreti delegati, in attuazione dei principi fissati dalla legge. E' a quel punto che si giocherà la partita più importante, perché bisognerà stabilire se effettivamente ci saranno dei tagli e in quale entità.

Fonte articolo: http://www.casaeterritorio.ilsole24ore.com/art/edilizia-privata/2014-10-09/jobs-governo-apre-tagli-115636.php?uuid=AbfAGmTK

Il settore immobiliare e l’innovazione tecnologica

Per gli agenti immobiliari l’uso delle tecnologie sta rappresentando davvero una svolta sia per la propria attività professionale che per il proprio successo. Dopo i droni, ormai largamente utilizzati anche nel campo del real estate, è il turno delle fotografie in 3D.

La nuova tendenza, nemmeno a dirlo, arriva dagli Stati Uniti, dove l’uso professionale di fotocamere in grado di creare immagini tridimensionali permette di unire poi i vari scatti per creare dei tour virtuali, ma sempre più vicini a quello che l’immobile è nella realtà, permettendo di interagire con ciò che si vede nel digitale.


Ovviamente questo comporta la necessità di una delicatezza e di un’attenzione molto particolari per il rispetto della privacy e della sicurezza dei proprietari dell’immobile che si vende, ma con un po’ di accortezza si riesce normalmente ad arginare il problema e a trarre solo benefici da questa innovazione.

Uno studio di fotografi immobiliari americani ha dimostrato che se dietro l’obiettivo, a scattare, c’è un professionista l’immobile viene venduto con tempi più veloci del 32%. Agli acquirenti, infatti, non bastano più poche immagini amatoriali che precedono la visita dal vivo con l’agente. Ormai il web impone a chi lavora nel settore del mattone di fare di più e, come sostengono gli esperti, un video o un’immagine fatti bene possono far innamorare qualcuno di una casa che mai avrebbe preso in considerazione. Certo è che la decisione di comprare arriverà sempre e comunque dopo una visita di persona all’immobile che, però, mai deve deludere rispetto alle aspettative create dalle immagini.

Fonte articolo: http://news.immobiliare.it/il-settore-immobiliare-e-linnovazione-tecnologica-20080

Mattone batte finanza immobiliare. Nel confronto con il rendimento dei fondi e dei titoli real estate, l'acquisto della casa resta (anche se di poco) quello vincente

Evelina Marchesini
 È bello crederci, ma la realtà della crisi mette a dura prova anche gli assiomi più forti, come quello dell'imbattibilità dell'investimento immobiliare. Puntare sul mattone mette al riparo dalle sorprese? Se la domanda è questa, la risposta non può che essere negativa. Impiegare il proprio denaro nella casa aiuta sì a mantenere il valore dell'investimento in caso di inflazione, ma questo non significa superare allegramente le fasi negative del ciclo immobiliare. Fase negativa, l'ultima che stiamo vivendo, che sembra essere una delle più lunghe della storia.
Precisiamo. Se l'orizzonte temporale è a dieci anni e l'investimento è "diretto" (cioè si acquista l'immobile), il bilancio si mantiene positivo, seppur con performance non entusiasmanti. Se invece l'orizzonte si riduce ai cinque anni, si prende in pieno l'ondata della crisi e solo i valori delle case nei centri città di Milano e Roma danno un margine di guadagno.
Fino a qui l'indagine sarebbe abbastanza semplice, ma è venuto il momento di chiedersi seriamente se l'alternativa finanziaria all'investimento immobiliare diretto possa esser giudicata, a posteriori, una buona scelta o non lo è.

L'investimento diretto; Abbiamo chiesto a Scenari Immobiliari (istituto di ricerche indipendente) di elaborare l'apprezzamento a oggi di un appartamento ipotetico acquistato dieci o cinque anni fa a Milano e a Roma, sia in centro che in periferia, e messo a reddito. Il risultato a dieci anni mostra che a Milano centro, nonostante la crisi che imperversa dal 2008, l'apprezzamento medio di un investimento immobiliare – tenendo conto del rendimento da affitto – sarebbe pari al 22,4%, ma in periferia il ritorno complessivo scende al 5,1% sui dieci anni, affitti inclusi. La situazione non si differenzia di molto a Roma, dove sui dieci anni il rendimento totale è del 21% e sui cinque anni del 4 per cento. Sempre meglio della media nazionale italiana, con una performance globale del 2% decennale.
Riducendo l'orizzonte di riferimento a cinque anni il bilancio è più critico, perché significa aver comprato quasi ai massimi (che sono stati nel 2007-2008) e rivendere oggi: a Milano centro ci si salva con un rendimento del 6,6% grazie soprattutto ai rendimenti da affitto, così come a Roma al 6,2%; in periferia ci si trova con una perdita (nell'ipotesi di andare a vendere) del 2,7% e del 4,9% rispettivamente.
«Evidentemente la qualità, nell'investimento immobiliare, dà risultati positivi – commenta Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari – così come vediamo per l'acquisto di appartamenti in centro città a Milano e Roma. Ma va anche tenuto conto che l'indice è ipotetico, perché se si va a vendere oggi, con un inquilino nell'appartamento, ci si trova a fare i conti con uno sconto sul prezzo. Ma a difesa dell'immobiliare va anche detto che gli altri prodotti di investimento sono andati pure peggio: azioni, fondi comuni d'investimento, titoli di Stato a lungo termine, se si deve vendere prima della scadenza. Persino ipotizzando di aver acquistato un titolo di Stato pluriennale che scada proprio in questi giorni, il risultato complessivo non sarebbe quello di un appartamento in centro nelle due principali città italiane». «Forse l'immobile non riesce più a tutelare come in passato – conclude Breglia – ma se messo a confronto con le alternative di investimento si comporta comunque bene». Va tenuto presente che nell'elaborazione non si tiene conto della fiscalità, bassa in passato ma decisamente più alta oggi.
Il mattone virtuale. Il cosiddetto "mattone di carta" ha avuto andamenti molto differenziati e ogni fondo immobiliare andrebbe analizzato a sé. Lo Studio Gottardo Casadei ha costruito un indice complessivo che, tenendo conto dei dividendi distribuiti (alti nei primi anni in cui sono stati lanciati i fondi), evidenzia un risultato complessivamente soddisfacente, pari al 19,4% a dieci anni e al 14,9% in cinque anni. Ma qui le obiezioni si elevano ad alta voce: o si ipotizza di aver acquistato la quota del fondo in emissione e di non aver bisogno di venderla e si guarda al valore degli immobili nella pancia del fondo, o questo rendimento significa poco. Molto peggio la situazione esaminando le performance delle quotazioni in Borsa dei fondi e delle azioni di società immobiliari quotate in Borsa (si veda l'altro articolo in questa pagina). Le performance negative superiori al 50%, purtroppo, sono molto comuni. E non solo negli anni della crisi.

Fonte articolo: http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20141009&startpage=1&displaypages=2

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