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Super ammortamento del 140% per beni su immobili terzi


Le manutenzioni straordinarie su beni di terzi, in locazione, in leasing, in comodato o a noleggio, possono essere considerate "beni materiali strumentali" agevolabili con la maggiorazione degli ammortamenti del 40% ai fini Ires e Irpef (non Irap), se hanno una funzionalità autonoma e sono staccabili dai beni sui quali sono installate, se sono nuovi e se non rientrano tra quelli esclusi dall'incentivo introdotto dalla legge di stabilità 2016 per gli investimenti effettuati dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016.

 

Via libera, quindi, all’ammortamento maggiorato, ad esempio, per le caldaie, i condizionatori, gli impianti di video sorveglianza, gli impianti fotovoltaici (se considerati beni mobili), installati su fabbricati di terzi ovvero per le attrezzature o gli impianti che, pur essendo installati su beni di terzi già in uso, possono essere separati dagli stessi senza perdere la loro autonoma funzionalità (ad esempio, una pompa nuova installata su un silos noleggiato).


La conferma arriva anche dalla sentenza della Cassazione 7 agosto 2015, n. 16596, secondo la quale spettava l’agevolazione della Tremonti-bis anche alle spese incrementative di un immobile, non di proprietà del contribuente, se contabilizzate in bilancio tra le immobilizzazioni materiali, perché qualificate "come opere aventi una loro autonoma funzionalità ed individualità". È necessario dimostrare che tali beni, al termine del contratto, possono "essere rimossi e utilizzati separatamente dall’investitore", a differenza delle spese incrementative da classificarsi tra le "altre immobilizzazioni immateriali", le quali non costituiscono beni autonomi.


Principi contabili. 
Civilisticamente, i costi sostenuti per migliorie su beni di terzi sono capitalizzabili, se hanno utilità pluriennale. Questi sono iscrivibili tra le "altre immobilizzazioni immateriali" (voce B.I.7), se non sono separabili dai beni stessi, cioè quando non possono avere una loro autonoma funzionalità. In caso contrario, sono iscrivibili tra le "immobilizzazioni materiali", nella specifica voce di appartenenza (ad esempio, impianti generici o specifici, attrezzatura varia e macchinari).


L’ammortamento delle "immobilizzazioni immateriali" per migliorie dei beni di terzi si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione (Oic 24, paragrafi 77 e 95). Quelle classificate tra le materiali, invece, vanno ammortizzate secondo i criteri della specifica voce di appartenenza, quindi, anche in questo caso l’ammortamento dipende dalla "loro residua possibilità di utilizzazione", la quale è influenzata dalla loro utilità futura e comunque dalla durata del contratto di locazione. Quest’ultimo parametro, però, è irrilevante nei casi in cui si decida di tenere questa “miglioria” anche dopo la fine dell’affitto, del leasing o del noleggio, perché si tratta di un bene staccabile da quello di terzi e con autonoma funzionalità.


Tuir. 
Fiscalmente, le spese su beni di terzi iscrivibili tra le “altre immobilizzazioni immateriali” sono oneri pluriennali, quindi, il relativo ammortamento dipende dalle scelte civilistiche in bilancio (articolo 108, Tuir). Invece, se le opere, realizzate su beni altrui, sono contabilizzate civilisticamente tra le immobilizzazioni materiali, l’ammortamento fiscale va calcolato con le aliquote previste dal Dm 31 dicembre 1988 (risoluzione 179/E/2005 e circolari 27/E/2005 e 36/E/2013).


Super-ammortamento. 
Solo le migliorie di beni di terzi iscritte tra le immobilizzazioni materiali, possono essere considerate "beni materiali strumentali" agevolati con il super-ammortamento del 140%. È necessario, però, rispettare anche le altre condizioni, cioè la novità del bene e la sua tipologia. Non sono agevolati, infatti, i “beni materiali strumentali” con coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5% , i fabbricati, le costruzioni e i beni di cui all’allegato n. 3 della legge 208/2015.


Fonte articolo: IlSole24Ore, vetrina web.

Nullità delibera condominiale nelle spese di ripartizione

È nulla la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condòmini, si modificano i criteri legali di ripartizione delle spese comuni stabiliti dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento di condominio contrattuale.


Lo ha ribadito il Tribunale di Perugia con la sentenza n. 602 del 24 marzo 2015. 

Il giudice umbro ricorda che eventuali deroghe alle regole di ripartizione delle spese per beni e servizi comuni, venendo ad incidere sui diritti individuali dei singoli condòmini, possono essere ammesse solo con l'unanimità dei consensi. Ne consegue la radicale nullità della delibera, anche se approvata a maggioranza qualificata. La stessa potrà essere dunque impugnata senza limiti di tempo e da chiunque, anche dai condòmini che abbiano espresso voto favorevole alla deroga.


La sentenza in commento riguarda l'impugnazione della delibera condominiale con la quale l'assemblea aveva approvato, a maggioranza, il bilancio consultivo e il relativo riparto, entrambi predisposti utilizzando criteri difformi da quelli contenuti nel regolamento condominiale. L'attore, in particolare, contestava il comportamento dell'amministratore, che aveva ripartito le spese con criteri diversi da quelli previsti nel regolamento, senza la preventiva convocazione sullo specifico punto dell'assemblea e senza, dunque, l'unanimità dei consensi di tutti i condòmini.


Il Tribunale, in accoglimento della domanda, ha stabilito che l'introduzione di un nuovo e diverso criterio di ripartizione delle spese, diverso da quello previsto dal regolamento condominiale e di tabelle ad esso allegate, comporta la nullità della delibera, ai sensi dell'art. 1123 c.c. e 68 disp. att. c.c.
Esula dalle attribuzioni dell'assemblea l'adozione di criteri di ripartizione delle spese diversi da quelli legali ex art. 1123 o da quelli previsti nel regolamento di condominio.


Tale modifica può avvenire infatti solo con il consenso unanime dei condòmini, cioè attraverso un vero e proprio accordo contrattuale, con il quale tutti i partecipanti al condominio esprimono la volontà di procedere alla ripartizione delle spese comune con criteri differenti. In mancanza di tale accordo, la delibera, anche se adottata a maggioranza qualificata, è nulla. Ciò significa che, ai sensi dell'art. 1421 c.c., l'invalidità della delibera “può essere fatta valere dal condòmino che vi abbia interesse, presente o assente, consenziente o dissenziente che sia stato all'approvazione della delibera impugnata, e non è soggetta a termine di impugnazione”.


La sentenza in commento non rappresenta certo una novità nel panorama giurisprudenziale, ponendosi in linea con l'orientamento seguito dalla Corte di Cassazione.
I giudici di legittimità, infatti, hanno più volte affermato che: “deve ritenersi affetta da nullità, che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché nella stessa abbia espresso parere favorevole e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall'art. 1137 c. c., la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese, per la prestazione di servizi nell'interesse comune. Ciò in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca. Ne consegue che la modifica a maggioranza, sia pure qualificata, del criterio di ripartizione delle spese, e non all'unanimità, si deve considerare nulla e l'azione può essere proposta in ogni tempo anche da chi abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera nulla (Cass. civ. n. 15042 del 14.6.2013).


Fonte articolo: Condominioweb.com

Leasing vs mutuo: qual è più conveniente?

Nell’ultimo anno sono stati stipulati in Italia molti più mutui: il 97% in più stando agli ultimi dati dell’Abi. Un terzo di questi sono surroghe, cioè miglioramenti di vecchi mutui (modificando tasso e/o durata). Il tutto però a fronte di un mercato immobiliare che sta leggermente risalendo dopo anni di crisi.


Cresce la domanda e crescono un po’ le compravendite ma non certo i prezzi.

La legge della domanda e dell’offerta del resto è di limpida semplicità: i prezzi crescono solo quando la domanda supera l’offerta. In questo contesto che la domanda superi l’offerta è tecnicamente impossibile considerata la mole di immobili invenduti che circola.
In ogni caso dalla ripartenza del mercato immobiliare dipende anche buona parte della ripresa economica perché il real estate crea lavoro su ampia scala e favorisce un certo ottimismo che si autoalimenta. È anche per questo motivo che probabilmente il governo ha introdotto da gennaio delle importanti agevolazioni in tema di leasing immobiliare.


Finora il leasing è conosciuto prevalentemente dai privati per la macchina, l’obiettivo è agganciarlo anche al concetto della casa. È previsto in particolare che chi sceglie la formula del leasing, preferendola al mutuo, all’affitto o all’affitto con diritto di riscatto, abbia il fisco particolarmente amichevole. Cosa è il leasing? In due parole: la banca acquista l’immobile e il cliente prende possesso dell’immobile pagando un canone d’affitto (a tasso fisso o variabile) periodico fissando all’inizio dell’operazione anche il prezzo dell’eventuale riscatto, al termine del piano di leasing che solitamente dura 12 anni ma in questi casi può spingersi anche fino a 20.


Secondo la nuova Legge di Stabilità, gli under 35 con un reddito annuo non superiore a 55mila euro possono detrarre ogni anno dall’Irpef il 19% fino a un massimo di canoni pagati di 8mila euro (quindi 1.520 euro). Per gli over 35 anni invece l’agevolazione è identica a quella oggi prevista per il mutuo prima casa, si può detrarre il 19% ma fino a 4mila euro (quindi massimo 758 euro l’anno).
La grande differenza con il mutuo però riguarda il fatto che nel leasing il montante su cui calcolare il 19% di esenzione fiscale è dato dall’intero importo del canone mentre sul mutuo riguarda solo la quota interessi della rata.
Ad esempio se in un anno ho pagato su un mutuo rate per 6mila euro ma di questi 6mila, 4mila rappresentano la quota capitale e 2mila la quota interessi, su un mutuo prima casa il 19% viene calcolato su 2mila. Mentre nel caso del leasing sarebbe calcolato su 6mila.


Inoltre per il leasing è prevista un’altra agevolazione. Chi decide di riscattare l’immobile al prezzo concordato inizialmente e quindi di passare dalla condizione di locatario a quella di proprietario, potrà detrarre dall’Irpef il 19% di un importo massimo di 20mila euro. Se quindi per riscattare la casa aggiungo 30mila euro, potrò detrarre dall’Irpef 3.600 euro (cioè il 19% di 20mila).
Dal punto di vista fiscale quindi, per un under 35, il leasing parte in deciso vantaggio. Perché se risparmio ogni anno fino a 1.520 euro (contro i 758 potenziali del mutuo) per 20 anni ho un tesoretto di circa 14mila euro. Se a questi poi aggiungo i potenziali 3.600 euro in caso di riscatto arriviamo oltre i 17mila euro.


Il mutuo invece di norma rosicchia qualcosa sul lato tassi. I tassi dei mutui (sia fisso che variabile) oggi a livello nominale (cioè senza considerare l’inflazione) sono ai minini storici. Si stipula un variabile anche sotto l’1,5% e un fisso anche al 2,5% (nelle migliori delle ipotesi). Mentre con il leasing i tassi dovrebbero essere mediamente un po’ più alti. Quindi quando si chiede un preventivo di leasing prima casa bisogna confrontarlo anche con gli interessi che si risparmierebbero invece con il mutuo. Se questi battono i 14-17mila euro di vantaggio base del leasing, a quel punto il mutuo torna in vantaggio.


Un altro vantaggio del mutuo è dato dal fatto che offre la possibilità di estinzione anticipata gratuita. Mentre con il leasing bisogna andare fino in fondo ed eventualmente decidere di non riscattare l’immobile.


Il mutuo poi si può spingere su durate fino a 30 anni mentre il leasing nella migliore delle ipotesi arriva a 20 anni. Il leasing prima casa però ha dalla sua il fatto che consente di prendere possesso dell’immobile anche avendo poca liquidità iniziale e per questo si rivolge ai giovani che fanno fatica ad accendere un mutuo (il maxi-canone d’anticipo di solito è pari al 10% del valore dell’operazione) mentre con un mutuo medio bisogna avere il 20% di contanti, considerato che la maggior parte delle banche non concendono oggi mutui superiori all’80% del valore dell’immobile.


Un’altra differenza riguarda la morosità. La banca può avviare la procedura di pignoramento dopo sette rate di mutuo non pagate. Mentre la misura è un po’ più rigida nel caso di leasing. Può bastare anche una rata non pagata (in assenza della perdita del posto di lavoro senza giusta casa) per essere sfrattati dalla banca.


Pro e contro da ambo le parti, in ogni caso, da valutare con attenzione. Un’ultima cosa, però. "Non è detto che le banche si strappino i capelli per concedere leasing immobiliari prima casa - spiega Luca Dondi, analista di Nomisma -. Con il leasing le banche infatti vanno ad acquistare - per conto del locatario e in attesa di un suo eventuale futuro riscatto - un immobile. Ma in questo momento le banche sono piene di immobili per effetto dei numerosi pignoramenti avvenuti durante gli ultimi anni di crisi. Quindi non sono portate ad aumentare la quota di immobili in pancia in un momento in cui gradirebbero anzi liberarsene in tempi brevi. Anche per questo motivo molti istituti oggi stanno creando delle agenzie immobiliari interne o dei network per liquidare più in fretta i propri asset immobiliari. Il leasing da questo punto di vista andrebbe nella direzione opposta.


Non c’è quindi un vero vincitore. L’importante è conoscere le differenze e adeguarle alle proprie necessità. Sempre con la calcolatrice in tasca.


Fonte articolo: IlSole24Ore

Come fare per mettere a reddito l'immobile?


Il 2016 con un mercato in recupero impone però cautela, per via della situazione economica e geopolitica internazionali. E impone di fare attenzione sia che si voglia vendere casa sia che si intenda avvicinarsi all’acquisto. 


Come deve approcciare il mercato immobiliare chi decide di valutare l'acquisto? 

 

 

Il potenziale acquirente ha davanti grandi opportunità in termini di offerta. Può quindi scegliere di valutare senza fretta l'investimento in cerca dell'occasione migliore. La fase di miglioramento del mercato residenziale italiano sarà lenta e graduale. Anzi, data l'incertezza della situazione, sulla quale pesano diverse variabili come la ripresa dell'economia e i rapporti di geopolitica mondiale, nei prossimi mesi le quotazioni dovrebbero scendere ancora e quindi è probabile che aspettando si possano spuntare prezzi migliori. Oggi si compra bene, ma tra sei mesi si potrebbe comprare anche meglio. Al momento il prezzo medio in Italia – dato che naturalmente comprende valori molto diversi - secondo i dati di Nomisma è pari a 1.943 euro al metro quadrato contro i 2.753 euro in termini reali del 2007.


Vedendo la situazione dal punto di vista del venditore, come si fa a “vender bene”? 

Il mercato vive oggi una fase di eccesso di offerta sempre più evidente. Il percorso per arrivare alla vendita non è breve e per questo c'è maggiore necessità di essere attivi nel proporre l'immobile. È importante la modalità di presentazione della casa e bisogna utilizzare diversi canali per arrivare alla clientela, sfruttando anche le App utilizzabili su Ipad e smartphone. Gli esperti consigliano ricchezza nella descrizione e nel materiale fotografico, che deve essere di alta qualità per non provocare sorpresa al momento del contatto. Con tanta offerta sul mercato il potenziale acquirente tenderà ad abbandonare gli immobili che vengono presentati in maniera poco trasparente, approssimativa e con informazioni scarne e non veritiere.


Quali sono oggi i tempi medi di vendita da mettere in conto? 

In questa fase siamo intorno ai 7-8 mesi. L'elemento importante è che negli ultimi mesi per la prima volta dopo diversi anni i tempi non si sono allungati. Esiste comunque uno stock in giacenza, in genere di scarsa qualità, che ha tempi ben più lunghi per arrivare al contratto. Nel segmento del lusso si viaggia invece verso 12 mesi e in questo segmento la giacenza arriva anche a oltre 24 mesi.


Quale strategia adottare se non si riesce a vendere? 

La prima scelta sarebbe quella di abbassare il prezzo per incontrare la domanda. Ma questa mossa ha effetto solo se parliamo di un immobile di discreta qualità. In alcuni casi, poi, lo sconto potrebbe non essere sufficiente perché se una casa sta troppo tempo sul mercato perde appeal. La scelta è quindi tra ridurre il prezzo oppure fare un investimento nella riqualificazione dell'esistente, una strategia che riguarda certamente la locazione ma anche la vendita.


Chi acquista un immobile può ancora sperare in una rivalutazione, come si è sempre detto?

Bisogna distinguere innanzitutto le finalità. L'acquisto della prima casa è dettato dalle necessità del singolo o della famiglia, è una scelta di medio-lungo periodo, e va considerato anche il fatto che serve a soddisfare un bisogno abitativo. Diverso è l'acquisto di una seconda casa al mare o in montagna o l'acquisto di un appartamento per investimento. Anche in questo caso, però, chi acquista non deve puntare alla rivalutazione nel breve termine. Guadagni in capital gain non sono probabili di questi tempi con quotazioni ancora in discesa: secondo gli esperti nel 2016 vedremo valori in calo dell'1% circa. Inoltre, va considerata anche l'inflazione praticamente a zero.


C'è il rischio che i tassi stiano per aumentare? È questo il momento giusto per investire? 

Dai segnali Usa di rinvio di operazioni sui tassi si capisce che non ci saranno prospettive di intervento sui tassi in Europa e i segnali che arrivano dall'economia continentale e nazionale non sono certo entusiasmanti.


Come deve regolarsi, allora, chi vuole acquistare un immobile da mettere a reddito? 

Se decido di investire per mettere a reddito l'immobile devo tenere presente alcuni capisaldi nella scelta. Ad esempio, è meglio acquistare un appartamento piccolo in zona centrale che grande in periferia. E ancora, è meglio acquistare un appartamento in una grande città che in provincia, perché così mi garantisco una maggiore rivendibilità e affittabilità. In generale, comunque, approfittare di prezzi bassi e tassi di interesse ai minimi storici consente di cogliere occasioni interessanti, a patto che la location dove si trova l'appartamento sia appetibile sul mercato dell'affitto. Ad esempio, se la casa si trova in città universitarie, e soprattutto in zone ben servite dai mezzi di trasporto, arriva a rendere anche il 5-6 per cento.


Fonte articolo: IlSole24Ore.com 

 

 

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