Affitti: sfratto possibile dopo una sola rata non pagata

Anche una sola rata in meno del canone di locazione può comportare lo sfratto. A dirlo la sentenza n. 355 del 3 febbraio 2017 del Tribunale di Genova.


Secondo quanto precisato, il mancato pagamento di una sola rata del canone di locazione è, di per sé, grave inadempimento dell’inquilino ai suoi obblighi contrattuali.

L’articolo 5 della legge 392/78 stabilisce che il mancato pagamento del canone della locazione, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell’articolo 1455 del Codice civile.
Nel caso in cui la morosità si riferisce agli oneri accessori, quindi alle spese condominiali, lo sfratto scatta se il debito supera quello di due mensilità del canone. Non pagando, dunque, un mese di affitto o le spese di condominio per una somma pari a due mesi di affitto si rischia l’intimazione di sfratto per morosità.


Nel caso di locazione a uso abitativo, la valutazione sulla “gravità dell’inadempimento” dell’affittuario è stata fatta a monte dal legislatore, che l’ha quantificata nell’importo di una rata. Nel caso di locazione a uso commerciale, invece, è il giudice a valutare di volta in volta quando l’inadempimento può giustificare lo sfratto.


Per le locazione di immobili ad uso abitativo, secondo quanto stabilito dalla legge, il mancato pagamento dell’affitto, decorsi 20 giorni dalla scadenza prevista, costituisce motivo di risoluzione del contratto. Come sottolineato dalla sentenza n. 1428/2017 della Cassazione, tale previsione fissa un criterio di predeterminazione legale della gravità dell’inadempimento che, come tale, non consente al giudice di svolgere altri accertamenti su questo presupposto dell’inadempimento.

Se non viene pagato il canone di affitto, la valutazione circa la gravità dell’insolvenza dell’affittuario non può essere fatta dal giudice, ma viene predeterminata dalla legge in base al mancato pagamento di una sola rata del mensile (o di oneri accessori per un importo superiore a due canoni) e al ritardo massimo consentito di 20 giorni.


Fonte articolo: Idealista.it

Riforma del Catasto sì o no?

Potrebbe tornare alla ribalta la riforma del Catasto. Il Governo ha intenzione di inserirla nel Piano nazionale delle riforme allegato al Documento di economia e finanza (Def) che sarà presentato ad aprile.


L’idea, ventilata dall’Esecutivo per concludere il processo di revisione e allineamento delle rendite catastali ai valori di mercato, è stata accolta in modo diverso dagli operatori del settore. Da una parte quelli che chiedono la revisione anche se provocherà un aumento delle tasse, per una questione di equità. Dall’altra quelli che considerano la riforma una possibile causa di impoverimento.

Riforma del Catasto

In base alla bozza del decreto attuativo della Delega fiscale, mai approvato, gli immobili non sarebbero più raggruppati in categorie e classi, ma in due tipologie di fabbricati: quelli ordinari e quelli speciali. Gli appartamenti verrebbero inseriti tutti nella categoria ordinaria O/1, mentre ville, immobili signorili e artistici avrebbero una regolamentazione diversa.
Per consentire una valutazione più oggettiva, il valore degli immobili potrebbe essere determinato dalla superficie e non più dai vani. A ogni unità immobiliare sarebbe attribuita una rendita e un valore patrimoniale stimati in base alle reali caratteristiche dell’immobile e alla zona di appartenenza.


La riforma del catasto non è mai andata in porto perchè non riesce ad assicurare l'invarianza di gettito. L'aumento delle tasse potrebbe essere compensato da altre manovre fiscali, ma ci vorrebbe del tempo e questa possibilità spaventa i proprietari. D'altro canto c'è anche chi sostiene che l'aggiornamento delle rendite catastali vada comunque portato avanti per ragioni di equità. Ci sono quindi pareri discordanti.

Riforma del Catasto e rischio aumento delle tasse

Confedilizia, Confederazione della proprietà edilizia, alla riforma del Catasto risponde “no grazie”. Per il presidente, Giorgio Spaziani Testa, la riforma apre “uno scenario di ulteriori aumenti di tassazione sugli immobili, mascherati attraverso improbabili redistribuzioni”.
 “Quella legge delega – si legge in una nota di Confedilizia -  è scaduta e non è certo questo il momento per iniziare un nuovo percorso, checché ne dica la Commissione Europea. Per il settore immobiliare l’urgenza è invece una decisa riduzione di un carico fiscale che dal 2012 è stato quasi triplicato e che continua a causare danni incalcolabili a tutta l’economia: crollo dei valori, impoverimento, caduta dei consumi, desertificazione commerciale, chiusura di imprese, perdita di posti di lavoro. Dovrebbe essere questa la priorità di un Governo responsabile”.
 

Riforma del Catasto e invarianza di gettito

Secondo Sandro Simoncini, docente a contratto di Urbanistica e Legislazione Ambientale presso l’università Sapienza di Roma e presidente di Sogeea SpA, società che si occupa della valutazione, acquisizione e dismissione del patrimonio immobiliare, "ci voleva l’ennesima bacchettata dell’Unione Europea perché tornasse alla ribalta il tema della riforma del catasto, una delle grandi incompiute dell’attuale legislatura”. Il fatto che il Governo sia intenzionato a ripercorrere la strada dell’invarianza di gettito rischia a suo avviso di far tradurre di nuovo l’operazione in un nulla di fatto.


Secondo Simoncini bisognerebbe invece procedere al più presto alla revisione delle rendite catastali per mettere fine a sperequazioni e privilegi esistenti. I Comuni dovrebbero poi essere liberi di adeguare la tassazione. Per rendere più organica la riforma, si potrebbe poi studiare una progressività delle imposte proporzionata alle disponibilità finanziarie del proprietario.


Fonte articolo: Edilportale.com

Milleproroghe è legge: tutti gli incentivi su casa ed edilizia

Aula della Camera dei deputati ha stamane approvato in via definitiva il disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del Milleproroghe 2017 (decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante “Proroga e definizione di termini. Proroga del termine per l'esercizio di deleghe legislative”).


Il testo che ora è legge non è stato ulteriormente modificato rispetto alla versione licenziata nei giorni scorsi dal Senato.

 

Riepiloghiamo i principali rinvii su casa ed edilizia contenuti nella legge (fonte: dossier dei servizi studi di Camera e Senato).


RINNOVABILI TERMICHE NEI NUOVI EDIFICI, SLITTA AL 2018 L'AUMENTO DAL 35% AL 50% DELL'OBIETTIVO

Per quanto riguarda gli edifici di nuova costruzione e le grandi ristrutturazioni, viene spostato in avanti il termine entro il quale le fonti rinnovabili, possono limitarsi a coprire il 35 per cento del fabbisogno energetico legato al riscaldamento, al raffrescamento e alla produzione di acqua calda sanitaria. L’aumento dal 35% al 50% dell’obbligo di rinnovabili termiche slitta dal 31 dicembre 2016, come stabilito dal Dlgs 28 del 2011, al 31 dicembre 2017.


CONTABILIZZAZIONE DEL CALORE NEI CONDOMINI, OBBLIGO PROROGATO DI 6 MESI

Il Milleproroghe 2017 dispone il rinvio al 30 giugno 2017 del termine - precedentemente fissato al 31 dicembre 2016 - entro il quale nei condominii occorre installare sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore, previa verifica che tale installazione determini efficienza di costi e risparmio energetico.


REINTRODOTTO PER IL 2017 IL TAGLIO IVA AL 50% PER CASE AD ALTA EFFICIENZA ENERGETICA

Prorogata a tutto il 2017 la riduzione al 50% dell’Iva per l’acquisto di case ad alta efficienza energetica. L’incentivo era scaduto lo scorso 31 dicembre.


INCENTIVI A PROGETTI DI EFFICIENZA ENERGETICA

È introdotto un comma aggiuntivo di proroga annuale in tema di incentivi ai progetti di efficienza energetica di grandi dimensioni, non inferiori a 35.000 TEP/anno, il cui periodo di riconoscimento dei certificati bianchi terminava entro il 2014. La loro proroga, fissata sino al 31 dicembre 2016, avviene a fronte di progetti definiti dallo stesso proponente e concretamente avviati entro il 31 dicembre 2016: tale termine è ora spostato al 31 dicembre 2017.


CONTRIBUTO FONDO INDENNIZZO PER ACQUIRENTI DI IMMOBILI

Viene esteso da 15 a 25 anni (a decorrere dal 2005) il periodo massimo per il quale è dovuto il contributo obbligatorio in favore del Fondo per il soddisfacimento delle richieste di indennizzo presentate dagli acquirenti di immobili da costruire danneggiati nei loro diritti patrimoniali. Tale contributo è posto a carico dei costruttori tenuti all'obbligo di procurare il rilascio e di provvedere alla consegna della fideiussione prevista dalla legge.


EDILIZIA SCOLASTICA, SLITTA AL 2018 IL TERMINE DEL PAGAMENTO DELLE RISTRUTTURAZIONI

Relativamente all’edilizia scolastica, viene consentito ai Comuni di utilizzare le risorse stanziate per interventi di ristrutturazione e di spostare il pagamento dei lavori fino al 31 dicembre 2017. La proroga si rende necessaria, in quanto gli enti locali hanno potuto aggiudicare le gare per l’esecuzione dei lavori solo entro il 29 febbraio 2016 con conseguente ritardo sugli interventi di risanamento degli edifici.


UTILIZZO DEI PROVENTI DELLE CONCESSIONI EDILIZIE

Una modifica al comma 737 dell'art. 1 della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) proroga fino al 2019 la possibilità di utilizzare integralmente i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche.


Fonte articolo: Casaeclima.com

Emendamento che ferma la concorrenza sleale delle banche

“La politica sta comprendendo che, nel momento in cui le banche vengono finanziate con i soldi pubblici – con il dl “salva banche” che mette a disposizione 20 miliardi di euro per gli istituti in difficoltà – e non ci sono le stesse condizioni per le agenzie immobiliari, si è in presenza di una competizione falsata e quindi bisogna riportare alla normalità questa discrasia”.


Lo ha detto a idealista news il Presidente nazionale Fiaip, Paolo Righi, parlando dell'emendamento presentato in Senato al decreto legge che vuol mettere un freno all'attività di intermediazione immobiliare delle banche. 

 

Questo per evitare che in futuro gli istituti di credito possano condizionare non solo il mercato finanziario, ma anche quello immobiliare.


Con l’emendamento al dl “salva banche” presentato dal senatore Vincenzo Gibiino, Presidente dell’Osservatorio Parlamentare sul Mercato immobiliare, e dal senatore Antonio D’Alì si aggiunge un tassello alla battaglia contro l’attività di intermediazione immobiliare degli istituti di credito che vede in prima linea la Federazione italiana agenti immobiliari professionali. “I primi firmatari sono D’Ali e Gibiino - ha spiegato Righi - ma ad oggi hanno sottoscritto l’emendamento 41 senatori di vari partiti. E’ un lavoro di tutto il Senato. Si tratta di un emendamento trasversale che segna un punto importante”.

Perché il no all’intermediazione immobiliare delle banche

Il presidente nazionale Fiaip ha poi aggiunto: “Bisogna chiarire che la battaglia di Fiaip non è contro l’agenzia immobiliare della banca. La concorrenza è un nostro credo, attraverso la concorrenza si cresce e si migliora. Tutti gli esposti che abbiamo fatto sono nei contronti della banca e non dell’agenzia immobiliare. La banca dispone di dati sensibili, quali la solvibilità o meno del proprio correntista, è in grado di condizionare il proprio correntista a fare una scelta o l’altra, è in grado di proporre prodotti di mutuo più o meno accattivanti per i clienti dell’agenzia immobiliare di loro proprietà e quindi di creare quel circuito tra immobiliare ed erogazione del credito che è vietato dalla legge 141”.

Le banche condizioneranno anche il mercato immobiliare

Righi ha quindi spiegato: “Vediamo un potenziale pericolo anche perché non più di sei mesi fa il Governo italiano ha varato quello che è l’aggiramento del divieto di patto commissorio, che è nel codice civile il divieto per colui che presta i soldi di impossessarsi del bene per cui ha dato credito. Quindi con l’introduzione del patto marciano ci troviamo nella condizione in cui le banche diventano direttamente proprietarie dei beni per cui hanno prestato denaro”.


E ancora: “Si capisce bene che le banche nei prossimi anni potrebbero diventare proprietarie di un numero considerevole di immobili e quindi condizionare sia il mercato finanziario, ma anche quello immobiliare. Proprio quello che questo emendamento cerca di evitare mutuandolo da quello che il Senato americano ha fatto nel 2009, quando per contrastare e arginare la crisi del 2008 - causata proprio dall’eccessiva finanziarizzazione del mercato immobiliare - l’allora presidente Obama ha varato questa norma. Speriamo che l’Italia si adegui e che il governo per una volta smetta di assecondare in tutto e per tutto le banche”.

“Il sistema bancario in generale non adotterà questo sistema”

Righi ha infine concluso affermando: “Tengo anche a precisare una cosa: queste banche sono solo due o tre. Il sistema bancario in generale non adotta e non adotterà questo sistema, proprio perché molti bancari hanno dichiarato più volte che l’obiettivo delle loro banche non è sostituirsi a quelli a cui devono fare credito, cioè le imprese e i professionisti, ma che intendono fare bene la banca e anzi collaborare e mettersi in rete con le altre realtà professionali senza sostituirsi ad esse”.

Fonte articolo: Idealista.it

Regolamento edilizio unico: manca solo l'accordo definitivo

È in arrivo il Regolamento edilizio unico. Lo ha assicurato il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, Maria Anna Madia, durante un’audizione presso la Commissione per la Semplificazione della Camera.


Dopo l’accordo sulle 42 definizioni standardizzate, sta quindi per vedere la luce il Regolamento edilizio unico completo, “uguale in tutta Italia”.

GLI STEP DEL REGOLAMENTO EDILIZIO UNICO

Secondo il Ministro, la parte più impegnativa del lavoro per risolvere questa situazione è già stata fatta a febbraio con l’adozione delle voci standardizzate: veranda, volume tecnico e superficie utile, ad esempio, avranno lo stesso significato ovunque e non si potrà più fare confusione tra balcone e terrazzo o tra pensilina e tettoia.
Ora manca solo l’intesa sullo schema definitivo del regolamento e sui margini d’azione da concedere agli Enti locali.


“Una rivoluzione - ha commentato il Ministro Madia - vista la giungla di partenza. Oggi ci sono oltre 8 mila regolamenti edilizi, uno per ogni comune, e alcuni risalgono agli anni Trenta, generando caos e incertezze”. Come se ciò non bastasse, “ogni regolamento comunale detta definizioni diverse, perfino la nozione di superficie e il modo di calcolarla cambia da un comune all'altro”. 


Per mettere d'accordo tutti sulle definizioni base dell'edilizia, ha spiegato il Ministro Madia, è stato necessario "un processo lungo e impegnativo", che ha causato qualche ritardo. In base all’Agenda per la semplificazione, infatti, il regolamento edilizio unico doveva essere pronto per novembre 2015.


LE ALTRE SEMPLIFICAZIONI IN EDILIZIA

L’adozione del regolamento edilizio unico completerà il processo di semplificazione delle procedure da utilizzare nel settore edile, da sempre accusate di essere troppo farraginose e di complicare la vita agli addetti ai lavori. 
Tra il 2014 e il 2015, su impulso del Decreto Semplificazioni (DL 90/2014) sono stati adottati vari modelli unici: quello per Scia e permesso di costruire, i moduli unici per CIL e CILA, lo schema unico perl’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) e il modulo standardizzato per la presentazione della Superdia.


Il Governo sta inoltre lavorando al decreto che riscriverà tutta la normativa in materia di Scia. Dopo l’adozione del modello unico si è infatti reso necessario chiarire in modo univoco su tutto il territorio nazionale quali interventi possono essere effettuati con la Scia e uniformare le procedure. Dato che nelle scorse settimane il testo ha ricevuto la bocciatura da parte del Consiglio di Stato, l’Esecutivo è ora impegnato in un’opera di revisione.


Ricordiamo inoltre che da agosto 2015 sono in vigore il permesso di costruire con silenzio assenso e il limite di 18 mesi per l’annullamento d’ufficio della Scia.


Fonte articolo: Edilportale.com

Alloggi popolari: serve un Piano Casa dello Stato

L'edilizia popolare gestita dalle Regioni? Meglio quando la gestiva lo Stato. L'housing sociale con il sistema dei fondi immobiliari? Una goccia nel mare: ad oggi il programma cofinanziato dal maxi fondo di Cassa depositi e prestiti ha realizzato 3.480 case su circa 22mila in progetto.


La risposta attuale al fabbisogno di alloggi popolari? Largamente insufficiente: nel 1997 c'erano 650mila famiglie in disagio abitativo, oggi sono oltre 1,7 milioni. 

 

La soluzione? Riportare indietro le lancette al 1998, anno del decentramento regionale dell'Erp, riconsegnando la piena competenza allo Stato. Poi serve un "piano casa" da 1,3-1,4 miliardi per realizzare 200mila alloggi su un orizzonte di 15-20 anni. Risorse da trovare attraverso un meccanismo fisso e centralizzato, per garantire la programmazione sul lungo periodo. L'esempio storico è quello della "Gescal", il prelievo sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti che ha sostenuto la produzione delle case popolari fino a l 1999. L'esempio più recente che viene in mente è la soluzione del canone in bolletta trovata per sostenere la Rai. Nulla è ancora uscito dal cappello, ma il tema - e il problema - c'è tutto.


A ricordarlo - facendo anche un bilancio di quasi 20 anni della gestione "decentrata" dell'edilizia residenziale pubblica - è Luca Talluri, giovane presidente degli ex-Iacp italiani riuniti in Federcasa. 
Talluri si è fatto interprete del revival statalista che circola tra gli ex-Iacp, che muove dalla consapevolezza che il rubinetto delle Regioni resterà chiuso: "Noi pensiamo che la soluzione migliore sia restituire la delega dalle Regioni al Governo centrale, perché le Regioni ci stanno facendo capire che il sistema deve rimanere cristallizzato agli anni '90 e tale deve rimanere". Detto in altri termini: non vogliono mettere soldi sulle case popolari. Risorse che Federcasa chiede ora allo Stato: "servirebbero almeno 1,3-1,4 miliardi di euro per aumentare il numero di alloggi di 150-200mila unità", dice.


Come trovare i soldi? "Qualche idea ce l'abbiamo", risponde. Intanto, ricorda il presidente di Federcasa, "è importante che il Governo abbia messo risorse consistenti per attuare il piano di recupero degli alloggi inagibili, ma pensiamo che occorra cominciare a pianificare una risposta strutturale".
Secondo lo studio realizzato da Nomisma per Federcasa, il disagio abitativo dilaga: sono almeno 3 milioni le famiglie che, nel 2014, hanno mancato il pagamento di una rata di affitto o di mutuo. Restringendo il campo alle sole famiglie in affitto, ci sono 1,708 milioni di famiglie (pari al 41% delle famiglie in affitto) con un affitto oltre il 30% del reddito. Negli anni '80, ricorda Nomisma, c'erano solo 3 famiglie su cento che pagavano un affitto superiore al 30% del reddito, oggi sono 34 su cento. Intorno a questa fascia ci sono poi le 600mila famiglie circa in attesa di un alloggio popolare; ma ci sono anche 690mila famiglie che andrebbero in crisi se il loro canone superasse la soglia delle 450 euro.


A fronte di questa situazione, si ridimensiona molto anche la risposta del social housing, cioè l'affitto a un canone intermedio tra quello di mercato e quello popolare: "Chi sosteneva che la risposta definitiva al disagio abitativo fosse l'housing sociale, perché creava case levando dalle case popolari i più ricchi dalle case popolari, ha sbagliato. Le famiglie che potrebbero uscire superano il reddito minimo sono rappresentano l'1,2% del totale. Così non si risolve il problema. La soluzione è aumentare pesamentemente il numero di case popolari".


Fonte articolo: Ediliziaeterritorio.IlSole24ore.com, vetrina web

Sacconi sull'immobiliare: occorre responsabilizzare i Comuni



La crescita può essere solo il risultato di una diffusa mobilitazione di tutta la nazione, di tutte le sue attività produttive di beni come di servizi, di tutti i suoi lavori dipendenti o indipendenti. Ma la nazione appare ancora bloccata dall’eccessivo prelievo fiscale nella sua propensione a consumare, investire ed assumere. In particolare essa si è sviluppata più di altre, a torto o a ragione, intorno al mattone come testimonia il suo straordinario tasso mediano di patrimonializzazione attraverso la proprietà immobiliare. 


La propensione a radicare la famiglia, le richieste di garanzie reali del sistema creditizio, i ritardi del mercato mobiliare hanno concorso all’acquisto popolare di case, negozi, capannoni, terreni. Siamo una owners community! (ndr siamo una comunità di proprietari). Piaccia o non piaccia.

 

 

Possiamo ragionare a lungo se tutto ciò abbia limitato la nostra efficienza complessiva ma ora dobbiamo prendere atto che il repentino spostamento del pendolo da una tassazione di favore ad una di sfavore ha trasformato il bene-rifugio in un bene-prigione, la fonte di sicurezza in una ragione di insicurezza. E, soprattutto, la ricchezza della nazione si è in conseguenza rivelata congelata, illiquida, con tutte le conseguenze che conosciamo. Non si tratta quindi solo di detassare la prima casa, ma più in generale di ricondurre a responsabilità la propensione delle amministrazioni comunali a scaricare sulla proprietà immobiliare le loro incapacità ed inefficienze. 


Applichiamo quindi i fabbisogni standard già disponibili per tutte le funzioni di ciascun Comune nel senso di combinarli con una capacità fiscale idonea a finanziarli e di ricavarne l’algoritmo di equilibrio, superato il quale il comune viene immediatamente sottoposto a commissariamento - con tanto di fallimento politico e ineleggibilità degli amministratori - in funzione di un rigoroso piano di rientro. È ragionevole supporre che esso funzioni da deterrente per una gestione oculata, e magari associata, delle funzioni municipali prevenendo l’abuso della tassazione ed un dissesto dell’ente tale da richiedere ingenti risorse di risanamento come oggi accade. 


La Local Tax deve rappresentare l’occasione per una compiuta attuazione del federalismo municipale e non lo strumento di un circolo vizioso senza limite nel nome di una autonomia irresponsabile.
A ciò dovrebbe aggiungersi una diversa distribuzione del carico fiscale tra proprietari ed inquilini in modo che questi ultimi avvertano tutto il necessario sinallagma tra dimensione del prelievo e qualità del servizio pubblico locale. Un simile percorso determina insomma una tassazione ben più moderata senza bisogno di copertura perché l’amministrazione locale può garantire le funzioni che le competono razionalizzando i costi fissi di produzione anche attraverso la gestione associata con gli altri comuni corrispondenti ad un idoneo bacino di utenza. 


Evitiamo poi di contrapporre scioccamente la detassazione degli immobili a quella del lavoro nondimeno necessaria. Quest’ultima si rivela utile ad incoraggiare la propensione ad assumere se è strutturale e ragionevole. Temo che l’azzeramento dei contributi sui contratti permanenti si rivelerà essere stato fonte più di comportamenti distorsivi che di nuova occupazione e comunque non è ragionevole caricare a lungo sul bilancio dello Stato la sostenibilità del sistema previdenziale. Gli operatori potrebbero invece apprezzare una riduzione strutturale di quella parte dei contributi che oggi è sproporzionata rispetto alle prestazioni. Penso all’assicurazione contro gli infortuni, agli ammortizzatori sociali, all’indennità di malattia in alcuni settori come il commercio. 


Il costo indiretto del lavoro deve quindi essere ridotto ove ve ne sono le ragioni di equilibrio con i benefici e non sulla base di un inverosimile premio a carico della fiscalità generale.
Non dimentichiamo poi la esigenza di riportare ad una dimensione sensibile la tassazione “secca” e agevolata del salario variabile definito dalla contrattazione di prossimità in modo da sospingere contemporaneamente i redditi e la produttività. Si tratta di ampliare la platea dei beneficiari in modo da ricomprendere tutto il lavoro operaio ed impiegatizio e di innalzare la misura del salario detassato al livello degli accordi migliori come quello definito nel gruppo FCA.


In conclusione, la Legge di Stabilità può essere lo strumento idoneo per contenere contemporaneamente il prelievo fiscale sulla proprietà e sul lavoro rispettando i parametri dell’Unione.


Presidente commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi.


Fonte articolo: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-09-04/ridurre-tasse-mattone-responsabilizzare-sindaci-063700.shtml?uuid=AC19ypr&refresh_ce=1

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